martedì 31 luglio 2012

Di Pietro: Monti in fondo al tunnel vede luce artificiale.

Zingales: lo spread scenda sotto 200 o l'Italia non ce la farà. di: WSI-ASCA Pubblicato il 18 luglio 2012.
Parola del docente della Chicago Booth School of Business (nella foto). "Già quota 450 è impossibile da sostenere nel lungo periodo": se "la situazione peggiora difficile evitare il default" Roma - "Se la situazione peggiora l'Italia non ce la fa''. E' quanto rileva l'economista Luigi Zingales, docente alla Chicago Booth School of Business, intervistato dal Gr3 Rai. "Gia' 450 punti di spread sono per il governo impossibili da sostenere nel lungo periodo, difficili nel breve: o lo spread rientra in termini relativamente veloci entro i 200 punti, o e' veramente difficile che l'Italia riesca a evitare un default". Quanto alle prospettive del Paese, aggiunge Zingales, "purtroppo la Banca d'Italia ha ragione, il credit crunch si sta riflettendo sull'economia, e un Pil in calo del 2,5 per cento nel 2012 c'e' tutto, finche' non si risolve l'incertezza e' difficile vedere segnali di ripresa".

domenica 29 luglio 2012

Andate in pensione, please.

PERSINO LA FORNERO VE LO CONSENTE.ALMENO SMETTETE DI ATTACCARE I MAGISTRATI E LA LIBERTA' DI STAMPA.
(grafica da dagospia)

I tavoli della cricca.

L’insostenibile leggerezza del politico sull’Ilva di Pino Corrias | 29 luglio 2012
Uno può pure avere dei dubbi sulla scelta dei magistrati di chiudere in un giorno, con una sola ordinanza, l’area a caldo dell’Ilva di Taranto che da mezzo secolo avvelena l’aria, la terra, gli uomini. Ma non può averne sulla politica e suoi politici, anzi sull’antipolitica e gli antipolitici – di Taranto, della Puglia, d’Italia – che viaggiano dentro le corsie preferenziali del loro mondo ripulito, occupandosi di territorio e lavoro solo come risorse di propaganda. Per loro l’inquinamento è sempre presunto. Le ricerche epidemiologiche provvisorie. Le soluzioni: da ricercare insieme, prepariamoci, vedremo. E poi certo, gli operai, il posto di lavoro è sacrosanto. Ed è sacrosanta l’industria, ci mancherebbe, tanto più che per farle posto si sono dovuti sradicare 20 mila ulivi, come nel caso dell’Ilva, anno di grazia 1959. Considerano molto professionale mantenersi equidistanti tra la diossina e gli operai: una dicotomia di cui parlare, senza sognarsi di risolverla. Per questo sembrano sempre presi alla sprovvista, addirittura disturbati. Stavano facendo altro ed ecco che davanti ai loro vetri blindati “è scoppiata un’emergenza”. Urge una commissione, un tavolo, una tavolata. Il Fatto Quotidiano, 29 Luglio 2012

Esiste un piano, oltre il baratro?

Marchionne non è capace Ma la CGIL non lo sa. Ecco perché Volkswagen batte Fiat 4 a 2. di Jacopo Fo, dal blog Cacao della domenica.
La crisi Fiat è verticale con una diminuzione delle vendite che supera il 20%. Al contrario Volkswagen aumenta le vendite di più del 20%. Marchionne si lamenta: le banche tedesche, grazie alla florida situazione finanziaria, possono offrire a chi compra Volkswagen rateizzazioni a interessi bassissimi. Cioè anche la Fiat soffre dello spread tra Italia e Germania. E Marchionne piange: concorrenza sleale. Economisti di chiara fama aggiungono: Volkswagen ha investito pesantemente sulla ricerca e l’innovazione, lanciando modelli che consumano poco. La questione dello spread è recente, mentre la differenza di successo tra Fiat e Volkswagen va avanti da tempo. Non ho sentito nessuno parlare della differenza tra le due concezioni di impresa. È un argomento che non interessa. I nostri economisti, politici e sindacalisti non sono abituati a entrare nel merito del sistema. Durante lo scontro Fiat-Fiom ho realizzato un’inchiesta proprio su questo, scoprendo alcune cose interessanti: 1) La Fiat non ha compiuto la rivoluzione dell’efficienza energetica, ad esempio: niente pannelli solari sui capannoni. Volkswagen non ha un solo metro di capannone senza un pannello fotovoltaico sopra. Ha pure i mulini a vento dentro le fabbriche. E sta costruendo una rete elettrica sua con 100mila motori di auto, a gas, trasformati in caldaie che producono elettricità e calore. Un affare per le famiglie tedesche. In futuro ci saranno milioni di motori venduti al di fuori del mercato dell’auto. Ironia della sorte questa idea venne alla Fiat all’inizio degli anni ’80 ma fu considerata una sciocchezza e abbandonata. 2) Il sindacato non si interessa di queste questioni, ho dovuto faticare a trovare un sindacalista di Mirafiori che sapesse dirmi qual è la situazione energetica Fiat. 3) Gli operai Volkswagen rendono 3 volte gli operai Fiat, e guadagnano il doppio. E quest’anno avranno un premio di 7.000 euro più un aumento del salario del 4,5%. Ma questi soldi non solo sono di più di quelli che prendono gli operai Fiat, valgono anche il 20-30% in più. Infatti sindacato e azienda hanno creato un sistema di gruppo d’acquisto globale, per cui tutto quel che compra un operaio Volkswagen è all’interno di un mega gruppo d’acquisto: dalla casa, alle vacanze, all’assicurazione, alle scarpe per i bimbi. Anche questo aspetto non interessa al sindacato. Se gli chiedi quali sono i benefit per gli operai Fiat non lo sanno. 4) I dipendenti Volkswagen sono soci dell’azienda e siedono in consiglio di amministrazione. Un’altra cosa che in Italia non interessa. E tutte queste differenze concorrono a creare una Grande Differenza, una differenza di sistema. Di questo fatto che la crisi è una crisi di SISTEMA, se ne parla, ma poi non si spiega DOVE il nostro sistema è in crisi. Gli economisti che vanno per la maggiore non spiegano che l’efficienza di un’azienda, la redditività degli operai, la genialità delle innovazioni, l’acume delle strategie, la qualità dei prodotti, sono tutti elementi strettamente collegati e dipendono dall’ECOSISTEMA AZIENDA nel suo complesso. Si tratta di un prodotto dell’insieme di molti fattori, una questione di sinergie. È come l’agricoltura: puoi riempire i campi di prodotti chimici, oppure puoi usare la pacciamatura al posto dell’aratura, dei diserbanti e dei concimi di sintesi, fiori e coccinelle al posto degli insetticidi… Quel che ottieni poi non sono solo raccolti a minor costo ma anche fragole che profumano veramente di fragola. Questo articolo contiene intrinsecamente anche una buona notizia. Come ripeto da tempo la crisi esiste veramente ma dipende dal fatto che si buttano miliardi di euro dalla finestra e si distruggono grandi opportunità. Possiamo smettere di buttare i soldi dalla finestra? Visto che siamo arrivati al baratro del crack economico planetario credo che le forze sane dell’umanità reagiranno. Un altro modo di produrre e vendere esiste ed è interesse della stragrande maggioranza dell’umanità adottarlo. Neanche ai laidi capitalisti conviene che si torni al medioevo. E credo anche che si sia arrivati finalmente a decidere di dare nuove regole al mercato. Il discorso di Draghi mi sembra un segnale positivo del fatto che si sia cambiata la musica. Ma di questo ne riparleremo.

Eventi cult.

Chi trova Bersani trova un salame. di Davide Vecchi | 28 luglio 2012. Se trovi Bersani vinci un caffè. Se ne trovi tre puoi ritirare un salame gratis. Cinque faccine? Al salame si aggiunge un pezzo di formaggella toscana. E via così. In palio ci sono anche gelati, fette di anguria, piatti di pasta e fagioli, prosciutti, panini con la salsiccia: dipende da quanti volti del segretario si trovano sotto la patina argentata del “Più Bersani più vinci”. Ogni biglietto costa due euro. La trovata del gratta e vinci democratico è del Pd fiorentino e sarà distribuito alla festa del partito in programma al Parco delle Cascine dal 23 agosto al 16 settembre. Un modo per autofinanziarsi, spiegano gli organizzatori della fu festa dell’Unità. E se il presidente della Toscana Enrico Rossi garantisce che ne comprerà più d’uno (aggiungendo un “votate Bersani alle primarie”) i renziani hanno storto il naso. I seguaci di Matteo Renzi avrebbero preferito grattare per cancellare Bersani, non per ritrovarselo moltiplicato in stile macchie di Giaguaro.
Il Fatto Quotidiano, 28 Luglio 2012

Infarto di Stato.

di Marco Travaglio, 28 luglio 2012. Mentre stormi di avvoltoi e branchi di sciacalli si aggirano famelici attorno alla salma di Loris D’Ambrosio, additando improbabili colpevoli del suo infarto e scambiando per “assassinio” il dovere di cronaca e il diritto di critica, è il caso di rinfrescare la memoria agli smemorati di Libero, Giornale, Foglio, Corriere, Stampa e Repubblica, ieri macabramente uniti nel mettere alla gogna Il Fatto Quotidiano nel tentativo (vano) di spegnere ogni residua voce di dissenso. Un’operazione tanto più indecente e ricattatoria in quanto, di fronte alla morte, tutti ammutoliscono nel doveroso cordoglio e non è molto popolare azzardarsi a criticare i morti per quel che han fatto da vivi. Ma a chi non rinuncia al dovere di informare non rimane che lasciare in pace i morti e occuparsi dei vivi, mettendo ancora una volta in fila i fatti. Se il dottor D’Ambrosio è finito sui giornali, è a causa di intercettazioni legittimamente disposte da un giudice sul telefono di Mancino e legittimamente pubblicate dalla stampa, una volta depositate alle parti e dunque non più coperte da segreto. E, se il dottor D’Ambrosio è stato indirettamente intercettato, è colpa di Mancino che ha deciso di coinvolgere il Quirinale in una sua grana privata, ma anche del Quirinale che ha deciso di dargli retta e di prodigarsi per favorirlo, mettendo a repentaglio l’imparzialità della Presidenza della Repubblica. Decisione, quest’ultima, che è rimasta finora senz’alcuna spiegazione (il Quirinale “deve” qualcosa a Mancino e, se sì, perché?). Ma che D’Ambrosio attribuiva non a una sua iniziativa personale, bensì a una precisa e perentoria scelta del “Presidente”, che “ha preso a cuore la questione” e si è “orientato a fare qualcosa”: “Il Presidente parlerà con Grasso nuovamente”, “mi ha detto di parlare con Grasso”, “parlava di vedere un secondo con Esposito”, suggeriva a Mancino di “parlare con Martelli” per concordare una versione comune, scriveva al Pg della Cassazione per “non mandare lei (Mancino, ndr) allo sbaraglio” e perché il Pg “eserciti i suoi poteri nei confronti di Grasso… Tu, Grasso, fai il lavoro tuo”, insomma “si decide insieme” e il Presidente “sa tutto, e che non lo sa?”. Sono tutte parole di D’Ambrosio, non invenzioni dei suoi assassini a mezzo stampa. Se quelle segretissime manovre per depotenziare o addirittura scippare ai titolari l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia sono note, non è grazie alla trasparenza del Colle, ma all’inchiesta di Palermo. E, se sono finite nel nulla, non è perché il Quirinale non ci abbia provato. Ma perché Grasso le ha respinte, ricordando che l’invocato “coordinamento” delle indagini era stato assicurato un anno prima da una delibera del Csm presieduto dallo smemorato Napolitano. Checché ne dicano il Presidente e gli sciacalli, D’Ambrosio non ha subìto (almeno sul Fatto) alcuna “campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose”. Se illazioni ci sono state, hanno inevitabilmente riguardato le conversazioni rimaste segrete fra Mancino e Napolitano, a causa della decisione del Quirinale di non renderle pubbliche, anzi di pretenderne la distruzione, a costo di trascinare la Procura di Palermo davanti alla Consulta con un conflitto che Franco Cordero (sul Corriere, sul Fatto e infine su Repubblica) ha dimostrato infondato. Su D’Ambrosio non c’era da insinuare o escogitare nulla: abbiamo semplicemente pubblicato e commentato criticamente, come altri giornali, le sue testuali parole intercettate. E, unico giornale in Italia, abbiamo subito intervistato D’Ambrosio per dargli la possibilità di spiegarle. Lui l’ha fatto, ma ci ha pure esternato il suo disagio per ciò che non poteva dire, essendo vincolato dal “segreto” su parole e azioni del Presidente che – ricordava ossessivamente nell’intervista – “sono coperte da immunità”. Gli abbiamo chiesto di farsi sciogliere dal vincolo, ma dopo qualche ora ci ha fatto rispondere dal portavoce del Quirinale che il Presidente non l’aveva sciolto. Lo stesso vincolo che ha esposto lui, magistrato, a due imbarazzanti figuracce dinanzi ai suoi colleghi di Palermo, che lo sentivano come teste su ciò che aveva confidato a Mancino di sapere sulla trattativa: lui sulle prime negò tutto, ma poi, messo di fronte alle sue parole intercettate, dovette ammettere parecchie cose fra mille contraddizioni, e sfiorò l’incriminazione per reticenza. Non conoscendo personalmente D’Ambrosio, noi possiamo soltanto immaginare con quale stato d’animo un uomo tanto riservato abbia vissuto questi 40 giorni di esposizione mediatica e il drammatico ribaltamento della sua immagine: da collaboratore di Falcone nella stesura del decreto sul 41-bis a difensore d’ufficio di chi aveva revocato il 41-bis a centinaia di mafiosi, o almeno non l’aveva impedito. Insomma, da servitore dello Stato a servitore di Mancino. Ma, se Napolitano avesse ragione a collegare la sua morte a quanto è stato scritto di lui, dovrebbe anche domandarsi chi ha esposto D’Ambrosio a quelle critiche, a quelle figuracce e a quel ribaltamento d’immagine: non certo chi ha riferito doverosamente le cose che aveva detto e fatto, semmai chi gli aveva chiesto di dire e di fare quelle cose. Il Fatto Quotidiano, 28 Luglio 2012

Fenomenologia di una stronza.

I numeri dell’Inps smentiscono Fornero. di Michele Carugi | 28 luglio 2012, da il Fatto Quotidiano.
I giornali e le agenzie riportano oggi che il numero di nuove pensioni erogate dall’Inps nel primo semestre del 2012 è calato del 47% rispetto allo stesso periodo del 2011. A fronte del quasi dimezzamento delle nuove pensioni e dell’età media effettiva di pensionamento che si è innalzata a 61,3 anni e cioè di quasi un anno secco rispetto al 2011, che conferma una tendenza già iniziata nel 2011 e che ha portato a ottimi risultati economici in quell’anno sul versante puramente previdenziale, il presidente dell’Inps Mastrapasqua ha dichiarato: “I dati Inps sul calo delle nuove pensioni dimostrano che le riforme hanno funzionato e che il sistema previdenziale é stato messo in sicurezza”. Va dato atto peraltro a Mastrapasqua, di avere sostenuto già dal 2010 che il sistema previdenziale era stabilizzato, in questo concordando con moltissimi altri personaggi pubblici ed esperti del settore. A scanso di equivoci non è superfluo sottolineare che la riforma Fornero non ha avuto alcun impatto di alcun genere sui risultati dell’Inps del primo semestre del 2012, poiché i suoi effetti devastanti sulle persone e quelli economici si cominceranno a sentire solo dal 2013. Allora le domande che sorgono spontanee sono: Da quale infausta motivazione furono ispirati Trichet e Draghi quando nell’agosto 2011 scrissero la famosa lettera al Governo italiano nella quale chiedevano tra le altre cose che si mettesse mano con urgenza alla riforma della previdenza? Che cosa ha motivato Fornero a pensare e poi attuare la riforma che si sta rivelando, oltre che drammaticamente insostenibile per centinaia di migliaia di pensionandi senza lavoro, anche del tutto superflua? Perché le forze politiche hanno colpevolmente avallato la bieca riforma proposta da Fornero salvo apportare alcune modifiche meno che marginali? Le mie risposte sono le stesse già date altre volte. Trichet semplicemente non sapeva di cosa parlava essendogli probabilmente sconosciuti i dettagli del nostro sistema previdenziale. Draghi mirava a sostenere preventivamente una riforma non necessaria ma che certamente è utile per spostare a regime risorse dai contributi dei lavoratori alle spese dello Stato in altre aree e migliorare i conti pubblici. Fornero ha attuato una riforma di cui è ideologicamente convinta da sempre anche contro le evidenze di non necessità e ha trovato sponda da tutti coloro che volevano “fare cassa”. I partiti politici hanno subito ottusamente il ricatto consistente nel “prendere o lasciare”, e cioè o si approva tutto ciò che il Governo Monti propone oppure lo stesso lascia. Nessuna di queste motivazioni ha radici nei conti del nostro sistema previdenziale preesistente, che a questo punto solo un commentatore in malafede potrebbe continuare a definire instabile e illumina meglio le ragioni grettamente di cassa che stanno dietro alla furia riformatrice altrimenti ingiustificata. I circa 200.000 esodati che pagheranno sulla loro pelle la riforma saranno agnelli sacrificali, il cui sangue non scorrerà per risanare i conti della previdenza o per garantire pensioni migliori ai giovani di oggi, bensì per bilanciare nei conti dello Stato spese quali l’assistenza (gestita dall’Inps) oppure, peggio, per mantenere un flusso di risorse che contribuisca a finanziare aree di spreco, clientelismo e parassitismo che non si andranno a toccare, perlomeno non sufficientemente. Altresì, l’età pensionistica più alta d’Europa verrà raggiunta con effetto quasi immediato non perché ciò fosse necessario per i numeri previdenziali, ma per migliorare la situazione di cassa dello Stato prelevando da una delle poche aree in equilibrio grazie ai contributi dei lavoratori e delle imprese. Ci dissero, in dicembre, che occorreva la riforma perché lo Stato rischiava di non poter neppure pagare le pensioni esistenti; ciò sembrò da subito un’invenzione, sensazione confermata vedendo i conti della ragioneria dello Stato che indicavano i primi benefici a partire dal 2013 e che quindi rendevano non credibile che tali risparmi servissero a pagare le pensioni nell’immediato. Ci dissero anche che la riforma era una delle cose necessarie per dare agli investitori internazionali fiducia sul paese e quindi far abbassare lo spread; tutti hanno visto cosa è successo in seguito allo spread e come questo sembri del tutto in dipendente dallo stato del nostro sistema pensionistico. In conclusione, ritengo che ci siano state raccontate molte storie fantasiose che la realtà dei fatti smentisce una per una; di fronte a questo occorre che il Governo ci liberi quanto prima della presenza del ministro Fornero e che venga cancellata la sua riforma o almeno modificata radicalmente con buon senso; ci si aspetterebbe che tutti i partiti ne chiedessero le dimissioni, cosa che invece è stata fatta solo da alcune forze all’opposizione e nel non supportarla si è persa un’occasione. Temo, invece, che il ministro resterà al suo posto e che continuerà a sostenere contro l’evidenza che la sua riforma era necessaria e che non ci sono risorse per risolvere il problema di tutti gli esodati e che in partiti politici continueranno a giocare con proposte di legge future ed emendamenti minimali, continuando a sottostare al ricatto surreale di chi dice: “o questo governo esattamente com’è oppure il diluvio”. Continueranno su questa strada che però, è bene lo sappiano, li porterà al tracollo elettorale e porterà la nazione a una reale ingovernabilità; sempre che la rabbia degli esodati che oltre che bastonati sono anche ora irrisi dalle cifre pubblicate dall’Inps, saldata a quella dei lavoratori che vedono la pensione allontanarsi enormemente senza un motivo reale, non esploda e costringa finalmente qualcuno a smetterla di trincerarsi dietro favolette sempre più risibili e ad affrontare la realtà del fatto che la riforma si può e si deve modificare radicalmente, molto radicalmente e che le risorse per il problema esodati ci sono, basta evitare di stornarle dalla previdenza per destinarle ad altro e che cambiando il Ministro del lavoro non necessariamente i Governi devono dimettersi; si chiama “rimpasto” ed è doveroso quando la principale riforma di quel ministro viene smentita dalla realtà dei numeri.

sabato 28 luglio 2012

Il neoliberismo ha fallito.Grecia coi bambini denutriti.

La fine di una moneta. di PITAGORA, da il manifesto. 24.07.2012
Il disordine regna sovrano in Europa. Se il presidente della Bce Mario Draghi asserisce in un'intervista al quotidiano Le Monde che l'euro è irreversibile, il cancelliere tedesco Merkel si dichiara «ottimista» ma non sicura della sopravvivenza dell'euro. La scorsa settimana l'Eurosistema ha deciso di non accettare titoli di stato emessi o garantiti dalla Repubblica ellenica come collaterale per ottenere prestiti fino alla «conclusione dell'esame condotto dalla Commissione europea, in raccordo con la Bce e l'Fmi, sui progressi compiuti dalla Grecia»; il Fondo Monetario Internazionale, a sua volta, secondo quanto riportato da autorevoli fonti di stampa, starebbe valutando l'idea di bloccare gli aiuti alla Grecia. Il mese di luglio è ormai trascorso senza che siano state avviate misure concrete per rendere operativo il cosiddetto «scudo anti spread» che era stato approvato alla fine di giugno, con grande risalto mediatico, dai capi di stato e di governo dell'Unione europea. La prolungata assenza di indicazioni precise, convergenti e realizzabili, oltre che di misure concrete, da parte di coloro che hanno il potere di prendere decisioni rilevanti per i mercati finanziari ha favorito l'attuale drammatica situazione. Malgrado l'elevatissimo rendimento atteso, le decisioni di disinvestimento dai titoli degli stati periferici dell'area dell'euro sopravanzano sempre più largamente le decisioni di acquisto. Il divario tra il rendimento dei titoli decennali dello stato spagnolo e quelli analoghi tedeschi ha ampiamente superato i 600 punti base, quello sui titoli italiani ha nuovamente valicato la soglia dei 500 punti base; si tratta di livelli insostenibili per le finanze pubbliche e l'economia di entrambi gli stati che incorporano un'elevatissima probabilità di fallimento. In questa situazione l'Europa e i governi degli stati nazionali non possono più tergiversare. L'economia reale e finanziaria dei paesi periferici dell'Eurozona è in via di smantellamento; in Grecia si intensificano i fenomeni di denutrizione di ampie fasce di popolazione, tra cui tanti bambini; dovunque la disoccupazione ha raggiunto livelli insostenibili, anche se i salari e le pensioni sono stati drasticamente diminuiti e le tutele sociali smantellate. Il fallimento delle politiche economiche neoliberiste, che in Italia sono sostanzialmente proseguite senza soluzione di continuità rispetto al passato, sollecita un immediato cambiamento negli indirizzi di governo, ma purtroppo è probabile che sia troppo tardi perché possa avere effetto. La situazione è precipitata a un punto tale che in assenza di acquisti di quantità elevatissime di titoli di stato da parte dell'Eurosistema, non si può che predisporre un'uscita ordinata dalla moneta unica. Non è detto che sia un dramma; l'euro non può essere un tabù. Con l'attuale livello di sviluppo delle tecnologie informatiche e delle reti telematiche, la moneta unica costituisce essenzialmente un mero valore simbolico, perché i vantaggi negli scambi sono trascurabili; viceversa, in assenza di un piano di convergenza verso un'unione istituzionale ed economica, la moneta unica costituisce un insuperabile fattore di rigidità. L'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che in situazioni di squilibrio negli scambi reali e finanziari tra nazioni, gli interventi sul costo del lavoro, anche drastici, tendono ad accentuare gli squilibri piuttosto che a superarli; ciò è stato tanto più vero quando non sono stati accompagnati da efficaci interventi redistributivi del reddito e della ricchezza. Ripristinare la leva del cambio consente non solo di agire sul livello dei prezzi relativi dei beni prodotti in paesi diversi ma anche sul valore delle attività e passività finanziarie senza influire sui rischi di rimborso del capitale. Anche sui mercati internazionali gli effetti sarebbero trascurabili perché l'euro è stato finora utilizzato in misura molto contenuta come moneta internazionale di riserva, funzione mantenuta in modo pressoché monopolistico dal dollaro. Va poi considerato che l'uscita dalla moneta unica potrebbe accompagnarsi al potenziamento del sistema europeo di banche centrali del quale fanno parte gli stati che non hanno adottato l'euro (ad esempio Gran Bretagna, Danimarca, Svezia) per irrobustire il coordinamento delle politiche finanziarie tra i Paesi Ue. Di per sé, l'eventuale ritorno alle monete nazionali non è un ostacolo alla costruzione dell'Europa Unita e agli interventi di rafforzamento delle istituzioni comunitarie in una prospettiva democratica e meno tecnocratica.

Paolo Villaggio non le manda a dire.

Intervista di Malcom Pagani, per Il Fatto Quotidiano.
(foto da dagospia.) Due labrador, una moglie, la stessa conosciuta nel ‘54, i desideri semplici dei vecchi: "Maura, mi porti un tè?". "Non ho le bustine". "Ce ne sono a milioni". "Tutte vuote, arrangiati". Paolo Villaggio, 80 anni a dicembre, 24 chili in meno di 12 mesi fa, attraversa l'estate nel giardino di casa: "Sono guarito dal diabete, meno rincoglionito che all'epoca della bulimia compulsiva e ho ripreso a dormire. Basta notti zingare, vino tracannato per tirar mattina, eterne file ai bagni dei locali da cui uscivano zombi strafatti di coca". Barba, occhiali, accentuata somiglianza con Ettore Scola, lingua feroce. La stessa di ieri senza la certezza del domani. Il ragionier Ugo, matricola numero uno dell'ufficio sinistri della nostra vita, non programma più. "Se sospetto che perderò le prossime Olimpiadi sulla Luna, mi immalinconisco. L'età è quella e a volte mi manca il terreno sotto i piedi, l'orizzonte per immaginare. Però sono stato felice, ho amato davvero una sola donna e da sfigatissimo topo qual ero, avuto successo con tante altre. Ho vissuto di vanità, sono stato un pessimo padre e oggi osservo i Fantozzi contemporanei, privati del posto fisso, precari per sempre, depauperati della Bianchina e di una figlia scimmia di nome Mariangela, spaventati. Portano jeans alla zuava, pacchi in vista, creste che li fanno somigliare a Mario Balotelli, orecchini a forma di pistola e sono governati da Passera, un tipo così triste che la sera (mi pare di vederlo) invece di uscire, si barrica in casa con il telecomando. Fantozzi deteneva il record, 380 cambi di canale in 26 secondi netti. E come me, alla Corazzata Potemkin avrebbe preferito la galera. Il mio ragioniere, caro signor Monti, era più felice dei Fantozzi odierni . Sa a cosa penso quando vedo la Fornero piangere? Si commuove? Che siamo circondati da attorini modestissimi, politicanti figli della tv commerciale. Più abbassi il livello, più salgono ascolti e contributi degli sponsor. Tette, culi o ultimamente, tecnocrazia pornografica. Monti a luci rosse? I duca conti Merkel e Monti sono megadirettori generali con poltrone in pelle umana e parlano solo di soldi. Tanto il conto, ormai s'è capito, lo pagano i più poveri. Fa il demagogo? Di sovraffollamento o fame nel mondo, gli frega meno di un cazzo. Monti non ha mai detto "voglio preoccuparmi della felicità generale dell'Italia". Parla di bilanci da sanare. Sembra il Papa. Non le piace? Ma l'ha sentito? "Ho zabuto ghe zono morde in India diecimila berzone. E io prego". Ma come preghi? Peccato che Ratzinger, uomo sapiente, debba fare il Papa. È un teologo costretto a raccontar cazzate a cui non crede più nessuno. Il suo Fantozzi a cosa crederebbe? A nulla. Dominano le banche, l'Europa è in guerra con se stessa, in cosa dovrebbe confidare? Nel futuro? Per noi era un'autostrada piena di luce. Mi ricordo il primo viaggio a Londra. Tutto nuovo, possibile, da costruire. Le ragazze erano pedanti, bellissime, autonome. Ti portavano a scopare, ma pretendevano di dividere i costi del taxi. Ci ha ridotto così Berlusconi? Berlusconi, partendo da zero, si è rivelato un genio. Fatico a parlarne male. Si sforzi. Sempre fichista, Silvio. Fichista? Parlava solo di fica e spacciando Ruby per la nipote di Mubarak, ha esagerato. La scena in cui va a prendere Tony Blair e la sua orrenda consorte sul molo sardo in bandana però è leggendaria. Come il gol di Capello a Wembley nel '73. Lei e Berlusconi eravate sulle navi da crociera. Mesi ai Caraibi. Bravo pianista. Ne parlavamo spesso. Io presentavo sempre l'esibizione di De André. Amichevolmente, a bordo, mi chiamavano "le petit connard", il coglioncino. Fabrizio saliva sul palco e davanti agli ottuagenari attaccava: ‘Quando la morte ti chiamerà'. Tutti con le mani sui coglioni. Uomini e donne. Berlusconi rivincerà? Non credo. È stato ucciso troppe volte. Le colpe del disastro sono precedenti. Qualche nome? Andreotti proteggeva la mafia e in cambio, a ogni elezione, otteneva pacchi di voti. Nel tempo lo ha sostituito Dell'Utri e non è cambiato niente. L'Italia e il Sud, versano in una situazione irrecuperabile , Napoli è sepolta dall'immondizia. Per riemergere ci vorrebbero 10.000 soldati. Israeliani, naturalmente. Una volta Fantozzi era di sinistra. Una volta la sinistra non parlava solo di spread. La neo-lingua del 2012, Fantozzi non la capisce. Pensa che spending review sia una finissima punizione corporale. Sodomìa ad personam. Grillo la persuade? Molto simpatico, non colto, ha ripescato il ‘piove governo ladro' dell'Uomo qualunque e somiglia al suo fondatore, Guglielmo Giannini. Fuoco fatuo? Prenderà il 25%, Beppe. Un baratro per l'Italia. Grillo si infiamma, per certi versi mi ricorda Craxi. Provoca, Villaggio? Bettino era iroso, si incazzava come una belva ed era difficile dirgli di no. Le chiese qualcosa? Un giorno mi chiamò: "Paolo, sarei felice se la protagonista del tuo film fosse Anja Pieroni". Era la sua amante. La presi per "Fracchia contro Dracula"La Transilvania era ambientata a Manziana. Ha fatto di meglio. Ma anche di peggio. Non riesco a rileggere i miei libri né a rivedere i miei film. Oggi persino quello diretto da Fellini, La voce della luna, non mi pare granché. Evtushenko apprezzava la sua letteratura. Alla Fondazione Cini, discutendo di scrittori tradotti in cirillico salì sul palco e mi paragonò a Cechov e Gogol. "Vigliacco è come loro". Parlava di lei. Non può immaginare l'invidia. Moravia era verde. L'invidia è importante? È un sentimento nobile. Io vorrei l'Oscar di Benigni, i soldi di Berlusconi e un harem di veline. Ferreri, intelligenza lampeggiante, detestava Bertolucci. Bernardo vinse 9 Oscar per L'ultimo imperatore e Marco sformò. In che modo? Eravamo in Corsica. Lui cucinava, io vedevo la tv e soffrivo per lui. Rai1: "Eccoli i trionfatori". Cambio canale rapidamente e sul Due trovo un'altra voce squillante: "Bertolucci, orgoglio d'Italia". Fuggo su Antenna due e ancora urletti: "Neuf, neuf Oscàr, Bernardò!". Lui ringhia: "Mi fa schifo la tv" e va a dormire. Sette giorni dopo. Mare, gozzo, gabbiani. Ferreri è a prua. Nel silenzio, a un tratto, tracima: "A me, di quello lì, non me ne può frega' di meno". Lei lavorò anche con Monicelli, Salce, Steno. Con Steno, già anziano, girai a Capri Dr. Jekyll e gentile signora. Edwige Fenech, bellissima, venne scippata del Rolex e trascinata per 20 metri. Le andò bene, a Caracas le avrebbero tagliato un polso, in Uganda forse un braccio. All'epoca stava già con Montezemolo. Lo conobbe? Ambizione sfrenata. L'avvocato diceva : "È un ragazzo simpatico, ma è un cavallino tanto, tanto leggero". Gli uomini Fiat sono stati altri. Valletta o il mio amico Paolo Fresco, 25 anni alla General Motors, fucina di belve umane dalla religione violentissima. Vite infernali. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. La moglie, prima di lasciarlo, gli fece causa per 30 miliardi. Vinse. Ne fu contenta. Spietata. Certe donne sono così. Prenda l'odiosa e bellissima Carla Bruni in fuga. Di Sarkozy, evaporato il potere, non le frega più nulla. Torniamo a Fresco. Il mediocre Umberto Agnelli, terrorizzato dal talento, alla morte di Gianni gli diede un calcio in culo. E Marchionne? Con quel maglioncino fastidioso, si improvvisa duro. Smantella, decentra, dismette. La verità è che a Torino fanno delle macchine di merda, superati anche dagli indiani che progettano una city car da 1.000 euro. Rimpianti? Gli amici più intelligenti sono tutti morti. Gassman, depresso, non usciva più, Risi idem, Monicelli mi costringeva a lunghe passeggiate romane, Fellini fingeva di essere felice. Il più intelligente di tutti era Tognazzi. Le racconto una cosa. Prego. Ugo era selvaggio, spiritoso, fumava come un pazzo. Era capace di affogare la cicca nel Whisky e poi tracannare la mistura con indifferenza. Una volta, da Costanzo, escluso dal loro italiano cuneiforme, si trovò tra Zecchi e Sgarbi. Tacque per 40 minuti. Poi venne interpellato: "Dottor Costanzo, data la mia ignoranza, non ho capito un cazzo". Boato, 12 minuti di applausi. Le casalinghe impazzirono. "Viva el Tugnass, grande el Tugnass". Grande seduttore. Io ero il contrario, con De André tentavamo di conquistare le fanciulle con il maoismo. Una tragedia. Alle feste, con l'altro sesso, estraneità assoluta, logorrea diffusa, corteggiamenti estenuanti. Alla fine, sconvolte, mi chiedevano sempre: "Sei mai stato con una donna?". Poi arrivò sua moglie. Una notte, nel bosco, riempii un bicchiere di lucciole e corsi felice a posarle sul braccio la magìa. Non sono mai più stato così felice, ma ho sempre disperatamente tentato di esserlo. Il momento più doloroso? L'addio a De André. Non ho il coraggio di andare a vedere quelli che muoiono, non so mai che dire. Indosso la mia maschera migliore. Entro e non vedo Fabrizio, ma uno scheletro. Prima che possa parlare, lo fa lui: "No, Paolo, smonta quell'espressione. So benissimo cosa mi sta accadendo e ho una paura fottuta". Morì dieci giorni dopo. Prima di salutarmi fece testamento. Se lo ricorda? Se parlerai di me, di' che non sono stato né un menestrello né un cantautore, ma un grande poeta. Fabrizio, bugie, non ne racconto.

Economisti "contro" crescono.

“Euro retto da struttura folle. Gli aiuti alla Grecia? Tornati a Francoforte” Secondo l'economista Giovanni Dosi, collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz, gli attuali livelli di spread sono ingiustificati. L'Eurozona può salvarsi soltanto con una 'vera' banca centrale e il piano B da prendere in considerazione deve includere la ristrutturazione debito e la temporanea nazionalizzazione degli istituti di credito.
di Mauro Del Corno | 28 luglio, da Il Fatto Quotidiano. Spread sopra i 500 punti. Curva dei tassi che ricomincia ad appiattirsi (ossia rendimenti di titoli di stato a breve durata che iniziano ad avvicinarsi a quelli a scadenza più lunga, sintomo di alta incertezza sulle prospettive del paese anche nel breve termine). Dopo otto mesi di “cura Monti”, 80 miliardi di manovre solo nel 2011, siamo tornati quasi al punto di partenza con i mercati che dubitano seriamente della tenuta del nostro paese e della sua capacità di ripagare i prestiti. Che cosa sta succedendo? Lo abbiamo chiesto all’economista Giovanni Dosi (nella foto), professore della Scuola Superiore universitaria Sant’Anna di Pisa e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University. “Nei mercati sono in corso fenomeni speculativi ad altissima irrazionalità se guardiamo a quelli che sono i fondamentali economici di paesi come Italia o anche Francia. Una minoranza di economisti questo lo sostiene da tempo ma mi sembra che ora stiamo assistendo ad un’ennesima dimostrazione di questa tesi. Non c’è infatti davvero nessuna ragione che giustifichi uno spread di questo tipo per l’Italia. Oggi, come in tante altre occasioni della storia finanziaria, vediamo all’opera quelle che vengono chiamate profezie autorealizzantesi. Si dice, tra l’altro con un improprio processo si antropomorfizzazione, che “i mercati credono questo e allora bisogna rassicurarli”. Dietro tutto questo c’è però anche una visione economico politica secondo cui l’austerità è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per uscire dalla crisi. A mio parere questo è assolutamente sbagliato”. Forse più che dei singoli paesi i mercati hanno dubbi sulla struttura e la tenuta dell’Unione Monetaria Europea. Il sistema sul quale si regge l’euro è delirante. C’è una Banca Centrale legata che è di fatto una non-Banca Centrale, depotenziata fin dalla sua nascita. La Bce dovrebbe invece avere tutti i poteri tipici di una banca centrale compreso quelli di essere garante di ultima istanza e, se decide di farlo, di comprare debito pubblico. Francoforte dovrebbe poter dire se i titoli di Stato non li vuole nessuno li compro io. Se la Bce avesse gli stessi poteri della Fed statunitense non assisteremmo a tutta questa speculazione. Il fatto che poi esistano problemi strutturali di paesi come la Grecia è un altro conto. Come valuta il comportamento della Germania? Come spesso accade nelle faccende umane c’è una mistura di stupidità e interessi e di sicuro in questo momento sono entrambi in quantità elevate. Io non riesco ad esempio a capire quale possa essere la razionalità della politica tedesca in questo momento. Quasi il 60% delle esportazioni della Germania è diretto nei paesi europei. Pensano forse di compensare il venir meno della domanda di questi paesi con l’aumento delle vendite in Cina e Brasile? Mi pare una visione estremamente miope. Tra l’altro nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese (che detenevano molti titoli di questi paesi, ndr). Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene, hanno semplicemente fatto un giro da Francoforte a Francoforte. E la situazione spagnola? Nel caso spagnolo è lecito porsi una domanda. E’ giusto salvare le banche? Non il sistema bancario ma i singoli istituti che avevano in pancia grandi quantità di titoli tossici? Forse no. Forse andavano lasciati morire nazionalizzando la parte buona ossia i depositi e i prestiti e lasciando con il cerino in mano gli azionisti. Una possibilità che contempla anche per l’Italia? Certamente. Lei non esclude neanche la strada di una ristrutturazione del nostro debito pubblico (allungamento delle scadenze dei titoli di Stato e/o taglio degli interessi pagati, ndr). L’obiezione è che a quel punto nessuno presterebbe più soldi all’Italia se si presentasse nuovamente sui mercati. E’ vero che il paese è in avanzo primario, ossia ha entrate che superano le spese se si toglie la quota di interessi pagati sul debito, ma questo avanzo sarebbe sufficiente per salvaguardare ad esempio i piccoli risparmiatori in caso di ristrutturazione? Sarebbe sufficiente. Se c’è un punto debole della mia argomentazione è proprio il contrario. Ossia che l’avanzo sia fin eccessivo e restino risorse che permettano ai nostri politicanti di ricominciare a spendere come prima. Tenga presente che dalla Rivoluzione industriale in poi tutti i paesi, esclusa l’Inghilterra, hanno fatto default almeno una volta. Non mi preoccupa il fatto di perdere temporaneamente l’accesso ai mercati. Mi preoccupa invece l’eventualità che possa verificarsi una sorta di massiccia manovra politica internazionale di ritorsione verso l’Italia in cui si dice per punire lo Stato colpiamo anche le imprese e dunque non prestiamo più soldi alle aziende italiane che si presentano sui mercati. Ristrutturare il debito comporterebbe l’uscita dall’euro? Assolutamente no. A meno che, per decisione esclusivamente politica e forzando oltre i limiti della legalità i trattati che non prevedono questa opzione, il paese venga espulso quasi manu militari… Il rischio tra l’altro è che dopo aver fatto sacrifici pesanti per cittadini e imprese, alla fine si arrivi comunque al punto di dover comunque prendere almeno in esame l’ipotesi di una ristrutturazione… E’ così. Ci potremmo arrivare comunque ma dissanguati, esattamente come sta accadendo in Grecia. Quanto meno dovremmo dire parliamone visto che il nostro debito con questo servizio di interessi è oggettivamente insostenibile. La logica con cui sta operando il governo Monti è invece quella di dire se tu fai tanti sacrifici prima o poi i mercati se ne accorgeranno e smetteranno di speculare contro di te. Ci si dimentica però che i sacrifici hanno sempre effetti pesanti sul reddito e dunque peggiorano il denominatore del rapporto deficit o debito/Pil. In caso di ristrutturazione del debito bisognerebbe però poi intervenire sul sistema bancario visto che le banche possiedono ingenti quantità di titoli di Stato. Le banche andrebbero temporaneamente nazionalizzate per poi essere di ri-privatizzate in un secondo momento. Nell’immediato sarebbe infatti fondamentale mantenere il sistema operativo e garantendo i depositi e la possibilità di fare prestiti. Una soluzione di questo tipo del resto è stata adottata in Svezia all’inizio degli anni ‘90 ed è stata applicata anche nel nostro paese con il Banco Ambrosiano che fu temporaneamente pubblicizzato scaricando le perdite sugli azionisti. Esiste un’alta possibilità per scongiurare quella che resta comunque una soluzione estrema? Si può sempre sperare che i tedeschi “vedano la luce” e permettano alla Bce di agire come una vera banca centrale. Tuttavia sono pessimista, la sola possibilità che vedo perché la Bce diventi una vera banca centrale è che Spagna e Italia minaccino in modo serio e credibile un reprofiling dei loro debiti. La ristrutturazione del debito è una sorta di piano B che comunque non sarebbe certo indolore per il nostro paese. Andrebbe studiato molto bene tecnicamente ed attuato rapidamente a mercati chiusi. Con uno spread un po’ più contenuto forse sarebbe sufficiente un sensibile allungamento delle scadenze.

In Ida Magli veritas.

Andrea Morigi intervista Ida Magli, per "Libero".
L'aveva predetto nei suoi numerosi interventi, in libri e articoli: l'Europa non sta in piedi. L'antropologa Ida Magli ora magari teme di passare per Cassandra, ma nel frattempo approfondisce la sua analisi. Immaginava un crollo così repentino? «Come lei sa è da tanti anni che lo vado dicendo. È del 1996 il mio primo libro contro l'Europa. Avevo tentato di convincere anche gli industriali che la moneta unica era una scelta suicida». Quali industriali? «Ero stata invitata a tenere una relazione a un convegno sull'Europa, a Lecco, ospite del presidente dei Giovani Industriali, Marco Campanari». Prima dell'istituzione dell'euro? «Certo. E fu una discussione molto animata e simpatica. Io, in quell'occasione, ero il tecnico». Non la tecnocrate, vero? « Guardi che i tecnocrati non esistono. Le formule che ci mandano in rovina le fanno gli ingegneri finanziari». La tecnocrazia l'hanno teorizzata in molti, però. E per tanti professori è la prassi... «Macché professori e professori!» Nemmeno Monti merita la qualifica di professore tecnocrate, secondo lei? «Nel Parlamento italiano ce ne sono tantissimi di professori. Uno che è stato due volte alla Commissione europea sarà un politico o no? Anche Antonio Martino è un professore. Mi dica lei che differenza passa fra i due». Martino non ha votato il fiscal compact. «Invece Monti ha insegnato a Trento nel 1969. È paragonabile al Trota che va all'università in Albania. Studiava anche Renato Curcio in quell'Università. Per questo mi chiedo come mai Berlusconi abbia nominato proprio Monti». Qual è la sua opinione in proposito? «Che siamo sempre stati un popolo governato da traditori. Ho pubblicato anche un libro sulla storia d'Italia, sul filo conduttore dei tradimenti. E mi meraviglio che Berlusconi accetti un'uscita di scena simile. Eppure un giorno ci siamo svegliati e non avevamo più la democrazia». Forse perché molti dicevano che il dittatore era Berlusconi? «Allora vuol dire che passiamo da una dittatura all'altra. Ma è Berlusconi ad aver portato Monti, insieme a quella donnetta della Bonino, ai vertici della Commissione europea». Non fu per un accordo con Pannella, in quel caso? «Ho sempre pensato che Pannella fosse una persona sudicia. I suoi scioperi della fame sono capricci da bambini: "Mamma non mangio"... » Ma i Radicali attingono alle radici del pensiero europeista, il federalismo, Spinelli... «Balle. Nessun Paese potrebbe accettare di nominare commissari del genere. Si ricorda della Commissione Santer, costretta nel 1995 alle dimissioni per un buco di bilancio? Era proprio nel dipartimento della Bonino, quello degli aiuti all'emergenza. Erano spariti i soldi dei bambini del Biafra! E Monti dov'era? Non sorvegliava sul bilancio della Commissione?» Ingenuo, magari? «L'unico interrogativo vero che mi pongo, rispetto a quella classe dirigente europea è: avranno sbagliato per stupidaggine? Non si può affermarlo: erano tutti banchieri, non incompetenti. Volevano il disastro, cioè la fine degli Stati nazionali? Sospetto che vogliano che ci riduciamo alla morte consegnandoci al governo globale. Proprio qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, si presentava il libro del figlio di Giorgio Napolitano, Giulio. La tesi principale è: serve la governance globale. Devo dedurre che anche il presidente della Repubblica voglia il governo globale». Perché? «Perché ogni volta che la Borsa va male, si risponde che "bisogna fare più Europa". E immancabilmente scatta un provvedimento. Ora avanza il fiscal compact. E come sempre, immancabilmente si perde un pezzetto di sovranità nazionale. Peccato che la Costituzione italiana non preveda il "tradimento". Sono stati furbi a evitarlo». Siamo al golpe, insomma? «Questo è certo. Ma anche i giornalisti se ne sono disinteressati fino a quando c'è stato il problema economico. Prima sghignazzavano. In effetti il Parlamento europeo non conta nulla. È tutta una finzione. E l'Italia, dove sventola la bandiera europea da tutti gli edifici pubblici, la persegue più accanitamente degli altri. Dopotutto, nel Trattato di Lisbona, approvato così a fatica, non erano riusciti ad approvarne l'istituzione. Eppure la regola è che si può esporre quando ricorre la festa dell'Europa. Nemmeno l'inno si suona più». Perché l'Europa suscita così scarsi entusiasmi? «Perché come si fa a fare uno Stato senza i popoli? Se li vede, i cittadini che parlano 27 lingue diverse, innamorati di uno Stato siffatto? Anche i soldi sono uno strumento fatto dagli esseri umani. Se ci fossero i popoli, accadrebbe come ai melanesiani, che utilizzano le conchiglie, che funzionano benissimo come moneta di scambio. Le immagini delle banconote europee, invece, dimostrano il contrario: non riportano riferimenti alle realtà nazionali». Allora torniamo alle monete nazionali? «Sì, la ragione principale è che la moneta non può essere sganciata da uno Stato. Non è una moneta sovrana. Siamo nella buffa condizione in cui i debiti degli Stati non sono sovrani. Uno Stato che non batte moneta non è sovrano. Perciò lavoriamo nel vuoto dal punto di vista della gestione statale della moneta. La Bce ha un nome ingannatore: non è affatto la banca centrale europea. La vogliono definire così, ma appartiene a dei soci privati, tra i quali Draghi, i Rothschild, i Rockefeller, la Regina del Belgio, la Banca d'Inghilterra. Sono loro i veri azionisti. Il loro direttivo non compra i titoli di Stato italiani per un motivo molto chiaro: per non mettersi a rischio». Qualcuno li compra... «Certo, nella speranza di guadagnarci moltissimo. E noi li dobbiamo mettere all'asta al 6,5- 7% d'interesse. Lo ripeto: la Bce è una banca fasulla. Quando Draghi dice che l'euro è irreversibile fa ridere. Come se il povero re Luigi XVI, salendo sulla ghigliottina, avesse detto che la monarchia era irreversibile». Come evitiamo di farci decapitare? «Torniamo a un governo politico». Anche se c'è la crisi della politica? «Un governo legittimo fa sempre la differenza, rispetto a uno non legittimo, nei confronti di coloro che speculano sui titoli di Stato». Quindi andiamo a votare subito? «Non è necessario. Visto che Monti ha chiaramente fallito, si può dare l'incarico a un politico qualsiasi, purché non sia Berlusconi». Chiunque altro farà meglio di Monti?
«Almeno sarà in grado di gestire dignitosamente le prossime elezioni».

venerdì 27 luglio 2012

Introducing baby duck Odino.

Il 21 luglio, in quel di Cartosio alla Località Ginestre, è venuto al mondo Odino, figlio di Arturo (papero corridore) e Paperina (anatra muta).

Berluschina: fuck you!

La cittadina Berlusconi di ROBERTO SAVIANO, da Repubblica Una persona informata sui fatti convocata dall'autorità giudiziaria è tenuta a presentarsi. Marina Berlusconi, citata dal tribunale di Palermo era tenuta a fare la sua deposizione senza aggiungere altro. Per lei e la sua famiglia, anche se in estremo ritardo, è giunto il momento di rispettare le istituzioni. Ma la sua famiglia pretende dall'amministrazione della giustizia quel rispetto che mai ha voluto darle. Pretende dagli organi di informazione ciò che mai ha voluto riconoscere agli avversari politici: il rispetto della persona, il rispetto delle idee. La sua famiglia si è fatta "Istituzione" essa stessa, guardando più che a Occidente all'Oriente degli amici di famiglia: Putin, Lukasenko e Gheddafi. Lei dichiara che la procura di Palermo l'ha convocata per avere notizie su un conto cointestato del quale non ricordava nulla, che non ha mai utilizzato. Immagino sappia che per molto meno eserciti di scherani hanno diffamato, mediaticamente massacrato, sbattuto in prima pagina persone la cui unica vera colpa era essere entrati in conflitto con suo padre. Lei che attraverso gli organi di informazione della sua famiglia contribuisce a creare un quadro inesistente della realtà, lei che con il suo approccio familistico ha fatto della comunicazione editoriale una estensione delle stanze di casa sua; lei chiede rispetto per sé non come persona, ma in quanto "Istituzione". Per il solo fatto di essere la figlia di Silvio Berlusconi. Il cittadino, convocato a comparire innanzi all'autorità giudiziaria, si presenta senza discutere e dovrebbe farlo soprattutto se è la figlia "di un cittadino più uguale degli altri". Eppure lei si lamenta per il trattamento che ha avuto dalla stampa, cosa singolare per un editore. Lei fa comunicazione o meglio fa fare comunicazione. Stupisce il suo risentimento. Stupisce perché sono anni che la comunicazione dei giornali di famiglia si affida a titolazioni violente volte a terrorizzare i nemici con storie private per aggredire chiunque sia contro suo padre. Si potrebbe fare un elenco infinito di tutte le volte che i nemici di suo padre sono stati screditati dalla galassia mediatica che a lui fa capo. Notizie infondate, dettagli falsi, raccolte di firme contro chi raccontava qualcosa che dava fastidio al governo in carica. Lei si lamenta di qualcosa che ha fortemente contribuito a creare e da editore dovrebbe sapere che il disegno della comunicazione, lo stile, la qualità, si costruisce quotidianamente con il proprio lavoro o quel rispetto che ora pretende vale solo per sé? Provi a immaginare, signora Berlusconi, come si sono sentite le centinaia di persone "attenzionate" anche dai suoi dipendenti, alla ricerca di particolari che potessero screditarle agli occhi dell'opinione pubblica, di scatti fotografici che dimostrassero quanto benessere vi fosse nelle vite dei "nemici". Non certo per dimostrare che dietro quel benessere vi fosse all'origine un crimine, ma per far passare l'idea che il guadagno, il lavoro retribuito sia esso stesso un crimine. Nell'obiettivo del suo gruppo, sempre e solo l'intenzione di comunicare la sottile "verità" della comune sporcizia. Pensi al giudice Mesiano e a quanto gli siano costati un taglio di capelli e quei calzini turchesi. E poi la parola mafia, che giustamente le dà i brividi, poteva forse meritare altrettanta attenzione quando suo padre disse che la mafia era un problema creato da chi ne parlava. Che sarebbe stato opportuno ironicamente "strozzare" chi scriveva libri di mafia perché diffamava il nostro Paese. Ecco, se si è sentita aggredita decida di dare una direzione diversa al suo lavoro, mostri di comprendere la differenza che esiste tra estorsione e inchiesta, tra autorevolezza di una riflessione e gossip, tra ipotesi e minaccia. Del resto, nonostante l'impegno a sgretolarlo, l'articolo 3 della Costituzione esiste ancora, poche righe di facile lettura e interpretazione. E sta là a dirci che ogni cittadino è uguale dinanzi alla legge: rispetti quindi la legge, cittadina Berlusconi, come tutti. (27 luglio 2012)

Il subcomandante, ahinoi, è malato.

giovedì 26 luglio 2012

SICILIA COME METAFORA.

E’ chiaro che soltanto eventi straordinari, che non dipenderanno dalla volontà dissipatrice dei siciliani, potranno fare sì che i comuni, le province che in teoria dovrebbero essere abolite e la stessa Regione, si dedichino a una politica, soprattutto la politica delle uscite, molto più rigorosa di quanto avvenuta fin qui, voi ci credete? Io no!" Alfio Caruso Il Passaparola di Alfio Caruso, giornalista e scrittore.
Il destino della Sicilia. Buongiorno, sono Alfio Caruso e ho scritto “I Siciliani”, il tentativo di raccontare cosa i siciliani non sono, perché ritengo che sia quasi impossibile raccontare ciò che i siciliani siano e ovviamente lo dico da siciliano. Raffaele Lombardo che ha avuto e ha l’indubbio e discutibile merito di concludere una lunga serie di pessimi politici che hanno governato la Regione siciliana dal momento della sua istituzione, nel 1947. Gli unici che non possono lamentarsi sono i siciliani medesimi, perché ogni volta hanno ricoperto con una messe di voti, non solo Lombardo, ma anche Cuffaro in due circostanze. Con Lombardo addirittura hanno esagerato, regalandogli al primo turno oltre il 65% dei voti, perché Lombardo non rappresenta l’eccezione della Sicilia, rappresenta la regola. In questi anni abbiamo assistito a una corsa per salire sul suo carro, nella speranza di poter approfittare della sua generosità, ovviamente generosità non con i propri soldi e neanche con quella dei siciliani, bensì con i soldi che sono piovuti regolarmente dalle casse dello Stato italiano. Avete letto senz’altro anche voi, in questi giorni, il numero di dipendenti regionali, il numero di impiegati a tempo indeterminato o a tempo determinato, il numero dei consulenti, il numero dei componenti delle varie società finanziate dalla Regione, il numero spropositato di forestali, quindi conoscete bene o male, perché televisione e giornali non si sono occupati d’altro, la realtà siciliana. Lombardo questa pessima realtà siciliana l’ha soltanto portata all’acme perché in gran parte esisteva prima di lui. Egli vi ha aggiunto questa spregiudicatezza che da sempre lo contraddistingue. Finora è riuscito a far rimpiangere Cuffaro che, a differenza sua, era almeno simpatico, allegro e ahimè, per Cuffaro, è stato anche condannato per favoreggiamento della mafia. Lombardo però dovrà affrontare qualche problema giudiziario a breve. I siciliani assistono abbastanza scettici e cinici perché hanno imparato che tanto non cambierà nulla, perfino lo stesso commissariamento dell’isola, del quale si è molto parlato, dipende da atti che dovrebbe compiere Lombardo e che sicuramente non compirà e probabilmente il Governo Lombardo con le dimissioni, se le darà a fine luglio, impedirà anche lo sfoltimento dei 90 deputati regionali che si piccano del titolo di Onorevole perché sostengono che quello siciliano sia il primo Parlamento italiano. E’ una delle tante medaglie che noi siciliani ci mettiamo al petto per giustificare l’ingiustificabile. Qual è l’ingiustificabile? È la retribuzione per esempio di ogni deputato regionale che incassa netti oltre 17 mila Euro al mese, non ci stancheremo mai di ripetere che la retribuzione di Obama è nettamente inferiore. Forse Obama ha qualche responsabilità in più rispetto ai deputati regionali, ma non pensiate che i cittadini siciliani siano indignati da questo. I cittadini siciliani sono indignati dal non essere stati eletti loro deputati regionali, perché in Sicilia la corsa non è mai stata, per quanto generico al bene comune, in Sicilia la corsa è sempre stata ad arraffare ciò che è stato possibile arraffare, la Sicilia credo che sia l’unica terra al mondo in cui le teste non sono mai rotolate nell’inseguimento di un bene supremo, la Sicilia non ha mai avuto un Masaniello. In Sicilia le teste sono sempre rotolate perché i braccianti desideravano diventare massari, i massari desideravano diventare gabellieri, i gabellieri desideravano diventare proprietari, i proprietari desideravano trasferirsi dalle case rustiche di campagna ai palazzotti di città e magari acquisire anche qualche titolo onorifico. Questo per dire che in Sicilia si è sempre seguito il tornaconto personale e la realtà attuale è soltanto figlia di tutti i compromessi accettati in passato. PUS, Partito Unico Siciliano. In Sicilia persino le ideologie politiche sono state asservite a questo tornaconto, perché destra, centro e sinistra in realtà sono state soltanto delle sigle, delle apparenze, dei paraventi, chi ha potuto si è subito iscritto al Partito Unico Siciliano che già nel proprio acronimo Pus, ha scritto il proprio destino e è il Pus che ha dominato e domina tutte le vicende siciliane e nel Pus stanno onorevoli, imprenditori, mafiosi, industriali, stanno alti borghesi, quasi sempre uniti dall’appartenenza alle logge massoniche e in passato dall’affiliazione a Cosa Nostra che, visti i tempi attuali, non è più tanto richiesta. In Sicilia niente cambia e niente cambierà, è persino dimostrato dalle ultime elezioni amministrative quando nel resto d’Italia molti hanno inseguito un desiderio di cambiamento, a volte persino in maniera confusa, ma comunque si avvertiva questa esigenza di dover cambiare. A Palermo hanno pensato bene di eleggere in maniera quasi plebiscitaria Leoluca Orlando Cascio, il protagonista dello sfascio palermitano negli ultimi 20 anni. Perché Leoluca Orlando Cascio non aveva mai chiesto il certificato antimafia alle aziende di Ciancimino le quali continuavano a lucrare appalti, non ha mai abbattuto le ville abusive di Pizzo Sella costruite da società che si potevano riferire a Michele Greco, il famoso Papa della mafia. Leoluca Orlando ha sempre inseguito con ottimi risultati il proprio tornaconto, ma i palermitani hanno pensato di affidarsi a lui dopo essersi affidati in precedenza a tutta una serie di sindaci che hanno dissestato, non soltanto le casse del comune, ma anche quelle della Regione e soprattutto dello Stato italiano a cui vengono ogni volta richiesti finanziamenti straordinari. Il destino della Sicilia è ovviamente in mano all’ignavia dei siciliani, anzi il destino della Sicilia è segnato, ahimè e ahinoi, dall’ignavia dei siciliani che hanno sempre trovato finora più utile accordarsi con i viceré che hanno comandato nell’isola, piuttosto che cercare livelli di vita migliori. La causa di tutto risiede purtroppo nello Statuto speciale che l’isola ha avuto in dono dall’Italia il 15 maggio 1946. Questo Statuto è il primo grande imbroglio della Sicilia ai danni dell’Italia, perché gli onorevoli siciliani dell’epoca, che militavano soprattutto nella Democrazia Cristiana, convinsero il capo del governo Alcide De Gasperi che l’isola si trovava alle soglie di una rivolta, che c’era una guerra civile sul punto di esplodere perché il movimento indipendentista siciliano, poi spesso indicato con lo sbrigativo termine dei separatisti, era sul punto di provocare la ribellione di tutte le città e di tutte le province e l’unico modo per disinnescare questa ribellione era la concessione di questo Statuto speciale. Si tratta di un grande imbroglio perché a quella data il movimento indipendentista siciliano ormai era stato messo a sedere. Era stato chiuso nell’angolo perché gli Stati Uniti avevano stabilito che l’integrità territoriale dell’Italia non andava toccata e quindi tutti coloro che erano a libro paga degli Stati Uniti, e in Sicilia in quel periodo erano in tanti a cominciare da Cosa Nostra, si erano distaccati dal movimento indipendentista siciliano come aveva fatto Calogero Vizzini che era il capomafia più conosciuto, anche se non il capo di Cosa Nostra, ma comandava soltanto nel vallone nisseno in Provincia di Caltanissetta. Finché l’Italia pagherà. Una mattina Don Calogero Vizzini aveva abbandonato la sede del movimento indipendentista e aveva attraversato la piazza del suo paese, che si chiama Villalba, e era entrato nella sede, fin lì deserta, della Democrazia Cristiana, seguito da un codazzo di circa 200 estimatori e aveva chiesto la tessera per iscriversi alla DC. Quindi Cosa Nostra aveva abbandonato completamente il movimento indipendentista e era passata armi e bagagli, soprattutto armi, con la Democrazia Cristiana. Il movimento indipendentista nel maggio 1946 era una mina disinnescata, però gli onorevoli siciliani convincono del contrario De Gasperi. Quest’ultimo aveva ben altri problemi in quel periodo e acconsente a concedere questo Statuto speciale che Umberto Bossi neanche in nei suoi deliri peggiori ha mai pensato di chiedere per quell’Italia federale che lui aveva immaginato. Lo Statuto speciale concede al governo della Sicilia e in teoria ai siciliani (ma non è vero perché soltanto chi governa la Sicilia ne approfitta) di incamerare quasi tutte le tasse, di appropriarsi di tutti i beni del demanio, di poter varare sia la legge elettorale, sia soprattutto la legge bancaria, di avere diritto a un proprio corpo di Polizia e, ciliegina sulla torta, di poter avere l’alta Corte di Giustizia. Per fare sì che tutti i governi succedutisi in 65 anni a Palermo si dimenticassero di questa concessione dello Stato e provvedessero a istituire questa alta Corte di Giustizia, Roma ha dovuto a ogni governo concedere finanziamenti a fondo perduto. I più giovani non ricorderanno, ma per mezzo secolo è esistito un organismo chiamato Cassa del mezzogiorno che è stata la vacca da mungere della Regione e sono stati portati a casa tanti miliardi, centinaia di miliardi, che hanno arricchito i soliti noti, ma hanno affamato gran parte dell’isola che oggi è alle soglie del collasso economico, non perché i conti della Sicilia siano mal ridotti, perché i conti della Sicilia sono sempre stati mal ridotti, il problema è lo Stato italiano… finché paga, soprattutto i dipendenti della Regione potranno andare in pensione a 45 anni, potranno avere buone uscite milionarie in Euro, godere di una pensione di quasi il 100% del proprio stipendio. Il problema nascerà quando, nonostante lo Statuto, l’Italia non avrà più un Euro da dare alla Sicilia, ma finché l’Italia pagherà, per quanto i conti siano dissestati, per quanto la Corte dei Conti siciliana invochi ogni volta un maggiore rigore, tutti continueranno a spendere, a ingrassarsi alla faccia degli italiani e dei siciliani per bene che esistono, sono un’esigua minoranza, ma esistono, purtroppo finora non sono riusciti a imporsi. E’ chiaro che soltanto eventi straordinari, che non dipenderanno dalla volontà dissipatrice dei siciliani, potranno fare sì che i comuni, le province che in teoria dovrebbero essere abolite e la stessa Regione, si dedichino a una politica, soprattutto la politica delle uscite, molto più rigorosa di quanto avvenuta fin qui, voi ci credete? Io no! Quindi, mi raccomando, passate parola!

Scoprirsi daccordo con Barbara.

Barbara Palombelli, per "Il Foglio". Ho vinto una scommessa che non avrei voluto vincere. Avevo previsto che lo spread sarebbe salito sopra 500 entro luglio. Il mio sfidante è un viceministro, Michel Martone. Si è già detto pronto a offrirmi la colazione in palio. L'arbitro è uno dei più importanti editorialisti italiani, Michele Ainis. Il patto è avvenuto al Quirinale, nei giardini, il giorno della festa della Repubblica (scrivevo e scrissi del mio pessimismo su questa colonna). Non sono un'economista, né un'esperta. Ma ogni giorno, a RadioDue, senza pregiudizi e in piena libertà grazie al direttore Flavio Mucciante, ho intervistato e ascoltato con attenzione le analisi più accreditate. Come si fa a non prevedere che un paese immobile e spaventato, ossessionato da controlli sacrosanti quanto intempestivi e spesso vessatori, si fermi in attesa di ordini? Ecco, quegli ordini non sono mai arrivati, da novembre a oggi. Il cavallo è senza cavaliere, non solo in senso politico. Dove dobbiamo andare? Che dobbiamo fare? Chiaro che, in un contesto simile, siano pochissimi gli eroi della nuova resistenza, quelli che continuano a investire, spendere e crederci. I più vendono, vanno all'estero, prendono tempo. C'è perfino chi - potendo - ha iscritto i figli in scuole fuori Italia solo per l'anno scolastico 2012-2013. Poi, si vedrà. Se dal parrucchiere si confida nei Maya, unico partito politico affidabile in quanto a previsioni, al supermercato si osservano da vicino i carrelli vuoti. La parola crisi è la più diffusa al mare e in città. Chi può fugge, chi resta si organizza: la filiale del mio quartiere della Deutsche Bank è presa d'assedio: tanti i conti correnti spostati da altri istituti, tantissime le telefonate di chi vuole aprire un conto proprio in Germania (dove non è facilissimo, come in Svizzera e in Austria, altra meta valutaria molto amata dagli italiani). In fondo, bastava leggere il numero 6 di Limes dell'anno scorso - onore a Lucio Caracciolo, uno che non si fa certo condizionare dall'economicamente corretto - per trovare gli scenari che oggi vengono definiti come imprevedibili. Due ragazzi molto brillanti, Andrea Garnero e Luca Marcolin avevano titolato il loro saggio sulla rivista: "Cosa succederebbe se l'Italia tornasse alla lira?". E d'altra parte, Caracciolo apriva la sua introduzione alla rivista con una citazione illustre: "L'euro non dovrebbe esistere. L'unico modo per mettersi al riparo da uno scenario di disintegrazione dell'euro è di non possederne affatto", era la prima riga del rapporto del servizio studi della Ubs, il colosso bancario svizzero, datato 6 settembre 2011. Il direttore di Limes aggiungeva, divertito, un'osservazione sulla scelta di Maastricht come patria del trattato e patria di D'Artagnan: la cittadina olandese simboleggiava il motto dei moschettieri, uno per tutti e tutti per uno. Come scongiurare l'Armageddon inevitabile? Oggi sembra, ogni giorno, che tutti siano sorpresi. Ma di che? Non diciamo stupidaggini. L'antropologa Ida Magli, con il suo "La dittatura europea" (Rizzoli 2010) e "Dopo l'occidente" (Rizzoli 2012) aveva già scritto quasi tutto quel che sarebbe accaduto. Il sottotitolo del suo ultimo saggio recita: "Lo strapotere della finanza, la fine della politica, il tramonto della chiesa. Come possiamo riprendere in mano il nostro futuro, prima che i banchieri lo comprino a prezzi stracciati". Che dire di più? Senza crescita, senza misure straordinarie per l'occupazione giovanile - la cessione dei milioni di ettari del demanio, la fine delle complicazioni burocratiche per metter su un'azienda, un salario minimo di sopravvivenza da finanziare con imposte una tantum sul patrimonio - siamo impauriti e scettici. Tenere fermi gli italiani è quasi impossibile, eppure il governo tecnico si sta impegnando. A che pro? Perché non dare una scossa liberale e controtendenza aprendo il commercio e l'impresa a chi ha meno di trenta, trentacinque anni? Se non costruiamo in fretta un futuro per i figli, i genitori lasceranno questo paese in balia delle peggiori pulsioni distruttive. Non esiste solo lo spread, certo. Ma immobilizzare l'Italia è molto più pericoloso di un crack finanziario.
La rottura monetaria. di JOSEPH HALEVI, Le Monde Diplomatique. 26.07.2012
Le politiche di austerità condotte in Grecia, Italia e Spagna stanno aggravando la crisi e la stessa situazione debitoria dei paesi summenzionati. Questo stato di cose comporta la rottura del meccanismo di trasmissione monetaria nell'eurozona. Al grande pubblico non se ne parla ma negli organi più specializzati la rottura monetaria dell'eurozona viene sottolineata ai massimi livelli. La settimana scorsa il governatore della Banque de France Christian Noyer ha concesso un'intervista al quotidiano finanziario tedesco Handesblatt, riportata per intero in francese sul sito della Banque de France. Dopo aver espresso la sua fedeltà all'euro, Noyer afferma che «la modificazione dei nostri tassi d'interesse centrali (della Bce) non si sta ripercuotendo sull'economia. Per i mercati il tasso applicato alle varie banche dipende dal costo del finanziamento dello Stato e non dai tassi fissati dalla banca centrale». E qui appare la giustissima osservazione che avrebbe dovuto ottenere titoli di prima pagina: «Ciò significa che la trasmissione della politica monetaria non è operante». Vale a dire, la Bce non riesce più a dirigere la politica monetaria dell'eurozona. Noyer sottolinea che tale fenomeno «è inaccettabile per una banca centrale in un'unione monetaria». Il sistema monetario europeo non è dunque più tale. L'unica misura che ottiene la fiducia dei mercati è l'elargizione di soldi direttamente alle banche. Tuttavia, sostiene Noyer, «in futuro non possiamo appoggiarci indefinitivamente su un sistema ove la banca centrale finanza massicciamente il sistema bancario e riceve massicciamente liquidità dall'altro lato del suo bilancio». L'euro è pertanto diventato una mucillagine. Possiamo ora raffrontare le ineccepibili constatazioni di Noyer con l'affermazione con cui Mario Draghi chiude l'intervista a le monde di ieri 24 luglio. L'euro non è in pericolo, afferma Draghi senza addurre alcuna spiegazione economica. Tira invece in ballo l'insindacabilità della classe politica. Citiamolo integralmente: «Si vedono degli analisti immaginare scenari di esplosione della zona dell'euro. Ciò equivale a misconoscere il capitale politico che i nostri dirigenti hanno investito nell'unione e l'appoggio dei cittadini europei. L'euro è irreversibile». Certamente, fino alla sua putrefazione totale, visto che il sistema monetario di cui è espressione non funziona proprio più nelle sue arterie e centri nevralgici principali.

martedì 24 luglio 2012

Passaggi epocali.

Come nel ‘45, stiamo vivendo un passaggio d’epoca. di Paolo Boggi | 24 luglio 2012, da Il Fatto Quotidiano
<(Speriamo solo sia davvero come il 1945 e non come il 1929.s.i.)
Nato nel 1930, ho avuto in sorte di assistere a decine di eventi storici cruciali, ma tra questi due soli li ritengo autentici cambi d’epoca. Il primo fu quello che seguì il secondo conflitto mondiale dopo il 1945, il secondo è quello che stiamo vivendo in questi anni, che pur privo della cesura netta di una guerra, è altrettanto radicale. A volte ripenso a quel periodo per cercare di comprendere i tempi attuali, perché in entrambi i frangenti si tratta di ripensare i valori fondanti della vita, dopo aver messo a repentaglio la stessa esistenza dell’uomo e la pacifica convivenza. Allora con il delirio nazifascista e le bombe atomiche, oggi con il turbocapitalismo e il rischio di un disastro ecologico. Quando ricordo gli alleati che gettavano dai carri armati beni di prima necessità alle masse di contadini tra le macerie, o la difficoltà di ambientarsi in quel terreno liberato dalla dittatura e dalla guerra; quando rivedo la gente che si adoperava in tutti i modi possibili a costruire, solidarizzare, soccorrere e soprattutto cercare di garantirsi almeno a un pasto al giorno; quando penso che con ancora i morti per le strade si cominciava a parlare del piano Marshall, che avrebbe riversato in Italia 1204 milioni di dollari per la ricostruzione, con tutte le conseguenze che poi ciò ha avuto, penso che siamo al contempo più fortunati e più sfortunati di allora. Allora c’era miseria vera ma si vedevano anche grandi prove di generosità tra gli uomini, oggi l’opulenza ha diffuso egoismo e indifferenza che ci hanno disgregati. Eravamo una società contadina con un tasso di analfabetismo elevatissimo, ma dotata anche di una vitalità e slancio verso il futuro straordinarie. Oggi siamo informati e scolarizzati ma il benessere ha generato una certa pigrizia mentale che ci impedisce di elaborare una visione. In quegli anni c’era lavoro per tutti e in abbondanza, ciò dava dignità e prospettiva anche alla gente umile, oggi purtroppo il lavoro è diventato un “mercato”, una guerra tra precari che mortifica soprattutto i giovani e li costringe a vivere alla giornata. Allora il Male era la dittatura e la violenza della guerra, i responsabili avevano nomi e cognomi, oggi invece la minaccia è un’entità astratta, “la finanza internazionale” senza nome, i “mercati” che tutto piegano alla logica del profitto. Soprattutto, allora si delinearono subito due visioni del mondo e due blocchi contrapposti, l’America e l’Urss, capitalismo e comunismo, e ciascuno era chiamato a prendere una posizione. Oggi la società è talmente complessa che è impossibile elaborare una visione organica che tenga conto di tutte le variabili, e questo dà la sensazione di una realtà incontrollabile. Credo che la prova richiesta alle nuove generazioni sia oggi, se possibile, più dura di allora proprio per l’ampiezza dei parametri e delle insidie con cui confrontarsi. Servirà molto, moltissimo tempo per uscire da questa crisi, ma non per i conti da risanare, ma perché si tratta di riformare l’uomo, il cittadino, il suo rapporto con gli altri e con il mondo. Si tratta di ricominciare a sentire la vita nella sua essenza, recuperando un senso del limite che è andato perduto. Dietro ai conti da sistemare ci sono le menti di milioni di persone e il loro contenuto, soprattutto la dignità di quel complesso di comportamenti che ci rende umani. I tempi moderni, visti dai miei occhi ora che ho oltre ottanta anni, hanno poi una prerogativa fantastica, che è la comunicazione e le nuove tecnologie. E’ più difficile fare un passo avanti, ma quando ciò accade, diventa patrimonio dell’umanità in tempo reale, una cosa che in passato era impensabile. Se le nuove generazioni sapranno impegnarsi a fondo in questa sfida, e sfruttare questi mezzi penso che potranno realizzare un mondo assai migliore di quello che hanno ricevuto in eredità.

Uccideteli ora. O mai più.

I rottamatori del Pd e l’uccisione del padre di Barbara Collevecchio | 24 luglio, da Il Fatto Quotidiano.
A destra non ci riescono, c’è un padre troppo ingombrante ma almeno è riconoscibile. Berlusconi ha il pregio di esserci con tutta la sua prepotenza e riconoscibilità. Il pregio della sua presenza ingombrante è la chiarezza: io padrone, voi gregari. Almeno così i giovani o rottamatori di destra sanno con chi prendersela. A sinistra non c’è una persona ma un’entità. Voi mi direte: anche a sinistra ci sono nomi e cognomi ma è molto più facile combattere contro un padre unico rispetto a dover scalare una montagna di intrighi, interessi e pacchetti di voti di un’ entità magmatica , quasi indefinibile. Uccidere il padre è una metafora, un modo per spiegare quanto sia importante evolvere nella vita e non rimanere impastati nella dipendenza genitoriale. Lo stesso complesso di Edipo, formulato da Freud (che certo come padre era più sullo stile Berlusconiano: chi non la pensa come me è un eretico), fu rielaborato da chi venne dopo. Un’ interessante rielaborazione la fece Ricoeur. “Questa nuova interpretazione non riguarda più il dramma dell’incesto e del parricidio, dramma che è avvenuto quando la tragedia inizia, ma la tragedia della verità. […] Sulla base di un primo dramma, il dramma dell’incesto e del parricidio, Sofocle ha creato un secondo dramma, la tragedia dell’autocoscienza, del riconoscimento di sé stessi”. Cosa significa? Superare il padre e i dettami di chi è venuto prima di noi, superare evolutivamente gli schemi “intoccabili” del passato è una sfida alla verità. La verità è sempre circostanziale e mai assoluta e proprio per questo un partito fatto da uomini e donne non può restare simile a se stesso o perdere di vista i valori fondamentali senza che i giovani intraprendano la loro battaglia per la verità e l’evoluzione. Cosa succede quando i padri padroni non vogliono dare spazio ai figli? L’orgoglio rende ignoranti e ciechi di fronte alla verità, anni di potere rendono quasi impossibile cedere spazio ad altri. In questa società si è perso completamente il concetto di educazione, di allievo e maestro. Un maestro di vita, un padre, insegna ai figli e lascia il posto al momento giusto. In una società dove la vecchiaia non è più vista come saggezza, nessuno vuole lasciare il suo posto: è peccato mortale e angoscia di morte, lasciare il proprio posto attivo nella società. Allora la sfida di tutti i rottamatori, di destra come di sinistra o di centro se ve ne sono, è quella di andare avanti in questa battaglia. Non è più accettabile una sfida su pacchetti di voti o opportunismi. Civati e compagnia bella devono compiere uno sforzo eroico e mitologico: guardare il mostro in faccia e sconfiggerlo. Calasso parlando di Edipo scrisse: “la più grave (colpa di Edipo) è quella che nessuno gli rimprovera: non aver toccato il mostro. […]La parola permette una vittoria troppo pulita, che non lascia spoglie. Ma proprio nelle spoglie si cela la potenza. La parola può vincere là dove finisce ogni altra arma. Ma rimane nuda, e solitaria, dopo la sua vittoria”. Questi rottamatori sono impastati e hanno le mani sporche di dinamiche lesive per la politica di questo paese. Questo va urlato con forza, il padre va ucciso adesso o si vada altrove. Abbiamo avuto anni infelici di moderazione e democrazia cristiana, abbiamo avuto anni in cui la parola moderato è diventata sinonimo di mediocrità e malaffare, come ha ricordato Ameduni in un bellissimo post pochi giorni fa. Siamo in tempi troppo cupi e difficili per procrastinare l’inizio di un cammino sincero e forte verso il cambiamento radicale di schemi volgari e meschini che ci hanno inficiati alla base e portato troppo via dalla cosa pubblica parole come partecipazione e passione. Se non ora , quando

lunedì 23 luglio 2012

Il verbo del prof. Sapelli.

intervista di Rinaldo Gianola, per l'Unità. «La crisi finanziaria non è finita, anzi penso che siamo solo all'inizio. Continuerà ancora a lungo. Vedo che in Germania fanno i sostenuti e danno lezioni a tutti, ma prima o poi dovranno fare i conti con gli assett tossici custoditi dalle loro banche». Giulio Sapelli, docente di Storia economica all'Università Statale di Milano, è un uomo di analisi originali, radicata cultura e soprattutto ha una sana vocazione alla polemica e alla provocazione intellettuale.
Nelle sue valutazioni non manca mai un po' di pepe. Tra le vittime preferite ci sono spesso certi suoi colleghi di prestigiose università, compresi «quei professori che sul fondo del Corriere della Sera prendono in prestito il loro ultimo amico di Harvard». Qualche mese fa ha pubblicato un libro severo sul governo dei tecnici, "L'inverno di Monti". Il nuovo scandalo della finanza mondiale, quello della manipolazione del Libor (il tasso di rifrimento per i prestiti interbancari di Londra), non è una sorpresa, è una specie di naturale prodotto di un sistema che non funziona più, ammesso che abbia mai funzionato. Professor Sapelli, com'è possibile che nella City londinese si possa organizzare un imbroglio planetario sui tassi di interesse? «Può succedere di tutto. Ma la gravità di questo caso è enorme, ha messo in agitazione, in allarme le cuspidi della finanza mondiale. Il fatto è rilevante anche perchè il governatore della Bank of England, Lord King, ha sempre raccomandato alle banche di alzare il livello di autoregolazione. Invece non è bastato. Evidentemente nessuno è in grado di controllare seriamente migliaia di intermediari. Lo scandalo del Libor è una truffa di sistema non è il singolo operatore mascalzone che cerca di guadagnare qualcosa sui derivati». Perchè parla di sistema? «Perchè in questo caso abbiamo l'accordo di più banche internazionali. C'è un gruppo di signori ben pagati e di alto livello professionale che al mattino si telefonano e determinano il Libor. Mentre i cittadini pensano che questo tasso di riferimento così importante possa essere fissato da chissà quale autorità mondiale, con chissà quali capacità tecniche, la realtà è molto più banale. La decisione matura da giudizi approssimativi, interessi di parte, comportamenti opportunistici, per usare un eufemismo». Eppure gli scandali finanziari si ripetono, sono sempre più gravi. Possibile che non si possa cambiare strada? «Questo scandalo è molto istruttivo, ma non si impara mai nulla. C'è un sistema di incentivi che lega le retribuzioni di intermediari, banchieri, manager ai risultati conseguiti. Se si possono alterare certi indicatori, se si possono truccare gli affari e i risultati per poter guadagnare di più, allora ci sarà sempre qualcuno pronto ad approfittarne. C'è un aspetto, poi, molto negativo che riguarda la formazione, la cultura, l'istruzione di questi manager. Vengono da famose scuole e università, ma i loro comportamenti richiamano la denuncia di Thorstein Veblen che, tanto tempo fa, lamentava i difetti, le lacune dell'educazione delle classi dirigenti dell'industria e degli affari». Verrebbe voglia di richiamare un po' di etica, se non fosse un esercizio ormai inutile... «Le arti e la scienza portano anche malefici e non solo benefici, diceva Rousseau. Queste èlite finanziarie hanno avuto un'educazione sbagliata, anche se hanno frequentato grandi università. E come se fossero stati preparati all'avidità, un insegnamento che mettono in pratica nelle loro professioni». Sapelli, la nostra Italia se la caverà? Usciremo da questa crisi? «Mi stupisco che il Paese regga ancora nonostante i colpi inferti dal governo dei tecnici. Monti sembra avere tra i suoi compiti storici la distruzione dell'industria manifatturiera. Ho il grande timore che, come avvenne nell'emergenza del 1992, il governo possa vendere ciò che rimane delle nostre grandi imprese. La cura rischia di essere peggiore del male. Mi consolo guardando la resistenza delle piccole e medie imprese che tengono duro e la responsabilità dei cittadini che vivono momenti molto difficili». Vede una strada per voltare pagina? «Sono sempre stato contrario alla separazione tra le banche centrali e l'autorità politica, fin dai tempi del "divorzio" deciso da Beniamino Andreatta. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha il compito di garantire la stabilità ma anche la crescita. E quando devi occuparti della crescita allora diventa indispensabile il confronto, il legame col governo, la politica. In Europa, malgrado i problemi drammatici, si fa fatica a capire il limite della Bce. Nei giorni scorsi il parlamento europeo ha votato una proposta per cambiare a legge che disciplina la banca centrale, ma la Commissione Ue non l'ha nemmeno presa in considerazione».