domenica 22 luglio 2012

Il codice siculo di Ingroia.

ANTONIO INGROIA: PALADINO, VITTIMA O STRATEGA? di Emilia Urso Anfuso, dal blog "Gli Scomunicati".
Antonio Ingroia, classe 1959. Siciliano doc. Di Palermo. La città della mafia e della lotta alla mafia per eccellenza. Un controsenso che prende senso. Se si pensa che per gestire menti siciliane occorrono altre menti siciliane. Esistono tanti codici in una regione come la Sicilia. Codici non scritti ma tramandati nei secoli. Alcuni fanno parte della tradizione territoriale. Servono a capirsi con un solo sguardo. Che troppe parole non servono, in Sicilia. Altri, sono codici – sempre non scritti ma tramandati – che servono a capirsi all’interno di clan, settori, territori, organizzazioni. Il lessico interno siciliano può essere rappresentato a chi siciliano non è, come una sorta di lingua parallela fatta di gesti, occhiate, intese, contese, strette di mano, pacche sulla spalla, frasi brevi che arrivano subito al sodo. Solo chi ha sangue siciliano che gli scorre nelle vene, nasce già con un DNA in cui il codice espressivo originario è parte integrante di esso. Ingroia. Siciliano doc. Magistrato doc. Lottatore quasi instancabile contro le lunghe braccia della Piovra. Già nel 1987 – a soli 28 anni – si formava professionalmente parlando, all’interno del pool antimafia coordinato da Falcone e Borsellino. Altri due siciliani doc, Magistrati doc. Caduti nel percorso della lotta alla mafia che li ha costretti a cedere le armi. Ad ogni costo. Pure a costo di bombe e omicidi plurimi. Per certi siciliani con codici sconosciuti a molti altri siciliani, lo “sgarro” va punito solo col silenzio. Mortale. Ingroia, molto stimato da Borsellino che fu l’artefice del suo ingresso all’interno del pool antimafia, diviene Sostituto Procuratore nel 1992. 33 anni. Quelli di Cristo quando fu messo in croce. Chissà se all’epoca scelse di portare la croce Antonio Ingroia, o pensò di valicare il confine fra il bene ed il male, abbracciando una causa appassionante quanto tenebrosa. Sta di fatto, che Ingroia ha iniziato la sua carriera nella legalità istituzionale proprio entrando dalla porta – blindata – che porta dritti ad una sola causa: la lotta alla mafia. Come dire: lotta a una cospicua fetta della popolazione di cui si fa parte. E che anzi valica la frontiera territoriale. Dove non ci sono più semplici emigranti ma conquistatori usurpatori di territori e libertà altrui. Amici o nemici. In certi ambienti in Sicilia, non esistono vie di mezzo. Ingroia lo sa. Come lo sapevano bene Falcone e Borsellino. Che la mafia ha reso paladini uccidendoli. per tutti i secoli dei secoli. Ciò che fece assurgere Ingroia agli “onori” della cronaca, fu l’inchiesta che vide protagonista l’attuale senatore del PDL Marcello Dell’Utri. Sospettato d’essere il trait d’union fra mafia ed imprenditori del Nord con l’avallo di “pezzi da novanta” come Totò Riina ed i fratelli Graviano. “Guarda caso” nel periodo in cui uno sconosciuto imprenditore lombardo di nome Silvio Berlusconi “saliva” in politica. Il giovane paladino contro la mafia, ottiene una condanna a nove anni di reclusione per Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Era il 2004. La condanna, viene confermata in appello nel 2010 ridotta però di due anni. Andò in carcere Marcello Dell’Utri? “Ma quando mai”… Come si direbbe in Sicilia. I giudici pensarono bene di assolverlo non avendo trovato “prove certe” della trattativa di cui sopra e non ravvisando altre eventuali concussioni dopo il 1992 con Cosa Nostra, ci fu un nulla di fatto. Certe cose restano intensamente incise nella memoria. In special modo di un siciliano. Dell’Utri – siciliano doc – sicuramente non ha mai dimenticato che comunque, Antonio Ingroia siciliano doc, ma Magistrato, lo ha comunque in qualche modo “penalizzato”. “Dammi tempu ca ti picciu”. Recita un antico proverbio siciliano. Significa circa: “Col tempo ti farò vedere io”… Le strade dei due siciliani doc, sembrano dividersi. Per anni. Almeno da ciò che certe cronache di altre testate ci hanno riportato. Piccoli accenni, ogni tanto. Ma nulla di che. Poi d’improvviso, un rigurgito di appassionata battaglia. Lotta senza frontiere. Duello senza onore né onori. Ecco Antonio Ingroia, che ritorna alla carica. Con veemenza e pure qualche sregolatezza. Che non fanno però di lui né un genio né un eroe, stando ai fatti delle ultime ore. Prima, solleva il caso delle intercettazioni all’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, provocando le ire di Dio. Contemporaneamente, torna a sottoporre l’antico “nemico giurato” Marcello Dell’Utri alla gogna legale. Scoppiano i casi. Drammaticamente. Il Quirinale chiede che venga applicata alla lettera la Costituzione che non consente che il Presidente venga intercettato – monito che ci ricorda un altro personaggio alquanto intercettato ma ex presidente del consiglio ora nuovamente in lizza – gettandoci tutti nello stupore più totale. Non tanto in quanto all’articolo della Costituzione che rende ciò possibile, quanto dal constatare che – quando si vuole – la nostra Costituzione è applicabile. Stupore! Parallelamente, le dichiarazioni di Marcello Dell’Utri che – intervistato a poche ore dall’uscita della notizia dell’inchiesta che lo vede protagonista - afferma placidamente “Ingroia è un pazzo.” Vi dirò… Nelle mie vene, scorre molto sangue siciliano. La placidia di certi siciliani, quando emettono certe dichiarazioni, la conosco. Fa parte del DNA locale. E pur facendo io parte di quel settore sano di una Sicilia che ha solo cose belle da offrire, ho subito pensato: “Ecco che il cane si risveglia”. Ecco che le antiche croci si elevano per abbattersi violentemente su chi ha ambito distruggerle. Poche ore dopo la placida dichiarazione di Dell’Utri, un Ingroia ancor più placido ha ribattuto: “Io pazzo? Si, Dell’Utri ha proprio ragione”. Ecco scattata la contesa. Fatta di codici non scritti. Di occhiate. Di calma piatta che nasconde la bufera. Mi sono chiesta: cosa sta per accadere? La risposta, è arrivata fulminea. Antonio Ingroia, Siciliano e Magistrato doc, appassionato e fervente lottatore contro la mafia, proprio sul più bello, proprio mentre tutti noi giornalisti cercavamo di capire dove sarebbe approdata la nuova sfida alla mafia, capitanata dal paladino del momento, ecco che si dilegua. Parte. Accetta di andarsene lontano come “da sua richiesta fatta tempo fa”. E questa richiesta, viene immediatamente ratificata - è cosa di queste ore - dall'attuale Ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino. E dove va? Non in Germania, in Belgio, in Francia o che so, negli Stato Uniti. Ingroia viene chiamato ad occuparsi della sicurezza in Guatemala. Guatemala. Non qui dietro l’angolo. 11 ore di volo. 7 ore indietro rispetto all’Italia. La lingua ufficiale è lo spagnolo non il palermitano... E allora? Cosa ne è del paladino senza macchia e senza paura? Chi porterà avanti – ammesso che accada – la nuova inchiesta sulla mafia e sull’eventuale coinvolgimento del Senatore della Repubblica Marcello Dell’Utri? Che diavolo fa il pool antimafia, allontana uno degli artefici della battaglia o è l’artefice della battaglia che ha pensato bene di allontanarsi alquanto da tutto ‘sto pandemonio che nemmeno Gesù in croce ne verrebbe fuori illeso? Insomma. Antonio Ingroia, siciliano e magistrato doc è un paladino, una vittima o uno stratega? Qualcuno ce lo dica, per favore. Perché questo autunno che arriverà a breve, quando Ingroia intraprenderà questo viaggio che lo porterà in queste 11 ore di volo a meno sette ore di fuso orario, si perderà nella memoria di tutti, lasciando un altro grande interrogativo fra i tanti he attanagliano l’Italia: si può sapere cosa diavolo è successo per far si che in poche ore colui che sembrava essere il nuovo Borsellino ed il nuovo Falcone, scelga – per un anno intero – di allontanarsi dal paese accettando un incarico che gli darà certamente nuovo lustro ma lascerà senza risposta tutte le nostre domande? Attendiamo fiduciosi. Ma ho qualche dubbio…

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