mercoledì 30 gennaio 2013

Il suicidio al tempo dei banchieri.

Aaron Swartz e Bartleby. di FRANCO BIFO BERARDI, da Micromega.
Non ho mai conosciuto personalmente Aaron Swartz, e non posso interpretare il suo suicidio, perché quella scelta non è mai effetto di una singola causa ed è comunque impossibile da “spiegare”. Eppure. Eppure io so qualcosa su quel che l’ha spinto a fare quello che ha fatto. Aaron era un programmatore, creatore del formato RSS, e anche scrittore, attivista e ricercatore. Recentemente ha svolto un ruolo centrale nella campagna SOPA (Stop online piracy act) che si è conclusa con un successo e ha impedito una limitazione dei diritti della rete. Era conosciuto dai suoi amici, ma anche dall’FBI per aver scaricato grandi quantità di dati per usarli nella sua ricerca e per rendere pubblici documenti soggetti a proprietà privata. Nel 2008 Swartz aveva scaricato e messo a disposizione di tutti circa il 20% del database Public Access to Court Electronic Records (PACER) gestiti dall’Administrative Office degli Stati Uniti. Inoltre, secondo le autorità federali Swartz aveva messo in rete gratuitamente un gran numero di articoli accademici dato che come ricercatore disponeva di un account JSTOR. JSTOR è un archivio digitale, e come altri database accademici rende disponibile testi a pagamento. Ogni articolo costa tra 19 e 39 dollari. Inoltre JSTOR accetta sottoscrizioni solo da istituzioni, il che significa che uno studioso indipendente o un ricercatore senza affiliazione istituzionale o un ricercatore precario non può accedervi. Come spiega Ana Texeira Pinto (In memory of Aaron Swartz, e-flux journal 01/2013) si tratta di una forma di privatizzazione della conoscenza e di sfruttamento del lavoro precario cognitivo: né gli autori né i recensori di questi articoli sono pagati, i testi sono finanziati da fondi pubblici oppure sono prodotto di lavoro volontario. Il 6 gennaio del 2011 Aaron era stato arrestato vicino al campus di Harvard da due guardie private del MIT e da un agente segreto, con l’accusa di essersi introdotto nell’edificio con l’intenzione di commettere un crimine. Secondo il Pubblico Ministero Carmen Ortiz zelante persecutrice di Aaron “se condannato per queste accuse Swartz potrebbe dover affrontare fino a 35 anni di prigione, più tre anni di domicilio coatto , più una multa di circa un milione di dollari.” Io non so perché Aaron abbia deciso di fare quello che ha fatto l’11 gennaio del 2013, ma so che stava subendo una persecuzione per aver fatto quel che dovremmo fare ogni giorno: restituire alla comunità dei lavoratori cognitivi quel che le compagnie private hanno rubato. Aaron ha agito secondo un principio largamente condiviso: le leggi di proprietà sono illegittime nel campo della conoscenza, e la nuova realtà della produzione digitale è incompatibile con la privatizzazione. Ciò detto, penso di non avere ancora detto nulla sul punto cruciale. Coloro che hanno perseguitato Aaron in nome dei profitti privati, coloro che lo hanno minacciato di prigione e multe milionarie, dicono che si è ucciso perché era vittima della depressione. Per quanto ciò suoni falso in bocca a costoro, è vero che Aaron soffriva di depressione. Lo stesso giorno in cui ho ricevuto la notizia della morte di Aaron ho ricevuto anche una chiamata da un amico che era sconvolto dal suicidio di un giovane amico della figlia, un ragazzo di ventidue anni da tempo considerato affetto da depressione e crisi di panico. Il suicidio è diventato la principale questione culturale e politica della generazione precaria. Anche Muhammed Barghouzy era depresso, quando decise di uccidersi perché non poteva andare all’università ed era povero e disoccupato e la polizia tunisina gli impediva di vendere frutta sulla pubblica via. Aaron Swartz non era povero come Muhammed Barghouzi, ma condivideva lo stesso sentimento di solitudine e precarietà. La depressione ha qualcosa a che vedere con la povertà la disoccupazione e la disperazione e molto a che vedere con il rifiuto di sopportare il peso intollerabile della violenza. Tutti i discorsi politici sulla democrazia e sui meravigliosi orizzonti delle nuove tecnologie sono merda, se non teniamo conto della solitudine contemporanea, effetto principale del processo di virtualizzazione nelle condizioni presenti di competizione economica. La depressione è profondamente iscritta negli intimi recessi digitali della vita precaria, e il suicidio di Aaron Swartz mette in questione la forma presente di alienazione digitale: irrealizzazione e solitudine fisica. La rete è un territorio in costante espansione che produce costante eccitazione senza ritorno affettivo, senza singolarità dell’incontro, senza corporeità. Gesti parole e click codificati prendono il posto dell’amicizia e questa non significa più nulla se non un automatismo informatico. Secondo il World Health Organization negli ultimi decenni il tasso di suicidio è aumentato del 60% nel mondo. Suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani di 15-19 anni, e questi dati non includono i tentativi di suicidio che sono venti volte più numerosi dei suicidi riusciti. Io credo che il suicidio sia il fenomeno cruciale dei nostri tempi, ma la mia attenzione non si concentra sull’aumento impressionante di persone che si uccidono, ma sul significato particolare che questo atto acquista a livello sociale e culturale. Un sentimento mortifero permea l’inconscio collettivo, la cultura e la sensibilità della generazione precaria. C’è una via d’uscita da questa sindrome suicidaria che ogni giorno uccide nelle fabbriche cinesi, nelle aree rurali dell’India, tra i giovani islamisti e tra i lavoratori cognitivi precari? Se c’è sta nella creazione di luoghi in cui l’amicizia è incontro di corpi che parlano e di parole che hanno un corpo. A Bologna la polizia è intervenuta qualche giorno fa per sgomberare Bartleby, che era nata e viveva come luogo in cui i corpi si parlano e in cui le parole hanno un corpo. Una sessantina di tristi accademici di quella triste città hanno sottoscritto un triste documento in cui si ripetono tristi banalità, per giustificare lo sgombero di un luogo in cui si produceva cultura e si respirava amicizia. Non mette conto di occuparsi di ciò che dice il rettore Dionigi e un manipolo di docenti la cui irrilevanza intellettuale gareggia solo con l’ipocrisia. Sono gli stessi che qualche mese fa hanno consegnato una laurea honoris causa all’ex presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, che passerà alla storia come responsabile di un fallimento che sta pagando la società europea. Lasciamoli perdere. E’ più utile occupare un altro posto nel quale i corpi e le parole possano incontrarsi. Come d’altronde è già accaduto, sabato 16 gennaio, verso le cinque e mezza. Franco Bifo Berardi (28 gennaio 2013)

Il sindacato dei burocrati.

La conferenza elettorale della Cgil
di GIORGIO CREMASCHI, da Micromega. Non dovrà certo lamentarsi la segreteria della CGIL se l’informazione collocherà la sua conferenza programmatica nel contesto della campagna e dei messaggi elettorali. E neppure potrà sdegnarsi se il principale sindacato italiano verrà collocato e misurato nella geografia delle correnti del centrosinistra. È questo il ruolo assegnato da Monti, l’ala sinistra Camusso Vendola da tagliare assieme a quella destra di Maroni e forse Berlusconi. I malumori delle correnti del PD sul rinnovo della foto di Vasto, con il segretario della CGIL al posto di Di Pietro, insomma il teatrino non sarà una distorsione, ma un inevitabile effetto della scelta compiuta. La segreteria CGIL ha convocato la conferenza, anticipandone la data rispetto a quella prevista, proprio per avere la presenza esclusiva dei leaders del centrosinistra. Un ruolo centrale nella conferenza è riservato a Giuliano Amato, sì proprio il pensionato di platino riserva della presidenza della repubblica, autore nel ‘92 di un disastroso accordo sindacale che Trentin definì come un agguato prima di firmarlo e dimettersi. La conferenza nasce dunque così, come il lancio nel mondo del lavoro della campagna elettorale di Bersani e Vendola e di quella presidenziale di Amato. Il Piano del Lavoro, che richiama nel titolo quello rivendicato negli anni 50 dalla CGIL di Di Vittorio, con quel piano c’entra ben poco. La proposta è costruita tenendo ben conto del programma elettorale di Italia Bene Comune e delle sue compatibilità. I patti europei, che sono alla base delle disastrose politiche di austerità e che il Pd conferma, vengono accettati. La proposta per il lavoro si basa su misure fiscali e interventi pubblici nell’abito delle compatibilità date. Siamo dunque di fronte a una sorta di grande emendamento alle politiche di rigore del governo Monti e della Unione Europea, che comunque vengono accettate nei loro principi di fondo. Non può che essere così se si vuol far parte di uno schieramento politico: se ne accettano i capisaldi e si lavora nel territorio da essi delimitato per allargare lo spazio per i propri interessi. La segreteria della CGIL non chiede la cancellazione per nessuna delle controriforme del lavoro e delle pensioni di questi anni, solo qualche correzione e misure aggiuntive che però partono dalla accettazione di quanto sanzionato. Anche la CISL fa la stessa cosa con Monti e la sua agenda, che in alcuni suoi punti è indigesta persino per gli stomaci di ferro dei dirigenti di quella organizzazione : si sostiene lo schieramento elettorale e si prova a condizionarlo dall’interno. La domanda ingenua da porsi è dunque: come mai i gruppi dirigenti dei due principali sindacati italiani salgono in politica proprio nel momento di massima caduta del consenso dei cittadini verso di essa? Perché non contano più sulla forza e il valore dell’agire sociale, perché non spendono il proprio residuo consenso, non alto ma superiore a quello dei partiti, nel far pesare per via indipendente il lavoro massacrato dalla crisi? Perché le sconfitte del lavoro di fronte alla crisi hanno prodotto nei gruppi dirigenti sindacali la paura di perdere tutto. Il disastroso accordo del ‘92 che abbiamo ricordato segnò per il sindacato confederale l’avvio della stagione della concertazione. Durante essa il confronto di vertice tra governo e parti sociali amministrò le politiche liberiste sul lavoro e sullo stato sociale. Il risultato fu che i lavoratori peggioravano progressivamente le loro condizioni, ma il sindacato che amministrava questa ritirata acquisiva funzioni e potere. Con la crisi economica questo sistema è saltato e il sindacato confederale ha visto arretrare progressivamente la propria posizione di potere, assieme al nuovo peggioramento delle condizioni dei propri rappresentati. La Cisl ha pensato di reagire con l’aziendalismo. Ma nel chiuso della sua stanzetta anche Bonanni non può fare a meno di riconoscere che in Fiat la sua organizzazione conta meno dell’ultimo caporeparto. La CGIL ha cercato disperatamente di riconquistare un tavolo vero di concertazione e su questo si è mobilitata. Ma non ci è riuscita e l’ultimo dei governi tecnici, a differenza dei predecessori Dini e Ciampi, si è dato merito di aver soppresso la concertazione. Alla base del neo collateralismo dei gruppi dirigenti della CGIL e della CISL sta dunque la sconfitta nelle proprie strategie. E con essa la paura di perdere tutto, di diventare completamente marginali. Certo si potrebbe partire da questa situazione per rinnovare completamente l’azione sindacale, riorganizzarsi attorno alla sofferenza delle persone in carne ed ossa, riconquistare e comunicare voglia di conflitto, cambiare strategia e pratica dopo più di venti anni di accettazione del liberismo e delle compatibilità. Ma questo non è nella natura di gruppi dirigenti e di una struttura di apparati che è stata così educata secondo un modello sindacale istituzionale e concertativo, da non saper che fare in un diverso contesto. Nell’attuale collateralismo di CGIL e CISL c’è dunque uno spirito rassegnato e triste, rappresentato da un concetto più volte chiaramente espresso: con l’azione sindacale non ce la facciamo più, abbiamo bisogno di partiti e governi amici. Chi non si rassegna al declino sindacale deve dunque seguire una via completamente diversa da quella indicata da questa triste conferenza. Per quel che ci riguarda cominciamo il primo febbraio a Milano ad organizzare l’opposizione CGIL, convinti che l’indipendenza del sindacato dai padroni, dai governi e dai partiti sia oggi necessaria e vitale come non mai. Giorgio Cremaschi (24 gennaio 2013)

martedì 29 gennaio 2013

Grillo impallina il PD per MpS.

Commissione d'inchiesta per il Monte dei Paschi di Siena
Nel 1995 viene privatizzato il Monte dei Paschi di Siena, chi comanda è la Fondazione MPS (55%) attraverso i rappresentanti del Comune, presenti con membri quasi tutti di area pd, che dal dopoguerra governa la città (8 nominati dal Comune, 5 dalla Provincia, uno da Regione, Unisi e Diocesi). La Fondazione vive solo di dividendi e le sue quote sono vendute nel tempo a vari personaggi come Caltagirone e Gnutti. Per remunerare gli azionisti MPS comincia a vendere le sue proprietà, tra cui le partecipazioni bancarie (San Paolo,Generali), intere banche come la Cassa di Risparmio di Prato e gli immobili (tenuta di Fontanafredda, palazzi Monte Mario a Roma) che remunerano i nuovi azionisti ma sono in realtà frutto del risparmio di secoli dei senesi. MPS viene spolpata. La sinistra ha compiuto la sua missione di consegnare una banca pubblica che funzionava dal 1500 alla Borsa e alla speculazione. Il valore di MPS prima della privatizzazione era di circa 20miliardi di euro, oggi ne vale meno di 2 e ogni giorno il suo titolo diminuisce. Oggi 10.000 dipendenti rischiano il posto di lavoro. La giunta comunale Ceccuzzi è caduta. La Fondazione non ha più la maggioranza delle azioni (ha dovuto venderle) e si prospetta la nazionalizzazione e il licenziamento di forse 10.000 persone. Storia di un saccheggio. - Banco Santander compra Antonveneta per 6, 6 miliardi di euro - Banco Santander si accorge di aver fatto un pessimo affare, scorpora Interbanca da Antonveneta, valutata 1,6 miliardi, e cerca un compratore, il valore della banca reale è di circa 3 miliardi - Monte dei Paschi compra Antoveneta per 10,3 miliardi pochi mesi dopo - MPS si accolla anche il passivo di Antoveneta per 7,9 miliardi - MPS valeva all’epoca 9 miliardi e compra Antoveneta che ha metà dei suoi sportelli (1.000 contro 2.000) per una cifra, 10,3 miliardi, superiore allo stesso valore di MPS - MPS non ha 10,3 miliardi, quindi si indebita, il titolo crolla - Per questa operazione il presidente di MPS Mussari (ex presidente anche della Fondazione MPS) viene premiato con la presidenza dell’ABI senza che nessun partito o organo di vigilanza si opponga - La procura della Repubblica di Siena apre un’inchiesta sull’enorme minusvalenza dell’operazione Antonveneta. Pari circa a circa 14 miliardi di euro, 28.000 miliardi delle vecchie lire, una finanziaria, uno scandalo che rischia di far impallidire la Parmalat - La Fondazione MPS, azionista di maggioranza di MPS, indica all'assemblea dei soci della banca la nomina di Alessandro Profumo alla carica di presidente. Profumo ex ad di Unicredit è rinviato a giudizio al tribunale di Milano con l'accusa di frode fiscale - Profumo punta subito sulla riduzione del personale pari a 4.300 senza avviare una causa come MPS contro i responsabili del disastro - La Fondazione deve vendere parte della sua proprietà azionaria di MPS e passa dal 55% al 35% - Per evitare il fallimento di MPS Monti eroga un prestito di 3,9 miliardi, cifra equivalente alla Imu sulla prima casa - Grillo parla di "buco" di 14 miliardi all'assemblea degli azionisti del 25 gennaio 2013, il buco a cui si riferisce era la sottrazione di valore attraverso le operazioni legate ad Antonveneta - Lunedì 28 gennaio 2013 i pm che indagano sull'affare Antonveneta scoprono bonifici internazionali per 17 miliardi - Subito dopo emergono somme rilevanti che sarebbero rientrate in Italia con lo Scudo Fiscale voluto dal Pdl e approvato grazie all'assenza in aula di molti deputati del pdmenoelle Di fronte a questo colossale furto ai danni degli italiani, il cui conteggio finale non è forse ancora concluso, chiedo: - la verifica dei patrimoni dei segretari del pd e di tutti i nominati nella fondazione MPS dal comune di Siena, della Provincia di Siena, della Regione Toscana dal 1995 - la pubblicazione dei nomi di tutti coloro che hanno goduto dello Scudo Fiscale con l'ammontare degli importi rientrati in Italia - le dimissioni immediate di Bersani da segretario del pd Il M5S chiederà l'istituzione di una commissione d'inchiesta su MPS al suo ingresso in Parlamento. MPS fa impallidire non solo Parmalat, ma anche il fallimento del Banco Ambrosiano, dietro a questo colossale saccheggio, come avvenne allora, ci può essere di tutto. Craxi, in confronto, rubava le caramelle ai bambini.

domenica 27 gennaio 2013

Un geniale Jacopo.

Il lusso capitalista fa schifo! di Jacopo Fo .
L’italiano è bombardato da una serie di trasmissioni televisive incentrate sul glamuor-spazzatura. Da un po’ di tempo in tv si danno da fare, schiere di leccatissimi droni che si spacciano per grandi viveur che pontificano di stile, e vanno a caccia di povere creature prive di autostima e senso del ridicolo, e gli rifanno il look e l’appartamento, gli insegnano a ricevere gli ospiti a cena e a fare sesso moderno. Diffusori di un’idea troglodita del lusso, non inteso come saper godere delle bellezze del mondo ma come ostentazione. Questi hanno l’estetica anoressica da nazisti onirici con il senso dell’erotico lobotizzato. Cioè, avrai visto le sfilate di moda? Ti pigliano delle ragazze che sono un miracolo dell’armonia divina, le mettono a pane e acqua, e poi te le fanno camminare incrociando i piedi e caracollando in una fastosa andatura da cammelle isteriche tutte scattose. Bisognerebbe denunciarli al tribunale dell’Aja, sui crimini contro l’Umanità e rimettere in servizio Wiesenthal. Poi ci sono i gourmet che non si emozionano per la ricchezza organolettica dei cibi coltivati con amore da contadini pagati dignitosamente. Il cibo non ha storia per loro, sempre alla ricerca dei piatti a effetto: “E qui abbiamo del brodo solido, del pollo liquido, un’insalata secca e un tiramisù in polvere…” Deficienti! Quando mangi, quel che conta è il vestito del cameriere, il sottopiatto, la forchetta scomodissima, l’architettura meccanica dei manicaretti: come sovrapponi le fettine di avocado alle fettine di arrosto di vacchetta vergine di Gorgonzola e le fettine di porco Senese con una cinta da paura, la lingua salmistrata di macaco cretino, con nuvole di gamberi cinesi daltonici, dadolato con una fantasia di coglioni di cinciallegra (uno schifo), spruzzato da una lacrima di aceto balsamico podale realizzato in un convento di Frati Benedettini che dal 1564 hanno rinunciato a lavarsi, il tutto imbustato in una guepière di mangusta fritta (solo dopo ripetuta sodomia balsamica), quindi infornato dentro un ventre di stambecco omosessuale viennese e servito sopra un guanciale di foglie allungate in un tripudio verdeggiante (lattuga). Insomma, una boiata pazzesca che se la mangi veramente poi la digerisci il mese successivo perché, a conti fatti, contiene ben 63 alimenti, generalmente incompatibili tra loro… In quanto il tuo stomaco, a causa di una decisione divina sulla quale non puoi fare un cazzo, può processare solo 32 alimenti in un unico ciclo digestivo. Insomma, ti si ripropone. Ed è una riproposta con un aroma che ricorda le ascelle della famosissima Susy di Saint Jacques (dopo che aveva marciato per 11 giorni immersa fino alle cosce in limo di rinoceronte e faceva un caldo esponenziale). Uno dei disastri dei progressisti è che non si sono ancora resi conto che sul terreno dello stile di vita vinciamo a man bassa! È sull’idea del come vogliamo vivere su questo pianeta potenzialmente delizioso che si svolge la vera battaglia epocale contro questo sistema disumano, assassino e distruttore di foreste e sogni. Dire che speculare per arricchirsi è immorale e vergognoso non basta: dobbiamo gridare che quando lo fai la tua anima ne viene contaminata e il tuo palato diventa sensibile come la pianta dei piedi di Abele Bikila, il famoso maratoneta eritreo che correva a piedi nudi. A Capodanno a Londra un cuoco da strapazzo ha proposto una cena con champagne di 50 anni, tartufo, caviale, filetto di vitello giapponese kobe (cresciuto sollevato da terra con delle fasce nella totale immobilità, e massaggiato per 8 ore al giorno. Giuro!), aragosta, selvaggina avvolta in filigrana d’oro, arrostita nel ventre di un porco estinto perché era stronzo, e per finire dei pistacchi da 5.000 euro al chilo (!!!) frutta, torta e caffé (quello fatto con semi di caffè mangiati e poi cagati da uno schifosissimo Musang delle foreste asiatiche meridionali, una sorta di gatto-scoiattolo; nome scientifico: Paradoxurus hermaphroditus. Giuro!. E giuro anche che una tazzina costa 60 euro, per via di quel retrogusto… Un po’… Come dire…). E tutta questa cena demenziale costava 45mila euro a persona. Imbecilli! Il grande Veronelli una volta organizzò uno scherzo geniale. A un raduno di questi sordi orali fece degustare 5 vini offrendo 4 bottiglie ottime e un vino in confezione di plastica da supermercato del dolore. NESSUNO si accorse che uno dei vini era una ciofeca!!! Tutti lì a declamare il retrogusto di rutto di foca. Se poi questi emotivolesi televisivi si mettono a insegnare alla gente come fare l’amore, si arriva al baratro. È solo tecnica. Neanche un attimo gli passa per la testa che quel che devi imparare per godere veramente dello spumeggiante connubio dei corpi, è il fluire della poesia dell’amore. È gente convinta che le labbra siano soppiantabili da un vibratore perché il vibratore va più veloce. La vita è una corsa… Ma cosa vuoi scopare tu se non riesci a stupirti di fronte al tramonto? È ora che i leader progressisti scoprano che se cominciamo a discutere di cibo o di sesso li facciamo a pezzi. E cambiamo il mondo. Questa è la vera rivoluzione. Il resto, al massimo, è annacquare un sistema che sa di tappo. Invece delle primarie dovevano far cucinare ai candidati una cena conviviale. Avete presente cosa mangia Scilipoti?

venerdì 25 gennaio 2013

La grande frode della chemio.

Study accidentally exposes chemotherapy as fraud - tumors grow faster after chemo! Thursday, January 24, 2013 by: Jonathan Benson, staff writer.
(NaturalNews) A team of researchers from Washington state had a giant "Oops!" moment recently when it accidentally uncovered the deadly truth about chemotherapy while investigating why prostate cancer cells are so difficult to eradicate using conventional treatment methods. As it turns out, chemotherapy does not actually treat or cure cancer at all, according to the study's findings, but rather fuels the growth and spread of cancer cells, making them much harder to stamp out once chemotherapy has already been initiated. You might call it the "smoking gun" that proves, once and for all, the complete fraud of the conventional cancer industry. Not only is chemotherapy, the standard method of cancer treatment today, a complete flop, based on the findings, but it is actually detrimental for patients with cancer. Published in the journal Nature Medicine, the shock findings which, not surprisingly, are being ignored by the mainstream scientific community, highlight in full detail how chemotherapy causes healthy cells to release a protein that actually feeds cancer cells and causes them to thrive and proliferate. According to the study, chemotherapy induces healthy cells to release WNT16B, a protein that helps promote cancer cell survival and growth. Chemotherapy also definitively damages the DNA of healthy cells, a long-term detriment that persists long after chemotherapy treatment is stopped. This combined action of healthy cell destruction and cancer cell promotion technically makes chemotherapy more of a cancer-causing protocol than a cancer-treatment protocol, by definition, a fact that should grab the attention of anyone personally familiar with having, or knowing someone else who has cancer. "WNT16B, when secreted, would interact with nearby tumor cells and cause them to grow, invade, and importantly, resist subsequent therapy," explained study co-author Peter Nelson from the Fred Hutchinson Cancer Research Center in Seattle, Washington, about the findings, which he dubbed "completely unexpected." "Our results indicate that damage responses in benign cells ... may directly contribute to enhanced tumor growth kinetics," added the entire team about what they observed. Avoiding chemotherapy improves health outcomes, suggests research. What this means, for all intents and purposes, is that the entire process of chemotherapy is completely worthless, and is actually highly detrimental for cancer patients. Anyone searching for a real cure will want to avoid chemotherapy, in other words, and pursue an alternate route. This may include investigating alternative treatments like the Gerson Therapy (http://www.naturalnews.com/Gerson.html), or evaluating anti-cancer foods and nutrients like sodium bicarbonate, turmeric, high-dose vitamin C, and vitamin D. "Whatever manipulations we're doing to tumors can inadvertently do something to increase the tumor numbers to become more metastatic, which is what kills patients at the end of the day," admitted Dr. Raghu Kalluri, author of a similar study published last year in the journal Cancer Cell. This particular study found that cancer drugs, which are typically pushed alongside chemotherapy, cause tumors to metastasize. Sources for this article include: http://www.nydailynews.com http://naturalsociety.com/chemotherapy-makes-cancer-far-worse/

sabato 12 gennaio 2013

Ciao, Mariangela.

Renzo Arbore: CI INNAMORAMMO ASCOLTANDO LUCIO BATTISTI. di Silvia Fumarola, per La Repubblica.
Hanno smentito Sandor Marai che nel libro L´eredità di Eszter scrive: "Gli amori infelici non finiscono mai". Quello tra Mariangela Melato e Renzo Arbore è stato un amore felice, solido, speciale, allegro, che non è finito mai. Una complicità durata 42 anni. Insieme negli anni Settanta - fidanzati per nove anni - poi dall´81 liberi, altre vite, altre storie. Nel 2007 di nuovo insieme, gli amici scherzavano: «Renzo naturalmente viene con Mariangela». «È come se non ci fossimo mai lasciati» dice Arbore tra le lacrime «Siamo rimasti legati, era una presenza nella mia vita; io nella sua. Mariangela era una donna eccezionale, ironica, umana, intelligentissima. Grazie a lei sono diventato una persona migliore». Sabina, la sorella dello showman, aveva detto all´attrice: «Non vi perdonerò mai di esservi lasciati» e la Melato aveva sorriso: «Che cosa bella hai detto». Arbore, come vi siete conosciuti? «L´avevo vista a una premiazione al Sistina e l´ho invitata a una festa a casa mia. Ci siamo fidanzati quando Lucio Battisti ci ha fatto sentire in anteprima Io vorrei non vorrei ma se vuoi. Suonava la chitarra, non aveva ancora stampato il disco. Lì è nato tutto. Ci siamo guardati». Un amore durato nove anni. «Forse dieci. Era una donna intelligentissima, devo a lei se ho fatto scelte artistiche. Era più intelligente di me, approfondiva mentre io sono superficiale, sono stato suo allievo: mi ha insegnato a scegliere sempre l´arte». E la prendeva affettuosamente in giro. «Sì, su tutto: le cadute, l´America, le fissazioni, criticava le mie giacche. Anche due giorni fa aveva avuto da ridire: che ti sei messo? Ci siamo presi in giro tutta la vita, è una storia unica. Non abbiamo litigato neppure quando ci siamo lasciati. Siamo rimasti legati anche quando le nostre strade si sono divise». Come avete fatto? «Abbiamo condito col sorriso la vita, fino all´altro giorno. Pensi che abbiamo cantato insieme una canzone prima che peggiorasse... Mi giudicava per come mi vestivo e prima di darmi sue notizie, non ero stato bene, chiedeva: come stai? C´erano gli altri prima, una ragazza di una nobiltà d´animo unica». Era anche una donna ironica. «Sì, ma l´ironia si sposava con l´umanità, una dote rara. Si è fatta da sola, amava la cultura che ha conquistato faticosamente. Mi ha insegnato quello che aveva capito prima di me». Eravate diversissimi: lei uomo del Sud, un po´ viziato, lei una milanese che non si fermava mai. «Ci siamo profondamente amati, ho avuto la cittadinanza di Milano grazie a lei e lei con me ha conosciuto la Puglia. Abbiamo passato le estati a Capri, amava la bellezza, il teatro napoletano. Lo sa che Eduardo le aveva offerto più volte di fare Filumena Marturano? Non voleva, diceva di non essere in grado». Dopo tanti anni Massimo Ranieri l´ha convinta. «Mariangela aveva visto la possibilità di far conoscere questa grande storia attraverso un napoletano italianizzato. Ogni scelta era una missione, aveva rispetto per il pubblico. Mi diceva: recito Il dolore della Duras, perché è bello. Accettava progetti faticosi come Casa di bambola: era una lavoratrice instancabile». Era una combattente, il pubblico la amava anche per questo. «Sentiva il suo coraggio. Lo ha dimostrato anche nella malattia. Ha avuto il successo clamoroso coi film di Lina Wertmuller, ma ha fatto anche scelte difficili partendo dall´assunto che si deve dare al pubblico il meglio e non prendere. Era la donna più generosa che abbia mai conosciuto». Che rapporto aveva con il successo? «Nessuno. Non si era mai montata la testa, ha vissuto il periodo del trionfo internazionale, dopo Travolti da un insolito destino... - quando in America si spalancavano le porte dei teatri - nel modo più naturale. Neanche per un attimo ha perso la testa. La cosa più bella è che mi chiamano tutti, dall´ultimo elettricista al grande regista, per dirmi solo che donna unica fosse. Era benvoluta da tutti». Perché non vi siete mai sposati? «Ci siamo andati molto vicino, avevamo fatto anche i documenti. Poi lei è partita, ci siamo separati. Ma è come se lo fossimo, c´era grande sintonia tra noi. È la cosa più importante». ............................................................ .................................................................................LE CENERI - Dopo i funerali l'attrice sarà cremata e le sue ceneri saranno sparse nel giardino della casa romana della sorella Anna.
Enrica Brocardo per "Vanity Fair". Parla per un'ora al telefono, da casa. Ogni tanto s'interrompe. Renzo Arbore riempie i vuoti di silenzio, e di lacrime. Una domanda suonerebbe come un insulto. Così passano i secondi, nell'assenza di parole, poi lui riprende. «Mariangela sul comodino, insieme ai libri, aveva anche Vanity Fair. Glielo dico perché sappia che questa è l'intervista più difficile di tutta la mia vita. Lo faccio solo per lei, per Mariangela. Vorrei che fosse ricordata per tutta la sua carriera, non solo come la sorridente ragazza di Travolti. Giancarlo Giannini ha detto che è stata la più grande attrice italiana di tutti i tempi: non si riferiva solo al cinema, anche se di film "seri", importanti ne ha fatti tanti, un elenco impressionante anche per me. In più, c'è l'infinita serie di opere teatrali, dalle tragedie greche a Ronconi. «In scena è stata una donna di centocinquant'anni e una bambina di nove. Far conoscere al pubblico le grandi donne era la sua missione. Per le colleghe non provava invidie. Mi parlava di Sophia Loren che le aveva dato consigli tanti anni fa. Lo diceva con orgoglio, come fosse una medaglia da appuntarsi sul petto. "Quella Picassa", la chiamava Sophia. Perché, come Picasso, Mariangela era una rivoluzionaria. «Sembrava che tutto le riuscisse facile. "Si può fare", diceva sempre, anche se si trattava di diventare un animale preistorico. In realtà, tutto le costava enormi sacrifici, sangue, dolore e lacrime. Lo sapevamo noi che le eravamo vicini, ma lei non lo diceva mai a nessuno: era l'immagine della giocondità. In Nora alla prova, doveva interpretare diversi tipi di uccelli. Si mise a studiarne il canto. Un giorno mi chiamò, era preoccupata: "Non riesco a trovarli in Internet". Non si è mai comportata da diva. Ai ristoranti di lusso preferiva il cestino degli elettricisti. «La nostra è stata una storia sentimentale unica: ci svegliavamo col sorriso e ci addormentavamo col sorriso. Abbiamo continuato ad amarci anche dopo esserci lasciati. Per quarantadue anni, anche quando ognuno di noi stava vivendo un altro amore. Lei mi raccontava delle sue relazioni, e io delle mie. Se c'era una discussione, una divergenza, la lasciavo parlare. Sapevo che aveva ragione, anche se non glielo dicevo. Non abbiamo litigato neppure quando ci siamo lasciati. Ci siamo guardati negli occhi, "Vabbè, per adesso è finita così". «Lei era più intelligente, più acuta, più colta di me. Era diventato una sorta di gioco: io facevo l'ignorante, quello che sintetizzava tragedie complicatissime in tre battute. In Medea, Mariangela fissava, occhi spalancati, un punto fisso per quaranta minuti. Lo spettacolo durava cinque ore. A un certo punto mi sono alzato per sgranchirmi le gambe. "Ti ho visto", mi disse lei alla fine. "Come hai fatto? Avevi lo sguardo da un'altra parte". "Non lo so, ma ti ho visto". «Perse la sua chance americana, perché fece due film non riusciti. Ma proprio quei due anni che passò in America hanno cancellato la nostra storia. Ai tempi non era facile come adesso, persino parlarsi al telefono era più complicato. Andai a trovarla qualche volta. La riconoscevano tutti. Una sera andammo a un concerto di Sting, eravamo in fila per i biglietti. La riconobbero, ci fecero entrare: "La Melato non può pagare", dissero, "è un onore averla qui". «Questa mattina mi sono svegliato, dovevo capire qual era il segreto che emanava, e che mi aveva fatto innamorare di lei. La sua principale caratteristica era la grazia. La grazia della poesia, della musica. Amava tutti i generi, da Leonard Cohen a Mario Merola, a Roberto Murolo. Abbiamo trascorso notti a piangere e ridere con le sue canzoni. Sapeva individuare in ognuno i bagliori dell'arte e della verità. Aveva la grazia del corpo, il ritmo nell'incedere. Appena sentiva una musica che le piaceva, si metteva a ballare. Per me. Aveva la grazia della generosità, dell'entusiasmo, del suo amore per l'Italia, e della nobiltà, un'aristocratica nel senso greco del termine. Un'infinita grazia che metteva nel salutarmi, stringermi la mano e baciarmi. Fino all'ultimo. «Abbiamo condiviso tre anni e mezzo di dolore. La malattia era un chiodo nel cuore, ma non ha mai smesso di essere una guerriera. Mentre io ero quello che la ingannava. Sapeva benissimo che le mie risate, i miei tentativi di distrarla erano tutte menzogne. Ma li accettava come un dono. A Natale, le regalai un cappottino di Lisa Corti, sperando che potesse indossarlo per tornare a casa. Rosso scuro, il suo colore preferito. Quando lo vide, si illuminò: per un attimo credette anche lei di poter lasciare l'ospedale. È con quel cappottino che se n'è andata».

venerdì 11 gennaio 2013

Travaglio, con il Cainano in onda da Santoro.

L'intervento di Marco Travaglio da Santoro a Servizio Pubblico. Vittorio Mangano: vabbè, capita, errori di gioventù. Poi, se ti serve uno stalliere... Licio Gelli: succede, sembrava una così brava persona. Poi il fascino del cappuccio... Bettino Craxi: pareva un grande statista, poi ha tralignato. Vai a prevederlo. Cesare Previti: facile scambiarlo per un bravo avvocato, specie se non hai letto Cesare Lombroso. Marcello Dell'Utri: era dell'Opus Dei, aveva tanti amici siciliani, con tutti quei libri antichi ti confondeva, era molto colto, soprattutto sul fatto. Vabbè, ha più processi che capelli in testa. Ma allora Gramsci, ne vogliamo parlare? Don Luigi Verzé, quello del San Raffaele: si può capire, era un prete, sembrava un sant'uomo, vai a prevedere che al Dio Uno e Trino preferiva il quattrino. Renato Squillante: ma insomma, ti accusano di avercela sempre coi giudici, poi te ne piace uno e te lo arrestano subito, ma allora ditelo. Gianpi Tarantini: vabbè, dai, un'amicizia sbagliata può sempre capitare. Viene da te un giovane imprenditore che si è fatto da solo, in tutti i sensi. Come fai a pensare che uno che va in giro con 20-30 ragazze alla volta fa quel mestiere lì, dai, era proprio insospettabile. Aggiungi che le sue ragazze appena entravano a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa e tum! s'innamoravano tutte del latin lover: tac! folgorate dallo charme del vecchio play boy. Se poi Gianpi le pagava, mica te lo veniva a dire, era a tua insaputa, e comunque era per le spese del viaggio, l'indennità di trasferta. Valter Lavitola: un fine diplomatico, questo sembrava a prima vista, gli mancava giusto la feluca. A Panama lo conoscevano tutti, e anche a Saint Lucia. Capita a tutti di sbagliare valutazione, no? Lele Mora: ma dico io, come fai a sospettare che uno condannato 20 anni fa per spaccio sia un poco di buono. E la redenzione dell'essere umano? Ruby Rubacuori: quella poi, appena la vedi ti viene in mente una parente di Mubarak, due gocce d'acqua. La tipica faccia di una che vuol metter su un centro estetico. Allora le compri il laser antidepilazione da 60 mila euro. E quale minorenne: ma se dimostrava 65 anni! Nicole Minetti: lei invece quando la vedi ti viene subito in mente l'igiene dentale, la pluri-laureata, altro che balle. E poi mica l'ho candidata io: hanno fatto tutto 5 scrutatori senza farmela neanche vedere. Chissà cosa scrutavano. Totò Cuffaro: l'ha scoperto Casini, poi lo condannano per favoreggiamento alla mafia e tu che fai, glielo lasci? Ma no, ti viene un attacco di gelosia e glielo freghi: è la stessa soddisfazione del tifoso del Milan che prima del derby strappa la bandiera nerazzurra all'ultrà dell'Inter. Francone Fiorito detto "Er Batman de Anagni": era finiano, ma non si poteva lasciarlo alla concorrenza. Basta guardarlo: è il tipico liberaldemocratico di scuola einaudiana. E dove lo metti uno così? Ma a capogruppo alla Regione Lazio, come minimo. L'hanno arrestato, e allora? Anche Giordano Bruno! Ed è solo un piccolo campione del ritratto di famiglia in un inferno, ché a citarli tutti facciamo notte. Ecco, Cavaliere, premetto che sono tutti innocenti: anche i condannati, anche gli arrestati,anche chi ha patteggiato, e pure lei, anche se ha avuto 7 prescrizioni, 1 amnistia, 3 volte s'è depenalizzato il reato e ha una condanna in I grado per frode fiscale. Però... non so se ha presente il film di Mel Brooks Mezzogiorno e mezzo di fuoco: quando il cattivo arruola una sporca dozzina per assaltare il villaggio di Rock Ridge. Si siede dietro un banchetto ed esamina i curricula dei candidati in fila indiana: "Precedenti penali?". Il primo risponde: "Stupro, assassinio, incendio doloso, stupro". E lui: "Hai detto due volte stupro". "Sì, ma mi piace tanto lo stupro!". "Ottimo, firma qua. Avanti il prossimo... Precedenti penali?". "Atti di libidine in luogo pubblico". "Non è mica tanto grave". "Sì, ma in una chiesa metodista!". "Ah carino! Arruolato, firma qua!". Ecco, a volte viene il sospetto che lei la sua classe dirigente e i suoi candidati li selezionasse così. Ma se l'immagina un Obama, una Merkel, un Cameron, fotografati accanto a uno solo di questi personaggi? Ora, meritoriamente, promette liste pulite, rinnovate per il 90%, forse non troverà un posto nemmeno per il suo amico Dell'Utri. E terrà fuori chi ha più di 65 anni, chi ha processi in corso, e chi non si impegna ad andarsene dopo 2 legislature. A parte che lei ha 77 anni, i processi non se li è mai fatti mancare e si candida alla sesta legislatura, ma che senso ha eliminare imputati e condannati? Se li elimina, vuol dire che si fida della magistratura, o almeno la rispetta: la magistratura che, come dice lei esagerando, l'ha sempre assolto. Dunque va rispettata anche quando condanna lei o qualcuno dei suoi, no? Mica si può rispettarla a targhe alterne. Per carità, ci sono impresentabili anche in altri partiti: ma lei 20 anni fa entrò in politica per rinnovare la classe dirigente, per fare la rivoluzione liberale, per essere diverso, migliore dei politicanti, portando gente competente, dalla trincea del lavoro. Nella sua prima campagna elettorale, fece firmare agli aspiranti candidati di Forza Italia questa dichiarazione: "Dichiaro 1) di non avere carichi pendenti 2) di non aver ricevuto avvisi di garanzia 3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non avere a mio carico procedimenti in corso" . E quando vinse le elezioni tentò di avere come ministro dell'Interno il pm simbolo di Mani Pulite, Di Pietro, mentre La Russa offriva al pm Davigo il ministero della Giustizia. Poi è emersa tutta un'altra foto di gruppo. I casi sono tre: o è sfortunato nelle amicizie; o porta una sfiga boia ai suoi amici; o i personaggi "discutibili" li attira come la carta moschicida, perché le somigliano, o perché vorrebbero somigliarle, o perché lei dà il cattivo esempio. Mai pensato di aver sbagliato nella scelta dei suoi uomini? E, se sì, perché non ha mai chiesto scusa? Ecco, sono 20 anni che aspetto di intervistarla su ciò che diceva e faceva. Ma ora non mi viene nemmeno una domanda. Perché la cosa più grave non è quel che ha detto e fatto in questi 20 anni: ma quel che non ha detto e fatto, o non ha potuto dire e fare. Poteva chiedere la verità sulle stragi politico-mafiose, o forse non poteva. Poteva, o forse non poteva dire alla gente che le tasse sono alte non perché lo Stato le mette le mani in tasca, ma perché molti non le pagano e invece bisogna pagarle tutti; e chi non le paga non è un furbo da invidiare e condonare, ma un ladro da punire e detestare, perché deruba i tanti onesti che le pagano. O forse non poteva. Poteva dire che chi paga e chi prende tangenti non va candidato, va isolato e punito perché ci ruba 60 miliardi all'anno. O forse non poteva. Poteva dire che la mafia va combattuta, e per sconfiggerla non si devono chiedere voti ai mafiosi, e tantomeno accettarli. O forse non poteva. Poteva dire agli italiani che le leggi e la Costituzione vanno rispettate, non cambiate a proprio uso e consumo. O forse non poteva. Pensi, se l'avesse fatto, come sarebbe bella, onesta, pulita e ricca oggi l'Italia. Invece abbiamo perso 20 anni: lei ha speso tutte le sue energie, la sua potenza mediatica e la sua influenza sulla gente a combattere non le mafie, l'evasione e la corruzione, ma chi combatteva le mafie, l'evasione e la corruzione. Se non avessimo perso questi vent'anni e tutti quei miliardi, sa oggi quante Imu potremmo togliere sulla prima casa, e anche sulla seconda e sulla terza? Se proviamo a fare il calcolo, ci verrà da piangere. A me, a tutti, e forse persino a lei.

mercoledì 9 gennaio 2013

Controinformazione militante del ghigno.

dal blog di Beppe Grillo.

domenica 6 gennaio 2013

Freccero analizza la massoneria digitale e mediatica.

Intervista di Maurizio Caverzan, da dagospia.
Alle radici del montismo. Il giudizio di Carlo Freccero, direttore di Rai4, studioso di comunicazione e massimo esperto italiano di Guy Debord, è drastico: «Monti è il prototipo del pensiero unico economico». Ieri rispondendo alla community di Twitter, dopo aver superato i centomila follower, Monti ha cinguettato: «Wow». Che effetto le fa? «Non sono sorpreso. Sul sito Peragendamonti.it ho scoperto una sorta di gioco di ruolo dei suoi sostenitori. Chi vuole contribuire alla nascita della Terza Repubblica si iscrive al sito e diventa subito un Testimone. Dopo la prima proposta si è già Artefici, di seguito si può diventare Alfieri e Portabandiera». Questa specie di gioco di ruolo che cosa significa? «È coerente con l'homo oeconomicus Mario Monti. Con il suo modo di usare i new media per manifestare efficienza e contemporaneità. È una forma di massoneria digitale». Si ha la sensazione che più va in televisione, più perda autorevolezza. È così? «Concordo. Monti è stato bravissimo a parlare ex cathedra. Gli va dato il merito di aver svelato quello che tutti in fondo sapevano. Cioè che la politica conta meno dell'economia. Come il chirurgo che, dopo le esibizioni dei clown in corsia, viene a dirti che per te non c'è più niente da fare, lui può dirlo in maniera spietata perché ha dalla sua parte la forza della scienza». Non è apprezzabile realismo? «Le sue espressioni "tagliare le ali" e "silenziare le opposizioni" sono invece l'enunciazione del pensiero unico. Ma siamo di fronte a un paradosso: che la crisi in cui ci troviamo deriva da quella stessa economia a cui dovremmo consegnarci senza possibilità di critica per risolvere i problemi della società». Smesso il loden spunta la scocca del robot? «Spunta l'élite. Lui continua a essere professore. Non vuole scendere nella logica della comunicazione televisiva. Ha ribrezzo e conserva una distanza aristocratica da tutti gli altri». La gaffe su Brunetta che cosa manifesta? «Lo prende in giro per la sua statura fisica. Ma soprattutto per la sua bassa statura accademica, perché non è della Bocconi. È un'uscita doppiamente razzista che gli costerà l'odio viscerale del mondo accademico statale». Mostra allergia verso la stampa. Anche su Twitter ha trascurato le domande dei giornalisti. «È una deformazione professionale, ritiene tutti suoi scolari, suoi uditori. Come se dicesse: imparate gente». Ha coniato l'espressione «salire in politica» per cambiare le regole. Si propone come pioniere. «Contrappone al capitale economico di Berlusconi il suo capitale tecnocratico, culturale, specialistico». Cosa dice del cognome che domina nel simbolo della sua lista? «Monti ha avuto il merito di squarciare il velo della politica-spettacolo, di irrompere in uno scenario per certi versi grottesco, per affermare l'inutilità della politica rispetto alle necessità dell'economia. Se le regole dell'economia sono "naturali" e non evitabili e la politica è abolita, l'agenda è il verbo del pensiero unico». Messo così ha un carattere messianico... «In questa concezione non dovrebbero nemmeno esserci le elezioni, perché destra e sinistra non esistono più». Berlusconi e Monti, che non poggiano su partiti tradizionali, si rincorrono in tv. Chi vincerà? «Il berlusconismo rappresenta una forma di spettacolo che è stato interrotto dall'irruzione del Professore bocconiano. Per ricomporre questa frattura è necessaria una quantità, una massa che renda il vecchio discorso di Berlusconi di nuovo accettabile e consueto. Per questo Berlusconi inflaziona la sua immagine televisiva. E sempre per questo dopo la sua ridiscesa in campo ha tentato di prendere tempo. La sua crescita nei consensi è legata alla capacità di riportare alla normalità la paradossalità dei suoi discorsi. Come, per esempio, quando sostiene di non aver mai detto che Ruby era la nipote di Mubarak». A differenza di Monti, scaldando il pubblico Berlusconi provoca più fascinazione? «Da tempo Berlusconi è l'unico che irride la miseria della politica. Come attore professionista si presenta in scena già truccato per la parte. Ha indossato ogni sorta di copricapi: bandane, colbacchi, oggi il Borsalino. Situazionisticamente sembra suggerire: la politica è spettacolo. In questo modo spoglia di sacralità lo scenario montiano». Come se l'aspetta la puntata di Servizio Pubblico con il Cavaliere ospite di Santoro? «Storica, un evento. Ma ci sarà?». Bersani va poco in tv: scelta giusta o sbagliata? «Con le primarie è arrivato il suo turno per dimostrarsi affidabile e serio, ma Monti gli ha rubato la scena. Contemporaneamente Monti ha fatto l'errore di salire in campo, di porsi ad armi pari nell'arena, di dire cose antipatiche e poco politicamente corrette. Oggi Bersani ha un vantaggio e, a differenza di tutti gli altri candidati, si concede allo spettacolo della televisione con molta parsimonia».

giovedì 3 gennaio 2013

La lezione di Don Gallo.

Il futuro? Lo preparano le banche .Ma noi alziamo la testa.
di DON ANDREA GALLO*, da il manifesto. Non è scandalosa la "teoria" di chi si ostina a vedere nel profitto l'unica molla creativa, Ma perché si è permesso la concentrazione del potere economico nelle mani bramose di pochi grandi colossi mondiali? Ho visto gioiosamente nascere la democrazia nel 1945, con la mia Brigata Partigiana, comandata da mio fratello, ex tenente del Genio Pontieri, sopravvissuto alla tragica campagna di Russia, a diciassette anni di età. Diventato vecchio - 84 anni e mezzo - devo vederla vergognosamente morire? Ho riflettuto a lungo sulla crisi economica finanziaria che stiamo attraversando. Non è scandalosa la "teoria" di chi si ostina a vedere nel profitto l'unica molla creativa, innovativa del progresso, quale sia la destinazione degli investimenti? Perché si è permesso la concentrazione del potere economico nelle mani bramose di pochi grandi colossi mondiali? Lasciamo le storielle dei complotti. Semplicemente siamo giunti al momento più vittorioso dell'economia vecchia di ottanta anni. Siamo al passaggio del capitalismo di un tipo ad un capitalismo d'altro tipo. Altro che parlare di crisi! Abbiamo dimenticato nel '47 Von Hayek, Friedman e la Scuola di Chicago? Dopo la IIa guerra mondiale si adottò la ricetta keynesiana e il mondo veniva ricostruito. La crisi attuale è la vittoria degli ultraliberisti con l'assenza di un'alternativa ritenuta valida, la debolezza della politica occidentale, la scomparsa dei valori di civiltà, hanno fatto il resto. I ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, disse Paolo VI in un mirabile discorso all'Onu. C'è una evoluzione in atto, non una generica crisi. Irrompe un cambiamento della stessa portata della nascita delle banche nel XVII° secolo. Gli economisti e gli statisti attuali ne sono imbevuti e, rivestendo posti di responsabilità, la applicano senza scrupoli. Un mercato, un potere economico. Lo dice Stiglitz, Nobel per l'economia, «il mercato e il potere finanziario creano armi di distruzione di massa». Questa logica liberista è propugnata dalle banche.Tra le più potenti, la Goldman Sachs americana. Gli economisti italiani (Draghi, Monti e soci) sono composti chierichetti di questo neoliberalismo, in una blindata cattedrale del Dio Denaro. La Goldman Sachs è una delle più importanti banche internazionali che agisce sui mercati adottando questa perversa logica capitalista. Non ha un «volto umano». Una persona onesta non può più accettare un sistema di apartheid mondiale, dove il 20 per cento della popolazione mondiale consuma l'80 per cento delle risorse; e dove si spendono 3 milioni di dollari in armamenti e ma in un minuto muoiono di fame dieci bambini. Si vuole costruire un'alternativa? Sempre più numerosi i giovani europei che hanno perso la fiducia nel futuro. Scoraggiati, inattivi. Sia chiaro: è un processo molto impegnativo, lungo e complesso. La colpa di questa colossale truffa delle banche è stata addossata al debito pubblico per imporre austerità e conseguente perdita del patrimonio pubblico. Il 2 marzo 2012, 25 dei 27 capi di stato della Ue hanno firmato il fiscal compact. Diventano permanenti i piani di austerità, una serie di tagli a stipendi, pensioni, il diritto e la dignità del lavoro e la privatizzazione dei beni comuni. Il potere economico ha imposto Draghi, governatore della Bce, già vicepresidente della Goldman Sachs. E un sorprendente senatore a vita, Monti, capo di un governo"tecnico". Il presidente del consiglio, sostenuto da Pdl, Terzo Polo e Pd, è stato consulente della stessa banca americana e ora consulente anche della Coca Cola e nei cda delle Generali e della Fiat. E i ministri dove sono stati precettati? Passera, Ad di Intesa San Paolo; Fornero : vicepresidente Intesa San Paolo; Gnudi, amministratore Unicredit Group; Giarda, vicedirettore della Banca Popolare e amministratore Pirelli. È forse un governo tecnico per il bene dell'Italia o una dittature delle banche, salvate da parecchi miliardi in America e in Europa? In una crisi nata nelle banche e mascherata dal debito pubblico. In nome della Costituzione, non possiamo accettare la macchina infernale del patto fiscale, né la ratifica di un parlamento servile, né la modifica costituzionale della art. 81 perché a pagare tutte le spese è chiamato solo il mondo del lavoro e le piccole imprese. Constato dolorosamente l'appoggio e l'elogio solenne del Vaticano e della Cei all'Agenda Monti. E allora dico: alziamo la testa. Abbiamo di nuovo l'Uomo della Provvidenza? Il paese a pezzi va alle urne in una confusione generale. L'Agenda Monti è al centro e si è messa al comando delle operazioni col sostegno della Confindustria e del Vaticano e delle forti cancellerie occidentali. Come agiscono le altre forze politiche, l'Agenda Grillo, Ingroia, Berlusconi e Bersani? Chi saprà tracciare piste di riflessione e conseguenti azioni? Il debito publico è un dogma? I nostri padri costituenti erano stati capaci di unità delle varie matrici ideali per mettere fine al fascismo ed edificare una Italia democratica. A mio avviso, oggi, nessuno ci riesce. È scomparsa la cultura del bene comune come priorità assoluta. Il singolo si agita, si organizza, per diventare "protagonista" e si sforza di condividere un gesto collettivo. «Osare la speranza nella democrazia» era il motto della mia Brigata Partigiana. Non voglio arrendermi. Con la sinistra sociale politica, i sindacati, la Fiom, sono ancora impegnato per traghettare il popolo italiano dalla solidarietà assistenziale ad una solidarietà liberatrice, strutturale, nei diritti di tutti.Continuo a lottare in direzione ostinata e contraria. Il Pd e Sel, con il grande evento delle primarie, hanno lanciato un segnale positivo: non dettare agende ma dare spazio ai "protagonisti", partendo dal basso e mettendoci in rete a livello italiano ed europeo, per vedere fiorire il nuovo. È indispensabile rischiare. Il programma sia trasparente, anticipatore, progettuale. Solo così potremo ancora una volta, con tanta sofferenza, con i nostri dubbi, tentare di sradicare nelle nuove e nuovissime generazioni, l'assenza di futuro. *fondatore della comunità San Benedetto al Porto di Genova

martedì 1 gennaio 2013

DAGOANALISI.MA MANCA GRILLO.

DAGOANALISI L'Anno (politico) che sta per finire si porta via uno dei peggiori governi della nostra storia repubblicana. E a febbraio, con il ritorno degli italiani alle urne, va a conclusione una legislatura anch'essa da dimenticare. L'Anno (nero) del governo Monti ci lascia invece un debito pubblico record che sembra non far notizia in Europa: 2 miliardi di euro (126% del Pil), con buona pace dei vari Giavazzi, Alesina e Bragantini che ancora crocifiggono la politica delle mani bucate dei governi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani). Ai tempi tutelati d'allora ex Governatore di Bankitalia, Ciampi; una cassa integrazione che ha superato il miliardo di ore annuo; una pressione fiscale in crescita, dal 42,5% al 45,3 nel 2013, che non molla la presa sulle tasche degli italiani sempre più poveri. E ancora: un balzello sulla casa (Imu) che colpirà, pro capite, il 31% del reddito delle famiglie; tagli alle pensioni per 30 miliardi; il dramma degli esodati, l'esercito dei lavoratori rimasto nel guado grazie alla Fornero: senza lavoro e senza pensione; crescita e sviluppo zero tanto da meritarci la maglia nera in Europa. E, per finire, una situazione industriale spaventosa, con Fiat, Finmeccanica, Ilva, Alitalia abbandonate al loro inesorabile declino. Dal Banana Berlusconi a Rigor Mortis il bilancio di questi cinque anni (tutto in nero) è a dir poco drammatico. Nell'aprile 2013 terminerà anche il settennato di Giorgio Napolitano, che a pochi passi dal traguardo è stato beffato dal suo gregario preferito, Mario Monti. Il professore, a dispetto dell'inquilino del Quirinale, ha deciso di scendere nell'agone elettorale offrendo la sua agenda miracolosa ai resti della gloriosa ex Democrazia cristiana. Ora raccogliticcia nel "centrino" di Pierfurby Casini in cui si sono infilati Luca Monteprezzemolo e don Andrea Riccardi, che nell'impresa ha finito per compromettere la storica "neutralità" della Comunità di Sant'Egidio. Una sconfitta cocente, dunque, per Bella Napoli, il tradimento di Monti. Ma sull'infortunio (grave) del novello Dorando Pietri del Colle non c'è traccia sui giornaloni. Tutti schierati con Monti e contro i propri lettori. Costretti in fila, ricchi e poveri, a pagare l'Imu; l'odiosa tassa pure sulla prima casa imposta dal governo dei tecnici-asini. Lo schiaffo vibrato da Mario Monti al capo dello Stato (ri)porta d'attualità quanto rivelato a suo tempo da Dagospia (quasi in solitudine): i veri Padroni (o padrini) del Professore sono altri, fuori dalle nostre istituzioni. Non lo è stato neppure il suo rispettabile cresimando (politico) del Quirinale il quale, anche lui illuso, l'aveva generosamente nominato prima senatore a vita e poi lanciato verso palazzo Chigi. Designandolo in pectore anche suo possibile successore al Colle più alto. Il che rivela (a chi non aveva occhi per vedere allora), che dopo le dimissioni del premier - senza sfiducia alle Camere -, come in Italia ci sia stato un ulteriore "decadimento dei poteri dello Stato(...) al di là dei nefasti effetti della depressione economica" (Guido Rossi). Sulle pagine del "Sole 24 Ore", l'ex presidente della Consob, cita pure Max Weber per indicare l'"eterocefalìa" in cui sarebbe precipitato il Bel Paese. Un fenomeno "rappresentato dal trasferimento della sovranità all'esterno dello Stato". Il prof. Guido Rossi cita alcuni esempi evidenti per rafforzare la sua presa di posizione: 1. la lettera-programma inviata dalla Bce a Silvio Berlusconi il 5 agosto 2011 "che poi ha costituito nei minimi dettagli - osserva ancora Rossi - il preciso programma di Mario Monti, giustificato dallo slogan è l'Europa che ce lo chiede"; 2. la richiesta, sempre della Bce, di mettere mano alla riforma costituzionale per rendere stringenti le regole di bilanci, prontamente fatta approvare dal governo Monti "senza alcuna discussione sul merito". Insomma se l'Europa ordina, Rigor Mortis obbedisce, si adegua e si allinea (soprattutto per assicurarsi un futuro politico). Così, non è un caso che l'altro giorno, in una sacrestia messa a disposizione dal Vaticano (esentato in parte dall'Imu!), nell'assordante silenzio critico dei media abbia visto la luce il partito-lobby di Rigor Mortis. Dopo la litania delle esecrazioni che aveva accompagnato la fondazione del partito-azienda da parte del Cavaliere, stavolta il parto montiano è indolore per i nostri commentatori (distratti). Un partito-lobby che ai primi vagiti si è dotato di una balia asciutta. Un capo del personale o cacciatore di teste, nella figura davvero emblematica dell'ex manager Parmalat, Enrico Bondi. Sarà proprio lui, l'uomo della spendig review (altrui) nel gabinetto Monti, e non i militanti (o quel resta dei partiti), a selezionare i candidati per il nuovo parlamento. I futuri inquilini di Camera e Senato saranno così eletti con il solito Porcellum. Una legge-porcata rimasta in vita nonostante i forti richiami del Colle per una dignitosa modifica del nostro sistema di voto. Il premier Monti, però, si è ben guardato dal seguire i moniti del Quirinale e sollecitare anche dalla sponda governo una riforma dovuta e necessaria. Magari minacciando le dimissioni con un atto forte davvero degasperiano. Al professore, in realtà, interessava soltanto far approvare il provvedimento costituzionale sul bilancio dello Stato, come gli era stato "ordinato" dai sui Capataz europei. Così, ancora una volta, si arriverà eletti alle Camere per nomina regia e su indicazione da parte dei vari Capi Tribù dei partiti. Fa eccezione, almeno, in parte, il Pd di Bersani che ha indetto le primarie. Nessuno dei politologi "alle vongole" a libro paga dei Poteri marci sembra però scandalizzarsi del nefasto evento, la nascita del partito-lobby con un candidato premier mascherato dietro le quinte. E tra questi professorini "a la carte" non sembra destare alcun scandalo (pseudo-istituzionale) se, dopo tante discussioni (o scemenze) sul bipolarismo "all'italiana", con la possibilità agli elettori di scegliersi il futuro premier, Mario Monti abbia scelto, invece - seguendo l'insegnamento di Lao-Tse -, di non guidare i suoi alle urne, ma di camminare alle loro spalle. Tant'è. A fine febbraio, al momento di conteggiare i voti, invece della governabilità pretesa dall'Europa e promessa dal suo lacchè Monti, l'Italia elettorale sarà spaccata molto probabilmente in tre blocchi: sinistra-centro (Pd e alleati), centro (Monti-Casini-Montezemolo) e destra-centro (Berlusconi-Lega). Uno scenario d'incertezza che dopo la "rinuncia" di Monti a essere super partes dei giochi politici lascia aperto ogni interrogativo su chi guiderà il futuro governo. E per il Quirinale avanza la candidatura di Giuliano Amato... Già, meglio un politico capace magari di affrancarsi alle lobbies, che un lacchè dell'Europa a tempo pieno (Monti). E diffidare sempre dei "tecnici", che da oltre vent'anni guidano la nostra politica economica-finanziaria. Sosteneva, a proposito dei tecnici lo scrittore francese Marcel Pagnol: "Cominciano con le macchine da cucire e finiscono per costruire la bomba atomica".