mercoledì 28 luglio 2010

Ocio, Nichi non è fesso per niente....




Sondaggio nel centrosinistra: Vendola vola e batte Bersani

Fonte: Repubblica

Nichi Vendola vince su Pierluigi Bersani 49 a 31.Non sono ancora le primarie ma il sondaggio realizzato da Ipr marketing per Repubblica chiarisce, qualora ci fossero ancora dubbi, come mai il Pd abbia accolto così freddamente l´autocandidatura del governatore pugliese

Nichi Vendola batte Pierluigi Bersani 49 a 31. Non sono ancora le primarie ma il sondaggio realizzato da Ipr marketing per Repubblica chiarisce, qualora ci fossero ancora dubbi, come mai il Pd abbia accolto così freddamente l´autocandidatura del governatore pugliese. E lo fa a partire dall´ultima domanda posta al campione qualificato di elettori del centrosinistra: "Se domani si dovesse votare per le primarie del centrosinistra lei chi sceglierebbe tra Nichi Vendola e Pierluigi Bersani». Un intervistato su due voterebbe per il Presidente della Regione. Meno di uno su tre esprimerebbe la propria preferenza per il segretario del Pd. Gli altri sono ancora indecisi.

Ma ciò che fa tremare i polsi ai democratici è soprattutto l´identikit dei potenziali elettori di Vendola. Sembra scontato che il governatore pugliese prevalga negli ambienti dell´Italia dei Valori e degli altri partiti di centrosinistra. Meno che batta Bersani in casa propria e in maniera così netta: il 52 per cento degli elettori Pd preferisce Vendola al segretario nazionale del partito fermo al 29 per cento.
Eppure scorrendo il sondaggio a partire dai primi quesiti posti dai ricercatori d Ipr marketing si ha l´impressione che sia Bersani e non Vendola, il leader che gli elettori del centrosinistra vorrebbero lanciare nella sfida contro Berlusconi o chi per lui. Il segretario del Pd è considerato più onesto, preparato, competente e sincero del suo antagonista pugliese. Il governatore della Regione prevale, ma di poco, solo nelle categorie "parla chiaro" e "vicino alla gente".

Anche per questo l´indice di fiducia che gli elettori del centrosinistra hanno per Pierluigi Bersani supera di molto quella del leader di Sinistra ecologia e libertà. Il 77 per cento degli intervistati si fida molto o abbastanza del segretario del Pd. Vendola raccoglie solo il 63 per cento della fiducia. Eppure, al momento del voto, iscritti e simpatizzanti del centrosinistra sceglierebbe lui senza elezioni. E questo, al netto della campagna elettorale: arte in cui il Presidente di Terlizzi eccelle.
Per questo, confortato da questi numeri, ieri Vendola si è sbilanciato: «I sondaggi dicono che il centrosinistra zoppica mentre il centrodestra cede spazio. C´è uno spazio vuoto» ha fatto notare il governatore pugliese. Lui è pronto a riempirlo.

lunedì 26 luglio 2010

Italia medievale, i nostri Nobel predicano al vento



Rubbia: "L'errore nucleare. Il futuro è nel sole"


Parla il Nobel per la Fisica: "Inutile insistere su una tecnologia che crea solo problemi e ha bisogno di troppo tempo per dare risultati". La strada da percorrere? "Quella del solare termodinamico. Spagna, Germania e Usa l'hanno capito. E noi..." di ELENA DUSI


ROMA - Come Scilla e Cariddi, sia il nucleare che i combustibili fossili rischiano di spedire sugli scogli la nave del nostro sviluppo. Per risolvere il problema dell'energia, secondo il premio Nobel Carlo Rubbia, bisogna rivoluzionare completamente la rotta. "In che modo? Tagliando il nodo gordiano e iniziando a guardare in una direzione diversa. Perché da un lato, con i combustibili fossili, abbiamo i problemi ambientali che minacciano di farci gran brutti scherzi. E dall'altro, se guardiamo al nucleare, ci accorgiamo che siamo di fronte alle stesse difficoltà irrisolte di un quarto di secolo fa. La strada promettente è piuttosto il solare, che sta crescendo al ritmo del 40% ogni anno nel mondo e dimostra di saper superare gli ostacoli tecnici che gli capitano davanti. Ovviamente non parlo dell'Italia. I paesi in cui si concentrano i progressi sono altri: Spagna, Cile, Messico, Cina, India Germania. Stati Uniti".

La vena di amarezza che ha nella voce Carlo Rubbia quando parla dell'Italia non è casuale. Gli studi di fisica al Cern di Ginevra e gli incarichi di consulenza in campo energetico in Spagna, Germania, presso Nazioni unite e Comunità europea lo hanno allontanato dal nostro paese. Ma in questi giorni il premio Nobel è a Roma, dove ha tenuto un'affollatissima conferenza su materia ed energia oscura nella mostra "Astri e Particelle", allestita al Palazzo delle Esposizioni da Infn, Inaf e Asi.

Un'esibizione scientifica che in un mese ha già raccolto 34mila visitatori. Accanto all'energia oscura che domina nell'universo, c'è l'energia che è sempre più carente sul nostro pianeta. Il governo italiano ha deciso di imboccare di nuovo la strada del nucleare.

Cosa ne pensa?
"Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c'è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano".

Lei è il padre degli impianti a energia solare termodinamica. A Priolo, vicino Siracusa, c'è la prima centrale in via di realizzazione. Questa non è una buona notizia?
"Sì, ma non dimentichiamo che quella tecnologia, sviluppata quando ero alla guida dell'Enea, a Priolo sarà in grado di produrre 4 megawatt di energia, 1 mentre la Spagna ha già in via di realizzazione impianti per 14mila megawatt e si è dimostrata capace di avviare una grossa centrale solare nell'arco di 18 mesi. Tutto questo mentre noi passiamo il tempo a ipotizzare reattori nucleari che avranno bisogno di un decennio di lavori. Dei passi avanti nel solare li sta muovendo anche l'amministrazione americana, insieme alle nazioni latino-americane, asiatiche, a Israele e molti paesi arabi. L'unico dubbio ormai non è se l'energia solare si svilupperà, ma se a vincere la gara saranno cinesi o statunitensi".

Anche per il solare non mancano i problemi. Basta che arrivi una nuvola...
"Non con il solare termodinamico, che è capace di accumulare l'energia raccolta durante le ore di sole. La soluzione di sali fusi utilizzata al posto della semplice acqua riesce infatti a raggiungere i 600 gradi e il calore viene rilasciato durante le ore di buio o di nuvole. In fondo, il successo dell'idroelettrico come unica vera fonte rinnovabile è dovuto al fatto che una diga ci permette di ammassare l'energia e regolarne il suo rilascio. Anche gli impianti solari termodinamici - a differenza di pale eoliche e pannelli fotovoltaici - sono in grado di risolvere il problema dell'accumulo".

La costruzione di grandi centrali solari nel deserto ha un futuro?
"Certo, i tedeschi hanno già iniziato a investire grandi capitali nel progetto Desertec. La difficoltà è che per muovere le turbine è necessaria molta acqua. Perfino le centrali nucleari in Europa durante l'estate hanno problemi. E nei paesi desertici reperire acqua a sufficienza è davvero un problema. Ecco perché in Spagna stiamo sviluppando nuovi impianti solari che funzionano come i motori a reazione degli aerei: riscaldando aria compressa. I jet sono ormai macchine affidabili e semplici da costruire. Così diventeranno anche le centrali solari del futuro, se ci sarà la volontà politica di farlo".

GUERRE SPORCHE

Wikileaks svela la 'vera' guerra in Afghanistan
Casa Bianca: "Minacciata sicurezza nazionale"
Il portale Internet ha rivelato al New York Times, al Guardian e al Der Spiegel una serie di informazione riservate relative al conflitto. Il consigliere Usa per la sicurezza: "Possono mettere a rischio la vita degli americani e dei nostri alleati". Il Pakistan respinge le accuse


DA: Repubblica online 26 luglio 2010

WASHINGTON - È la più grande fuga di notizie della storia militare americana: notizie che parlano di civili morti e di cui non si è saputo nulla, di un'unità segreta incaricata di 'uccidere o fermare' qualsiasi talebano anche senza processo, delle basi di partenza in Nevada dei droni Reaper (aerei senza piloti), della collaborazione tra i servizi segreti pakistani (Isi) e i talebani. Questo e molto di più, sugli archivi segreti della guerra in Afghanistan, è svelato da Wikileaks - il portale Internet creato per pubblicare documenti riservati - al New York Times, al Guardian e al Der Spiegel. E subito la Casa Bianca ha espresso una 'dura condanna' per la diffusione di informazioni che possono minacciare la sicurezza del Paese e degli alleati. I tre organi di stampa che hanno accettato di pubblicare le informazioni lo hanno fatto, hanno spiegato, perché i dati sarebbero stati diffusi su Internet: "La maggior parte delle relazioni è rappresentata da documenti di routine banali, ma molti hanno un impatto rilevante su una guerra che dura quasi da nove anni", ha detto il New York Times, mentre il britannico Guardian afferma che i documenti, che rivelano il numero crescente di civili uccisi dalle forze della coalizione e dai talebani, "danno un'immagine devastante della guerra e del suo stato di fallimento in Afghanistan".

Sei anni di guerra. Il periodo considerato va dal gennaio 2004 al dicembre 2009, sia sotto l'amministrazione Bush che quella Obama per un totale di 92 mila rapporti del Pentagono; una quantità enorme di documenti da cui emerge un'immagine devastante di quello che è realmente successo in Afghanistan: le truppe che hanno ucciso centinaia di civili in scontri che non sono mai emersi, gli attacchi dei talebani che hanno rafforzato la Nato e stanno alimentando la guerriglia nei vicini Pakistan e Iran. E la conclusione è amara: "Dopo aver speso 300 miliardi di dollari in Afghanistan, gli studenti coranici sono più forti ora di quanto non lo fossero nel 2001".

La reazione della Casa Bianca. Non si è fatta attendere la dura condanna da parte della Casa Bianca, alla fuga di notizie: "Possono mettere a rischio - ha detto il consigliere per la sicurezza nazionale di Barack Obama, il generale James Jones- la vita degli americani e dei nostri alleati, e minacciare la nostra sicurezza nazionale". Anche l'ambasciatore del Pakistan negli Stati Uniti, Husain Haqqani, ha manifestato il suo disappunto, definendo "irresponsabile" la pubblicazione del materiale riservato.

Pakistan, amico-nemico. Dai documenti emerge, tra l'altro, che "il Pakistan, ostentatamente alleato degli Stati Uniti, ha permesso a funzionari dei suoi servizi segreti di incontrare direttamente i capi talebani in riunioni segrete per organizzare reti di gruppi militanti per combattere contro i soldati americani, e perfino per mettere a punto complotti per eliminare leader afghani". Ma c'è di più: nei documenti si legge che "l'intelligence pakistana (Directorate for Inter-Services-Intelligence) lavorava al fianco di al Qaeda per progettare attacchi" e "faceva il doppio gioco". Lontano dai riflettori mediatici, scrive il New York Times, sia l'amministrazione guidata da George W. Bush, sia quella dell'attuale presidente Usa Barak Obama hanno accusato i servizi di intelligence pakistani di complicità negli attacchi in Afghanistan. Funzionari dell'esercito americano hanno anche redatto una lista dei militari e degli agenti segreti pakistani che, a loro avviso, collaboravano con i Talebani. Uno scenario, quindi, completamente in contrasto con l'immagine dell'alleato pakistano presentato al pubblico americano.

E Washington, stando a quanto emerge, sembra voler ignorare il doppio gioco di Islambad. Secondo i documenti citati, anche l'amministrazione Obama, malgrado le roboanti minacce di "intervento diretto" dell'allora candidato democratico alla presidenza, non ha cambiato nulla. Questo mese il segretario di Stato, Hillary Clinton ha annunciato "altri 500 milioni di dollari" in aiuti a Islamabad, definendo Usa e Pakistan "partner uniti da una causa comune".

Accuse respinte al mittente. Informazioni "senza alcuna sostanza". Il Pakistan respinge le accuse contenute nel rapporto d'intellilgence Usa. Hussain Haqqani, ambasciatore pachistano a Washington, citato dall'agenzia di Stato pachistana App ha dichiarato che il rapporto è contrario "alla realtà attuale sul terreno" e riflette "nient'altro che i commenti e le voci diffuse da una sola fonte". Secondo il diplomatico di Islamabad, inoltre, "è irresponsabile far trapelare un rapporto dal terreno ancora non elaborato". Smentendo il rapporto, ha detto l'ambasciatore, le forze armate e i servizi pachistani stanno seguendo una strategia chiara per combattere ed isolare i terroristi che stanno ormai colpendo anche civili e ufficiali pachistani. "Gli Stati Uniti, l'Afghanistan e il Pakistan - ha dichiarato - sono partner strategici e stanno lavorando insieme per sconfiggere al-Qaeda e i suo alleati talebani, militarmente e politicamente".

Il fondatore di Wikileaks: "Ci accsano? Allora buon giornalismo". ''È compito del buon giornalismo parlare degli abusi di potere, e quando gli abusi di potere sono messi in luce c'è sempre una reazione contraria''. Julian Assange, fondatore del portale Wikileaks, ha dichiarato che le reazioni, le accuse e le polemiche scaturite dopo la diffusione dei file segreti sulla guerra in Afghanistan mostrano come il sito di informazioni stia svolgendo in maniera adeguata la sua missione giornalistica. Il sito ha acquisito fama internazionale nel 2009 quando pubblicò i documenti interni della multinazionale Trafigura coinvolta in uno scandalo di rifiuti tossici in Costa d'Avorio. Prima del dossier afgano, lo scoop più sconcertante di Wikileaks è stato un video diffuso ad aprile di quest'anno che mostra un elicottero americano Apache mentre effettua un raid a Baghdad nel 2007. Una decina di civili furono uccisi in quell'attacco, che costò la vita anche a due reporter della Reuters


(26 luglio 2010) © Riproduzione riservata

La delega a Fini: l'ultima sconfitta degli ex Pci







Siamo vittime del cinismo dalemian/andreottiano, che nel tempo ha prodotto:il tentativo abortito di Bicamerale degli inciuci costituzionali,svendita di Telecom ai "capitani coraggiosi",strategia finanziaria suicida di supporto ai "furbetti del quartierino" (vedi "Abbiamo una banca!" e vedi Ricucci&C.), guerra del Kosovo con annessi morti per l'uranio impoverito, supporto ai peggiori cattolici dell'Opus Dei ed alla massoneria, tutela dell'impero berlusconiano...e, last but not least, alleanze proposte con Casini perchè suo suocero Caltagirone è entrato nel C.d.A del Monte dei Paschi di Siena ecc. ecc. AHORA BASTA!







DA BERLINGUER A FINI

di Paolo Flores d’Arcais



C’era una volta il partito della “questione morale”. Era il Pci di Enrico Berlinguer, che la lanciò come questione dirimente tra le forze politiche, e la propose come tratto distintivo del suo partito. La questione morale c’è ancora, all’ennesima potenza. Il partito che la vuole affrontare, non più. Al punto che a sbandierare il vessillo della questione morale si candida l’onorevole Fini, che può permettersi di richiamare i politici ad essere “intransigenti” in fatto di etica, vista l’assordante assenza sul tema del Partito democratico e dei suoi dirigenti. Che nel frattempo incoronano l’onorevole Vietti (due volte al governo con Berlusconi), Udc (il partito di Cuffaro), vicepresidente “in pectore” del Csm. Snobbando nomi come Borrelli, Cordero, Zagrebelsky, Grevi e Tinti, avanzati da Di Pietro. L’inciucio come unica virtù riconosciuta, insomma.

È vero che già ai tempi di Berlinguer il gruppo dirigente del Pci fu tutt’altro che entusiasta del tentativo del segretario di fare della “differenza” morale l’elemento più riconoscibile dell’identità del partito. E Berlinguer ebbe il torto di non volere, o non riuscire, a trasformare quella sua lucidissima intuizione in strategia, nell’architrave portante della politica del partito. È vero che i suoi “più moderni” nipotini fecero anzi l’opposto, con sistematicità e tenacia, rimettendo in sella per ben due volte un Berlusconi ormai finito.

Per anni hanno sproloquiato che i problemi reali erano altri, disoccupazione, precariato, tasse. Fingendo di non capire (o forse non capiscono davvero?) che la questione morale, se davvero affrontata, affronta anche e proprio tutti i nodi dell’ingiustizia sociale crescente e smisurata. Perché una politica della legalità intransigente, cioè NEI FATTI, significa guerra ai grassatori delle cricche e ai grandi evasori esattamente come difesa dei lavoratori licenziati per opposizione sindacale, o umiliati nelle prepotenze padronali dei call center o sfruttati a livello di schiavismo nella raccolta dei pomodori.
E se l’opposizione tornasse a quel Berlinguer? La “legalità intransigente” è oggi il programma politico più esaustivo, avanzato e realistico

domenica 25 luglio 2010

Sinistra (o meglio quel che resta) in cantiere



A lezione di realta'

di Concita De Gregorio, da l'Unità


Dice Nichi Vendola, in procinto di partire per Bertinoro dove stasera - alla scuola «Democratica» - parlerà di religione, che «nella grande area del Pd» sente «una forte onda emotiva». Vendola parla così, è anche per questo che piace molto a chi ha meno di trent'anni e poco o pochissimo a chi ne ha parecchi di più. Non è solo un fatto anagrafico, naturalmente. Scarta sempre di lato, o avanti: va su un altro piano. Gli domandi cosa pensi della reazione dei leader del centro sinistra alla sua candidatura alla guida della coalizione - la gamma va da dispetto a ostilità passando per prudenza - e risponde che sente una forte onda emotiva. Non si riferisce ai vertici, evidentemente. Parla delle persone che incontra. Dice che c'è «molta passione» fra i ragazzi. Gli domandi se non sia stata prematura, la sua candidatura, visto che le primarie non sono proprio alle porte e considerato che il risultato ottenuto è stato per ora di farsi attaccare da destra e da sinistra e risponde che «la forza del centrodestra sta nella debolezza del centrosinistra». E' lì che c'è da fare, a saldare i pezzi della sinistra. D'altra parte «i massacri mediatici organizzati scientificamente dal centrodestra, che mette in campo pool di persone e di giornali che attraverso collaborazionisti sul territorio - fabbricanti di falsi dossier, li sappiamo all'opera - cercano di demolirti, sono momenti di crescita». Momenti di crescita, li definisce: rafforzano.


Esiste un caso-Vendola, a sinistra. Tutti ne parlano. Di Pietro gli ha dato lo stop, certamente pensando alla possibile erosione del suo bacino elettorale e probabilmente alla sua stessa più che probabile candidatura. Con D'Alema è un dialogo per così dire difficile da antica data, le vicende delle primarie pugliesi non hanno aiutato. Bersani è il segretario in carica e si capisce che si irriti se qualcuno si alza e dice: corro anch'io. Del resto non c'è neppure la pista, al momento, e i problemi del paese effettivamente sono altri. Basta sfogliare le cronache. Veltroni lo ha invitato a Bertinoro e allora ecco che subito riparte la ridda dei sospetti: nuove alleanze, nuove strategie per rimescolare le carte a sinistra? Pippo Civati, in campeggio coi giovani democratici in Emilia, lo ha elogiato dopo un incontro alle Fabbriche e ora parla di «generosità in politica»: è stato iscritto d'ufficio tra i neovendoliani. Le cose non stanno così, le cose - fuori dai palazzi romani - non stanno mai come le racconta chi è schiavo dell'antica logica del nemico interno: la logica per la quale è sempre più urgente annientare il presunto rivale domestico anzichè mettere insieme le forze per sconfiggere chi occupa disastrosamente l'altra metà campo. Anche i giornali, con le semplificazioni derbistiche, non aiutano - lamenta Civati.
Proviamo a vedere cosa sta succedendo in questi giorni. Alcune centinaia di giovani appassionati di politica anzichè andare in vacanza hanno deciso di spendere qualche soldo e molto tempo a pensare il futuro. Succede nel Pd. C'è la scuola di Democratica a Bertinoro, di cui Veltroni va fiero, dove centinaia di ragazzi (non tutti Pd, ce ne sono di Sinistra e Libertà, dell'Idv, cattolici e radicali) parlano in queste ore di diritti e religioni.


«I ragazzi si appassionano ai grandi temi del presente, più difficilmente alle correnti di partito. Chiedono unità e visione. Hanno la passione che serve per dare nuove risposte. L'investimento da fare è questo», diceva Veltroni alla vigilia del seminario. Pippo Civati, in campeggio a pochi chilometri da lì con altre centinaia di giovani: «Detesto le logiche di quelli che a tavolino traggono conclusioni tipo ‘due scuole vicine dunque rivali', non c'è nessuna conflittualità, ce ne dovrebbero essere cento in tutta Italia di iniziative così e decine ce ne sono: in Lombardia, in Sardegna, al Sud. Detesto quelli che se dico che Vendola ci offre una grande occasione di confronto mi additano come il traditore: non abbiamo bisogno di duelli ma di condivisione, la felicità non esiste se non è condivisa, anche la politica funziona così. Il nostro motto qui al campeggio è: alla pari. Non chiediamo la provenienza di nessuno, chiediamo ai ragazzi di mettersi a disposizione. Solo con la generosità potremo sonfiggere il berlusconismo: solo offrendo la proposta di un modello positivo, diverso dalle battaglie di potere, un modello in cui le persone sappiano e vogliano collaborare. Questo chiedono i giovani che vedete qui». Questo dicono anche i venti-trentenni di diverse provenienze che Francesca Fornario ha chiamato a collaborare in un gruppo di lavoro sui temi concreti: la bioetica, i diritti, il lavoro, lo sviluppo sostenibile, le energie, lo studio. Ne abbiamo sentiti alcuni, trovate le loro parole in queste pagine: militano nel Pd e nell'Idv, nel movimento Cinque stelle e in Sinistra e libertà. Si trovano a fare volantinaggio insieme. Lavorano ad iniziative comuni. Non hanno nessun interesse alla battaglia per la leadership per le primarie: certamente non adesso. «Continuare a combattere tra di noi è l'unico modo sicuro per far restare Berlusconi al potere a vita», dice uno di loro. Troppo semplice? Ingenuo? Pensateci. Mettetevi nei panni degli elettori, anche, non è difficile, ciascuno di noi lo è.


La «bella politica», abbiamo sentito nelle scuole e nei campeggi in questi giorni, è quella che sarà capace di fare "Punto e a capo" con le cricche, le P2 e le P3 - giusto ieri il Pd ha chiesto una commissione d'inchiesta, questo giornale vi parla di P2 da mesi, direi da sempre. E' quella capace di voltare pagina e di superare le logiche di condominio di chi per far dispetto al vicino demolisce le scale di casa.
Luigi De Magistris, Idv, sta preparando con Vendola un'iniziativa nel Nord Italia che, dice il governatore pugliese, ha bisogno di «essere scaldato». Sono stati insieme a Roma, all'Eliseo, poi a Napoli alla città della Scienza. «Era dai tempi del primo Bassolino che non vedevo una folla così, ma questa di precari, lavoratori, studenti, non solo intellettuali e buona borghesia, non solo quadri di partito». Anche lui neo-vendoliano, in rotta con Di Pietro? «Ma per favore, smettiamola. Smettetela anche voi giornalisti. Va bene, forse la candidatura di Vendola è stata prematura. Forse ha avuto fretta e non ce n'era. Ma proviamo a metterla così: guardiamo ai contenuti, pensiamo alla squadra. La gente ci chiede unità. L'altro ieri ero a un dibattito con esponenti della Fiom, con Marino, con Ferrero. La sala era colma. Mi hanno invitato alla festa dell'Unità di Pesaro, sto partendo. E' una fase delicata: parliamoci, io parlo ogni giorno col Pd, con Sel, con tutti quelli disposti a lavorare ad un progetto. Non facciamo gli stessi errori di sempre, gli elettori questa volta non ce lo perdonerebbero. Proponiamo nei fatti un modo di fare politica diverso».


Apro il blog di Civati: «Ho chiesto e ripetuto - anche a Bari, Vendola presente - di evitare questo clima da spareggio, che non è utile a nessuno. La candidatura di Vendola fa bene al centrosinistra. Non ho mai escluso che possano essercene altre, però. Né che la ricerca del candidato si esaurisca ora. Mi auguro che il confronto avvenga sull'idea di "Paese" e non sull'idea di "cordata". E che non ci siano "reazioni" da parte di nessuno, ma "azioni" da parte di tutti». Apro quello di Vendola, parla di Fiat: «Siamo di fronte a scelte che mettono in discussione la credibilità del piano industriale della Fiat e del suo management. Tutto questo mentre siamo di fronte alla vera emergenza nazionale dell'Italia: la perdita ogni giorno di migliaia di posti di lavoro, il quotidiano passaggio di migliaia di famiglie da una vita dignitosa alla povertà».

Parole sante




"C’è a sinistra un’etica e un’estetica della sconfitta e della bella morte.
Ti infilzano ma con la bandiera rossa che ti cade addosso come un sublime sipario: che palle!"
- Nichi Vendola


NICHI VENDOLA candidato premier 2013.

Vendola: "Posso essere l'Obama bianco: lui partito in svantaggio perché nero, ma poi...". Poi la replica a D'Alema e al PD. Vendola: "Posso essere l'Obama bianco:
ho già spiazzato i cecchini dei dossier"


Il Governatore pugliese e leader della SEL: spariglierò il centrosinistra. "D'Alema dice che ci sono politici- poeti migliori di me? Una cosa è sicura: i prosatori del Pd dovranno pur fare un rendiconto, visto che il loro genere letterario ha portato solo sconfitte

ROMA - Se lo paragonano a Barack Obama, se lo chiamano l'Obama bianco, non si schermisce: "È una definizione sconfinatamente lusinghiera. Il presidente americano ha rappresentato la corsa di un outsider. Ha sparigliato nelle primarie, come vorrei fare anch'io, i giochi di palazzo del grande partito democratico. Ha usato un suo svantaggio apparentemente incolmabile, il fatto di essere nero, di venire da una certa periferia, capovolgendolo in un elemento di consenso". Nichi Vendola prende molto sul serio la sua candidatura a leader del centrosinistra. E non lo fa certo da solo. Per dire: mercoledì sera a Roma c'erano più di tremila persone sedute sul prato ad ascoltare il suo dibattito alla festa di Sinistra e libertà.

Presidente Vendola, perché ha lanciato la sfida così presto, "fuori contesto" dice Bersani? Non è anche un tradimento al mandato pugliese ottenuto appena 4 mesi fa?
"Per me era importante rendere esplicita questa opzione che se posso dirlo non è solo una mia libera scelta, ma espressione di una connessione sentimentale con un popolo. Ed è un impegno che esalta il mio lavoro in Puglia. Il contrario di una fuga. Era anche importante farlo perché altrimenti una candidatura che cresceva nelle cose e nelle piazze ma che io non ufficializzavo mi esponeva a essere facile target per i cecchini. Mi sono fatto un po' le ossa e so che la lotta politica si può fare con i dossier, i gossip, la diffamazione. Una candidatura esplicita ridimensiona questi rischi. Oggi infatti renderebbe evidente il carattere strumentale di certi attacchi, come è successo nelle primarie pugliesi. Allora, il tentativo di coinvolgermi in un'inchiesta assurda incontrò una reazione straordinaria della gente".

Sta dicendo che il centrosinistra potrebbe fare a lei quello che il Pdl ha fatto a Caldoro in Campania?
"Io parlo della cattiva politica, che sta dappertutto. A sinistra e a destra".

Non la spaventa la definizione di Obama bianco, che alcuni usano con sarcasmo?
"Mi lusinga. Quando la politica diventa un incontro forte con la vita e con le sue domande allora si ha davvero la percezione che sia il campo dell'alternativa. È l'ingresso del principio speranza di Ernst Bloch, è l'utopia di Altiero Spinelli capace di immaginare al confino il manifesto del federalismo europeo. È uno sguardo sul futuro. Così è andata in America".

Ma questa è l'Italia.
"In Puglia ha funzionato, può funzionare in tutto il Paese. La Puglia è uno dei laboratori della destra, è il luogo del tatarellismo. Qui non ho sconfitto una destra qualunque, ma una politica con una classe dirigente qualificata".

Cosa vuole dire quando parla di nuovo "racconto", di una diversa "narrazione"? D'Alema ironizza su queste suggestioni.
"Non parlo di letteratura, non penso mica a Cesare Pavese. Vuole un esempio concreto?".

Sì.
"Quando una parte del Pd ipotizza che per battere Berlusconi si può fare un governo con Tremonti ferisce a morte la possibilità di uno sguardo autonomo, di un pensiero originale. Tremonti ha trasformato l'Italia in uno stato sudamericano, ne ha fatto uno dei Paesi più squilibrati socialmente e più ingiusti al mondo. Ma il ceto politico vive dentro il Palazzo e cerca le forme dell'estromissione del sovrano senza rendersi conto che il punto è mutare la cultura del regno".

D'Alema dice che se la politica è poesia, beh ci sono poeti migliori di lei...
"Una cosa è sicura: i prosatori del Pd dovranno pur fare un rendiconto di questi anni visto che il loro genere letterario ha portato solo sconfitte".

L'unico ad aver battuto due volte Berlusconi è stato Prodi. Un personaggio molto diverso da lei, un moderato.
"Prodi ha rovesciato alcuni modelli di lotta politica. A me piaceva il tono elevato del suo discorso antipopulista. Mi piaceva la costruzione di una leadership per strada rompendo l'autoreferenzialità del ceto politico. Per me è un esempio da guardare con molta attenzione. Ma non c'è un prototipo e l'idea che si vince solo giocando al centro è davvero fuori tempo e fuori contesto. Appartiene al cinismo che tanto affascina il Palazzo ma ha il difetto di partorire insuccessi a ripetizione. È l'espressione di una straordinaria inadeguatezza culturale".

La Fiat dopo Pomigliano porta la fabbrica in Serbia. La sinistra ha reagito bene?
"Marchionne è uno dei protagonisti della cattiva globalizzazione per cui si mettono in competizione 2 miliardi e mezzo di operai dei Paesi emergenti e 1 miliardo e mezzo di operai dei Paesi occidentali. Una competizione la cui logica conseguenza si chiama schiavismo. In forma moderna, ma schiavismo. La destra fa il suo mestiere: difende l'accordo di Pomigliano, esulta al Senato quando si licenziano i lavoratori di Termoli. Questo è il loro racconto. E quello della sinistra? Il Pd ha prodotto o imbarazzanti e imbarazzati silenzi su Pomigliano o delicati rimbrotti metodologici sul trasferimento in Serbia".

Alla prima uscita da candidato ha definito eroe Carlo Giuliani mettendolo sullo stesso piano di Falcone e Borsellino. Un errore grave, no?
"Per fortuna esiste Youtube, esiste il sito www.lafabbricadinichi.it. 1 Si può vedere e toccare con mano. Non ho mai messo Giuliani sullo stesso piano di Falcone e Borsellino. Ma ricordare cos'è stato il luglio del 2001, la sospensione della democrazia che ci fu a Genova, mi pare doveroso. Le cricche dello squallore agirono anche alla Diaz e a Bolzaneto e appartengono alla storia verminosa e oscura di un potere violento. Si può dire questo o è vietato?".
(25 luglio 2010)

http://www.repubblica.it/economia/2010/07/25/news/vendola_posso_essere_l_obama_bianco_ho_gi_spiazzato_i_cecchini_dei_dossier-5812129/

venerdì 23 luglio 2010

Occhio alle bombe, 2...il riassunto di Don Farinella


Sta per scoppiare il Pdl (Partito di Latta). Saran dolori per tutti, restate nei paraggi


22-07-2010 di don Paolo Farinella

Dopo il volo di una statuetta raffigurante il duomo di Milano che, navigando tra la folla, andò ad insozzarsi su un muso tumefatto di suo perché appesantito da km 18,50 di mascara artificiale, nacque come reazione il «partito dell’amore». Per mesi abbiamo visto la faccia del capo, gridare e urlare che lui e loro non odiano, ma amano fino alla bestemmia: «L’amore vince l’odio». Non sanno più che pesci pigliare per accreditarsi per quello che non sono e non saranno mai. Il capo e i suoi manutengoli, i servi e le schiave che vivono di rendita, sono esperti nell’odio e nella calunnia, nella falsità e nello spergiuro. Urlano, inveiscono e sbraitano di essere il «partito dell’amore», ma si arrabbiano se si dice che il loro capo, per avere un po’ di sesso, se lo deve comprare. Anzi, se lo deve fare comprare pagando professioniste del mestiere. Poveracci, sono tanto il partito dell’amore che si sbranano fra loro, si infangano, si uccidono.

Costui e costoro sono solo il «Pdl» (cioè il «Partito Del Latrocinio» o se volete il «Partito Di Latta», visto che il partito non conta proprio nulla, ma è solo il predellino di un’auto (per giunta non italiana) su cui il capo poggia il suo piede con tacco rialzato. Credevamo che la vecchia Dc e il contumace Craxi avessero toccato il fondo. Invece dobbiamo ricrederci: questi qua, che avrebbero dovuto essere «ricchi di loro» e quindi sazi, si sono dimostrati famelici più di tutti coloro che li hanno preceduti. Questa è la vera celebrazione del 150° dell’unità d’Italia: allora Massimo D’Azeglio aveva un progetto: «Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani». A distanza di un secolo e mezzo, l’Italia è in pieno delirio leghista in corsa verso la frantumazione e gli italiani sono letteralmente fatti. Fatti e strafatti. Il dramma comico è che chi se li fa è un signore che è riuscito a fare apparire il mostro di Notre Dame come la bella addormentata nel bosco.
Bossi ha incoronato i suoi pargoli trigliati come suoi eredi, assicurando loro la prebenda lauta della casta politica. E dire che lui era contro «Roma ladrona». Cota sembra che abbia vinto con l’imbroglio e ora si appella al popolo. Hanno tolto l’Ici anche ai ricchi e straricchi e ora si accingono a mettere una super tassa sui fabbricati, ma vogliono farla passare come riforma del catasto.

Lo chiamavano partito delle libertà; invece era la cricca del malaffare. Lo chiamavano il popolo della libertà; invece era il gregge della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra. Lo chiamavano il capo carismatico; era solo un capobastone e nemmeno tra i più quotati perché manovrato e ricattato dai mammasantissima. Lo chiamavano «meno male che Silvio c’è»; invece era la convergenza di un sistema che ha reso la nazione un letamaio e lerciume senza precedenti nella storia.

Ha ricevuto anche il premio come «Statista di rara capacità» per furto con destrezza, per evasione fiscale, per falso in bilancio, per corruzione di giudici e testimoni, per spergiuro sulla testa dei figli. Quando la sentina fuoriesce dalle fogne è il segno che le fogne stanno scoppiando e può cominciare un nuovo progetto di pulizia e di depurazione. Basterebbe che il PD, il partito che non c’è, battesse un colpo e prendesse il timone dell’opposizione dura e senza compromessi di sorta. Non si fanno accordi di alcun genere con i mafiosi malavitosi di stampo berlusconista. Bisogna solo cacciare lui e il suo parterre dell’amore a pagamento. Il bello deve ancora venire perché il Verdini (compaesano del ministro Bondi) ha più trippa di quanta lascia intendere. Restate nei paraggi.

Altro che Repubblica delle banane

La cattedra di Barbara Ceausescu

- di Alessandro Robecchi, Il Manifesto -

Un sincero moto di simpatia e di umana solidarietà va oggi, senza se e senza ma, a Barbara Berlusconi, che l’altro giorno ha discusso la sua tesi e conseguito la sua laurea (110 e lode, senza nemmeno un telefonata di Denis Verdini, Carboni o Dell’Utri). Certo, una laurea triennale in filosofia, diciamo che non siamo proprio ad Harvard. Certo, una laurea all’università di Don Verzé, un po’ come se voi vi laureaste all’università di proprietà di vostro zio. Ma pazienza, onore al merito. E già che parliamo di merito, non trascurerei quello di sopportare un tanto ingombrante padre, che riesce, persino nel giorno della laurea della figlia, ad occupare la scena, farsi da solo i complimenti (“merito dei genitori”, ha detto: forse la povera Barbara passava di lì per caso) e dare il suo quotidiano spettacolino.

La simpatia per Barbara nasce dal fatto che probabilmente non si merita di passare alla storia come un qualunque figlio di Saddam Hussein o di Ceausescu, ma – ahilei – ci sta andando molto vicina. Nel consegnarle bacio accademico e pergamena, infatti, Don Verzé (quello che vuol far vivere Berlusconi fino a 150 anni, quando si dice nemico del popolo…) le offre addirittura una cattedra. Di più: partendo dalla tesi di Barbara Berlusconi, il prete privato del Conducator vorrebbe addirittura fondare una facoltà di economia di cui lei diverrebbe automaticamente docente. Come dire, dalla tesi alla cattedra in un nanosecondo: Barbara faccia almeno ciao ciao con la manina a tutti i precari dell’Università che da anni si dannano l’anima per diventare di ruolo pur avendo vinto fior di concorsi, o almeno faccia le corna come il Gassman de Il sorpasso. Bene ha fatto Roberta De Monticelli, che in quella stessa università è docente, a lamentarsi: dalle altre decine di docenti, invece, è venuto solo silenzio, non risulta che nella vecchia Romania di Ceasusescu, e nel povero Iraq di Saddam si facesse carriera con le critiche.

Sia come sia, archiviati i giusti auguri a Barbara per una carriera che parte da zero (buona questa, eh!), va detto che le ultime giornate di Silviescu non sono state niente male. Prima è intervenuto alla cerimonia di laurea in una specie di università dei puffi (privata, brianzola e telematica) così, tanto per insultare Rosy Bindi. E’ lo stesso prestigioso ateneo che si pubblicizza con la faccia di Sgarbi e dove la cattedra di Storia Contemporanea è retta da Marcello Dell’Utri (forse Frank Tre Dita aveva un impegno). Poi è comparso tra le guglie del Duomo di Milano a ritirare un premio conferitogli dai suoi dipendenti (il presidente della provincia di Milano e altri buontemponi che lo chiamano “statista”), presente don Prezzemolo Verzé e altri componenti della nomenklatura del regime. Come al solito ha fatto un bel gesto: ha promesso soldi per il restauro del Duomo. Non soldi suoi, naturalmente, ma soldi nostri (“fondi pubblici”). Poi se n’è andato tutto tirato a lucido e ringalluzzito, seguito da famigli e sodali (essendogli morti “da eroi” gli stallieri) che con immensa cafoneria hanno lasciato la platea prima dell’esibizione dell’artista vero (Charles Aznavour).

Infine è andato al raduno del Milan, dove ha promesso incredibili progressi tecnico-tattici dovuti soprattutto all’innesto di un difensore greco comprato ai saldi estivi. Il tutto senza curarsi dei tifosi inviperiti che lo contestavano fischiandolo e ingiuriandolo in tutti i modi. La tre giorni di Silviescu pare conclusa, ma noi fans non disperiamo: altre apparizioni pubbliche – ora che i sondaggi lo danno in picchiata – ci delizieranno nei prossimi giorni. Chissà, un’apparizione della Madonna direttamente in una filiale Mediolanum, oppure qualche improvvisa guarigione inspiegabile (sarà presente don Verzé), o ancora l’inaugurazione di una sua statua a cavallo. Povero re – cantavano un tempo Fo e Jannacci. E povero anche il cavallo. Ah bé, sì bé!


http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-cattedra-di-barbara-ceausescu/

mercoledì 21 luglio 2010

In attesa della procura di Caltanissetta...

Cercasi Bruto, disperatamente

Non vedenti

di Marco Travaglio

Si fa appassionante la caccia al “Cesare” della P3.

Secondo i carabinieri è B.

La Procura di Roma non è certa che sia lui.

Ghedini, Il Geniale e il mèchato di Libero (ieri mattina presente però a Omnibus senza le consuete mèches, ma con una chioma in tinta unita color antiruggine) son sicuri che non è lui.

Ecco, lui non farebbe mai certe cose, tipo comprare giudici e aggiustare sentenze:
infatti quello salvato dalla prescrizione per aver corrotto il giudice Metta tramite
gli avvocati Previti, Pacifico e Acampora (tutti condannati con Metta per corruzione) per fregare la Mondadori a De Benedetti non è mica lui: è un omonimo.

Mai, se avesse avuto anche soltanto il sospetto che B. fa certe cose,
il Corriere avrebbe potuto elogiarlo – come ha fatto l’altro giorno il
pompiere capo Massimo Franco – perché sta ripulendo il P3dl dagli
sparuti “segmenti di società che usano il governo come guscio dentro
il quale ingrassare i loro comitati d’affari”.

È quel che scrive anche Giancarlo Perna, lievemente sgomento, sul Geniale:
“Come fa il Cav a circondarsi di simili ceffi?
Verrà mai il giorno in cui, soppesata certa gente, la prenderà a calci nel sedere?”.
Ecco, B. con i ceffi e i comitati d’affari non c’entra.

Sono gli altri che lo dipingono così. Come Jessica Rabbit.

È proprio vero che non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Plotoni di non vedenti volontari stanno rimuovendo l’intera biografia
berlusconiana per distinguere B. il buono dalla sua banda di cattivi
(Carboni, Dell’Utri, Verdini, Scajola, Brancher, Caliendo, Cosentino,
Sica, Lombardi, Martino).

Nessuno osa domandarsi perché mai, un giorno sì e l’altro pure,
Dell’Utri seguiti a esaltare l’eroismo di Mangano, un boss sanguinario
pericoloso finché si vuole, ma morto dieci anni fa e ormai inoffensivo.

A nessuno viene il dubbio che, quando elogia il silenzio (un tempo
si sarebbe detto omertà) di Mangano morto, Dell’Utri parli del silenzio
dei vivi: anzitutto il suo (“non so se, al posto di Mangano,
riuscirei a resistere…”), e poi quello degli altri (mafiosi e non) che
sanno tutto delle stragi del 1992-’93, ma finora non l’hanno rivelato.

Tipo Giuseppe Graviano che, lungi dallo smentire le accuse di Spatuzza, ha
preso tempo, riservandosi di parlare in un secondo momento.
Non sarà che, nobilitando il silenzio di Mangano, si vuole perpetuare il silenzio
di Graviano e far pesare quello di Dell’Utri? Il bello di queste vicende, sempre
dipinte come fosche e misteriose, è che tutti sanno tutto.
È universalmente noto che il no del governo alla protezione di Spatuzza è un
sasso in bocca al pentito. L’ha confessato senz’accorgersene Cappuccetto
Cicchitto: “Sappiamo perché alcuni tengono tanto a Spatuzza: egli avrebbe
dovuto essere la bomba atomica da lanciare contro Berlusconi”.

Dunque è per disinnescare la bomba atomica contro B. che il governo B.
gli nega la protezione. Ed è per aver detto che “via D’Amelio non è solo mafia”
che Fini è di nuovo nel mirino del P3dl. Ed è per aver accusato “settori del
governo” di “rallentare le indagini sulle stragi” che il finiano Granata viene
manganellato dal duo Cicchitto & Laboccetta.

Lo sanno tutti che la posta in gioco è il legame fra l’inizio di Forza Italia e la
fine delle stragi. Tutti, tranne i non vedenti.
Sul solito Pompiere il solito gnorri Pigi Battista nega ogni rapporto fra i due
eventi, con questa poderosa argomentazione: nell’estate ’93, quando
esplosero le ultime bombe, i cavalli vincenti della politica erano Occhetto
e Mariotto Segni, dunque è impossibile che Cosa Nostra abbia puntato sul
partito di B. ideato da Dell’Utri. Forse gli sfugge un paio di particolari.

Cosa Nostra aveva ottimi rapporti trentennali con Dell’Utri e B., mentre
non conosceva Occhetto e Mariotto. Mangano, come risulta dalle agende
di Dell’Utri, andò a trovarlo due volte nel novembre ’93 negli uffici milanesi
di Publitalia dove stava nascendo Forza Italia. Che però, secondo il sagace
Pigi, è nata sotto un cavolo o l’ha portata la cicogna.
La mamma non gli ha ancora detto nulla di come nascono i partiti.

Italia da vergogna anche sulla caccia



Personalmente, da settembre darò la caccia ai cacciatori...


Caccia in deroga, la Corte Europea condanna in via definitiva l’Italia

Caccia in deroga, l’ Italia è stata definitivamente condannata venerdì dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La causa era stata intentata dalla Commissione Europea, in seguito dell’approvazione, in numerose regioni italiane, di provvedimenti che consentivano la caccia in deroga agli uccelli.
La caccia in deroga è appunto quella che consente di impallinare determinate specie nonostante il principio generale di conservazione che mira alla loro salvaguardia. E’ ammessa, in particolari condizioni, dall’Unione Europea.
Ma l’Italia in generale, e la Regione Lombardia in particolare, sono andate troppo oltre.La Corte di Giustizia ha stabilito infatti che Lo Stato italiano ha istituito un procedimento di controllo “sostanzialmente inefficace e intempestivo” a proposito delle deroghe decise a livello regionale,
Quanto alla Regione Lombardia, la stessa Corte aveva sospeso la legge sulla caccia in deroga già in dicembre.
Ora ha sentenziato che essa non riporta motivazioni sufficienti per spiegare le ragioni astratte e i motivi concreti che consentono di uccidere animali tutelati dalle norme comunitarie: fringuello, peppola, storno eccetera.
Come spiega Brescia Oggi, le norme europee consentono la caccia in deroga solo nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica; per la sicurezza aerea; per prevenire gravi danni all’agricoltura; per la protezione della flora e della fauna e, in secondo luogo, ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione.
Ma, sottolinea il Wwf, “si parla sempre di interventi rigidamente controllati e di piccole quantità».
Ora l’Italia è stata condannata e dovrà pagare. Prelevando il denaro anche dalle tasche di quell’80% circa degli italiani che considerano la caccia un’inutile crudeltà.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che condanna l’Italia per la caccia in derogaSu Brescia Oggi la Corte di Giustizia boccia la caccia in derogaFoto Lac Veneto



http://www.blogeko.it/2010/caccia-in-deroga-la-corte-europea-condanna-in-via-definitiva-litalia/

Domine, libera nos a nano



Non sono credente ma la prece che ho trovato su questo blog mi è piaciuta molto. Si potrebbero organizzare gruppi di preghiera, perchè no?

Fonte: Informare per resistere, facebook


"Domine libera nos a nano! Perché non se ne può più di questo satiro senile che sputa volgarità su tutto e tutti, e che contemporaneamente, con sommo sprezzo del ridicolo, pensa di essere bello, intelligente, alto e biondo.

Domine libera nos a nano! Perché è sommamente inadeguato al ruolo che ricopre: grida ai quattro venti che non lo lasciano lavorare, quando è evidente che passa gran parte del suo tempo a fare più telefonate di un operatore di call-center, con l’unico obiettivo di tacitare l’informazione che già non controlla, mentre lui sì, che svolgendo un incarico pubblico, è pagato dai suoi cittadini per fare ben altro.

Domine libera nos a nano! Perché, se il turpe Caligola aveva (solo) minacciato di rendere senatore il suo cavallo, costui sembrerebbe proprio capace di fare parlamentari o ministri alcune giumente predilette.

Domine libera nos a nano!
Perché sono imbarazzanti le sue frequentazioni con certi noti delinquenti internazionali che tiranneggiano i loro popoli.

Domine libera nos a nano!
Perché questo megalomane ritiene che dei terremotati dovrebbero essere in debito morale con lui tanto da riempire degli autobus e recarsi a Roma a fare le comparse nelle sue avvelenate manifestazioni di piazza, senza avere il pudore di ammettere che qualsiasi intervento attuato in simili frangenti era semplicemente nei doveri istituzionali di un governo che meriti di essere definito tale.

Domine libera nos a nano! Perché non sappiamo cosa farcene del suo governo del fare (quello che gli pare) e del suo partito dell’amore (mercenario).

Domine libera nos a nano!
Perché lui e i sui accoliti stanno sgretolando scuola, istruzione e ricerca, che sono da sempre l’unico investimento sicuro che un Paese serio si possa dare per esorcizzare la propria decadenza.

Domine libera nos a nano! Perché questo paese ha bisogno urgente di sviluppare le proprie infrastrutture tecnologiche, e contemporaneamente di attuare un piano energetico fondato su fonti alternative, e non su centrali nucleari basate su tecnologie considerate già ora vecchie. E le immani risorse idriche necessarie al loro raffreddamento a chi e a che cosa verrebbero necessariamente sottratte?

Domine libera nos a nano! Perché questo stesso paese non sente proprio il bisogno di alcun faraonico ponte sullo stretto, se escludiamo per dovere di cronaca i soliti furbetti del cantierino e le solite cosche mafiose del sub-appalto, sub-sub-appalto, sub-sub-sub-appalto, ecc. ecc.

Domine libera nos a nano!
Perché manco nello Zimbabwe funziona così!"


Nota: Un vaffan preventivo a chi volesse fare la solita battuta:"Più lo insultano più lo ricaricano." Ricordatevi che pure le Duracell alla fine si scaricano.
Dimenticavo, anche questa è una bella giaculatoria. Io la farei recitare a memoria ai papiminkia con le ginocchia sui ceci.



http://ilblogdilameduck.blogspot.com/2010/07/domine-libera-nos-nano.html

martedì 20 luglio 2010

La resa dei conti: ma adesso occhio alle bombe



"A un passo dalla verità sulle stragi"

I pm sull'attentato di via D'Amelio

"Una realtà clamorosa di cui la politica potrebbe non reggere il peso": i pubblici ministeri di Caltanissetta Sergio Lari e Nico Gozzo hanno parlato in commissione Antimafia

PALERMO - "Siamo a un passo dalla verità sulla strage di via D'Amelio. Una verità clamorosa di cui la politica potrebbe non reggere il peso". Lo hanno detto, alla commissione Antimafia, i pm di Caltanissetta Sergio Lari e Nico Gozzo che hanno riaperto le indagini sull'eccidio di via D'Amelio.

GLI ITALIANI (O ALMENO IL 50%)

lunedì 19 luglio 2010

Il ritorno al Sud di Saviano



Il ritorno al Sud di Saviano

"Omertà è non voler capire"

Roberto Saviano, 30 anni, vive sotto scorta dal 2006


Lo scrittore in Puglia dopo 2 anni «I criminali temono la scrittura»

PASQUALE LORUSSO
POLIGNANO A MARE (BARI)
«Oggi ha senso raccontare il sud Italia per rompere l’atteggiamento di cinismo che fa credere di non poter cambiare le cose. Quel sud Italia troppo spesso marginalizzato dalle politiche nazionali e considerato un freno allo sviluppo». Parola di Roberto Saviano, tornato ieri al Sud dopo due anni di assenza, accolto da una piazza gremita di gente, dove applausi e acclamazione si confondevano in un caloroso abbraccio di bentornato.

Saviano torna nella stessa piazza che lo ospitò quattro anni fa a Polignano a Mare, vicino Bari, quando ancora lo conoscevano in pochi, ospite della rassegna “Il libro possibile”, e dialoga con lo scrittore pugliese Mario Desiati su attualità e letteratura.

«Il terrore vero che la criminalità ha della scrittura – sostiene Saviano – sta nei lettori: tanti occhi che valutano», che comprendono i meccanismi, rompendo il “clima epico” che aleggia attorno ai clan e che li rende temibili. «Dire che chi scrive di criminalità diffama il nostro Paese è come dire che l’oncologia diffonde il cancro», continua lo scrittore, che si è detto sconvolto di come importanti inchieste, come quella recente su Nicola Cosentino, passino inosservate alle cronache nazionali.

Saviano ha ricordato il suo stupore iniziale per i primi posti in classifica di Gomorra in paesi come l’Estonia o il Vietnam, ma «poi ho capito che anche quei paesi hanno forti problemi di mafia, ma pochi ne parlano, perciò hanno bisogno di capire i meccanismi dalla mafia più antica, la nostra».

Spesso la criminalità adotta il meccanismo della delegittimazione, diffondendo notizie false per screditare le sue vittime, «come ha fatto col giornalista Pippo Fava, di cui si disse a 24 ore dalla morte che toccava bambine, o con Don Peppe Diana, di cui diffusero la voce che nascondeva armi in sacrestia». Dicerie, a cui «il lettore medio crede facilmente».

Ed è per questo che bisogna difendere chi scrive perché «l’omertà non è solo non denunciare un reato che vedi coi tuoi occhi, ma è soprattutto non voler sapere, capire, conoscere». È un discorso appassionato quello di Saviano, che racconta un Paese che «si sta dividendo sempre più in banditi e persone sane». Un discorso, in cui cita Salman Rushdie e Varlam Salamov, di cui ricorda l’aneddoto in cui lo scrittore russo, sopravvissuto ai gulag, rifiuta di dare l’anima ai soldati che gliela avevano chiesta, subendo una punizione durissima per aver difeso qualcosa che fino ad allora credeva inesistente. «Come tutti i meridionali provo amore estremo e odio profondo per la mia terra», ha concluso lo scrittore, lanciando con i versi di Danilo Dolci un messaggio di speranza al Paese, che «può cambiare e crescere solo se sognato».

Ma anche: "cchiù pilu pè tutti"?... vedi Albanese...

In nove anni più tasse per tutti

Il "grande bluff" di Berlusconi
Dati alla mano si sfata un luogo comune del centrodestra: non è affatto vero che i governi del Cavaliere hanno ridotto la pressione fiscale: in nove anni le entrate sono cresciute del 33%


di A. BONAFEDE e M. DI PACE-La Repubblica

Il sogno: "Meno tasse per tutti". La realtà: nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4% cento del Pil, nel 2009, alla fine del "decennio berlusconiano", questa percentuale è salita al 47,2%, il valore più alto mai raggiunto. In termini assoluti, nello stesso periodo le entrate sono cresciute del 33%, un valore superiore di ben 12 punti percentuali rispetto alla crescita dei prezzi, ferma al 20,6%.

Degli slogan elettorali di Berlusconi quello sulle tasse che diminuiscono, liberando risorse per famiglie e imprese, è certamente il più riuscito. Non c'è dubbio: nell'immaginario collettivo di moltissimi italiani i suoi governi si sono caratterizzati come quelli che non hanno "messo le mani nelle tasche della gente". Al contrario, gli stessi slogan del centrodestra e dei media di Berlusconi (tv e giornali) hanno accreditato i governi di centro sinistra come quelli che hanno sempre puntato ad alzare le tasse. Al punto che negli ultimi giorni della campagna elettorale del 2006 Prodi perse terreno sulla base della martellante campagna mediatica di Berlusconi. Con il risultato che quella che fino a poche settimane prima sembrava per il centro sinistra una marcia trionfale si trasformò invece in una risicata vittoria, per non dire una mezza deblacle, come si vide meglio un anno e mezzo dopo.
Chi ha creduto a quest'abile costruzione propagandistica di Berlusconi potrà trovare sorprendenti i dati contenuti nelle relazioni annuali della Banca d'Italia. Dati che smentiscono in toto le roboanti affermazioni che il nostro premier ci ha regalato in tutti questi anni.

In estrema sintesi, i numeri evidenziano con chiarezza due circostanze: 1) le entrate dello Stato nel "decennio berlusconiano" non soltanto non sono diminuite ma sono addirittura aumentate, in relazione sia all'inflazione, sia al prodotto interno lordo. Non soltanto non c'è quindi stata la promessa riduzione delle tasse, ma al contrario è aumentata la voracità dello Stato. 2) L'incremento delle entrate dello Stato non è stato però causato da un incremento omogeneo delle principali fonti di gettito, ossia imposte dirette (quelle sul reddito), imposte indirette (Iva e accise) e contributi previdenziali (essenzialmente Inps e Inpdap).

In effetti, analizzando le principali componenti delle entrate dello Stato, vediamo che le imposte dirette sono cresciute tra il 2000 ed il 2009 del 33 per cento, una percentuale più alta di quasi 12 punti percentuali rispetto al 20,6 dell'inflazione, ma in relazione alla crescita del Pil sono rimaste sostanzialmente immutate (soltanto 0,2 punti percentuali in più nello stesso periodo).
È quindi corretto ammettere che il gettito delle imposte che si pagano con la busta paga (lavoratori dipendenti) o con la dichiarazione dei redditi (autonomi) non è aumentato, ma questo risultato può dipendere anche dal diverso livello di evasione fiscale. Infatti, confrontando le aliquote Irpef per gli anni 2000, 2005 e 2009, non si riscontra una palese riduzione delle stesse, che anzi tendono ad aumentare per i redditi più bassi, sebbene tale incremento possa risultare neutralizzato da maggiori detrazioni. In conclusione, le imposte dirette non sono aumentate, ma neppure diminuite, ed in ogni caso non vi sono state "meno tasse per tutti".

È invece leggermente diminuito il gettito delle imposte indirette, ossia Iva e accise, se lo si rapporta all'andamento dell'inflazione (meno 2,3 per cento nel periodo considerato), ed in particolare, se lo si confronta con il Pil: da un 14,7 per cento del 2000 si è scesi ad un 13,6 del 2009. In particolare, c'è da notare che la riduzione più accentuata è avvenuta negli ultimi due anni, e cioè nel 2008 e nel 2009 (nel 2007 era ancora uguale a quella del 2000).

Questo spostamento dal prelievo indiretto a quello diretto viene in genere considerato nei testi di Scienza delle Finanze come un fatto equitativo: infatti con le imposte dirette si paga in maniera progressiva a seconda del reddito (più è alto più si versa al fisco). In altre parole, i più "poveri" pagano meno tasse in proporzione al proprio reddito. Al contrario, sempre nella dottrina classica, il minore peso delle imposte indirette può essere considerato un fatto positivo dal punto di vista sociale, in quanto le imposte indirette non hanno natura progressiva, e quindi rappresentano un fardello evidentemente più pesante per i percettori di redditi più bassi.

Calando questi argomenti nella situazione italiana, caratterizzata da un'evasione fiscale impressionante (si stimano ormai 120 miliardi di euro di imposte non pagate), la riduzione del gettito delle imposte indirette che si è verificato, ad aliquote Iva e importi delle accise invariati, potrebbe segnalare una maggiore evasione, che si realizza essenzialmente con le attività in nero e con il meccanismo delle cartiere, ossia delle società create per emettere fatture false.

Quindi, non ci sono state complessivamente meno tasse per tutti. Anzi sono cresciute le imposte dirette - che colpiscono particolarmente coloro che, come i dipendenti (ma anche molti autonomi) non possono evadere - e questo non è in Italia e nelle attuali circostanze un fatto positivo: dice soltanto che si accresciuto l'obolo che lo Stato pretende sui redditi effettivamente dichiarati. Ovvero, come ha detto di recente il Governatore della Banca d'Italia, sostanzialmente sulle stesse persone. Mentre non ci sono stati nel decennio berlusconiano segnali di un recupero dell'evasione, altrimenti si sarebbe visto anche un aumento delle imposte indirette.

Va comunque detto che il calo delle imposte indirette negli ultimi due anni è certamente da mettere in relazione anche con la crisi economica. Da notare, tuttavia, che nel decennio considerato l'anno in cui il gettito delle imposte indirette è stato più alto in assoluto è il 2007, al tempo del secondo governo Prodi: 227 miliardi, poi scesi 216 nel 2008 e a 207 nel 2009. Insomma, comunque la si voglia vedere, di certo i governi di Berlusconi non si sono caratterizzati per una lotta all'ultimo sangue contro l'evasione e l'elusione. Anzi.

Un altro dato molto interessante viene dalla voce contributi sociali, che è in assoluto la componente della pressione fiscale cresciuta di più (+46,6% in 9 anni), sia rispetto all'aumento del costo della vita (+26 punti), sia in relazione al Pil (dal 12,4% del 2000 al 14,1% del 2009). In altre parole è aumentata di molto la pressione fiscale sul fattore lavoro, in particolare su quello dipendente.

Abbiamo visto fin qui i trend decennali, dal 2000 al 2009. Ma qual è l'esatto contributo anno per anno degli esecutivi Berlusconi, visto che quest'ultimo ha governato per 6 anni e mezzo su 10 (di cui 5 in modo esclusivo)? Riconoscendo che gli incrementi più significativi della pressione fiscale si sono realizzati nel 2006, anno di transizione dal terzo Governo Berlusconi al secondo Governo Prodi, è interessante comunque fare un confronto tra i 5 anni di completa responsabilità dei governi di centrodestra (2002, 2003, 2004, 2005, 2009) con i due anni gestiti dal governo di centrosinistra (2000 e 2007).

Considerando solo l'andamento del gettito in funzione del Pil, ovvero in altri termini i valori della pressione fiscale, vediamo che nei cinque anni di governo continuativo di centrodestra la pressione fiscale è leggermente diminuita nel complesso di 0,6 punti rispetto al Pil, ossia 0,12 punti l'anno, mentre nei due anni di centrosinistra è cresciuta di mezzo punto del Pil, ovvero 0,25 punti l'anno. Non c'è dubbio, ma non è una sorpresa, che i governi di Berlusconi abbiano effettivamente prodotto un'esigua riduzione del gettito fiscale rispetto al Pil in questo primo periodo, anche se è difficile dire se questo risultato dipenda più da leggi tributarie più favorevoli che da una maggiore evasione fiscale o dall'abbondante ricorso alla risorsa "condoni" che premiamo soprattutto quelli che di solito non pagano le tasse. Tuttavia, dopo la crescita del 2006-2007, la pressione fiscale negli ultimi due anni di governo Berlusconi è rimasta sostanzialmente invariata intorno al 43 per cento. Anzi, a voler essere precisi, nel 2009 la pressione fiscale ha raggiunto il picco massimo del decennio: 43,2 per cento.
Andando ad analizzare le varie componenti della tassazione, scopriamo che sul fronte delle imposte dirette, i primi cinque anni di governo del Cavaliere hanno contribuito ad una riduzione di gettito pari a 2,1 punti del Pil (0,42 l'anno), mentre il centrosinistra ha contribuito ad una crescita: nei 2 anni di suo governo ad un aumento di 0,3 punti di Pil (0,15 l'anno). Tuttavia, nel 2009, il peso delle imposte dirette sul Pil era maggiore di quello che c'era nell'ultimo anno "pieno" del precedente ciclo del centro sinistra, ovvero il 2000: 14,6 contro 14,4. Un decennio inutilmente trascorso in attesa che le promesse di Berlusconi si concretassero sulle buste paga e sui redditi.

Il contributo del centrodestra alla riduzione del gettito delle imposte indirette è di soli 0,2 punti di Pil in cinque anni, la stessa misura del centrosinistra (ma in soli 2 anni). Anche l'incremento dei contributi sociali, in termini di gettito rapportato al Pil è opera in misura simile degli esecutivi di centrodestra e di centrosinistra, visto che i primi hanno portato ad un incremento di 0,8 punti del Pil (0,16 l'anno), ed i secondi di mezzo punto in 2 anni (0,25%) l'anno.

Cosa si desume dai numeri sopra indicati? Innanzitutto che, al di là degli altisonanti proclami su una loro riduzione, le tasse non sono complessivamente calate. Né potevano esserlo per via dell'enorme, e crescente finora, spesa pubblica (vedi nostra inchiesta del 31 maggio 2010) e di un debito pubblico (vedi nostra inchiesta del 1° febbraio 2010) che ha continuato la sua ascesa. È vero però che sul fronte delle imposte dirette gli esecutivi di Berlusconi hanno prodotto una sia pur leggerissima riduzione del gettito. Sostanzialmente compensata però da maggiori contributi sociali. In altre parole, è possibile che soprattutto i lavoratori autonomi siano stati avvantaggiati dai governi di Berlusconi, a scapito dei lavoratori dipendenti.

Non solo, ma il maggior gettito dei contributi sociali, riverberandosi sul costo del lavoro, può aver contribuito alla riduzione della competitività del nostro sistema produttivo, che molto dipende, com'è noto, da questo fattore. Certamente i dati nudi e crudi non dicono che agli italiani sia convenuto avere Berlusconi al governo: neppure per le tasse.

In 700 controllano le risorse del mondo: fino a quando?







I CONDANNATI DEL "MERCATO" E LE CHIAVI DELL'ESPLOSIONE SOCIALE

La crisi finanziaria che già colpisce gli Stati centrali (e che minaccia il mondo periferico) è diventata una "crisi sociale" attraverso tre attori principali: Il ribasso degli stipendi come conseguenza delle misure economiche, la diminuzione della capacità di consumo, il lavoro in nero e la disoccupazione che colpisce principalmente i settori più poveri e vulnerabili della società mondiale.
Agli esperti del sistema interessa solo l’impatto della crisi sul mercato e sulle società dei paesi centrali, ma nessuno presta attenzione all’impatto (e leconseguenze) che infine avrà la crisi con la disoccupazione nelle aeree sottosviluppate ed emergenti che ospitano le popolazioni più povere e indifese del pianeta.


- Di Manuel Freytas -

A questo scenario, secondo un Rapporto della OCDE si aggiunge un altro dato centrale: più del 60% della popolazione lavorativa mondiale lavora con contratti precari e senza aiuti sociali.
Questa situazione, secondo gli esperti, porterà ad una un’emergenza nella quale questo settore, senza copertura né protezione giuridica, sarà licenziato in massa, quando la crisi e gli adeguamenti economici si approfondiranno e le aziende decideranno di “diminuire costi lavorativi” per preservare il loro profitto.
In questo scenario, la Grecia e la Spagna, seguite dal Portogallo, tutti gli analisti concordano, si sono trasformate in una miccia di un potenziale collasso economico finanziario a catena che potrebbe, come emergente principale, scatenare un processo di rivolte sociali e di crisi politica in tutta l’eurozona.
A maggio del 2008 il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, avvertiva che “c’è un gran rischio di crisi sociale” nel mondo.

Durante un’intervista con il giornale spagnolo El Pais, Zoellick spiegava: “Quello che è cominciato come una grande crisi finanziaria e si è trasformato in una grande crisi economica, adesso sta sfociando in una grande crisi della disoccupazione. Se non interveniamo, c'è il rischio che diventi una grave crisi umana e sociale, con importanti implicazioni politiche ".

Ma di quale crisi sociale parla il presidente della BM?
Della crisi sociale dei paesi ricchi o della crisi sociale dei paesi poveri?
Della crisi sociale degli inclusi o della crisi sociale degli esclusi?

Abitualmente i mass media e gli analisti del sistema valutano e proiettano solo l’evoluzione della crisi mondiale nelle sue variabili finanziaria ed economica, senza approfondire nè precisare la svolta che arriva inevitabilmente dalla mano degli emergenti sociali del collasso che è già passato da finanziario a recessivo.

Allo stesso modo, agli esperti del sistema preoccupa solo l’impatto della crisi sul “mercato” e nelle società dei paesi centrali, ma nessuno presta attenzione all’impatto (e risultato) che infine la crisi avrà con la disoccupazione nelle aeree sottosviluppate ed emergenti che ospitano le popolazioni più povere e indifese del pianeta.
In questo modo, e mentre (attraverso licenziamenti e la riduzione degli stipendi) è stato incubato il risultato sociale della crisi su scala globale, i governi, le banche centrali e gli analisti parlano solo degli effetti economici e sociali della stessa nei paesi centrali.

GLI ESCLUSI DEL MERCATO



Quando si riferiscono alla “crisi sociale”, giornalisti, intellettuali ed analisti del sistema lo fanno in modo astratto e generico, senza specificare il loro impatto (discriminato dal settore) nella piramide sociale del sistema capitalista a scala globale.

Così, ad esempio, la stampa internazionale negli ultimi mesi esprime, con totale impunità (e senza controinformazione di massa) come la crisi sta “colpendo i più ricchi” la cui piramide è guidata dai super milionari della classifica della rivista Forbes.

I mass media e gli analisti (che informano le società in modo massivo) hanno concentrato la loro preoccupazione sulla perdita di grandi corporazioni multinazionali, sulla riduzione delle grandi fortune dei super ricchi e nella svalutazione dei miliardari stipendi dei dirigenti delle metropoli degli USA e dell’Europa.

Non ci sono quasi articoli (e quelli che ci sono sono manipolati e ridotti) di come la crisi dei paesi centrali colpisce le economie e società dei paesi sottosviluppati dell’Asia, Africa e America Latina, dove si concentra la maggior parte della fame e della povertà su scala planetaria.

I media internazionali del sistema, che nascondono sistematicamente la relazione simbiotica povertà-ricchezza (una è conseguenza dell’altra) commentavano con preoccupazione come la crisi aveva ridotto il selettivo club dei miliardari della classifica di Forbes che è passato dai 1.125 membri nel 2008 a 739 nel 2009.
Secondo Forbes, a causa della caduta dei mercati e del giro d'affari, gli uomini e donne più ricchi del pianeta (al vertice della piramide) controllano una fortuna di circa 3 mila miliardi rispetto ai 4,4 dell’anno precedente.

E’ da sottolineare che quella cifra (in mano a 700 persone) equivale quasi alla finanziaria annuale degli USA (la prima potenza economica mondiale), al PIL totale della Germania (la prima potenza economica europea), e a più di 100 volte al PIL della Bolivia.


Reinvestiti in stipendi equi e in una produzione distribuita socialmente, i 3000 miliardi sarebbero decisivi per porre fine alla povertà, la fame e la disoccupazione di più di 2.500 milioni di persone concentrate nelle aree periferiche dell’Asia, Africa e America Latina.

Come contropartita (e a dimostrazione di ciò che il capitalismo produce) queste zone segnate da un’altissima e crescente concentrazione di fame e povertà, figurano nelle statistiche economiche mondiali come le maggiori generatrici di ricchezza e di profitto imprenditoriale capitalista degli ultimi 10 anni.

Sia il “miracolo asiatico” che il “miracolo latino americano” (della crescita economica senza redistribuzione sociale) sono stati costruiti con mano d’opera schiava e con stipendi in nero. Questo significa che, cadendo il “modello” per effetto della crisi recessiva globale, il grosso della crisi sociale emergente con licenziamenti lavorativi in massa si ribalta in quelle regioni.
Ma di questa questione strategica, vitale per la comprensione della crisi globale e del suo impatto sociale massivo nel pianeta, la stampa internazionale non se ne occupa. I mass media locali ed internazionali sono occupati a delucidare come la crisi produce la diminuzione delle fortune dei ricchi e la perdita del profitto delle aziende.

LA PIRAMIDE DELLA CRISI

Sebbene si calcola che la presente crisi globale getterà (come conseguenza dei licenziamenti e la riduzione degli stipendi) più di 1000 milioni di persone nella povertà e nell' emarginazione, la ”grande preoccupazione” degli analisti e giornalisti del sistema è concentrata sulle perdite aziendali e sugli effetti della crisi nei paesi centrali.

E quando si occupano degli “effetti sociali” della crisi, prendono come parametro solo la riduzione del consumo nei paesi centrali, che qualificano genericamente come “società” senza differenziare tra classe alta, media o bassa che integrano la piramide sociale capitalista negli USA, Europa e nelle nazioni “emergenti”.

Non dicono, ad esempio, che la crisi più acuta del consumo e della disoccupazione sia negli USA come in Europa, la soffrono gli impiegati ed operari scarsamente qualificati che stanno formando una pericolosa sacca di proteste massive e conflitti sociali che oggi sono già cominciati nella periferia dell’Europa.

Mentre (sia a livello dei paesi centrali che sottosviluppati) le classi alte e medio-alte proiettano la crisi come una “riduzione del consumo” (principalmente di lusso), le classi basse nel mondo sottosviluppato ed emergente vivono la crisi come perdita del lavoro e restrizione del consumo basico per la sopravvivenza (principalmente alimenti e servizi essenziali)
Mentre un ricco riduce la servitù, viaggi turistici e consumi superflui, una classe bassa o povera riduce l’acquisto degli alimenti e consumi necessari per sopravvivere.
Riassumendo, nella piramide del collasso recessivo globale, per un ricco o una classe medio-alta la “crisi sociale” significa “stringere la cinghia” mentre per la classe bassa significa essere disoccupato o perdere la capacità di sopravvivenza a causa della riduzione dello stipendio.

LE CHIAVI DELL'ESPLOSIONE SOCIALE

Tanto, che nella crisi sociale si proiettano le stesse variabili del resto dell’economia capitalista: Il peso della crisi colpisce con forza sulla base del triangolo sociale più inerme (operai e poveri) mentre si attenua nel mezzo e nel vertice (imprenditori, dirigenti e professionisti) dove si concentra la maggior ricchezza accumulata dallo sfruttamento capitalista.
La stessa equazione (di proiezione ed effetto dissimile della crisi sociale) si produce nella piramide dei paesi capitalisti, chiaramente divisa tra il vertice (le nazioni centrali), il mezzo (le nazioni emergenti) e la base (le nazioni in via di sviluppo)-

Questa è la chiave per capire, ad esempio- perché gli effetti della crisi sociale in Europa (scioperi e proteste sociali) hanno già cominciato a manifestarsi nelle nazioni più vulnerabili dell’Est (le ex repubbliche sovietiche) che mantengono un rapporto di dipendenza strutturale con le economie ricche centrali delle potenze dell’euro.

I soggetti e gli attori della crisi sociale, i motori della rivolta sociale (sia nei paesi centrali come nelle periferie dell’Asia, Africa e America del Sud) saranno i milioni di disoccupati e di espulsi dal mercato del consumo che non avranno mezzi per mantenere le loro famiglie.

La macchina mediatica, che parla di “crisi globale” mischiando nello stesso sacco le vittime (i settori più bassi della piramide) con i carnefici (i ricchi del vertice della piramide), ha come missione fondamentale quella di nascondere ciò che sta arrivando: Una ribellione mondiale generalizzata dei poveri contro i ricchi.

Questa ribellione (come si è già dimostrata nell’Europa dell’Est) si esprimerà, a livello dei paesi, in un' inarrestabile escalation dei conflitto sociali e sindacali nelle periferie emergenti e sottosviluppate, accompagnata da una crescente discussione sul centralismo sfruttatore e protezionista delle potenze reggenti.

A livello sociale, questi processi di ribellione sociale avranno come protagonisti due attori principali: I poveri ed i disoccupati espulsi dal mercato del consumo.
Non è il mercato (nelle sue diverse varianti macroeconomiche) ma gli espulsi dal mercato (esclusi sociali) quelli che saranno i protagonisti della svolta decisiva della crisi globale capitalista che sta arrivando.

E c’è una spiegazione logica: La crisi finanziaria e la crisi recessiva, il cui emergente immediato è il fallimento e la chiusura di banche e aziende, possono essere regolate e controllate per mezzo dell’iniezione di fondi miliardari dei governi e delle banche centrali imperiali.

Invece, per gli effetti sociali della crisi finanziaria recessiva (la disoccupazione e la riduzione dei consumi) non esiste altra soluzione se non quella di recuperare la mano d’opera espulsa se si vuole evitare il collasso sociale e le rivolte popolari.
E per un capitalismo in crisi, la cui logica funzionale passa attraverso l’espulsione di lavoratori per mantenere il suo tasso di profitto, questo è un compito impossibile.
Quindi, i conflitti sociali sono inevitabili come conseguenza.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2010/secciones/contrainformacion/0052_condenados_del_mercado_05jul2010.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

La classe operaia non va in paradiso

DIFENDERE LA LIBERTA OPERAIA PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE.

di Pietro Ancona


E' singolare constatare come di fronte ad un involgarimento brutale dell'atteggiamento del padronato e della destra la reazione del leader della CGIL, il sindacato per antonomasia degli italiani, sia di attenuazione dei toni, soft, gentile, direi quasi delicata. Epifani dice che la Fiat "sbaglia" a licenziare i quattro operai Fiom, che questo licenziamento riscalderà gli animi e produrrà una "radicalizzazione".
Intanto non si può dire che abbia radicalizzato la sua posizione. Il segretario della CGIL si limita ad invitare la Fiat alla riflessione. Questo dichiarare il licenziamento che è sempre un estremo atto di rottura un "errore" mi ha fatto ricordare la polemica di parte della sinistra con i cosidetti "compagni che sbagliano". Certo si trattava di cose molto diverse ma mi è venuto il dubbio che immedesimandosi nell'ottica aziendale della Fiat Epifani abbia appunto voluto indicare un errore di comportamento che renderà più difficile la realizzazione del progetto di "nuova fabbrica" che potrebbe essere attuato appunto se Marchionne non renderà imbarazzante la manovra del sindacato per fare accettare e digerire senza grossi scandali la nuova organizzazione del lavoro WMC. Un buffetto simile era stato dato a Marchionne da Bonanni che, a fronte della scomposta e nervosa reazione del capo della Fiat, lo aveva invitato alla prudenza, ad aspettare che, pressati dall'incubo della disoccupazione, i lavoratori di Pomigliano venissero a più miti consigli....
La Fiat non tornerà indietro. I quattro lavoratori potranno avere giustizia dal Giudice se e quando l'avranno e sempre che, nel frattempo, con la complicità dei sindacati, non verrà approvato l'allegato lavoro che rende assai difficoltosa la vita dell'art.18 e sempre che non verranno limitati i poteri del Magistrato ed il diritto al ricorso dei lavoratori. C'è in corso, con la collaborazione di autorevoli parlamentari del PD, uno smantellamento delle norme che tutelano i diritti dei lavoratori. Non è da escludere che il Parlamento, con la finta opposizione del PD, non pervenga a modifiche che si limiteranno al semplice indennizzo del licenziamento. Intanto Sacconi riesce ad infilare "refusi" nelle leggi che vengono approvate per la direttissima del voto di fiducia come quello che riduce le pensioni del sei per cento e aumenta fino a 42 anni di anzianità la soglia per mettersi in quiescenza.
I toni degli esponenti del padronato diventano di giorno in giorno sempre più pesanti, aggressivi, offensivi. La Presidente della Confindustria si è spinta fino alle accuse di sabotaggio, accuse assai pesanti degne di essere querelate perchè costituiscono grave calunnia e diffamazione. I lavoratori vengono esposti tutti i giorni sulla colonna infame ed additati al ludibrio pubblico. E' stata fatta ed è in corso una scientifica campagna di denigrazione e di criminalizzazione che ha toccato il suo acme
nelle scomposte performance di Brunetta.
Questa campagna è funzionale ad un radicale rivoluzionamento della condizione del lavoro in Italia che dovrebbe perdere la dignità che gli è garantita dalla Costituzione collocandolo a base della Repubblica. Il lavoro deve essere totalmente deregolamentato e sopratutto deve perdere ogni carattere di accordo bilaterale contrattato tra impresa e sindacati. Le condizioni saranno stabilite soltanto dalla Impresa ed i lavoratori dovranno soltanto adeguarvisi. Prendere o lasciare! E' la vecchia idea liberista di Pannella del contratto individuale che viene offerto e che può essere accettato o rifiutato. Idea basata sulla menzogna di una parità di condizione tra imprenditore e lavoratore bisbigliata anche dal Ministro Sacconi. Il Sindacato perde la sua funzione di rappresentanza che ha avuto per oltre un secolo e si avvia verso altri interessi legati alla gestione di fondi e di enti bilaterali o trilaterali. I lavoratori italiani resteranno sempre venti milioni ma socialmente sarà come se non esistessero. Non viene forse da anni predicata fino alla nausea la scomparsa della "classe operaia"? A fronte di questa
enorme operazione di "bonifica" reazionaria del teatro sociale abbiamo un rafforzamento del ruolo delle associazioni imprenditoriali che diventano sempre più importanti nelle scelte del governo. Non è stata forse la Marcegaglia a dare lo sta bene alla "manovra" di Berlusconi?
Giunge notizia di una iniziativa della CGIL di Potenza di creare un fondo di resistenza per sostenere i lavoratori licenziati fino al giudizio. Condivido l'iniziativa e spero che venga presto attuata.
Solleva un problema esistente ed acuto, il problema di Confederazioni Sindacali forti di oltre dieci milioni di iscritti paganti per delega che non destinano un solo euro alla assistenza dei lavoratori e delle loro famiglie. Un fondo per sostenere i licenziati dovrebbe essere istituito nazionalmente e dovrebbe servire anche per altre finalità sociali connesse al benessere dei lavoratori.
Ma in Italia il Sindacato non dà niente e dobbiamo augurarci che non si incontri mai con il padronato e con il governo. Ad ogni incontro sottrae sempre qualcosa ai suoi rappresentati!!


Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

http://www.marcegaglia.com

Un mare di bugie





LA VERITA' SULLA CATASTROFE PETROLIFERA NEL GOLFO

- DI WAYNE MADSEN - Wayne Madsen Report

Sulle coste del Golfo, sia ascoltando gli ecologisti che gli specialisti della fauna fino ai medesimi pescatori e uomini d'affari, il responso è del tutto simile; la compagnia BP non sta soltanto strozzando le notizie che concernono ciò che viene condotto in seguito al disastro petrolifero del Golfo del Messico, ma questa ha anche 'precettato' gli organismi chiave adibiti alla supervisione e alla regolamentazione del governo federale per dare àdito al suo proprio ordine del giorno e di quello dei partners del petrolio, tra cui Halliburton, Anadarko e Transocean.
L'uomo più odiato nel Golfo è il comandante supremo della Protezione civile del presidente Obama, Thad Allen che è andato in pensione da comandante della Guardia Costiera il 30 giugno. Allen è considerato troppo compromesso con la BP, e ci sono riferimenti locali secondo i quali, molto prima dell'esplosione del Deep Water Horizon il 20 aprile, Allen stava trattando per la messa in opera di un programma con la BP.La logistica del modo di pulire dalla marea nera viene criticata per la troppa fiducia investita sulle navi specializzate per la scrematura dal petrolio nelle acque profonde. Non è prevista nessuna procedura con l'utilizzo di mezzi di recupero in grado di operare in acque poco profonde, cioè a 45 e 60 centimetri.Un certo numero di battelli capaci di scremare le acque poco profonde sono ancorati nel porto e non sono utilizzate dalla BP.
Di solito, i pescatori che hanno esperienza nel salvataggio di tartarughe marine impigliate nelle reti da pesca non sono invitati nelle operazioni di salvataggio delle tartarughe. E in effetti questi rischiano di essere arrestati solo se toccano una tartaruga in pericolo. Come la maggioranza dei pescatori non sono stati interpellati dalla BP, all'incirca 3000 di essi si ritrovano senza poter lavorare a causa di questo disastro. I pescatori senza lavoro sono stati informati dalla BP che saaranno interpellati quando sarà necessario il loro intervento. Ma la BP dopo ha fatto sapere che molti di loro non saranno più chiamati. Ora, la BP ha assoldato una miriade di collaboratori e aziende subappaltatrici che percepiscono molto denaro e cassano alcune imprese locali. In ogni caso ho notato un gran numero di venditori di frutti di mare e di ristoranti chiusi che si trovano nella zona di Venice in Louisiana.
Coloro che sono impegnati dalla BP per pulire le spiagge e le acque non sono autorizzati ad indossare apparecchi respiratori e spesso si ammalano e perdono anche sangue. Sempre nella zona di Venice, anch'io ho avvertito bruciori e lacrimazioni agli occhi. Questa irritazione è perdurata ore prima del mio ritorno sulla riva ovest di New Orleans.
Diffusa dalla BP, la disinformazione è accentuata grazie ad un cospicuo numero di giornalisti della televisione locale “embedded” nelle unità della Guardia Costiera nelle acque al largo della costa e nelle paludi dell'estuario. Per di più, la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), accusata da molti ecologisti e pescatori del luogo di essere complice della dissimulazione di brutte notizie, ha pubblicato un rapporto affermando che le verifiche sui pesci pescati nelle acque "nei dintorni delle zone del petrolio" si sono verificate negative circa la presenza dei prodotti tossici chimici. Pescatori che io ho interrogato hanno dichiarato che quanto è stato scritto è ridicolo perchè non ci sono pesci nelle acque della zona in prossimità della zona petrolifera.
I pesci che si dislocano dalle acque del Golfo al largo della Luoisiana sono le varie specie di tonno ecc. e le stesse blenni colorate che si nutrono normalmente attorno ai piloni delle piattaforme petrolifere del Golfo e che si trova solamente nel bacino dell'Amazzonia oltre che nelle acque del Golfo della Luoisiana.Le acque del Golfo si trasformano lentamente in una zuppa di idrocarburi di un colore nerastro trasparente, fatto di bolle di petrolio disperso. I proprietari, i cui battelli sono serviti per i tentativi di pulizia e che hanno le loro chiglie di fibra danneggiate dalla penetrazione degli idrocarburi, sono stati informati dalla BP che i loro battelli dovranno essere distrutti in seguito e le loro chiglie bruciate. Però, anche i battelli che non sono stati utilizzati per la pulizia dovranno essere distrutti senza avere la garanzia che la BP indennizzerà i proprietari.
La NOOA starebbe anche nascondendo carte delle profondità del mare del Golfo che mostrano un'enorme spaccatura nello stato del fondo marino, situato a 11 kilometri dal luogo della Deepwater Horizon. La spaccatura emette 120.000 galloni (pari a 550 metri cubi) di greggio al giorno e di gas metano.
Il petrolio disperso dalla Corexit si è infiltrato sotto le barriere installate per protezione del lago di Ponchartrain, a nord di New Orleans. Là si rinvengono pesci morti e delle bolle di catrame nel lago.
Più lontano, nel Golfo e lungo i ripari importanti come l'isola di Elmer, ci sono enormi concentrazioni di pesci morti che sono state segnalate dagli abitanti della zona. La Guardia costiera e la BP hanno fissato una zona di non volo sopra l'isola di Elmer, che è un santuario per gli uccelli.
Inoltre, i pescatori affermano che le zone di riproduzione del Golfo, che danno il 40% dei prodotti ittici USA, vengono distrutte dal petrolio e dalla presenza di una zuppa chimica creata da questo brodo di petrolio e di Corexit 9500. Il Corexit scompone il petrolio grezzo in piccole bolle di idrocarburi e un brodo di petrolio acquoso s'infiltra sotto le barriere messe per proteggere le zone di vivaio dei pesci, i vivai delle ostriche, e le altre zone incontaminate. Molte specie di pesci dell'Atlantico si riproducono allo stesso modo nel Golfo e anche queste sono minacciate dalla marea nera.
Anche le bernacche, specie di creatura del mare più resistente a situazioni estreme, muore in gran numero assieme alle spugne e al corallo.
Vicino a Venice in Louisiana, a Plaquemine Parish, si trova il vecchio fortino della guerra civile, Fort Jackson, luogo storico e parco nazionale, che è stato trasformato in una base importante per la BP e per la Guardia costiera per scaricare il Corexit sul petrolio nel Golfo. Sono stato testimone di cinque elicotteri che trasportavano sacchi bianchi di Corexit rovesciati sulle acque del Golfo messi in fretta e furia all'ingresso di Fort Jackson, solo dei pannelli avvertivano che la località era chiusa ai visitatori per "lavori".Fort Jackson è utilizzato come base principale per le operazioni della BP e le attività della Guardia costiera. L'amministrazione Obama, che aveva espresso la volontà di una "amministrazione trasparente", è collusa in operazioni semi-segrete della BP e della Guardia costiera nel Golfo.


Sono anche stato informato da fonte degna di fiducia che di notte sono intervenuti con della polvere bianca sulle spiagge della Louisiana per dare l'impressione che esse fossero pulite. Volando a luci spente, gli aerei non hanno nemmeno tenuto conto delle regole di volo. Le operazioni erano state accordate dalla Guardia costiera e dalla Federal Aviation Administration (FAA).
E' stata oggetto di critica anche l'Environmental Protection Agency (EPA) che non ha detto nulla quando i comandi federali hanno rimandato a casa soccorritori della fauna provenienti dal Texas e dagli altri Stati. Un gruppo cui era stato ordinato di fare i bagagli è il Rescue & Rehabilitatio, Inc., un'organizzazione famosa nel Texas con venti anni d'esperienza nel salvataggiio degli animali in caso di marea nera. La BP ha dato mandato alla O'Brien Group, che è una filiale della SEACOR Holdings di Fort Lauderdale in Florida, come coordinatrice per il salvataggio della fauna. Gli ecologisti locali considerano la O'Brien complice della BP.
L'EPA non ha proferito parola anche a proposito della qualità dell'aria a Venice, dove si rileva che l'idrogeno solforoso nell'aria era stato misurato a 1192 parti per miliardo il 7 maggio. Cinque parti per miliardo sono considerate pericolose per la salute dell'uomo. I rapporti del 7 maggio mostrano anche che il tasso di benzina nell'aria è stato misurato in 5000 parti per miliardo, livello pericoloso per la salute.Il propileneglycol, un componente prevalente nel Corexit 9500 è stato misurato nelle acque del Golfo a 150 volte rispetto la concentrazione letale.
La BP ha ingaggiato a monitorare gli effetti del disastro petrolifero attuale la stessa società che ha effettuato la prova della qualità dell'aria dopo la marea nera provocata dal ciclone Katrina sulla raffineria Murphy di Chalmette. Questa società è stata definita "palesemente bugiarda" da ecologisti e soccorritori in occasione di entrambi gli incidenti.
Gli operatori della BP sono anche stati colti mentre scaricavano in buche nel terreno in Mississipi e a St. Tammany Parish, Louisiana, dei residui di catrame che provenivano dalle acque e dalle spiagge. La fanghiglia di petrolio si sta infiltrando nelle falde freatiche locali.



Titolo originale: "The Gulf oil disaster truth"

Fonte: http://www.waynemadsenreport.com/
Link
13.07.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di LUIGI FRESCHI

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7264