sabato 31 agosto 2013

La migliore definizione dei vertici PD.

"destrorsi di sinistra con il portafogli a destra."
"destrorsi di sinistra con il portafogli a destra."

NOT IN MY NAME.

NON IN MIO NOME Di Silvestro Montanaro, da FB.
L'esercito "amico" in Egitto travolge una nascente democrazia, arresta un presidente legittimo, imprigiona e tortura i leader dell'opposizione, spara sui manifestanti, uomini, donne e bambini, e ne uccide migliaia. Obama, Hollande, Cameroun balbettano, addirittura cincischiano sulla realta' di un colpo di stato sanguinoso e sanguinario. In Siria si arma, sul modello libico, una guerra civile. Si tratta di indebolire l'Iran e gli Herzbollah libanesi, fare un favore a sauditi ed israeliani, assicurarsi un anello vitale della scacchiera mediorientale. Servizi segreti e squadre speciali preparano il terreno, vengono arruolati migliaia di "volontari" tra Libia, Qatar e paesi limitrofi, li si rifornisce di armi e si provoca una strage ed un orrore infiniti. In nome della democrazia. Tra i rivoltosi, tanta gente esasperata dal regime di Assad. Tra i rivoltosi, migliaia di criminali ed assassini, capaci di tutto. Ho visto preti sgozzati come capretti, poveri camionisti dalla faccia spaventata trucidati per il solo torto di passare in un'area cotrollata dai ribelli. Ho visto i loro capi mangiare il cuore dei prigionieri dopo averglielo strappato a coltellate dal petto. Ho visto la propaganda mostrar morti che poco dopo "resuscitavano". Blogger siriani testimonial dei diritti umani violati in quel paese che invece erano texani sulla busta paga della Cia. Ho visto e vedo il dolore di milioni di profughi, il loro terrore. Ed ho visto che in questi ultimi giorni l'esercito siriano mieteva vittorie su vittorie. Obama, Hollande e Cameroun che di questa tragedia portano la responsabilita' insieme ai sauditi e ai qatarini, ora pensano a una serie di bombardamenti mirati. Si tratta di vendicare l'onore della comunita' internazionale offeso dall'uso di gas contro la popolazione. Ad oggi,pero', nessuno sa con certezza se ad usare quei gas sia stato l'esercito di Assad o i ribelli. Ma questo ai potenti della Terra non importa. Nessuno di loro vuole una soluzione politica per questo poveroe martoriato paese. Hanno gia' deciso, avevano gia' deciso. Altro orrore e distruzione solo per favorire i "ribelli" in rotta. E cosi' prolungare una guerra civile insensata. In nome dei loro inconfessabili interessi. La democrazia non si esporta. E la democrazia non puo' essere lo scudo dietro il quale si fanno affari geopolitici miserabili. Non in mio nome! S. Montanaro.

IL CREPUSCOLO DEL GANGSTER.

Berlusconi e gli ultimi fuochi della Repubblica di Arcore-Salò. di Andrea Scanzi | 31 agosto 2013, da Il Fatto Quotidiano.
Come ha scritto Peter Gomez nel suo post, di colpo Berlusconi ha capito che forse stavolta non lo salveranno. Lo ha capito quando Napolitano, per una volta, non gli ha lasciato appigli, scegliendo 4 senatori a vita totalmente diversi da lui (e il quinto ci sarebbe già: Mario Monti). Quei quattro senatori dicono che Napolitano non lo salverà e che – dopo avere probabilmente ipotizzato una ennesima exit strategy – sta ora tramando per un Letta bis, magari con qualche transfuga al Senato dl centrodestra e 5 Stelle (tipo Orellana). Berlusconi alza la voce perché sa che non ci sono più molte speranze. Grida ultimatum, ma non è più il più forte: non adesso, almeno. Stiamo assistendo a una sorta di crepuscolo del gangster, di autunno caricaturale del patriarca: gli ultimi fuochi della Repubblica di Arcore-Salò. Sarà un autunno caldo. Ci divertiremo, perché vedere l’agonia del peggiore centrodestra del mondo è oltremodo ameno (prendete i popcorn). Ma dovremo anche stare attenti, molto attenti, perché i colpi bassi si sprecheranno e varrà tutto. Anzitutto la scorrettezza, la menzogna, il delirio. Tutte armi di distrazioni di massa che, a tanti italiani, notoriamente piacciono assai. Vamos. Forse.

venerdì 30 agosto 2013

LA NUOVA FASE DEL CAPITALISMO FINANZIARIO.

Giulietto Chiesa: finito il consenso, useranno il terrore.
Democrazia e libertà civili furono gli strumenti culturali e istituzionali indispensabili per la costruzione del consenso. Il loro esercizio soddisfacente permise di controllare e conquistare non solo i ceti intermedi che venivano consolidandosi, ma anche settori decisivi delle classi lavoratrici. Il “welfare state” fu l’arma economica con cui le classi dominanti dell’Occidente si assicurarono il superamento indolore del “turning point” previsto da Karl Marx. Il risultato fu raggiunto. A fatica, certo, e attraverso lotte durissime, poiché le forze lavoratrici si erano nel frattempo dotate di strumenti di difesa: partiti, sindacati, società civile organizzata. La storia del XX secolo è stata, in Occidente, un continuo alternarsi di offensive e controffensive delle due classi principali. Quando la bilancia delle forze si spostò dalla parte dei subordinati, e per il Potere il pericolo divenne concreto, esso ricorse senza esitazione alla forza, al sangue, alla violenza. Per menzionare solo due esempi illuminanti, dei molti che potremmo scegliere: il rovesciamento di Salvador Allende in Cile, con un colpo di Stato direttamente sponsorizzato dal governo degli Stati Uniti, e la strategia della tensione in Italia, culminata con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Anche quest’ultimo guidato da oltreoceano, con la partecipazione dei servizi segreti italiani e delle frange eversive della destra estrema. Se in Cile non ci furono dubbi sui reali autori dell’operazione (ma ci volle del tempo perché perfino Henry Kissinger ammettesse pubblicamente il proprio ruolo diretto), ancora adesso gran parte dell’opinione pubblica italiana pensa che furono le Brigate Rosse ad “attentare allo Stato”. Non sa, e non può sapere (perché la storia dell’eversione e dello stragismo le è stata raccontata dagli uomini della P2 e dai loro amici, alleati, sodali e servi), che le Brigate Rosse furono solo lo strumento, l’arma che permise al potere imperiale di mettere fuori gioco il più forte partito comunista dell’Occidente, e di scongiurare il pericolo che un regime democratico, con il partito comunista quale sua componente, si affacciasse nella parte “sbagliata” della divisione dell’Europa creata a Yalta. Esempio da manuale di come i detentori del potere informativo-comunicativo abbiano potuto usare anche le bandiere (rosse) del nemico, per combatterlo. Le Brigate Rosse, certo, sono esistite. Furono un frammento degenerativo, patologico, infantile, delle istanze di liberazione. E, proprio, per questo, divennero lo strumento della più grande “diversione” organizzata nel mondo occidentale per “fermare il comunismo”. Di tutto questo la gente non sa, e non può sapere, perché le è stata raccontata un’altra storia. La cosa straordinaria è che anche una parte della sinistra di allora credette a questa storia. E, per gli stessi identici motivi di subalternità culturale, tutta intera la sinistra, italiana ed europea, non ha saputo cogliere il significato strategico di quell’altra “operazione sotto falsa bandiera” che fu attuata l’11 settembre del 2001 con l’attacco alle Twin Towers di New York e al Pentagono. Torniamo dunque, ancora una volta, alla questione della Grande Fabbrica dei Sogni e delle Menzogne, che ha prodotto lo spettacolo necessario per stemperare e parare, deviandoli, gli obiettivi di trasformazione sociale; per oscurare, marginalizzare, ridicolizzare la critica al sistema; per produrre il “rumore di fondo” sufficiente a impedire l’ascolto di altre voci; per catturare, infine, corrompendoli, i capi della resistenza, secondo il principio che è più economico e sicuro comprare un generale nemico che vincerlo in battaglia. Sul versante della legittimazione formale del sistema, l’efficacia dell’azione deviante fu ancora più clamorosa. I sistemi democratici “liberali” vennero modificati, resi tecnicamente sempre più complicati e non maneggiabili dai cittadini. Con lungimirante intelligenza, nello stesso tempo, una parte del controllo fu concessa ai rappresentanti delle classi medie e delle aristocrazie operaie. Il cambio dei sistemi elettorali in nome della “governabilità” consentì la graduale espropriazione della sovranità popolare da parte di oligarchie partitiche sempre più impermeabili a ogni controllo. Per operare questi cambiamenti in modo relativamente indisturbato, enormi risorse vennero destinate, come s’è detto, alla formazione e alla retribuzione dei mediatori del consenso. Cioè le coorti di politici, giornalisti, manager, pubblicitari che furono piazzati nelle trincee della comunicazione: quelli che oggi vengono giustamente definiti i “gatekeepers”, quelli che controllano la porta d’ingresso dell’informazione-comunicazione. La lotta di classe è stata combattuta e vinta dal Potere in questo modo. senza quell’esercito di mediatori, tutti apparentemente disarmati, il punto di ebollizione sociale si sarebbe pericolosamente ripresentato. La spesa per sostenerlo, formarlo e pagarlo divenne, gradualmente ma sistematicamente, parte integrante – e principale – del calcolo economico necessario alla riproduzione del sistema. Questi processi, questo misto di repressione, consenso, democrazia, ebbero andamenti differenziati nei singoli paesi dell’Occidente. Ciascuno procedette secondo i suoi ritmi e i suoi compromessi. Si definì un modello europeo, assai più morbido, e un modello americano, assai più feroce. Negli Stati Uniti, pr esempio, le classi padronali usarono la forza per assoggettare i sindacati con molto anticipo e con molta più durezza che in Europa, dove la via del consenso fu e restò prevalente. Ma gli stessi percorsi furono analoghi dovunque, in maggiore o minore misura. Al di sotto di questo panorama agivano comunque i fattori strutturali che Marx aveva ben previsto: essenzialmente la caduta tendenziale del saggio di profitto e la correlata e ondulatoria serie delle crisi di sovrapproduzione. Furono necessarie due guerre mondiali, con il loro carico di morte, per impedire che l’innalzamento della temperatura del corpo sociale giungesse a livelli pericolosi per le classi dominanti. E’ in questo snodo che nasce la “società dello spettacolo”. Che fu il luogo di convergenza tra le nuove tecnologie della comunicazione-informazione e l’impellente necessità del sistema di impedire lo scontro tra le classi sociali. Le crisi cicliche dell’Occidente continuarono a ripresentarsi, ma la sovrapproduzione venne rinviata con la creazione di una massa di merci sempre nuove, sempre più differenziate, sempre più a vita breve, il cui acquisto venne imposto alle grandi masse (non solo dell’Occidente) mediante un micidiale bombardamento pubblicitario. Questa fu la crescita, che apparve come infinita. Tutti ci credettero, e tuttora ci credono. Il fatto nuovo, come abbiamo già detto, è l’apparizione dei “limiti”. Che ha posto un ostacolo fisicamente invalicabile a quel sistema di “dilazione”. Al suo posto – ed è la cronaca degli ultimi quarant’anni – ne venne inventato un altro: la finanziarizzazione, che ha permesso di staccare la produzione fondamentale di ricchezza dalla produzione di merci. Il XXI secolo ha visto la luce in questo contesto. L’11 settembre 2001 è stato il primo tentativo di correzione della rotta attraverso la violenza politica sul mondo intero. (Giulietto Chiesa, estratti dal capitolo “Matrix” del libro “Invece della Catastrofe”, Piemme, 290 pagine, euro 17,50).

sabato 24 agosto 2013

Il cainano vuol far saltare il tavolo.

Il punto fermo. ALBERTO ASOR ROSA, il manifesto. 23.08.2013.
Insisto: conviene in questo momento, anzi bisogna, tenere ben separate la sfera dell'applicazione e difesa della legalità repubblicana dalla sfera delle opportunità politiche, vulgo sopravvivenza o meno del "governo delle larghe intese". Le due sfere non sono reciprocamente comunicanti: chi lavora per metterle in relazione, bilanciare, equilibrare, spossare, depotenziare, lavora per il Re di Prussia, ossia contro l'Italia. La prima sfera viene oggi decisamente al primo posto, sia cronologicamente che logicamente, e va affrontata e risolta nella propria assoluta autonomia di competenze e di giudizio. Anche qui possono esserci, e di fatto ci sono, contrapposizioni e abili sfumature di giudizio, forse più pericolose delle prime. Tutto dipende dalla valutazione etico-politica che ognuno dà dei fenomeni che sono alla base dell'attuale dibattito. Noi ci sentiamo profondamente diversi (davvero un'altra Italia) da coloro che per anni non hanno imparato a considerare Berlusconi e il berlusconismo come un vero e proprio cancro che ha divorato in Italia le basi del diritto, la funzione e le prerogative della giustizia, la base morale del far politica, e ha avallato in ogni campo le strategie dell'avventurismo e del privatismo più sfrenato. Se si vuole salvare la salute futura di un sistema di valori, democratico, repubblicano, costituzionale, messo in piedi dal sacrificio dei nostri padri, occorre mettere un punto fermo: anzi, dico io, il punto fermo. Per ottenere questo, oltre tutto, la strada è assai semplice: basta che ognuno faccia la sua parte, nella distribuzione dei ruoli che l'assetto istituzionale prevede: assicurare la decadenza; sanzionare la ineleggibilità; nessuna grazia a posteriori, neanche di tipo semplicemente risarcitorio o consolatorio; garantire l'esecuzione della pena nelle forme previste dalla legge. E, per favore, ci sia risparmiata almeno questa volta la farsa penosa di un ricorso dilatorio (infondato e inutile) alla Consulta, che svelerebbe, forse ancor più drasticamente di quanto non farebbe una qualche forma di "assoluzione", di quale pasta sia fatto il cosiddetto tessuto politico italiano. Dopo aver detto "sì" per vent'anni o, ancor più frequentemente, "nì", - vero simbolo del malcostume nazionale, - si decida per favore di dire con chiarezza "no": non si può discutere; non si può accettare; non si può fare. L'"agibilità politica" è una nozione che lo Stato di diritto ignora. Infatti: o c'è, perché le condizioni, giuridiche e politiche dell'interessato, la consentono; o, se le condizioni, giuridiche e politiche dell'interessato, non la consentono, non c'è. Non può essere reinventata a posteriori, sulla base del principio, in ogni caso molto dubbio, che il consenso popolare sottrae al controllo e ai rigori della legge. Un'Italia in risalita, non solo nei mercati e nello spread, ma come tono pubblico generale, civiltà del confronto, libertà del pensiero e, se mi è consentita la parola forte, dignità nazionale (troppe volte evocata solo per lasciarla trascinare nel fango), può partire solo dal punto fermo che ipotizziamo. L'occasione ce l'ha offerta anche questa volta la magistratura; ma spetta ai politici e alle istituzioni di portarla rapidamente fino in fondo. Non sarà facile, anche restando dentro ilimiti rigorosamente fissati dalla "semplice" applicazione delle leggi (come io ipotizzo). Siccome la battaglia è decisiva, - e questo lo sa bene anche il principale protagonista della faccenda, - tutti i mezzi verranno usati, dal rovesciamento dell'attuale governo (esempio supremo di confusione delle sfere) a intraprese anche più dure. Sotto la scorza mediatico-plutocratica emergerà più chiaramente in questa fase finale il caudillo potenzialmente eversore. Verrà evocata senza mezzi termini la guerra civile; ne saranno messe in opera concretamente le premesse, magari attraverso l'alleanza con altre forse eversive incistate ormai da anni nel degradato sistema italiano. Per fare fronte allo scarto d'irrazionale che s'introduce qualche volta e poi permane a tratti nella storia, l'esperienza insegna che l'unico strumento adatto alla bisogna, - si pensi al Novecento, - è l'assoluta fermezza: l'eloquente dimostrazione, fin dal primo momento, fin dalle prime battute, che l'eversione, il rovesciamento delle parti, lo stupido arrangiamento, il compromesso che posticipa al passaggio successivo l'inevitabile catastrofe, non hanno neanche una minima possibilità di fare il primo passo avanti. Ci si aspetta perciò che, all'adozione della linea giusta, - il rispetto e la difesa della legalità repubblicana a tutti i costi, - segua al tempo stesso tutta la fermezza necessaria a portarla fino in fondo (anni fa evocai i carabinieri come forza utile/necessaria a render efficacemente praticabile lo scioglimento positivo di una situazione del genere, e fui subissato dalle indignate reazioni dei media: chissà se mi accadrebbe la medesima cosa, se ripetessi oggi il suggerimento e l'appello, in presenza delle occasioni di cui stiamo parlando). Se il processo, andando per questo verso, producesse tutte le sue possibili conseguenze, forse uno spiraglio di luce si aprirebbe nell'annuvolato, anzi torbido e tempestoso cielo italiano. Che dire del possibile ritrovamento, imboccando questa strada, nel nostro paese di una prospettiva politico-istituzionale, in cui le forze politiche rappresentassero limpidamente grandi interessi sociali collettivi, diversi e/o contrapposti, e non quelli, privatistici e assolutistici, e per giunta le innominabili magagne, di un Capo proprietario? L'Italia ne ha passate tante, uscendone ogni volta solo quando ha ritrovato le ragioni profonde, autentiche, del proprio essere nazione civile, coesa intorno all'unico verbo che fa unione: l'onestà dei propositi, dei comportamenti e degli obbiettivi. Prima di parlar d'altro, parliamo di questo. Questo è il punto.

giovedì 22 agosto 2013

Per Lipovetsky, il capitalismo si fa artista.

Per il sociologo Gilles Lipovetsky “oggi, il vettore dell’estetizzazione del mondo non è più l’arte, ma il consumo” - “E’ venuta meno la tradizionale opposizione tra arte e mercato” - “La democratizzazione dell’arte è una realtà” - Ma “il mondo non è diventato più bello e la gente non è più felice…” Fabio Gambaro per La Repubblica.
«Oggi, il vettore dell'estetizzazione del mondo non è più l'arte, ma il consumo». Per Gilles Lipovetsky, il trionfo del «capitalismo artista», che ha fatto dell'estetica uno strumento essenziale della propria espansione, sta trasformando radicalmente la società e la percezione stessa dell'arte. Per descrivere e analizzare questo fenomeno che ogni giorno interagisce con le nostre vite, il celebre sociologo francese ha scritto, insieme a Jean Serroy, un vasto saggio intitolato L'esthétisation du monde (Gallimard, pagg. 490, 23,50 euro), nel quale sottolinea il carattere ambivalente e contraddittorio di questa ennesima metamorfosi del capitalismo, difendendone però la forza innovativa. Per lui infatti il capitalismo artista diffonde una crescente attenzione allo stile e alla bellezza, facendo appello al gusto e alla sensibilità degli individui. All'homo oeconomicus si è affiancato così l'homo aestheticus. «Il capitalismo artista è arrivato a maturità, portando a termine una storia cominciata fin dalla metà del XIX secolo», spiega lo studioso, già autore di molti saggi, tra cui L'era del vuoto, Una felicità paradossale e La cultura-mondo. «L'industria del consumo ha ormai incorporano in maniera sistematica il parametro dell'estetica. È un fenomeno totale. Nessun oggetto sfugge a tale modello, perfino i più banali. Questo capitalismo di seduzione contribuisce a rendere più sensibile all'estetica tutta la società. E la sua dimensione più creativa ed edonistica coesiste - non senza contraddizioni e conflitti - con la tradizionale dimensione razionale e contabile del capitalismo. La lettura marxiana di un capitalismo unicamente rivolto al profitto e capace solo di sfigurare il mondo va secondo me aggiornata». Nel mondo dei consumi l'estetica è comunque al servizio del profitto. Non è in contraddizione con una visione disinteressata dell'arte? «Noi, in effetti, siamo ancora sensibili a una dimensione disinteressata, pura e romantica dell'arte. Nel capitalismo artista accade esattamente il contrario. L'economia e l'estetica danno luogo a un sistema trans-estetico al cui centro, più che la ricerca della bellezza, agisce la ricerca di sensazioni. Il capitalismo artista s'interessa certo alle forme, ma soprattutto cerca di produrre emozioni. Indifferente al sublime, non mira alla verità dell'arte né tanto meno sogna opere immortali ed eterne. La sua è un'estetica in continua trasformazione». Questa massiccia presenza estetica nel mercato di consumo quali conseguenze ha prodotto nel mondo dell'arte? «La cultura del denaro e del successo ha evidentemente influenzato un mondo artistico dove ormai è venuta del tutto meno la tradizionale opposizione tra arte e mercato. Ma va detto che il capitalismo ha solo accompagnato un'evoluzione già in corso autonomamente all'interno del mondo artistico. Se infatti, ai tempi di Baudelaire, l'artista vive per l'arte e non per il denaro, difendendo una visione romantica della sensibilità artistica, già ai tempi delle avanguardie novecentesche l'arte si è allontanata dall'estetica tradizionale, disinteressandosi del bello. L'arte è diventata un'esperienza. Con Warhol, l'artista rinuncia alla bohemee si trasforma in un imprenditore che fa affari e per il quale gli affari sono arte. L'arte è diventata così un settore del mercato. Questa evoluzione è avvenuta parallelamente all'esplosione della società dei consumi, che evidentemente l'ha accentuata e accelerata». Per alcuni critici la dimensione estetica dei prodotti di consumo sarebbe solo una vasta opera illusionistica. Che ne pensa? «È vero che, come diceva Raymond Loewy tra le due guerre, il brutto si vende male. I prodotti di consumo usano quindi l'estetica della seduzione per imporsi sul mercato. Ma il capitalismo artista non produce solo illusioni. In realtà, contribuisce a cambiare il mondo e soprattutto le persone. Il capitalismo artista ha cambiato le nostre aspirazioni, il nostro sguardo sulla realtà e i nostri comportamenti. Ci ha trasformato interiormente, facendo di noi dei consumatori estetici. Una volta la bellezza era un'esperienza riservata ai ricchi. Oggi tutti possiedono un senso estetico e desiderano una relazione estetica con la realtà. La fruizione artistica si è democratizzata, dando luogo a un edonismo diffuso». Non è una visione troppo ottimistica? «So bene che alcune forme d'arte continuano a essere appannaggio di un pubblico privilegiato. L'opera lirica si rivolge ancora a poche persone ed è vero che l'arte contemporanea ha successo solo quando è molto semplice, come ad esempio quella di Jeff Koons. Va però riconosciuto che altre forme d'arte sono ormai molto diffuse, penso al cinema, alla musica, alla street art. Da questo punto di vista la democratizzazione dell'arte è una realtà indiscutibile. Ognuno fa le proprie esperienze estetiche, anche minori. E in ciascuno vive un piccolo desiderio artistico. Ascoltare Vivaldi non è certo la stessa cosa che ascoltare Withney Houston, ma l'emozione estetica può essere la stessa. Sul piano delle ricezione non è c'è gerarchia. L'esperienza estetica può essere intensa e sconvolgente sia con un'opera raffinata che con un'opera molto popolare. Certo, non tutti leggeranno l'Iliade, ma ciò che conta è la progressiva diffusione delle esperienze estetiche». Lei però nel libro sottolinea anche i limiti di questa evoluzione... «In effetti, nonostante la presenza diffusa dell'estetica nel capitalismo, il mondo non è diventato più bello e la gente non è più felice. La crescente diffusione del sentimento estetico ci rende tutti più esigenti e quindi più critici. Siamo diventati feroci, dei veri e propri terroristi del giudizio critico nei confronti degli altri. Tutto ciò evidentemente produce angoscia negli individui. Un altro fallimento del capitalismo artista è evidente sul piano urbanistico. Le città fatte di enormi periferie sono dei non luoghi senz'anima e senza estetica. Procurano un sentimento di monotonia e di uniformità terrificante, che è esattamente il contrario dell'investimento estetico dominante. Insomma, il capitalismo artista, per ora, non ha saputo trasformare il paesaggio urbano. Secondo me però l'architettura sarà l'arte dominante del XXI secolo». Quale sarà l'evoluzione futura del capitalismo artista? «Dopo l'ibridazione tra estetica e economia, razionale e irrazionale, calcolo e emozioni, in futuro si aggiungerà una nuova ibridazione con l'ecologia. Il capitalismo dovrà fare i conti con il paradigma ecologico, che finora è sempre stato del tutto estraneo alle preoccupazioni dell'estetica. Da questo punto di vista, il movimento nato attorno a slow food è l'espressione dell'emergere di un desiderio estetico differente, capace di preoccuparsi della salvaguardia del pianeta. Un desiderio che in nome della qualità si contrappone alla velocità della mondializzazione che esige profitti immediati». Pensa che i giovani siano attrezzati per orientarsi nella nuova selva culturale del capitalismo artista? «Oggi la vita estetica occupa uno spazio considerevole nella vita di tutti. Per evitare che le regole estetiche siano solo quelle dettate dal mercato, dobbiamo aiutare i giovani ad allargare i loro orizzonti d'esperienza. Non dobbiamo dire loro ciò che devono amare - perché i gusti non si decretano - ma dobbiamo aiutarli a scoprire la varietà dell'offerta culturale, dando loro gli strumenti per orientarsi. La scuola deve inventare una nuova educazione artistica. È una sfida capitale perché la vita estetica è ormai diventata un ideale diff

L' EVIDENTE NON NEUTRALITA' DELLA SCIENZA.

The 10 false assumptions of modern science (and how to set science free with new paths to discovery) Thursday, August 22, 2013.
by Mike Adams, the Health Ranger. (NaturalNews) Much of modern science remains stuck in an endless inward spiral of false paradigms. That's why "scientific" medicine, for example, offers no real answers to the really big diseases: cancer, diabetes, heart disease, Alzheimer's, and so on. More importantly, modern medicine will never solve these problems unless it abandons its false assumptions and embraces the "higher science" beyond reductionism and materialism. This is the message of one of the most important books of our time: Science Set Free by Rupert Sheldrake. This book, available both in hardcopy and audio formats (from Audible.com), outlines 10 new pathways to discovery that promise to allow human civilization to leap forward into a new era of understanding, achievement and the harnessing of the power of nature and the cosmos. (I own the audible.com edition and have been excitedly listening!) "Rupert Sheldrake may be to the twenty-first century what Charles Darwin was to the nineteenth: someone who sent science spinning in wonderfully new and fertile directions." -- Larry Dossey, M.D., author of Reinventing Medicine The ten false assumptions of modern day science Much like myself, Sheldrake is very much "pro science." But he is disturbed by how scientific advancement has become trapped in a cultural tar pit of delusional beliefs and false assumptions. These false assumptions, listed below, hold science back and prevent human civilization from progressing toward a more profound understanding of nature, ourselves and our universe. (And that's the whole point of science in the first place. Not to enrich corporations but to deepen our understanding of the universe.) The following 10 items are Sheldrake's, but the comments for each item are my own. For the record, Sheldrake may or may not agree completely with my own explanations for each heading here, but they are written in the spirit of what I believe he is wanting to say. If you want his full explanation of these ten items, read his book. False Assumption #1) The universe is mechanical Modern science believes the entire universe is made of up "stuff" and nothing else. There is no consciousness, no spirit, no mind and nothing other than mechanical and chemical stuff. This explains modern science's obsession with finding smaller and smaller particles at CERN. Many scientists actually believe that if the smallest bits and pieces of a mechanical universe are finally identified and labeled -- because labels are really, really important to the materialistic worldview -- then the entire cosmos will finally be understood and the "delusion" of God / creator / architect can finally be dismissed forever (in their view). Their goal is the ultimate pessimism: to destroy any belief in a higher intelligence and to doom humans to living pointless lives that end in their total destruction at the moment of death. False Assumption #2) All matter is unconscious The most astonishing delusion in modern science is the fact that most modern scientists do not believe they are, themselves, conscious beings. This is also true with Stephen Hawking, whom I have written about in some detail. (See my popular mini-documentary The God Within for a full explanation.) Modern science assumes that humans are nothing more than biological robots and that animals are not conscious either. They literally believe that consciousness is an illusory artifact of the chemical brain. Not surprisingly, they also do not believe that plants and other living systems are conscious. Even further, the idea that inanimate objects such as minerals or crystals might have some sort of consciousness is considered heresy by most modern scientists. This denial of consciousness is an assumption, however. There is no evidence supporting the assumption. In fact, first-person evidence of the human experience appears to directly contradict the false assumption that humans are not conscious. Story continues below... False Assumption #3) The total amount of matter and energy is always a constant This assumption of modern science is especially suspicious given that even conventional cosmologists readily admit that 96% of the universe has yet to be detected at all. That's the "dark matter / dark energy" portion of the universe, and to my knowledge, neither dark matter nor dark energy have ever been directly measured or seen by human scientists. Except for the theoretical Big Bang, there is no phenomenon by which modern scientists believe the totality of matter and energy can come into existence or exit our universe. This assumption is especially bizarre considering the theoretical framework of the Big Bang theory, which claims all the known matter and energy in the entire cosmos spontaneously appeared without cause, all on its own, without any intention or reason. The Big Bang theory -- and its accompanying theory of cosmological inflation -- are, by any definition, a bizarre kind of material mysticism that goes to great lengths to deny the existence of a creator / designer / engineer / intelligent advanced civilization / etc. False Assumption #4) The laws of nature are fixed This, too, is an assumption that looks to have already unraveled thanks to the efforts of a few modern-day scientists themselves. As a simple example, multiple physics experiments are now being conducted all over the world -- and widely replicated -- which show "faster than light" teleportation of information via quantum entanglement. As just one example of this, here's a ScienceDaily.com article describing faster-than-light quantum teleportation spanning 143km: http://www.sciencedaily.com/releases/2012/09/120905134356.htm (In theory, instantaneous quantum teleportation could take place over a billion kilometers. The distance makes no difference. Quantum teleportation ignores the apparent laws of physics, including the "cosmological speed limit" known as the speed of light.) According to classic laws of nature, such quantum teleportation is impossible. In fact, all quantum computing should be impossible, and come to think of it, transistors shouldn't function either. But they do. And they do it by breaking the classic laws of physics. Yet the far stronger argument for challenging false assumption #4 is found in multiverse theory which states that our known cosmos is just one of an infinite -- yes, infinite! -- number of other universes, each with its own variation of the laws of physics. Only in a small fraction of all universes is, for example, the strength of the weak nuclear force set at precisely the right number to result in the formation of stars, planets and carbon-based life. But because there are an infinite number of universes, there are also an infinite number of universes where the laws of physics exactly equal our own... and even where "mirror" human civilizations almost perfectly reflect our own. Look up the "anthropic principle" if you'd like to dig into this subject a little more. Or read Goldilocks Engima: Why Is the Universe Just Right for Life? by Paul Davies. I also recommend author David Deutsch. False Assumption #5) Nature is purposeless, with no goal or direction The Darwinian framework of biological science assumes that nature achieves highly complex biological structures, social structures, mechanical engineering and behavioral cultures simply through the process of natural selection. While natural selection is constantly taking place throughout nature, it alone is not sufficient to explain the ability of plants, animals, humans and possibly even universes to achieve remarkable end goals purely through chance and inheritance. There appears to be a "driving creative force" behind much of what we observe in nature, including in animals and humans. This driving creative force, if you get right down to it, appears to have a connection with spirit -- a non-physical "mind" which gives consciousness to physical beings of all kinds. What we see in the natural world -- in ecosystems, plants, animals and even humans -- is not explainable through natural selection alone. There exists intention, consciousness and a seeming desire to achieve complex goals by taking fantastic evolutionary leaps which modern science cannot explain. As a simple example of this, consider the fact that although many thousands of humanoid-like fossils have been unearthed in the last two centuries, there are still no fossils that record the theoretical "missing link" which is supposed to link humans to primates. Why have no such fossils been found? Almost certainly because they do not exist. False Assumption #6) All biological inheritance is material, carried in DNA The idea that your DNA controls your body and your life is now an ancient myth. Only in the materialistic circles of old school "science" do people still think DNA alone controls your health, your behavior and all your inherited attributes. Today we know that there are epigenetic factors beyond DNA which strongly influence the development of biological beings. We also know that environmental factors (i.e. exposure to chemicals, heavy metals, nutrients, etc.) strongly influence either the suppression or the hyper-activation of genes. Vitamin D, for example, is one of the most powerful gene activators in human biology, turning on "healing genes" light microscopic light switches. Furthermore, consciousness and free will overrides DNA. While you may have an inherited tendency toward a particular behavior, you can choose to override that behavior as a matter of choice. The mind trumps the mechanics, in other words, if the mind is sufficiently trained (through meditation, typically). False Assumption #7) There is no such thing as a "mind" other than an artifact of brain function I find it bewildering that most modern-day scientists still do not dare acknowledge the existence of the "mind" -- a non-material awareness / presence / consciousness that coexists with the brain but is not derived from the mechanics and chemistry of the brain. Comically, many scientists use their minds to attempt to disprove the existence of all minds. They would like us to believe self-awareness is an illusion or that terms like "mind" or "consciousness" are just "word tricks" used to talk about brain chemistry, not actual concepts that really exist. But they have failed. To date, there is no scientific proof whatsoever that supports the odd notion that consciousness does not exist or that the mind is not present in a conscious being. "Science" cannot disprove these things because the tools of modern-day science are materialistic by definition and therefore incapable of proving or disproving non-material phenomena. It's like trying to measure the speed of a moving object with a thermometer. False Assumption #8) Memories are stored chemically in the brain and disappear at death In summary, modern scientists believe that memories are stored chemically, using the brain as some sort of biological hard drive, and that if they could only find the location of the brain in which these chemicals are stored, they could literally "read your mind" like copying files from a thumb drive. This assumption is wildly off the mark. I'm convinced that memories are holographically stored across not only brain matter itself, but also in a non-material spirit matrix of some sort which interacts with the physical brain. This is why the physical location of memories in the brain can never be located by scientists. This is also why some people are shockingly found to be fully functional in our world even though they have virtually no brain matter whatsoever. For example, here's a New Scientist story about a man who had almost no brain matter whatsoever but still possessed average IQ and was a normal part of society. And yes, the man had memories, too. So if memories are "stored" somewhere in the brain as modern-day scientists falsely believe, then how could this man have memories if he had virtually no physical brain to begin with? How could he function at all? (And his story is just one of many...) False Assumption #9) Unexplained phenomena such as telepathy are illusory Modern-day "skeptics" go to great lengths to try to disprove anything that even smacks of "mentalism" or telepathy. But they can't rationally refute the scientific work of people like Dean Radin, author of The Conscious Universe: The Scientific Truth of Psychic Phenomena. Radin has, over and over again, scientifically shown strongly convincing evidence for low-level telepathy and other phenomena such as premonition. Explanations for such phenomena are entirely consistent with quantum non-locality and quantum entanglement, which Einstein called "spooky action [at a distance]." The most likely explanation for all this is that the human brain, being a holographic, hybrid physical / non-physical computational and awareness engine of sorts, is also "entangled" with all matter in the universe at a quantum level. The brainmind, if you will, seems to be both a transmitter and receiver of quantum information that is continually and instantly rippling across the cosmos. Tuning in to that information is a lot like tuning to the correct radio station and suddenly finding the music becoming crystal clear. (David Icke uses this same analogy to explain many of his own concepts about consciousness and the nature of reality. "Skeptics" who attempt to refute the science of the work of people like Dean Radin eventually end up declaring something like, "If that were true, we would already know it" -- a classic example of failed circular reasoning bordering on self-congratulatory dogma. False Assumption #10) Mechanistic medicine is the only kind that really works On this point, much of the Natural News website is dedicated to explaining why mechanistic medicine is a failed system of medicine. Get this: most modern-day scientists do not believe that any vitamin, any mineral or any food has any biological effect whatsoever on the human body other than providing calories, sugars, proteins, fiber and fat. This wildly delusional belief is enshrined in the FDA's regulatory framework and is practiced throughout hospitals and health clinics across the planet. Yet it is a truly moronic belief. How can vitamin D have no effect on the human body when nearly every organ in the body has vitamin D receptors? How can minerals play no role in human health when elements like magnesium and calcium are necessary for the most fundamental chemical processes of muscle neurology? The physical part of the human being obviously requires physical building blocks. Those building blocks are nutrients, plant-based chemicals, minerals, proteins and water. They are not statin drugs, blood pressure meds, chemotherapy and radiation. The mechanistic model of medicine is an utter failure for human civilization. It has been a huge success in generating profits for drug companies and hospitals, however, which is exactly why this failed system is so desperately defended by those who profit from it. Get the book "Science Set Free" and learn more In this article, I've only touched on some of these important concepts. To really delve into this, read Science Set Free by Rupert Sheldrake. The ideas described in the book are truly revolutionary. They are also perfectly natural -- and in fact, many should be obvious to any true scientist who isn't brainwashed by academic dogma or corporate profit agendas. Albert Einstein is famously quoted as saying, "We cannot solve our problems with the same thinking we used when we created them." Yet that's what much of modern science is trying to do... let's solve the cancer problem by finding a chemical that kills cancer! Yeah, that'll do it! Or let's study the tiny particles created by an atom smasher, then we'll know the mind of God, yeah! But these approaches will never succeed in answering the really big questions because they are rooted in 19th-century assumptions which we now know to be false. There is more to our universe than mere materialism. There is more to human consciousness than brain chemistry. There is more to biology than genetics and natural selection. How obvious does it have to get, folks? THERE IS MORE TO DISCOVER if we only set ourselves free from the mental shackles of dogmatic, permanently pessimistic "science" as practiced today in our westernized, materialistic culture. Join me in spreading the word about Rupert Sheldrake. This man is a true scientist taking part in the consciousness revolution which I believe to be a necessary step to the true uplifting of human civilization.

Le nostre vite nelle mani delle banche.

1. E’ UFFICIALE: LA PIÙ POTENTE BANCA CENTRALE DEL MONDO, LA FEDERAL RESERVE AMERICANA, NON SA COSA FARE! DOPO AVER INIETTATO NELL’ECONOMIA TREMILA MILIARDI DI DOLLARI NON SA SE SOSPENDERE LA STAMPA DI DENARO O CONTINUARE ALL’INFINITO - 2. I SEGNALI CHE L’INFLAZIONE STA PER PARTIRE CI SONO TUTTI. MA SOSPENDERE ORA LA STAMPA DI DOLLARI POTREBBE SIGNIFICARE UNA FUORIUSCITA IMMEDIATA DEGLI INVESTITORI DA TUTTI I PAESI MOLTO INDEBITATI (ITALIA) E DALLE ECONOMIE PIÙ DEBOLI (ITALIA) - 3. ADESSO GLI OCCHI SI VOLGERANNO VERSO MARIO DRAGHI CHE HA IGNORATO L’ESISTENZA DI UN’EUROPA A DUE VELOCITÀ E HA INONDATO LE BANCHE CON SOLDI A COSTO ZERO - 4. CHI SPERA IN UN INTERVENTO SALVIFICO DELLA BCE, CON BERLUSCA CHE MINACCIA L’APOCALISSE, SI SBAGLIA. LE CONDIZIONI PER FARLO SARANNO IMPOSTE CON UN NUOVO GOLPE BIANCO E CON MANOVRE STILE GRECO. I TROMBONI DELL’EURO NON SI PONGONO NEANCHE IL DUBBIO CHE ITALIA E GERMANIA NON POSSONO AVERE LA STESSA VALUTA -
Superbonus per Dagospia. E' ufficiale: la più potente banca centrale del mondo, la Federal Reserve americana, non sa cosa fare! Dopo aver iniettato nell'economia tremila miliardi di dollari non sa se sospendere la stampa di denaro o continuare all'infinito. I segnali che l'inflazione sta per partire ci sono tutti - dal mercato del lavoro e dai prezzi delle case in America - ma sospendere ora la stampa di dollari potrebbe significare una fuoriuscita immediata degli investitori da tutti i paesi molto indebitati e dalle economie più deboli. Ne sanno qualcosa l'India e il Brasile che hanno visto deprezzarsi le proprie monete del 40% dall'inizio del 2013 solo perché gli investitori hanno il sospetto di un irrigidimento della politica monetaria della Fed. Presto se ne accorgeranno Italia e Spagna che hanno mantenuto il proprio spread basso grazie al combinato disposto dei magheggi monetari della BCE e dei bassi tassi americani; tremano Indonesia, Tailandia e Malesia alla sola idea di vedere i dollari rimpatriare verso casa alla velocità della luce. Bernanke non sa cosa fare, al primo segno concreto d'inflazione il prezzo dei titoli di Stato americani collasserà; se darà segnali di voler applicare una stretta monetaria lo stesso, probabilmente vorrebbe scomparire nel nulla e consegnare la patata bollente nelle mani del suo successore ma il tritacarne dei mercati si è messo in moto. Adesso si vende poi si pensa! E' lo slogan che si sta diffondendo nelle sale operative, senza una rassicurazione, un gesto sensato, un'azione, gli investitori si stanno volgendo verso il male minore: vendere adesso e poi stare a guardare. Prima dell'estate Dagospia si era chiesto se Ben Bernanke fosse un genio od un pazzo incosciente, vista la reazione dei mercati emergenti e le prossime reazioni dei mercati europei la bilancia pende verso la seconda ipotesi. Ma adesso gli occhi si volgeranno anche verso Mariuccio Draghi che ha volutamente ignorato l'esistenza di un'Europa a due velocità e ha inondato le banche con soldi a costo nullo. Ora tutti volgeranno lo sguardo verso di lui chiedendosi se supplirà all'incertezza della Fed con parole e fatti rassicuranti o se la contrarietà della Bundesbank ad ulteriori allentamenti prevarrà. Mariuccio è in una posizione delicata, la sua lettera al Governo italiano dell'agosto 2011 è stata bellamente ignorata, Lettanipote ha scaldato la poltrona di Palazzo Chigi in attesa di un successore e Berlusca minaccia nuove elezioni. In questo quadro come può giustificare nuovi interventi a favore del suo paese? Ed in questi mesi non è stato forse Lui a governare l'economia italiana attraverso il suo prestanome Saccomanni? Chi spera in un intervento salvifico della BCE con la crisi politica italiana in atto si sbaglia, le condizioni per farlo saranno imposte con un nuovo golpe bianco e con manovre stile greco. I tromboni dell'Euro non si pongono neanche il dubbio che Italia e Germania nel mezzo di una tempesta monetaria non possono avere la stessa valuta. La colpa della crisi dei Btp sarà, nella retorica del giornalismo europeista, attribuita tutta al Banana mentre egli è solo una concausa della Caporetto che ci aspetta. I veri responsabili sono seduti su delle comode sedie da burocrati superpagati e si riciclano continuamente come tecnici. Come si dice a Roma: "Tecnici de che?".

martedì 20 agosto 2013

Grandi manovre per salvare il nano.

Sentenza Mediaset, Capotosti e Capomosci. di Marco Travaglio | 20 agosto 2013.
Al ventesimo giorno dalla sentenza della Cassazione sullo scandalo dei diritti Mediaset, il dibattito politico-giornalistico sul destino di B. è già riuscito nel gioco di prestigio di far scomparire dalla scena il fatto da cui tutto nasce. E cioè che B. è un delinquente matricolato, avendo costruito negli anni 80 un colossale sistema finalizzato all’esportazione di capitali all’estero, extrabilancio ed extrafisco, per corrompere giudici, politici, finanzieri, derubare gli azionisti di una società quotata e compiere altre operazioni fuorilegge in Italia e all’estero almeno fino al 2003, quand’era in Parlamento da 9 anni e aveva ricoperto due volte la carica di presidente del Consiglio. Dunque, in base al Codice penale, è un detenuto in attesa di esecuzione della pena, che potrà scontare in carcere o ai domiciliari o, se ne farà richiesta, in affidamento ai servizi sociali. Inoltre, in base a una legge liberamente votata otto mesi fa da tutto il Parlamento italiano e anche da lui – la Severino del 31-12-2012 –, è ufficialmente decaduto dalla carica di parlamentare e non può ricandidarsi per i prossimi 6 anni, come tutti i condannati a più di 2 anni. Punto. Ma il dibattito scaturito dalla sentenza ha preso a svolazzare nell’iperuranio, attorno al presunto diritto del condannato all’“agibilità politica” (appena 8 mesi dopo che egli stesso ha votato una legge per negare l’agibilità politica ai condannati), la “guerra civile” fra politici e magistrati o fra berlusconiani e antiberlusconiani, la grazia, la commutazione della pena e altre cazzate. L’ultima è la supposta incostituzionalità della legge Severino, di cui nessuno si era peraltro accorto 8 mesi fa quando tutti allegramente la votarono per fregare gli elettori con la bufala delle “liste pulite”. L’avvocatessa ed ex ministra Paola Severino è ufficialmente dispersa e non dice una parola in difesa della legge che porta il suo nome: pare anzi che abbia avviato le pratiche all’anagrafe per cambiare cognome. Ma il meglio lo danno certi costituzionalisti, che difendono un giorno il diritto e l’indomani il rovescio. Specie quelli più vicini al Quirinale, costretti a contorsionismi imbarazzanti per seguire le bizze di Napolitano, che cambia idea a seconda di come si sveglia la mattina. Ieri, sul Corriere , è partita in avanscoperta per tastare il terreno la premiata ditta Ainis&Capotosti. Michele Ainis per sostenere che se B. è stato condannato per frode fiscale non è perché frodava il fisco, ma per via dell’eterno “conflitto tra politica e giustizia”, insomma una “baruffa tra poteri dello Stato”. Ma ora bisogna “separare i due pugili sul ring” (il frodatore fiscale e i giudici che l’hanno condannato). Come? Magari suggerendo ai politici di non delinquere e ai partiti di non candidare delinquenti? No, ripristinando l’autorizzazione a procedere abolita nel ’93 per “far decidere al Parlamento” se un senatore sia o meno un frodatore fiscale. È vero, ammette bontà sua Ainis, che l’autorizzazione a procedere si prestava ad “abusi”, coprendo anche parlamentari inquisiti senz’ombra di “fumus persecutionis”: ma subito dopo caldeggia nuovi abusi, sostenendo che la frode Mediaset, dove non c’è fumus ma molto arrosto, andava sottoposta “al visto obbligatorio delle Camere”. Non è meraviglioso? Poi c’è Piero Alberto Capotosti, presidente emerito della Consulta e commentatore multiuso. Il 5 agosto, intervistato dal Corriere, non sentiva ragioni: “Ho molti dubbi sulla tesi di Guzzetta che pone un problema di retroattività, perché la legge non parla del reato, ma della sentenza. L’art. 3 dell’Anticorruzione si riferisce a chi è stato condannato con sentenza definitiva a una pena superiore a 2 anni… L’elemento determinante è la sentenza definitiva. Che poi si riferisca a fatti accertati anche 20 anni fa importa poco. È la sentenza che determina l’incandidabilità… Quella del Parlamento dovrebbe essere una presa d’atto”. Cioè: B. deve andarsene dal Senato e non farvi più ritorno per i prossimi 6 anni. L’11 agosto il tetragono Capotosti veniva intervistato da Repubblica . Domanda: che succede se si vota in autunno? Risposta secca: “Scatterebbe l’incandidabilità prevista dall’art. 1 della Severino. L’importante è che si tratti di una sentenza definitiva”. Pane al pane e vino al vino. Poi però Napolitano ha monitato, B. ha minacciato e la rocciosa intransigenza di Capotosti ha assunto la consistenza di un budino. Rieccolo ieri intervistato dal Corriere : “Che la legge Severino non possa essere retroattiva o debba scattare l’indulto, non è un’eresia… La norma è nuova, priva di giurisprudenza consolidata, vale la pena ragionarci… Ci sono problemi interpretativi, perché non ci sono precedenti”. In verità uno c’è, in Molise, ma “un caso non fa giurisprudenza”. Dunque “sembrerebbe logico che il Senato prenda atto della sentenza, ma il Parlamento è sovrano” e può anche votare contro una legge fatta 8 mesi prima perché “a giudicare i parlamentari in carica può essere solo il Parlamento” e “l’incandidabilità incide sul diritto costituzionalmente tutelato ad accedere alle cariche elettive e quindi la sua applicazione dovrebbe essere disposta da un giudice” e ora “per legge non lo è”. Quindi sta’ a vedere che la Severino è incostituzionale e i partiti che l’hanno appena approvata possono impugnarla dinanzi alla Consulta per chiederle di bocciarla, intanto passano un paio d’anni e il delinquente resta senatore, magari dagli arresti domiciliari. Sarebbe l’ennesimo miracolo del Re Taumaturgo: basta un monito, e la legge diventa così tenera che si taglia con un grissino. Il Fatto Quotidiano, 20 Agosto 2013

domenica 18 agosto 2013

L'Egitto e l'esercito "buono".

Egitto, le guerre non sono mai ideologiche. Ma sempre e solo di potere. di Loretta Napoleoni | 18 agosto 2013.
La storia si ripete, questo il triste bilancio dell’ondata di violenza che si è abbattuta sull’Egitto. L’umanità ha la memoria corta ed incappa spesso negli stessi errori, ecco una spiegazione a carattere antropologico del perché questa nazione sta per entrare nel medesimo campo minato dal quale la Siria non riesce ad uscire da almeno due anni. Di chi la colpa? Il coro ‘democratico’ che si alza dalle capitali occidentali sostiene che il copione è della moderna al Qaeda, rinata dalle ceneri di quella vecchia ed alleatasi con i partiti islamici come la Fratellanza Mussulmana; un’al Qaeda senza Osama bin Laden e che possiede nuove icone ‘locali’, tutte sparpagliate nei punti nevralgici del medio oriente. Il regista di questa pellicola è Al Zawahiri, il medico egiziano teorico della moderna jihad, ex numero due di al Qaeda, oggi guida incontrastata delle vecchia e nuova guardia. Non è facile analizzare ciò che davvero sta accadendo nel mondo arabo, di certo la versione della rinascita di al Qaeda lascia molto a desiderare. Piuttosto le difficoltà di interpretazione nascono dal fatto che questo nuovo bagno di sangue fratricida presenta tanti, troppi paralleli politici con il passato prossimo e remoto post-bellico. E vale la pena menzionarne i più inquietanti. Come ai tempi dalla guerra fredda viene riproposto il modello di scontro dicotomico tra democrazia e totalitarismo, che tradotto in termini occidentali significa tra bene e male. In Egitto, come in Siria, i ribelli sono democratici, e quindi buoni, e fino a qui nessuno ha nulla da obiettare, ma mentre nella seconda nazione i militari difendono lo statu quo, nella prima l’esercito fa l’opposto e combatte il totalitarismo islamico con l’arma del colpo di stato. Di esempi di regimi militari ‘buoni’, e quindi ‘amici’ dell’occidente, ce ne sono tanti, da quello di Pinochet a quello dell’esercito algerino nel 1992, i bilanci però della difesa della democrazia con la canna del fucile sono tutti stati scritti con il sangue. Ma anche quelli dei ‘cattivi’ o ‘amici’ del comunismo sovietico o dell’attuale Russia, come il regime siriano, hanno fatto uso dello stesso inchiostro. Già viste in questo reality dell’horror di politica internazionale sono anche le scene dell’ipocrisia delle super-potenze, un tempo solo due ed oggi più copiose. L’America di Obama che subito dopo il colpo di stato in Egitto lancia l’allerta contro al Qaeda e chiude la maggior parte delle ambasciate nel Medio Oriente è la stessa nazione che prima delle elezioni incoraggiava le forze di coalizione a negoziare un trattato di pace con i Talebani, alleati di al Qaeda e protettori di al Zawahiri. Vecchio è anche il cameo di Edward Swnoden, spia americana protetta dal nemico moscovita, che viene inserito a forza nel carnaio medio orientale grazie al mantra della sicurezza assoluta dalla minaccia presente di al Qaeda, che il presidente Obama può garantire solo spiando il resto del mondo. Comportamenti analoghi si riscontrano a Mosca ed a Pechino che giocano al gatto ed alla volpe con Washington sulla pelle dei Siriani. Più che la storia si ripete bisognerebbe scrivere che questa pellicola l’abbiamo già vista non 100 o 1000 ma almeno un milione di volte e che se nessuno se ne è ancora accorto allora la situazione è ben peggiore di quanto si pensi. Durante la guerra fredda la partita a scacchi tra le due super-potenze si giocava nelle rispettive periferie, Sud America e Sud Est asiatico, oggi quella tra le nuove super-potenze si gioca in Medio Oriente. E come negli anni sessanta e settanta, le pedine sono i giovani nati dall’eccezionale esplosione demografica di queste regioni. Le ideologie contano poco, sono solo lo specchietto per le allodole dell’opinione pubblica, la posta in gioco non è mai ideologica è sempre e solo di potere. Allende come Morsi come il Fronte di Liberazione Islamico algerino furono eletti democraticamente e deposti con colpi di stato militari senza neppure provare ad usare gli strumenti democratici per far opposizione interna. Basta questo per farci riflettere su quel tipo di democrazia che piace solo quando è nelle mani delle élite ‘giuste’. Certo noi italiani dovremmo essere tra i pochi ad accorgerci che la pellicola è vecchissima perché in fondo è nei nostri studi che sono state girate alcune delle scene che da più di mezzo secolo ci vengono riproposte: quelle della democrazia bloccata che ci ha regalato 35 anni di DC e più di due ventenni di Berlusconismo, senza parlare poi della dittatura fascista. Ma gli italiani come la maggior parte degli abitanti del villaggio globale oltre ad avere la memoria corta ormai sono anche sordi e mezzi ciechi.

giovedì 15 agosto 2013

ITALIA DESERTO PRODUTTIVO.

Banche in crisi, zero capitali. Ve la sentite di investire in Italia? di Fabio Scacciavillani | 15 agosto 2013.
La performance del sistema Italia rispetto ai concorrenti viene analizzata quasi sempre attraverso dati macroeconomici, dai quali si materializza un’immagine distorta, come quella di Dora Maar immortalata da Picasso. Per esempio iI Pil ingloba il settore pubblico il cui valore aggiunto è costituito in pratica dai salari dei dipendenti, per cui se uno timbra il cartellino e va a spasso, secondo i dati Istat, contribuisce ugualmente al Pil. Insomma i dati macroeconomici compongono una misura molto approssimativa dell’economia reale. Per un’immagine a risoluzione più alta ci siamo rivolti ad Orbis, nel cui database vengono raccolti i dati grezzi dai bilanci delle imprese in vari paesi, per essere rielaborati in modo da renderli omogenei. Sono i dati usati dagli analisti per i confronti internazionali o per valutare la competitività delle aziende rispetto ai concorrenti nel settore in cui operano. In estrema sintesi, abbiamo estratto i dati delle circa 800 aziende manifatturiere (codici 31, 32 e 33 della classificazione NAICS) con il maggior numero di addetti in Germania, Francia e Italia nell’anno 2011 (i dati 2012 saranno disponibili fra qualche settimana). I valori sono stati poi aggregati come se le aziende di ciascun paese formassero un unico conglomerato. Va precisato che per selezionare le 800 maggiori aziende si sono fissate soglie diverse: 500 addetti in Germania, 350 in Francia e 300 in Italia. Se per l’Italia avessimo scelto il limite di 500 addetti avremmo estratto un campione poco rappresentativo. Nel campione così selezionato il totale degli occupati è risultato di circa 2,4 milioni in Germania, 1,56 in Francia e 1,4 in Italia. Va precisato che non tutte le poste di bilancio sono disponibili per tutte le imprese, quindi il campione può differire di poche decine di unità, ma l’effetto distorsivo è trascurabile. I dati proiettano contorni inediti delle differenze tra le imprese che trainano l’economia nei tre maggiori paesi di Eurolandia. Iniziamo dalla profittabilità: in Germania il RoE (cioè il ritorno sul capitale, calcolato su profitti e perdite al lordo delle tasse) raggiunge un sostanzioso 19,71%, mentre in Francia scende al 13,65% ed in Italia ad un misero 7,25%. In sostanza nelle grandi imprese tedesche il capitale rende quasi il triplo che in Italia. Dato confermato anche dai margini di profitto finali che si fermano ad un non certo esaltante 4,9% in Germania, un anemico 3,0% in Francia e un risibile 1,6% in Italia. Per un investitore è di gran lunga preferibile un Bot alla quota di un’impresa italiana. Anche l’EBIT, il ricavo al lordo di interessi e tasse (che variano da paese a paese), mostra che le imprese tedesche sono in testa con un margine del 5,27%, quelle francesi del 3,24% e quelle italiane del 2,62%. L’angolatura su cui si intrecciano infinite diatribe politiche è la produttività del lavoro: il profitto per addetto nelle imprese medio-grandi tedesche è di 20mila dollari, 14mila in quelle francesi e solo 8mila in Italia. Insomma, in Germania le imprese medio-grandi hanno un’efficienza due volte e mezzo superiore alle nostre. Scavando ancora tra i dati Orbis, arriva una sorpresa. I ricavi operativi per addetto nei tre paesi sono abbastanza simili: 400mila in Germania, 476mila in Francia e un non disprezzabile 465mila in Italia. Allora come si spiega la differenza di profitto per addetto? Non deriva dal costo del lavoro, come qualcuno potrebbe ipotizzare: in Germania il costo del lavoro per addetto è 65mila dollari, in Francia sale a 73mila, e in Italia cala a 56mila. Addirittura la dotazione di capitale di rischio per addetto è molto più alta in Italia, 498mila dollari, rispetto ai 281mila nelle imprese tedesche, e ai 377mila in quelle francesi. Quali conclusioni emergono dal puzzle? Innanzitutto il capitale di rischio in Italia praticamente non rende. Il tessuto produttivo sembra intrappolato in settori a basso valore aggiunto dove, nonostante i salari bassi, la concorrenza sul prezzo comprime i profitti. Per risalire nella catena del valore a livello globale servono investimenti in ricerca, nuove tecnologie, nuovi impianti e formazione. In Italia con le banche alla canna del gas, i capitali non si trovano (o si trovano solo per i parassiti tipo Alitalia o Ligresti). Bisognerebbe attirarli dall’estero. Ma quale imprenditore straniero (senza padrini politici) informato sul regime fiscale, la burocrazia, il sistema (il)legale, le infrastrutture, il pizzo e altri aspetti poco edificanti, correrebbe un tale rischio? Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2013

DEBITO MORTALE.

PER UN’ECONOMIA SIMMETRICA POSTED BY ALBERTO BAGNAI - 11 AGOSTO 2013 .
Stiamo vivendo una devastante crisi di debito pubblico: questo è quanto ci ripetono i quotidiani, echeggiando le analisi di alcuni economisti. La parola debito viene riproposta in modo assoluto ed ossessivo (il debito, il debito, il debito…), e acquista così vita autonoma, assurge a simbolo del fallimento di un sistema di governo, della disfatta di intere generazioni, diventa un totem al quale tributare sacrifici, si carica di mille significati (politici, etici, psicanalitici). Si perde così di vista un punto essenziale, confermato dall’esperienza personale di molti di noi: non ci può essere debito se non c’è stato un creditore, non si possono prendere in prestito soldi se nessuno te li dà in prestito. Una banalità? Forse, ma esploriamone le conseguenze. Intanto, ammettendo che il problema sia effettivamente il debito pubblico (ma su questo le voci sono discordanti), una cosa è certa: dato che nessuno presta a se stesso, i creditori del settore pubblico apparterranno al settore privato. Questo, in buona sostanza, significa che quella che viene descritta come una crisi di debito pubblico, da risolvere punendo e circoscrivendo lo Stato “che si è indebitato troppo”, è almeno in parte anche una crisi di credito privato, che forse si sarebbe potuto prevenire regolamentando e sorvegliando il Mercato “che ha prestato troppo” (cioè incautamente). Descrivere la relazione fra due contraenti insistendo su un solo lato, e quindi, ad esempio, parlare solo di debito, è un esempio di rappresentazione asimmetrica di un fatto economico, insomma, un esempio di asimmetria. L’asimmetria nella rappresentazione, nell’analisi, conduce ad un’asimmetria nella proposta politica, che non sempre si traduce in un beneficio netto per la collettività. Ad esempio, le politiche di austerità, oggi generalmente criticate come causa della persistente recessione, sono state adottate pochi mesi or sono sulla base di un’analisi “asimmetrica”, che poneva tutte le responsabilità della crisi in capo allo Stato, e vedeva in termini comunque positivi qualsiasi politica restringesse il “perimetro” di quest’ultimo. Un’analisi che oggi trova molti meno sostenitori di un anno fa. Ricordare quindi che ogni debito è anche un credito, per restare al nostro esempio, non è una semplice banalità: è anche il rimuovere un’asimmetria concettuale, analitica. Questa rimozione, a sua volta, non è un mero esercizio intellettuale: è un contributo all’apertura del dibattito politico verso spazi più articolati ed efficaci di soluzioni dei problemi. Riflessioni di questo genere sono ancora poco frequenti da noi, ma sono comuni nella stampa e nella letteratura scientifica internazionale, dove addirittura esistono riviste specializzate sul tema delle asimmetrie. Un tema ampio, trasversale, che ogni economista incrocia almeno una volta nel proprio percorso di studi, affrontando il tema delle asimmetrie informative, cioè dei fallimenti del mercato che scaturiscono da una imperfetta informazione di almeno un contraente. Sembra una cosa molto esoterica, ma è una cosa vecchia quanto il mondo (il marito e l’amante hanno informazione asimmetrica). Rientra fra le asimmetrie informative il moral hazard, cioè il rischio di comportamento sleale della controparte – fenomeno portato all’attenzione del grande pubblico da Money never sleeps di Oliver Stone – che molti considerano fra le cause principali della crisi che stiamo vivendo: il settore finanziario privato avrebbe prestato senza esercitare la dovuta diligenza perché intuiva che il settore pubblico sarebbe intervenuto in suo soccorso. Ma le asimmetrie sulle quali riflettere, sulle quali fare ricerca, divulgazione, e proposta politica, nel senso di proposta alla polis, non si esauriscono certo qui, e hanno tutte riflessi più o meno immediati, ma sempre penetranti, nella vita quotidiana di ognuno di noi. C’è l’asimmetria del sistema monetario internazionale, basato sulla moneta di uno stato (il dollaro) che diventa moneta del mondo, inducendo un fondamentale squilibrio nei conti esteri degli Stati Uniti e concorrendo al ciclico riproporsi di crisi internazionali, secondo uno schema chiarito già da Triffin nel 1960, ma al quale decenni di riflessioni (riaperte dalla crisi del 2008) ancora non hanno trovato alternative. C’è l’asimmetria di certe regole di politica economica, che impongono con pervicacia tolemaica parametri fissi a sistemi economici dinamici e in piena evoluzione, creando inevitabili, dunque non imprevedibili, tensioni, che si scaricano anch’esse in maniera piuttosto asimmetrica sulle popolazioni coinvolte, portando ad aumenti della disuguaglianza, della povertà, e di quella variabile non misurabile, ma assolutamente percepibile, che è la disperazione. E poi non ci siamo solo noi: c’è l’asimmetria fra il Nord e il Sud del mondo, quel Sud del mondo del quale fanno parte (ancora per poco) le economie emergenti, anch’esse oggetto di rappresentazione asimmetrica, o forse addirittura schizofrenica: additate come salvatrici quando si può attribuire loro il ruolo di motori della crescita mondiale (che forse non sono ancora in grado di sostenere), additate come colpevoli quando occorre suggerire che il peggioramento relativo delle nostre condizioni sia una conseguenza del miglioramento delle loro (un ragionamento che convincerebbe molto di più se non avessimo tanta evidenza di errori – se sono stati tali – nella gestione delle nostre economie). E c’è il Sud che non sta emergendo, il Sud che rimane indietro, e dal quale tanti nostri simili cercano di evadere, in cerca di prosperità nei nostri paesi. Il che ci porta a considerare quella che forse è l’asimmetria fondamentale, quella fra capitale e lavoro. Nei modelli teorici, due lettere, K e L, che figurano in bella simmetria fra gli argomenti della funzione di produzione, la relazione matematica che descrive l’offerta complessiva di beni di un paese. In realtà, due “fattori di produzione” dalle caratteristiche radicalmente diverse: basti pensare a quanto si fa per incoraggiare l’arrivo del primo (spesso incautamente), e per ostacolare l’arrivo del secondo (spesso disumanamente). Sono questi i temi che vogliamo portare all’attenzione del dibattito pubblico, i temi sui quali sollecitiamo la riflessione di economisti, giuristi, politologi, e di tutti gli intellettuali disposti a confrontarsi con la realtà e ad arrischiarsi sul terreno della divulgazione e della proposta concreta. a/simmetrie si offre come forum alle loro riflessioni, come supporto alle loro iniziative, come strumento di divulgazione e verifica delle loro ricerche, senza preclusioni di orientamento ideologico e di approccio, per contribuire a un reale avanzamento della coscienza civile e democratica del nostro paese. Possa questo tentativo, che sentiamo di dover fare in un periodo tanto difficile per la vita del nostro paese, avere un valore che trascenda quello della mera testimonianza

lunedì 12 agosto 2013

La repressione prossima ventura.

TERREMOTI EUROGENDFOR: DITTATURA MILITARE SOTTO UN NUOVO ORDINE MONDIALE
di Gianni Lannes. L'esperimento sismico ad Haiti nel 2010 ha funzionato come a L'Aquila nel 2009. Pochi al mondo sanno realmente cos’è Eurogendfor ed il trattato di Velsen, ratificato in Italia dalla legge 84 del 2010, entrata in vigore il 12 giugno 2010. La definizione ufficiale è la seguente: «LEGGE 14 maggio 2010, n. 84. Ratifica ed esecuzione della Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e del Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007. (10G0107) (GU n.134 del 11-6-2010)». Eurogendfor non è soggetta alla legge, ossia al controlla indipendente della magistratura, inoltre, gode di totale immunità: può uccidere chiunque (gente comune ovviamente) e distruggere qualsiasi cosa. Si tratta di una forza di polizia militare europea diretta ossia comandata dalla NATO, ovvero dal Governo degli Stati Uniti d’America; a sua volta alle dipendenze delle organizzazioni terroristiche Bilderberg Group e Trilateral Commission. L’articolo 1 delle Legge 84/23010 (che reca la firma di Napolitano, Berlusconi, Frattini, La Russa, Alfano e l’approvazione del Parlamento, opposizione compresa) recita: «La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA promulga la seguente legge: Art. 1 Autorizzazione alla ratifica 1. Il Presidente della Repubblica e' autorizzato a ratificare la Dichiarazione di intenti tra i Ministri della difesa di Francia, Italia, Olanda, Portogallo e Spagna relativa alla creazione di una Forza di gendarmeria europea, con Allegati, firmata a Noordwijk il 17 settembre 2004, e il Trattato tra il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica portoghese per l'istituzione della Forza di gendarmeria europea, EUROGENDFOR, firmato a Velsen il 18 ottobre 2007». Premessa: sull’argomento l’anno scorso ho pubblicato un libro (IL GRANDE FRATELLO. STRATEGIE DEL DOMINIO) e ancora prima ne ho scritto con prove solide. Qual è il punto nodale? La reale operatività. Mi spiego. Se l’entrata in vigore della legge italiana di ratifica del Trattato di Velsen che regolamenta le attività di EGF risale al 12 giugno 2010, come mai allora il quartier generale è stato inaugurato a Vicenza nel 2006? Ma soprattutto, come poteva - l’European Gendarmerie Force - essere operativa ad Haiti subito il terremoto telecomandato del 12 gennaio 2010? Altre prove? Eccole. La rivista INFORMAZIONI DELLA DIFESA (periodico dello Stato maggiore della Difesa), numero 3, anno 2010. Proprio in quel numero del bimestrale ufficiale appare un articolo intitolato Emergenza Haiti: l’impegno dell’arma dei Carabinieri nel quadro della European Gendarmerie Force, a firma di Ilaria Gaskell Bontadini e Giorgia Pace. In relazione all’economia del discorso, per una volta, facciamo finta di ignorare che i terremoti possano essere provocati dalla mano armata dell’uomo, e che le truppe da sbarco degli Stati Uniti d’America abbiano invaso immediatamente l’isola, poco dopo il sisma con il pretesto di aiutare la popolazione. Ecco i tratti salienti, anzi inquietanti: «Le terribili immagini del 12 gennaio scorso rimarranno a lungo impresse nelle menti di tutti noi. Un violentissimo terremoto ha colpito l’isola di Haiti provocando la distruzione quasi totale della sua capitale, Port-au-Prince. Tutto è crollato sotto il peso della natura… In particolare, l’Arma dei Carabinieri ha operato non solo a livello di missione nazionale, con 8 ufficiali … ma è stata chiamata ad intervenire nel più ampio contesto della giovane European gendarmerie Force (RGF). In Tetrato, fin dai primi giorni, un team di 3 unità ha eseguito i i rilievi necessari a preparare il deployment … Concretamente, tale Forza si configura come uno strumento volto a condurre missioni di polizia in teatri diversificati, anche altamente destabilizzati, a supporto non solo dell’UE, ma anche della NATO, dlel’ONU, dell’OSCE… inquadrabile nel più ampio contesto dei mezzi di gestione delle crisi … A livello politico-strategico, la Forza riceve le linee guida politiche e militari da un Alto Comitato Interministeriale (CIMIN) composto dai rappresentanti dei Ministri responsabili della EGF in ogni Stato membro … l’8 febbraio, il CIMIN, con procedura elettronica ha approvato la partecipazione della EGF alla missione … le riunioni del Grippo di lavoro ad hoc, il 16-17 marzo e 4-5 maggio hanno rappresentato sedi ove affrontare tematiche relative alla Forza, tra cui il futuri ad Haiti, in un’ottica spiccatamente tecnico-programmatica… ». In sintesi: il terremoto ad Haiti nel 2010 è stato indotto dalle attività belliche USA già pronte all'invasione dell’isola. Eurogendfor non ancora ratificata dallo Stato italiano è partita ugualmente in missione per conto terzi. Le attività di EGF sono palesemente illegali, ma tanto la Costituzione italiana è stata stracciata nel 2009 con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 da Prodi e D'Alema, senza che il popolo sovrano sia stato mai chiamato ad esprimersi in merito. In uno Stato di diritto, in un Paese cilve, tutti questi atti e azioni dello Stato, del Governo, del Parlamento e dell'Arma dei carabinieri si chiamano con il loro nome, vale a dire eversione terroristica istituzionale, tesa a sovvertire la democrazia. http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn%3Anir%3Astato%3Alegge%3A2010%3B84 http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=eurogendfor http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=direttiva+guerra http://www.youtube.com/watch?v=EgEBmm2yl04 http://www.youtube.com/watch?v=T-_NVxQo3Ak www.youtube.com/watch?v=YrO_f_f0D_g http://www.youtube.com/watch?v=PTW0KEIoKc8 DOCUMENTI ALL’INTERNO DEL LINK: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/08/terremoti-eurogendfor-dittatura.html

PD. Partito Demoralizzante.

Tav: breve analisi di un’intervista a Piero Fassino. di Fabio Balocco | 11 agosto 2013, da Il Fatto Quotidiano.
Piero Fassino mi ricorda tanto il medico di famiglia di quando io ero bimbo. Aveva l’aria allampanata come lui, portava gli occhiali come lui, e quando formulava le diagnosi chiudeva gli occhi esattamente come lui, quando partorisce le sue verità. Non mi convinceva il mio medico di famiglia soprattutto, devo dire, quando mi allertava sui potenziali pericoli della masturbazione (mi convinse di più Guccini anni dopo ne “L’avvelenata”), così come non mi convince Fassino oggi. Penso questo guardando l’intervista che Emanuele Bellano gli fece a maggio e che in parte fu utilizzata per una trasmissione di Report. Ve la propongo perché molti non l’avranno potuta godere nella sua interezza. L’intervista – dopo un prologo un po’ incerto (Fassino data al massimo 100.000 anni addietro la comparsa dell’uomo sulla terra, e questo passi, non è un antropologo) – inizia con una affermazione che scantona dal problema: l’uomo oggi avrebbe la capacità di realizzare una linea ferroviaria sicura, rapida ed efficiente. L’intervistatore – dato che l’interlocutore deraglia vistosamente – cerca di riportarlo sui binari. “Ma i soldi?”. Fassino, apodittico e serafico: “I soldi, come Lei vede, ci sono”. Bellano si sarà chiesto dove siano e ce lo chiediamo anche noi: forse Fassino li vede quando chiude gli occhi. “E poi bisogna vederli in prospettiva, occorre vedere la redditività dell’opera”. Bellano: “ma i traffici sono in diminuzione costante tra Italia e Francia”. Per Fassino è evidente: “i traffici diminuiscono perché non ci sono le infrastrutture” (peccato che l’autostrada del Frejus ci sia e che il volume del traffico merci sia diminuito costantemente sulla stessa dal 2000 al 2008, passando da 2,7 milioni del 2000 a 1,7 milioni del 2008, ma questo Fassino non lo sa…). Il sindaco poi addirittura scommette che il Tav sarà un fattore di sviluppo. Fassino non sembra un tipo da scommesse, tutt’altro, con quel suo aplomb, ma è anche vero che non dice quanto scommette. L’intervistatore incalza. Altri stati hanno rinunciato e cita il Portogallo. Fassino congiunge le mani, come per dire “ma per favore…” ed aggiunge “ma sta ai confini dell’Europa. Non è strategico”. Peccato che il famoso Corridoio 5 partisse proprio da Lisbona, cioè da un porto, da cui si dovevano sbarcare o imbarcare le merci….Insomma, il Portogallo non conta una cippa. Io fossi un portoghese mi arrabbierei un tantino. E va bene, veniamo alla Francia: “La Corte dei Conti francese ha sollevato dubbi sull’utilità dell’opera”. Bellano vorrebbe elencargli quali sono le obiezioni sollevate dall’organo, ma Fassino, come un pugile nell’angolo, si chiude a riccio: “io non mi arrogo il diritto di esprimere un giudizio su quello che dice la Corte dei Conti francese.” In realtà l’intervistatore non gli chiede di arrogarsi alcun diritto, ma semplicemente di replicare se ha gli argomenti. Ma Fassino sguscia: i governi sono d’accordo. Stop. Finisce qui l’intervista. Lasciatemelo dire: se per assurdo, anziché amministratore della cosa pubblica, Fassino avesse fatto il medico, io mai e poi mai mi sarei fatto curare da lui. La diagnosi è carente, la cura è ancor peggio.

mercoledì 7 agosto 2013

Italia colonia.

Il piano: Renzi premier e Italia svenduta alla Germania. di: WSI Pubblicato il 07 agosto 2013|l'Opinione di Giulio Sapelli.
Stanno cercando di vendere l’Italia: Renzi e De Benedetti alla Germania, Prodi alla Cina. Paese sarebbe ridotto a un semplice protettorato. ROMA (WSI) - Stanno cercando di vendere l’Italia: Renzi e De Benedetti alla Germania, Prodi alla Cina. In cambio, dai futuri padroni puntano a ereditare il controllo su un paese che, grazie a loro, sarebbe ridotto a un semplice protettorato. Pur nei suoi aspetti sgradevoli e controversi, la battaglia che Napolitano ha affidato a Letta e Alfano mira a scongiurare la svendita rovinosa del paese, mantenendo un rapporto strategico con gli Usa proprio per evitare la capitolazione definitiva di fronte a Francia e Germania, interessate a "smontare" il loro competitore più scomodo: l’Italia è ancora la seconda potenza manifatturiera d’Europa. E’ la tesi del professor Giulio Sapelli, secondo cui persino il governo Monti fu un tentativo di limitare i danni. Sapelli denuncia un vero e proprio complotto contro l’Italia, organizzato da un establishment che include "Repubblica", settori di Bankitalia e dirigenti di Confindustria che fanno capo a Luca Cordero di Montezemolo. L’uomo su cui punterebbero? E’ Matteo Renzi. I renziani, che remano contro il governo Letta, «sono organici al gruppo di De Benedetti», dichiara Sapelli a Lorenzo Torrisi, in un’intervista pubblicata da "Il Sussidiario". «Oltre a volere un capitalismo subalterno al sistema franco-tedesco, perseguono un altro scopo: dare una spallata definitiva alle componenti di sinistra, sia cattoliche che ex Pci, all’interno del Pd». Quando ha incontrato la Merkel a Berlino, Renzi non ha spiegato di cosa abbiano parlato. D’Alema, ricorda Sapelli, ha auspicato che Renzi avesse detto alla Merkel che la sua politica è sbagliata. Invece: «Il fatto che non abbia detto nulla mi fa venire il dubbio che abbia offerto il suo assenso alla politica della Cancelliera». Il punto centrale resta l’industria, ovvero la piccola e media impresa, cuore del sistema-Italia: «Dobbiamo chiederci come saremo dopo la crisi: saremo ancora la seconda potenza manifatturiera o no?». Sapelli denuncia le manovre di «un piccolo establishment che si sta muovendo per ottenere un’integrazione subalterna dell’Italia al capitalismo franco-tedesco». Letta e Alfano? «Hanno avuto un atteggiamento fermo nei confronti dell’Europa, e a questi signori non piace: vogliono quindi che il governo cada». Da chi è formato questo establishment? «Sicuramente da quella parte di Confindustria che fa riferimento a Montezemolo, così come da De Benedetti: basti vedere il comportamento di "Repubblica" che arriva a chiedere apertamente le dimissioni di Alfano», dopo lo scandalo kazako. Secondo Sapelli, una parte di Confindustria «vuol vedere l’Italia subalterna a Francia e Germania perché ormai non ha più nessuna fiducia in uno sviluppo autonomo manifatturiero del nostro paese», e quindi «lavora e pensa a un’integrazione subalterna di ciò che rimane dell’industria italiana sotto Montezemolo l’ombrello protettivo franco-tedesco: in sostanza crede che l’Italia non ce la possa fare, e cerca di venderla al prezzo migliore». La grande stampa riflette la battaglia in corso dietro le quinte: se "Il Sole 24 Ore" «ha preso solo una sbandata», bocciando il governo Letta, il "Corriere della Sera" «ha una posizione oscillante», e se "La Stampa" preme sempre di più su via Solferino, al "Corriere" è in atto uno scontro che mette in evidenza le divergenze radicali all’interno del mondo bancario, co-azionista del quotidiano milanese: «La linea subalterna e rinunciataria si scontra con quella di Bazoli e Guzzetti. Questi ultimi sanno che verrebbe messo in discussione il ruolo delle banche, anche grazie all’appoggio di una parte di Bankitalia». Il ministro Saccomanni, che viene da Bankitalia, in un recente convegno sulle soluzioni al "credit crunch" «ha aperto le porte ai credit fund, cioè allo shadow banking». Di fatto, per Sapelli, si tratta di un attacco frontale a Bazoli e Intesa, banca che «cerca ancora di difendere un po’ di rapporto con l’industria italiana», come già fatto dallo stesso Passera. «Non a caso anche le banche popolari, che hanno rapporti con le imprese sul territorio, sono De Benedettistate prese a bastonate da Bankitalia». A partire dal drammatico esperimento-Monti, secondo Sapelli, Napolitano ha perseguito «un obiettivo chiaro: un’integrazione non subalterna dell’Italia nel processo europeo, una non-distruzione della nostra industria a seguito del cambiamento che ci sarà dopo la crisi». Secondo l’economista, «a questi signori, a questo establishment, il fatto che siamo la seconda potenza manifatturiera d’Europa sembra dare fastidio». Via Monti, ecco Letta e Alfano. Ma la regia è sempre la stessa, quella di Napolitano: «Con questo esecutivo, si erano messi insieme gli unici due schieramenti contrari all’egemonia tedesca: il gruppo sociale raccolto intorno a Berlusconi e Prodiquello che finalmente, grazie alla crisi e grazie a Letta, ha capito che l’Italia non può essere subalterna». Oltre a Francia e Germania, poi, ad avere interessi sull’Italia «c’è anche la Cina, che ha un "ambasciatore" in Prodi: in pratica si tratta di trovare le imprese da vendere a Pechino, che sta espandendo sempre di più la sua influenza in Europa». La Cina ultimamente però vacilla, è in crisi, «grazie proprio al sistema dello shadow banking che Saccomanni invoca per l’Italia». Di certo, aggiunge Sapelli, questo disegno agli americani non sta bene, «perché gli Usa non vogliono un’Italia "tedesca": la Germania è una potenza anti-americana, quindi non vogliono che aumenti il suo peso nel nostro paese». E questo per Sapelli «è un bene, perché non credo che l’Italia – da sola, in Europa, senza gli Stati Uniti – abbia un avvenire». Il professore pensa che l’avvenire italiano sia «organicamente legato al rapporto con gli Usa». Ultima annotazione, la Fiat: la banda Marchionne, secondo Sapelli, non fa parte del club che progetta la svendita del made in Italy. Per una sola ragione: per l’industria torinese, l’Italia non esiste già più. «La Fiat fa gli interessi degli Agnelli, che oggi vogliono diventare sempre meno italiani». Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Libre - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

lunedì 5 agosto 2013

LA QUESTIONE DEL DEBITO IERI OGGI E DOMANI.

Ristrutturazione debito: le possibilità in Europa. di: WSI Pubblicato il 05 agosto 2013. L'idea non è più un'utopia. Sta prendendo piede nel Sud d'Europa. Ecco i metodi, la loro fattibilità e sopratutto, tutte le conseguenze.
ROMA (WSI) - "Il debito pubblico è la misura della pavidità dei politici", ha osservato il noto economista francese Jacques Attali. Per cui pagano dazio creditori e cittadini innocenti. Ma quella che era prima un'idea avanzata da qualche economista in cerca di popolarità è diventata una proposta seria che sta prendendo sempre più piede in Europa. Il progetto per una ristrutturazione del debito dei paesi appartenenti alla cosidetta periferia dell'area euro non va considerato una chimera. La soluzione del cancellamento del debito 'odioso' e del suo rigetto non è una misura percorribile allo stato attuale delle cose in Europa. Se ripudiare il debito 'odioso' è un'operazione già percorsa e fattibile in linea generale, è molto difficile che veda la luce nell'area della moneta unica, come ricorda La Tribune. Storicamente, il rifiuto completo del debito sovrano è un evento rarissimo. Il caso più emblematico è quello dell'Unione sovietica che, dalla rivoluzione di ottobre del 1918, ha rifiutato l'eredità del debito dello Stato zarista, rovinando gran parte dei creditori dei titoli russi, in maggioranza francesi. Ufficilamente il default è stato definito 'parziale', perché nel 1997 un accordo tra i due Stati ha stabilito il versamento di 400 milioni di dollari ai detentori di debito russo. La scusa dei russi era che il debito degli zar era stato utilizzato al servizio della tirannia e non del popolo. Pertanto non spettava al nuovo governo socialista onorarlo. Nel caso europeo, un argomento simile sarebbe un po' debole. Gli esecutivi di Portogallo, Cipro e Grecia riconoscono la legittimità del debito pubblico. Alcuni hanno preteso che il debito accumulato dai governi greci, che avevano truccato i conti, si potesse considerare 'odioso', ma l'argomento non è poi stato ripreso e sostenuto a sufficienza. È difficile che questo tipo di default, il più violento di tutti, sia utilizzato in Eurozona. Il default parziale, che corrisponde a uno scambio di titoli, è invece un caso più frequente che potrebbe anche essere scelto dai paesi più travagliati del blocco a 17. Capita spesso che venga proposto uno scambio di titoli ai creditori. I vecchi Bond sono sostituti da nuovi titoli di valore inferiore. È quello che è stato proposto ai proprietari di debito greco a marzo 2012. In quel caso ai creditori venne chiesto di accettare 46,5 euro di titoli nuovi al posto di 100 euro di debito vecchio. Nel caso greco il debito viene inoltre garantito da una serie di titoli terzi emessi dal fondo salva stati EFSF. È sicuramente il caso che ha maggiori chance di essere utilizzato nel caso di un altro default nel Sud d'Europa. Una terza opzione è quella in cui lo Stato fa default scambiando una parte del suo debito con titoli che hanno lo stesso valore di facciata, ma non lo stesso valore reale. È il caso della Francia del 1797, all'alba della Rivoluzione Francese. Parigi decise di attribuire ai suoi creditori due nuovi titoli per uno solo di debito vecchio. Il primo titolo, che rappresentava due terzi del valore del debito, era pagato in 'buoni' che potevano essere utilizzati solo per il pagamento dei beni nazionali il cui valore continuava a ridursi. Un anno più tardi i proprietari del debito si sono ritrovati con appena il 2% del valore nominale. L'altra parte (un terzo) di debito «consolidato» venne ripreso come debito pubblico, che garantiva un rendimento del 5% l'anno. Insomma, la Francia si è sbarazzata di due terzi del suo debito fregando i suoi creditori. A questo metodo viene preferito quello dello scambio di obbligazioni. Un altro default possibile è quello per inflazione o svalutazione. Si tratta della maniera più insidiosa per sbarazzarsi del debito. Consiste nel rimborso del debito contratto in una moneta svalutata, oppure nel lasciare l'inflazione galoppante erodere il debito, il quale diventa rimborsabile a buon mercato. Il vantaggio di questo metodo è che il debito non fa default in realtà, bensì viene rimborsato nella sua integralità. Ma l'inflazione diventa la fonte di impoverimento della popolazione locale. In Europa per ricorrere a una simile strategia un paese del blocco a 17 dovrebbe uscire dalla moneta unica. Per il momento è esclusa ma in futuro potrebbe materializzarsi. Infine, c'è la rimodulazione delle scadenze del debito. Anzichè porre i creditori davanti al fatto compiuto, come l'Argentina del 2002 e la Grecia del 2012, si potrebbe negoziare con loro la ristrutturazione del debito. Il vantaggio per Atene e Buenos Aires è stato che hanno gestito l'ammontare di debito cancellato. L'inconveniente è che si sono esposte al rifiuto in massa della soluzione proposta. Famoso il caso della clausole di azione collettiva (CAC), secondo cui è consentito imporre la scelta compiuta dalla maggioranza dei creditori (nel caso greco il 75% del totale) a quella di tutti gli altri. Meglio sarebbe imporre un rapporto di forza. Il paese che fa default non dispone dei mezzi per far valere la propria idea di ristrutturazione del debito. È spesso un paese isolato politicamente, che ha bisogno urgente di fondi ed è pertanto pronto ad accettare qualunque condizione imposta dai crditori. Spesso, di conseguenza, il default finisce per essere una ristrutturazione delle condizioni e dei termini del debito, come nel caso dell'altra bancarotta greca famosa, quella del 1893. E anche per determinare una perdita di sovranità e la conservazione nonostante tutto di un notevole fardello del debito. Nell'area euro la questione è un po' diversa. Le condizione proposte ai creditori non sarebbero definite dagli stati coinvolti, bensì dalle stesse autorità dell'area euro. In questo caso il rapporto di forza non sarebbe a favore dei creditori. Qui sta la chiave di tutto. Ma siamo sicuri che convenga pagare le conseguenze che la ristrutturazione comporta? L'austerity (è sotto gli occhi di tutti il danno che ha provocato in certi paesi) e il rischio di un contagio. In quest'ultimo caso è sopratutto il pericolo che correbbere il sistema bancario che andrebbe valutato per bene e da vicino, perché molti istituti di credito dispongono ancora di ingenti quantità di debito periferico. È anche il motivo per il quale la ristrutturazione del default viene scarata come ipotesi per uscire dalla crisi. Bisognerebbe evitare che il default provochi una crisi bancaria. E finché l'Unione Bancaria resta bloccata nel limbo, difficilmente sarà possibile.