domenica 30 giugno 2013

KISSINGER E LA GUERRA PROSSIMA VENTURA.

Henry Kissinger: “Se non riesci a sentire i tamburi di guerra allora devi essere sordo”
NEW YORK – Stati Uniti – Con una notevole ammissione l’ex Segretario di Stato dell’era Nixon, Henry Kissinger, rivela ciò che sta accadendo in questo momento nel mondo e in particolare in Medio Oriente. Parlando dal suo lussuoso appartamento di Manhattan, l’anziano statista, che compirà 89 anni a maggio, con la sua analisi della situazione attuale, è molto più avanti del forum mondiale di geo-politica ed economia. Di Alfred Heinz-Daily Squib (giornale satirico) “Gli Stati Uniti stanno tenendo a freno Cina e Russia, e l’ultimo chiodo nella bara sarà l’Iran, che è, naturalmente, l’obiettivo principale di Israele. Abbiamo permesso alla Cina di aumentare la sua forza militare e alla Russia di riprendersi dalla sovietizzazione, per dare loro un falso senso di spavalderia, questo creerà un crollo più veloce per tutti loro insieme. Siamo come un tiratore sveglio che sfida l’inesperto a prendere la pistola, ma quando ci prova, è bang bang. La prossima guerra sarà così grave che una sola superpotenza può vincere, e siamo noi gente. È per questo che l’UE ha tanta fretta di formare un superstato completo perché sanno che sta arrivando, e per sopravvivere, l’Europa dovrà essere un unico stato coeso. La loro urgenza mi dice che loro sanno benissimo che la grande resa dei conti è alle porte. Oh quanto ho sognato questo momento delizioso. “ “Chi controlla il petrolio controlla le nazioni, chi controlla il cibo controlla il popolo“. Il Signor Kissinger ha poi aggiunto: “Se sei una persona comune, allora puoi prepararti per la guerra spostandoti verso la campagna e mantenendo una fattoria, ma devi portare con te le armi, perchè ci saranno in giro orde di affamati. Inoltre, anche se l’elite avrà i suoi ripari e rifugi speciali, deve essere altrettanto attenta durante la guerra, come i civili semplici, perché anche i loro rifugi possono essere compromessi”. Dopo una pausa di alcuni minuti per raccogliere i suoi pensieri, il signor Kissinger, ha continuato: “Abbiamo detto ai militari che avremmo dovuto prendere più di sette paesi del Medio Oriente per le loro risorse e hanno quasi completato il loro lavoro. Sappiamo tutti cosa penso dei militari, ma devo dire che questa volta hanno obbedito anche troppo. Resta solo l’ultimo gradino, cioè l’Iran che sarà davvero l’ago della bilancia. Per quanto tempo la Cina e la Russia possono stare a guardare mentre l’America fa il repulisti? Il grande orso russo e la falce cinese saranno risvegliati dal loro sonno e questo accadrà quando Israele dovrà combattere con tutte le sue forze e le sue armi per uccidere più arabi che può. Se tutto andrà bene come speriamo, la metà del Medio Oriente sarà Israeliano. I nostri giovani sono stati addestrati bene più o meno nell’ultimo decennio sulle console dei giochi da combattimento, è stato interessante vedere il nuovo gioco Call of Duty Modern Warfare 3, che rispecchia esattamente ciò che avverrà nel prossimo futuro con la sua programmazione predittiva. I nostri giovani, negli Stati Uniti e in Occidente, vengono preparati perché sono stati programmati per essere buoni soldati , carne da cannone, e quando gli sarà ordinato di uscire in strada e combattere quei pazzi Cinesi e Russi, obbediranno agli ordini. Dalle ceneri noi costruiremo una società nuova, resterà solo una superpotenza, e sarà il governo mondiale che vince. Non dimenticare, gli Stati Uniti, hanno le armi migliori, abbiamo roba che nessun altra nazione ha, e diffonderemo quelle armi nel mondo, quando sarà il momento giusto.” Fine del colloquio. Il nostro giornalista viene scortato fuori dalla stanza dal sorvegliante di Kissinger. Pubblicato da I Lupi di Einstein http://www.vocidallastrada.com/2012/01/henry-kissinger-se-non-riesci-sentire-i.html?m=1

Tutto cambia sempre perchè nulla cambi.

Ha stravinto la casta. di Antonio Padellaro | 30 giugno 2013.
A Roma, in queste sere di inizio estate i ristoranti alla moda sono accerchiati da schiere di auto di grossa cilindrata, perlopiù tedesche che di blu conservano il lampeggiante, minaccioso anche spento come le insegne dei signorotti medievali. Per ore dietro i vetri scuri sonnecchiano incazzati gli autisti, in attesa di scarrozzare verso casa vassalli, valvassori e valvassini, finalmente satolli. A questo punto il lettore si chiederà dove sia la notizia: le macchine dei potenti, statiche o sgommanti non fanno da sempre parte integrante della scenografia della città eterna, come le antiche fontane e i cassonetti maleodoranti? Appunto: la notizia è che nulla cambia e che probabilmente mai nulla cambierà. La Casta che solo quattro mesi fa sembrava soccombere, sotto la valanga delle astensioni e dei nove milioni di vaffanculo raccolti da Beppe Grillo, ha ripreso tranquillamente a fare i propri comodi. Qualche limatura a stipendi e prebende c’è stata, come annunciarono in una commovente comparsata a Ballarò i due nuovi presidenti delle Camere. Così come nei bilanci dei vari Palazzi sono state abolite alcune voci di spesa, francamente oscene. E il resto? Solo chiacchiere e prese in giro. Le famose province sopravvivono benone a tutti i governi che dal secolo scorso ne annunciano regolarmente l’immediata abolizione: 107 enti dichiarati inutili che continuano a succhiare 12 miliardi l’anno. Per non parlare dei soldi ai partiti di cui il governo Letta aveva strombazzato la drastica riduzione: bene che vada, i 91 miliardi attuali diventeranno un’ottantina ma chissà quando (“ascolteremo i tesorieri di tutto il mondo”, è la simpatica trovata dei partiti perditempo). La crisi si sta mangiando questo paese, ma continuiamo a foraggiare i parlamentari e i manager pubblici più pagati d’Europa. Nessuno sembra più scandalizzarsi. La rinuncia del M5S a 42 milioni di finanziamento statale viene praticamente ignorata (anche per colpa loro, impegnati come sono a litigare su diarie ed espulsioni). Mentre provocano meraviglia le foto del nuovo sindaco della Capitale pedalante in bici, come se usare i mezzi di locomozione dei comuni mortali (taxi, metro o semplicemente i piedi) rappresentasse uno straordinario prodigio. Perciò, a cena in allegra compagnia, i signorotti si sentono in una botte di ferro e se qualcuno prova a scriverlo si arrabbiano pure. Ammettiamolo, hanno vinto loro. Anzi, hanno stravinto. Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2013

giovedì 27 giugno 2013

Il casinò dei derivati e le responsabilità di Draghi.

Noi come la Grecia. di GUIDO VIALE, da il manifesto.
Chi o che cosa ha autorizzato i nostri governi a giocare al casinò dei derivati con il denaro degli italiani? Quale regolamento interno, quale legge, quale norma della Costituzione? E perché non se ne può sapere quasi niente? Secondo quanto riferito da la Repubblica (e dal Financial Times) del 26 giugno, il Tesoro italiano è esposto per 160 miliardi di euro (più di un decimo del Pil italiano) con operazioni sui derivati la cui data di stipulazione non è nota. Il governo Monti ne ha rinegoziati nel corso dell'anno scorso per un importo di 31 miliardi, registrando su queste operazioni una perdita potenziale, non ancora giunta a scadenza, di circa 8 miliardi (poco meno dell'importo con cui la ministra Gelmini e, dopo di lei, il ministro Profumo sono riusciti a distruggere sia la scuola che le università italiane). Naturalmente il ministro del Tesoro ha subito smentito ogni rischio, ma quella smentita vale zero. Infatti solo un anno fa su un'altra partita di derivati del Tesoro si era già registrata una perdita di 3 miliardi, saldata dal governo Monti. Su di essa c'era stata una interrogazione parlamentare dell'Idv e una elusiva risposta - «si tratta di un caso unico e irripetibile» - del sottosegretario Rossi Doria; designato a rispondere non si sa perché, dato che si occupa di scuola e non di finanza, materia sui cui è lecito supporre una sua totale incompetenza. Ma se tanto dà tanto, sui 160 miliardi di derivati in essere, le perdite «a futura memoria», che verranno cioè caricate sul bilancio dello stato nel corso degli anni, per poi dire che gli italiani sono vissuti «al di sopra delle loro possibilità», potrebbero ammontare a molte decine di miliardi di lire. Ma facciamo un passo indietro: da tre anni ci ripetono che la Grecia ha fatto il suo ingresso nell'euro truccando i conti perché, in base al suo indebitamento, non ne avrebbe avuto titolo; di qui i guai - e che guai! - in cui è incorsa successivamente. Successivamente. Perché all'epoca del suo ingresso nell'euro nessuno si era accorto di quei trucchi. Poi si è scoperto che a organizzarli era stata la banca Goldman Sachs, allora diretta, per tutto il settore europeo, da Mario Draghi, nel frattempo assurto alla carica di presidente della Bce, cioè dell'organo preposto a garantire la riscossione di quei debiti contratti in modo truffaldino. E di quei trucchi non si è più parlato. Ma lo stratagemma a cui il governo greco e Goldman Sachs erano ricorsi per truccare i conti era proprio quello di nascondere un indebitamento eccessivo (secondo i parametri di Maastricht) dietro a derivati da saldare in futuro. Nello stesso periodo - o poco prima, cioè con maggiore preveggenza - il governo italiano sembra essere ricorso esattamente allo stesso stratagemma: ufficialmente per coprire il debito italiano dai rischi del cambio (allora c'era ancora la lira) e dalle variazioni dei tassi di interesse: i derivati sono stati infatti introdotti nel mondo della finanza come forma di assicurazione contro la volatilità dei cosiddetti mercati; ma, come si vede, la funzione che svolgono è esattamente il contrario. E' comunque del tutto evidente che lo scopo effettivo di quelle operazioni era quello di "truccare" i conti e garantire così anche all'Italia l'ingresso nell'euro. Qui la presenza ricorrente dello stesso personaggio è ancora più dirompente; perché nel periodo che intercorre tra la probabile - non se ne sa ancora molto - sottoscrizione di quei derivati e l'emersione dei primi debiti che essi comportano Mario Draghi è stato direttore generale del Tesoro (l'organismo contraente) dal 1991 al 2001; poi, utilizzando in modo spregiudicato il cosiddetto sistema delle "porte girevoli", responsabile per l'Europa di Goldman Sachs (una delle banche sicuramente coinvolta in queste operazioni), poi Governatore della Banca d'Italia e poi presidente della Bce e in questo ruolo uno degli attori più decisi a far pagare agli italiani - e agli altri infelici popoli vittime degli stessi raggiri - la colpa (in tedesco schuld, che, come ci ricordano i ben informati, vuol dire anche debito) di essere vissuti "al di sopra delle proprie possibilità". Non basta: ogni sei mesi, ci informa sempre Repubblica, il Tesoro è tenuto a trasmettere una relazione sullo stato delle finanze pubbliche, comprensivo anche dei dati sull'esposizione in derivati, alla Corte dei Conti. Ma in venti anni o quasi, questa si è accorta solo ora dei rischi connessi a queste operazioni e, per saperne di più, ha inviato la Guardia di Finanza nelle stanze del Tesoro; che però si sarebbe rifiutato di esibire la relativa documentazione. Ci ricorda qualcosa tutto ciò? Si ci ricorda da vicinissimo le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena i cui dirigenti - oggi in carcere o sotto inchiesta perché considerati dalle procure di Siena e Roma degli autentici delinquenti - sono riusciti a nascondere alla vigilanza della Banca d'Italia (che combinazione!) una esposizione debitoria incompatibile con il regolare funzionamento di una banca, nascondendola sotto degli onerosissimi derivati, che hanno tenuto rigorosamente nascosti per anni. Il casinò dei derivati accomuna così le istituzioni di governo del paese alle banche truffaldine (per ora MPS; ma chissà quante altre si trovano nelle stesse condizioni, e non solo in Italia. Mario Draghi al vertice della Bce non ispira certo tranquillità). Per saperne di più, cioè per capire in che mani siamo finiti, in che mani ci hanno messo i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni (da quando la teoria liberista e il pensiero unico la fanno da padroni e, in termini pratici, da quando è stato portato a termine il famigerato divorzio tra Tesoro e Banca centrale che ha messo le politiche dei governi in balia della finanza: leggi degli speculatori internazionali), basta leggere la sinossi di come funziona il casinò dei derivati che ne fa Luciano Gallino (Repubblica, 26 giugno). «Nel mondo - spiega Gallino - circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati [cioè 700mila miliardi, oltre 10 volte il valore presunto del prodotto lordo mondiale, nota mia], di cui soltanto il 10 per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice, "al banco", per cui nessun indice può rilevarne il valore». Ma aggiunge, anche di quel dieci per cento scambiato nelle borse, a definirne il valore concorre solo il 40 per cento [cioè il 4 per cento degli scambi complessivi, nota mia]. «Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine...Di tali transazione a breve, circa il 35-40 per cento nell'eurozone e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in USA si svolgono mediante computer governati da algoritmi...che operano a una velocità anche di 22mila operazioni al secondo...Ne segue che chi parla di "giudizio dei mercati" [praticamente tutti gli esponenti del mondo politico, imprenditoriale, manageriale e accademico europei, nota mia] dovrebbe piuttosto parlare di "giudizio dei computer". «Macchine cieche e irresponsabili - aggiunge Gallino - opache agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E per di più, inefficienti». Ma molto efficienti però, aggiungo io, nel trasferire ricchezza dai redditi da lavoro e dalla spesa sociale ai profitti e alla rendita, compito che nel corso degli ultimi trent'anni hanno svolto egregiamente. E non senza che gli addetti alla "regolazione" dei mercati, siano essi manager o politici, o entrambe le cose grazie al sistema delle "porte girevoli", ci abbiano messo tutta la loro scienza e il loro potere per portare questo trasferimento fino alle estreme conseguenze, quelle che oggi possiamo vedere esposte in vetrina nella catastrofe della Grecia. Ma allora, perché continuare a rimaner sottomessi a un sistema simile? Non è ora di trovare la strada per tirarsene fuori al più presto?

mercoledì 26 giugno 2013

UNA BELLISSIMA NOTIZIA.

Nozze gay, storica sentenza Usa: il matrimonio non è solo tra uomo e donna!

martedì 25 giugno 2013

Titanic-Italy.

Io Ruby, tu Idem di Massimo Gramellini.
La ministra Idem si è dimessa: non sopportava di restare in un governo sostenuto da Berlusconi. A parte gli scherzi, fino a pochi anni fa una doppia mazzata come quella di ieri avrebbe creato sconquassi umorali nel Paese. Il politico italiano più conosciuto nel mondo condannato a sette anni e interdetto dai pubblici uffici per reati odiosissimi. Una ministra della Repubblica costretta ad andarsene a casa (pardon, in palestra) per avere evaso le imposte sugli immobili. E invece, se si escludono i giornalisti, i politici e le tifoserie strette, l’impressione è che ormai questi eventi scivolino addosso agli italiani senza lasciare altra impronta che un sospiro di fastidio misto ad assuefazione. L’assillo economico ha scompaginato le priorità, persino quelle dell’ira. Chi non dorme la notte per un mutuo da pagare o un figlio da occupare non riesce a eccitarsi per delle partite di giustizia e potere che si dipanano in un altrove da cui non pensa di poter trarre benefici concreti. Le crisi economiche spolpano la democrazia perché riducono drasticamente l’interesse dei cittadini per la cosa pubblica. Il vero confine, oggi, non è più fra chi sta con i magistrati e chi no, ma fra chi crede ancora nel futuro e chi no. Per rimanere in ambito femminile, Ruby e Idem turbano i sonni degli italiani molto meno di Iva. Esiste solo una donna che potrebbe svegliarci da questo incubo e si chiama Speranza. Ma per ora rimane lì, muta. In attesa che la politica posi i codici dei penalisti e le calcolatrici degli economisti per darle finalmente la parola. (Fonte: La Stampa 25/06/2013)

lunedì 24 giugno 2013

Le larghe intese alla prova del 7.

Sentenza Ruby, Berlusconi 7 anni e li dimostra. di Marco Travaglio | 24 giugno 2013.
Dunque, per il Tribunale di Milano, Silvio Berlusconi ha costretto la Questura di Milano a violare la legge per rilasciare Ruby prima che parlasse e ha avuto incontri ravvicinati di tipo sessuale a pagamento con una minorenne. E, per salvarsi dalla condanna, ha pagato decine di testimoni (fra cui due deputati) per giurare il falso dinanzi ai giudici. Chiunque conoscesse le carte lo sapeva anche prima che lo dicessero i giudici: restava solo da capire se i fatti, assolutamente certi, configurassero dei reati, e quali. Ora tutti domandano ai berluscones se, dopo la condanna a 7 anni in primo grado, il governo rischia di cadere. Ma la domanda è sbagliata, o meglio è giusta ma rivolta alle persone sbagliate: bisognerebbe chiedere a Enrico Letta e al Pd che cosa ci facciano al governo con un alleato così. (Il Fatto Quotidiano).

mercoledì 19 giugno 2013

TRAVAGLIO- GRILLO. UNO A ZERO.

I grullini. di Marco Travaglio | 19 giugno 2013.
Fino a due mesi fa, all’indomani della candidatura di Rodotà al Quirinale e del conseguente suicidio del Pd che si riconsegnò nelle mani del suo peggior nemico (Napolitano) e del sottostante governo-inciucio Letta-Berlusconi, tutti i partiti lavoravano indefessamente per il Movimento 5Stelle. Dopo averlo creato dal nulla, ignorando tutte le battaglie di Grillo e dei suoi ragazzi e rinchiudendosi nel sarcofago in attesa che passasse ‘a nuttata, l’avevano pasciuto e ingrassato demonizzandolo e facendolo linciare da tv e giornali al seguito. E con le presidenziali e il governo-vergogna l’avevano trasformato nel punto di riferimento della base del Pd in dissenso coi vertici che avevano resuscitato un’altra volta un Caimano morto e sepolto. Poi, proprio mentre l’inciucio confermava platealmente dieci anni di campagne grillesche contro “Pdl e Pdmenoelle”, il nastro s’è riavvolto a ritroso. Complice, certo, la disinformazione e la memoria corta degl’italiani. Ma soprattutto colpa del M5S che, da lepre inafferrabile, s’è trasformato in inseguitore trafelato. E ha preso a lavorare indefessamente per i partiti, facendo dimenticare tutte le magagne della politica politicante che a febbraio avevano spinto 9 milioni di italiani a mandarla al diavolo. Un suicidio di massa coronato dalla geniale operazione Gambaro. Intendiamoci: cacciare, o far cacciare dalla “rete”, una senatrice che ha parlato male di Grillo, manco fosse la Madonna o Garibaldi, è demenziale, illiberale e antidemocratico in sé. E non solo perché serve su un piatto d’argento agli eterni Gattopardi e ai loro camerieri a mezzo stampa la miglior prova di tutte le calunnie che hanno sempre spacciato per dogmi di fede. Non è nemmeno il caso di esaminare l’oggetto del contendere, cioè le frasi testuali pronunciate dalla senatrice nell’intervista incriminata a Sky, perché il reato di lesa maestà contro il Capo è roba da Romania di Ceausescu. Certo, affermare che il guaio del movimento fondato e portato al successo da Grillo è Grillo, è una fesseria. Certo, lo stillicidio di interviste in dissenso (le sole che interessino ai media italiani) per oscurare quanto di buono fanno i 5Stelle in Parlamento e di pessimo fanno i partiti, è fastidioso e altamente sospetto. Certo, senza Grillo e i suoi forsennati tour per l’Italia i 5Stelle non avrebbero preso un voto e le Gambaro non sarebbero state votate nemmeno dai parenti stretti. Ma il reato di cazzata non esiste e non deve esistere in un movimento che si dice democratico, anzi iperdemocratico. Grillo aveva tutto il diritto di incazzarsi e di farlo sapere, ma la cosa doveva finire lì. Il cerino sarebbe rimasto nelle mani della Gambaro e dei 10-20 furbetti che trescano con i partiti dopo aver intascato i voti e i posti grazie a un movimento anti-partiti (tutti). E che se la sarebbero vista con i loro elettori. O, se davvero hanno dietro qualche progetto ribaltonista, sarebbero usciti prima o poi allo scoperto. Lunedì bastava una dichiarazione, firmata da chi voleva, per ribadire gl’impegni assunti con l’elettorato. Mettere ai voti le fesserie di una senatrice (che, diversamente da Salsi e Mastrangeli non ha violato alcuna regola interna) invitandola al pubblico autodafé, è una versione da Asilo Mariuccia del socialismo reale. Dopo aver trascorso i primi quattro mesi di vita parlamentare a guardarsi dalle presunte trappole dei partiti (che, così come sono ridotti, sono capaci al massimo di intrappolare se stessi), i “cittadini” hanno piazzato l’autotrappola perfetta. E ci sono cascati con tutte le scarpe. D’ora in poi i dissenzienti senz’arte né parte, magari pilotati dai soliti compratori di parlamentari, hanno di fronte un’autostrada: gli basterà rilasciare un’intervista critica al giorno per finire tutti dinanzi al tribunale del popolo, o della rete, e guadagnarsi l’insperata fama di nuovi Solgenitsin, con piedistallo e aureola di martiri. Al confronto, la partitocrazia più inetta, corrotta e antidemocratica dell’universo profumerà di Chanel numero 5. Un capolavoro. il Fatto Quotidiano, 19 Giugno 2013

martedì 18 giugno 2013

Coma sempre più profondo della nostra economia.

Istantanee della nostra economia comatosa. di Loretta Napoleoni | 17 giugno 2013.
Dato che ormai i parlamentari sono presi principalmente dalle beghe interne ai loro partiti ed impegnati in una perenne campagna elettorale, nessuno ha pensato di discutere come utilizzare concretamente le informazioni contenute nel Bollettino economico della Banca d’Italia e nelle Considerazioni Finali del governatore, pubblicate a fine maggio. Peccato perché questi due documenti sono le istantanee migliori della condizione economica in cui versa il Paese e potrebbero servire a formulare una politica economica anti-recessiva e di rinnovamento della nostra economia. Il Bollettino economico è, come sempre, una miniera di dati: tabelle, grafici e proiezioni ci raccontano cosa è successo negli ultimi 12 mesi, allo steso tempo il documento, lungo circa 70 pagine, mette la nostra performance economica in un contesto storico. In sintesi le cose vanno di male in peggio, ed anche quando sembra che ci sia stato un miglioramento questo è legato a fattori negativi: nel 2012 l’Italia, dopo 7 anni di deficit corrispondenti al 3,5-4% del Pil, ha quasi raggiunto il pareggio della bilancia dei pagamenti. Addirittura, nel quarto trimestre 2012 questa è risultata positiva. Quindi una bella notizia, viene spontaneo credere. Ma non è così! Quando andiamo a guardare i motivi di questo cambiamento ci accorgiamo che tali valori confermano l’inferno in cui siamo piombati. Il pareggio è dovuto esclusivamente al crollo delle importazioni, crollo causato dalla profonda recessione e dal peggioramento di questa che la politica di austerità montiana ha prodotto. Dietro la caduta della domanda c’è lo scenario recessivo, ben descritto nel Bollettino: reddito disponibile calato nel 2012 del 4,8%, consumi reali calati in due anni del 5%; le forze di lavoro, invece, sono aumentate di 540mila unità grazie alle donne che prima potevano permettersi di stare a casa e ora non più e grazie ai sessantenni che non possono andare in pensione. Anche la bassa inflazione non è una buona notizia perché è dovuta ad una domanda interna comatosa, che si accompagna ad una spesa per investimenti crollata nel 2012 ancora una volta del 10%, e questo spiega “gli ampi margini di capacità inutilizzata” in tutto il Paese. Per il 2013 le imprese prevedono un’ulteriore flessione, quindi non siamo fuori dal tunnel.
Completa il quadro disastroso la sezione sui flussi di capitale: nel primo trimestre 2013 il Paese aveva un deficit di 240 miliardi di euro, corrispondente al 18% del Pil, quando agli inizi del 2011 il saldo era praticamente in pareggio. Dove sono finiti tutti questi soldi, i capitali fuggiti, insomma? La risposta è semplice all’estero. E di chi sono i capitali esportati? Una parte appartengono ad investitori esteri, ma un’altra, cospicua, appartiene ai residenti. Tutto ciò drena ricchezza. Secondo la Confindustria dal 2006 al 2012 in Italia vi è stata una perdita di ricchezza pari a 460 miliardi di euro, mentre la Germania ha avuto un aumento di ricchezza finanziaria di 506 miliardi di euro. Scenari tragici che le Considerazioni finali del governatore in parte cercano di spiegare ed affrontare. “Le origini finanziarie e internazionali della crisi – si afferma- non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri Paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi carenze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni precedenti la crisi, l’evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i paesi sviluppati”. Siamo svantaggiati perché mal equipaggiati a livello economico, questo il sunto. Dalla lettura di questi due documenti si capisce che né la Banca d’Italia né il governatore hanno la soluzione del problema, anche se si intuisce che la speranza riposa sulla maggiore integrazione, inclusa quella politica, dell’Unione Europea. Un auspicio che il governatore ha più volte ripetuto ma che esula dalle sue competenze. La soluzione è principalmente politica e questo il governatore lo dice. La classe politica deve prendere atto delle disastrose condizioni dell’economia ed agire a livello nazionale ed internazionale. Gli strumenti la Banca d’Italia li ha messi a disposizione adesso è arrivato il momento di usarli in Parlamento.

RITRATTO DELL'ODIOSO BAFFETTO.

ODIOGRAFIA DEL LÍDER MASSIMO – “D’ALEMA? IL “RE MIDA” AL CONTRARIO DEI SINISTRATI: “TUTTO CIÒ CHE TOCCA DIVENTA ORO. PER IL CAV” Un libro scodella parole, opere e omissioni di D’Alema e quella volta che il Cav gli offrì un posto: “Perché non fa un talk show con noi? Nella nostra tv ci sono tanti bravi giornalisti, come Ferrara” – D’Alema sul Cav: “È simpatico ma non dice sempre la verità. Io, invece, mi ritengo sincero, sgradevolmente sincero’’…
Estratti da IL PEGGIORE di Giuseppe Salvaggiulo (Chiarelettere, Milano, giugno 2013) 1 - "Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica". Massimo D'Alema, discorso del 9 marzo 1997 al seminario dell'Ulivo nel Castello di Gargonza 2 - "Ci sono tre luoghi comuni: è intelligente, ha i baffi, ha la barca". Roberto Benigni su Massimo D'Alema 3 - "Prodi e Veltroni sono due flaccidi imbroglioni", "Veltroni è un ragazzotto, Prodi non capisce un cazzo di politica", "La Lega è una costola della sinistra", "Capotavola è dove mi siedo io", "La sinistra è una disgrazia che solo la destra rende accettabile", "Tremonti è stato come Picasso: ha inventato la finanza creativa", "Brunetta è un energumeno tascabile", "Dove si vende l'agenda Monti?", "Il Pd è un amalgama mal riuscito." "Berlusconi è veramente un uomo simpatico, di straordinaria simpatia." "È una frase che sottoporrei a una seria revisione critica." Massimo D'Alema, 2000 e 2011 Berlusconi era ed è ineleggibile. Festa dell'Unità, Bologna, 2000 4 - D'Alema e Berlusconi si imitano a vicenda. Valentino Parlato, «Corriere della Sera», 2000 5 - La testa più pensante della sinistra, e anche della destra. Roberto Gervaso 6 - D'Alema è una specie di re Mida: tutto quello che tocca diventa oro. Per Berlusconi. Marco Travaglio 7 - Voi de ‘il Fatto' siete tecnicamente fascisti... Massimo D'Alema a Luca Telese, 2011 8 - Perché comprare i giornali? È un segno di civiltà lasciarli in edicola. Intervista rilasciata da Massimo D'Alema a «Prima Comunicazione», 1995 «Sicuramente ti avrà risposto che è pieno di impegni all'estero, eh? Lo sapevo». Cosi dice Claudio Velardi che per Massimo D'Alema e stato un amico, il principale consigliere politico, un facilitatore relazionale per un leader refrattario a manifestare umanità. Lo conosce in profondità, anche a distanza e dopo tanto tempo. «Invece io lo immagino sprofondato nel giro tragico delle serate romane, di corvée nei salotti che infestano la sinistra capitolina, a concionare sui massimi sistemi. È un povero dio, mi fa tenerezza. Ma è un buono, il più buono di tutti, un ingenuo. Gli voglio bene. Alla fine trattalo bene.» (Le dichiarazioni di Claudio Velardi riportate in questo volume sono state raccolte nel corso di una conversazione con l'autore il 22 novembre 2012) Rottamazione di Occhetto. Tra il 1992 e il 1994, quando Occhetto spedisce D'Alema alla Camera, a fare il capogruppo, per allontanarlo dal partito. D'Alema chiama Velardi come capo ufficio stampa, «con la missione di distruggere Occhetto. Ogni giorno alle nove di mattina raccontavo ai giornalisti le cazzate che faceva». Un massacrante lavoro ai fianchi che fa perdere i nervi a Occhetto (una volta in Transatlantico, il grande salone di Palazzo Montecitorio, si sfoga: «Ah, dovrei avere io uno come Velardi, e allora...»). Dopo la sconfitta elettorale del 1994, D'Alema ritiene maturi i tempi della successione. E lo comunica perentoriamente e personalmente all'interessato. «Era venuto da me un deputato di Gallipoli per dirmi che al congresso dovevo lasciare perché non sapevo dirigere il partito, perché ormai con la vittoria del berlusconismo si era aperto un ciclo completamente nuovo - roba da marziani! - della politica italiana e in buona sostanza io sarei sparito per una sorta di obsolescenza tecnica, perché avevo fatto il mio tempo, perché dovevo essere laico e capire che si poteva fare politica in tanti modi». Occhetto resiste, si lancia nelle elezioni europee di giugno, incassa un'altra batosta. È la resa. Si apre la conta interna: D'Alema contro Veltroni. Il direttore de «l'Unità» vince il referendum tra gli iscritti, ma D'Alema ribalta il risultato con il voto dell'apparato. Vauro firma su «il manifesto» una vignetta con i due davanti al fax che sputa fogli con i voti per Veltroni e D'Alema che di soppiatto, con un calcio, stacca la spina. D'Alema rimprovera a Occhetto «nuovismo, teatralità di atti, direzione fortemente personalizzata, stile isolato che lo ha portato a vivere con difficoltà un rapporto paritari all'interno del gruppo dirigente del partito, cattivo funzionamento degli organi dirigenti, non coinvolgimento degli iscritti». INCIUCIO DALEMA BERLUSCONI Diventa segretario in nome della difesa dell'identità e dell'organizzazione del partito contro il nuovismo liquido e americaneggiante di Occhetto e Veltroni. Ma poi lo destruttura come nessun altro, rivolgendo tutto a sé, esautorandone gli organi dirigenti e sostituendoli con un ristretto staff di nomina regia. Velardi, che aveva la stanza in fondo al corridoio a destra, giusto di fronte a quella di D'Alema, racconta: «Le decisioni le prendevamo noi nel suo ufficio, poi lui varcava la stanza della segretaria Ornella e le comunicava agli organi del partito». La segreteria del partito viene di fatto abrogata. Si ipotizza perfino l'erezione di un muro, una separazione fisica, stagna, per evitare le contaminazioni del putrescente cadavere del partito. Fabrizio Rondolino, per anni responsabile della comunicazione nello staff di D'Alema, rivela: «Si sentivano tutti esautorati dal nostro metodo, in un posto dove prima per spostare una pianta dovevi convocare il comitato centrale». (Le dichiarazioni di Fabrizio Rondolino riportate in questo volume sono state raccolte nel corso di una conversazione con l'autore il 19 ottobre 2012) Un elettroshock di immagine. Diventato segretario del Pds, D'Alema viene sottoposto a un elettroshock di immagine. Per «popolarizzarlo, umanizzarlo» e consentirgli di sfondare nel campo avversario. S'incaricano della «sbulgarizzazione» Velardi, Rondolino, Cuperlo. Interpellano Annamaria Testa, pubblicitaria autrice di campagne di successo come: «Nuovo? No, lavato con Perlana». L'esperta incontra alcune volte D'Alema prendendo atto che «è persona di non comuni capacità comunicative, ma anche capace di rovinare un'amicizia con una battuta. Lo convinse senza fatica a essere pungente là dove serve, senza farlo per puro gusto». D'Alema ascolta attento e divertito. Cuperlo si dedica al linguaggio. Constata che è astratto, politichese con troppe parole e pochi verbi, va svecchiato e semplificato. Stila addirittura un elenco con due colonnine: da una parte le parole da evitare (asse programmatico, chiarimento politico...), dall'altra quelle da utilizzare (moderare, abbellire, ammorbidire). Nella campagna elettorale del 1996, i risultati sono vistosi. Nel frattempo Velardi, napoletano gaudente, sottopone il segretario a un «trattamento progressivo» di trasformazione del look, dopo aver rilevato che quando D'Alema ha osato avventurarsi da solo da Cenci, nota boutique romana, «è riuscito a comprarsi l'unica giacca brutta che c'era». Il riferimento Berlusconi gli propone di fare TV del restyling diventa «l'eleganza inglese della vecchia Napoli». Napoletano il sarto Gino Cimmino: «Quando venne da me gli consigliai il blu e il grigio e da allora non ha più adottato altri colori» racconterà nel 1998 all'Adnkronos. Napoletana la nuova camiciaia. Napoletane le cravatte, classiche ma moderne, al posto delle pregresse tetre fantasie funzionariali. All'inizio D'Alema si sottopone all'intensa opera riformatrice «con docile disciplina»; dopo alcuni mesi, Velardi constata che «ci ha preso gusto, si è anzi appassionato a questo nuovo modo di vestire, certo per come può appassionarsi lui alle cose terrene» tanto da spiegare a Bruno Vespa: «Cerco di non portare colori troppo brillanti che farebbero risaltare il mio incarnato cadaverico». «Quando prova un abito diventa un altro» dirà il sarto. Primo incontro con Berlusconi. Come dimenticare il primo incontro? D'Alema lo custodisce con pudore. E solo in circostanze rare e speciali, in certe periferiche feste dell'Unità, per lenire la malinconia, si lascia andare all'amarcord, come un amante abbandonato che sfoglia l'album delle fotografie ingiallite accovacciato sul divano nelle sere d'inverno. Seconda metà degli anni Ottanta. Berlusconi è ormai Sua Emittenza. Tra l'ottobre 1984 e il gennaio 1986 il governo Craxi ha varato tre decreti legge per riaccendere le reti Fininvest oscurate dai pretori d'assalto. Il Pci ha barattato una linea soft con la lottizzazione di Raitre. Nel 1985, richiamato dalla Puglia, D'Alema diventa responsabile stampa e propaganda del partito. Il 17 maggio 1986, dopo che la maggioranza che sostiene il governo Craxi ha trovato l'intesa per «dare il via libera ai network televisivi privati anche nel campo dell'informazione», creando quindi una potenza di fuoco micidiale a disposizione di Dc e Psi, denuncia su «Rinascita» «il rischio di dar luogo a un grande monopolio privato come quello che fa capo a Berlusconi. [...] Avremmo un ben strano pluralismo, tutto interno allo stesso blocco di potere». Invoca una legge antitrust e chiama alla «battaglia democratica» per «un'informazione effettivamente libera e non controllata dal governo». Il 10 ottobre dello stesso anno su «l'Unità» pubblica un articolo in cui adombra «intese vergognose» nel pentapartito perché «il vero problema per i partiti che comandano è assicurarsi il controllo sull'informazione che sarà prodotta dai network privati e di lottizzare anche quella». Il 20 ottobre 1989, diventato direttore de "l'Unità", alla vigilia dell'approvazione della legge Mammì scrive che «tira una bruttissima aria per chi non è d'accordo» citando allarmato «il dottor Fedele Confalonieri, braccio destro di Berlusconi, che ha annunciato che il loro telegiornale si ispirerà alle idee di Andreotti, Craxi e Forlani». È in questo contesto che Berlusconi cerca di aprire un canale con il Pci. Adele Morelli, vedova di Alessandro Natta, rivelerà ad Antonello Caporale che suo marito ricevette a Botteghe Oscure il Cavaliere, «che offrì al Pci la forza propagandistica di una delle sue reti, credo si trattasse di Rete 4, pur di ricevere tutela e comprensione politica per tutta la Fininvest». D'Alema invece viene invitato da Berlusconi, alla presenza di Gianni Letta, «per un favore politico». A sorpresa, l'incontro finisce con Berlusconi che gli scodella un'offerta di lavoro: «Lei perché non fa un talk show con noi? Sa, con noi in tv lavorano tanti bravi giornalisti, come Ferrara...».
(immagine da dagospia). <b>Massimo digrigna i denti, arrota il baffo, serra la mascella, gli tira i piatti in faccia come una moglie trascurata ed esasperata, lo inonda di contumelie: protervo, rissoso, prepotente, totalmente inattendibile, chiacchierone, persona non seria, contraddittorio, ambiguo, buffone, grande illusionista, grandissimo bugiardo, "sor tentenna" della politica italiana, irresponsabile, avventuriero, squadrista televisivo, fascista moderno, sfascista, cinico sovversivo, reazionario, intollerante, profondamente antidemocratico, a-democratico, signore feudale, gretto, generale da quattro soldi, barbaro, pugile senza regole che sale sul ring e tira calci al basso ventre, cinico propagandista, estremista, arrogante, rozzo, primordiale, violento, volgare, immaturo, pericoloso, vandalo politico, piazzista, peggio che un idiota, avvelenatore, populista boliviano degli anni Settanta, classista, espressione del privilegio, analfabeta, imbroglione,indecoroso, ripetitore di scemenze, invadente, disastroso, venditore di Cacao Meravigliao, il piu grande venditore di favole del mondo. Ma poi gli passa, ci ragiona, istintivamente gli fa scudo se qualcuno lo «demonizza», e realizza che in fondo Berlusconi gli piace così. Lo dice, con candore. Il 12 marzo 1996, in piena campagna elettorale, intervistato da Giovanni Minoli a Mixer: «Berlusconi ha il pregio di avere una carica umana e di essere simpatico e il difetto di non dire sempre la verità. Io invece mi ritengo sincero e spesso sono sgradevolmente sincero».

lunedì 17 giugno 2013

EUROCRACK.

Ue salva solo se Berlino lascia l’euro, l’idea del Nobel Stiglitz fa proseliti. Se la Germania torna al marco, i paesi del Sud ne avrebbero grandi benefici, a partire dall’Italia. Presentato il 15 giugno un manifesto che propone la segmentazione controllata dell'Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue. di Alberto Bagnai | 17 giugno 2013.
Il 15 giugno è stato presentato a Parigi il Manifesto di Solidarietà Europea, una proposta di segmentazione controllata dell’Eurozona a partire dall’uscita dei paesi più competitivi, come strategia per evitare il collasso economico e politico dell’Ue. La proposta non è originale: già nell’ottobre 2010 il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva dichiarato al Sunday Telegraph che se la Germania non avesse abbandonato l’euro, si rischiava che i governi dell’Eurozona scegliessero la strada dell’austerità, trascinando il continente in una nuova recessione. Così è stato. L’idea di Stiglitz è stata approfondita e fatta propria da un gruppo di economisti europei con percorsi accademici e politici disparati: dai conservatori Hans-Olaf Henkel (ex-presidente della Confindustria tedesca) e Stefan Kawalec (già sostenitore di Solidarnosc ed ex-viceministro delle Finanze in Polonia), ai progressisti Jacques Sapir (economista legato al Front de Gauche francese) e Juan Francisco Martin Seco (membro del comitato scientifico di Attac in Spagna). Anche in Italia l’adesione è stata trasversale: da Claudio Borghi Aquilini (editorialista del Giornale, già manager di Deutsche Bank Italia), al sottoscritto. La scelta della Germania Si realizza così quanto scrivevo il 29 novembre 2011 nel mio blog, sostenendo che “l’unica soluzione razionale per la Germania è propugnare un’uscita selettiva o generalizzata”. Il partito euroscettico tedesco (Alternative für Deutschland) era ancora di là da venire, ma che si sarebbe andati a parare lì era chiaro per due motivi. Il primo è che la crisi europea trae origine dalle rigidità proprie alla moneta unica. L’euro ha falsato il mercato (portando all’accumulo di ingenti crediti/debiti esteri), e ingessato le economie (impedendo alle più deboli di reagire con una fisiologica svalutazione allo choc determinato dalla crisi americana). Il ripristino di un rapporto di cambio meno artificiale fra Nord e Sud è quindi uno snodo necessario,anche se certo non sufficiente, nel percorso di soluzione della crisi. Il fascino del marco Il secondo motivo, politico, è che l’equilibrio dell’Eurozona si regge su due menzogne: quella dei politici del Sud (“l’euro vi proteggerà”), e quella dei politici del Nord (“la crisi è colpa dei Pigs”). Che l’euro non ci abbia protetto è chiaro. Lo è anche il fatto che dell’origine e dell’aggravarsi della crisi è corresponsabile l’attuale leadership tedesca. Ma mentre i nostri politici non possono ora venirci a dire che l’euro è stato un errore, ai politici del Nord è più facile scaricare sui paesi del Sud la colpa e propugnare come soluzione l’abbandono dell’euro. Lo sganciamento dall’Eurozona, vissuto al Sud come una sconfitta, al Nord sarebbe visto come il riappropriarsi di un simbolo vincente di identità nazionale (il marco). L’obiezione secondo la quale avendo la Germania beneficiato dall’euro, non vorrà abbandonarlo, è inconsistente. Certo, l’euro, impedendo alla Germania di rivalutare, le ha attribuito un’indebita competitività di prezzo: lo ricorda perfino il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma in economia non ci sono pasti gratis: nel momento stesso in cui l’euro rendeva convenienti per il Sud i beni del Nord, esso poneva le basi per il crollo finanziario del Sud, che ora è in caduta libera e non può più sostenere con la propria domanda l’economia tedesca. La conseguenza è una forte sofferenza di quest’ultima, le cui prospettive di crescita per il 2013 sono state recentemente dimezzate dal Fmi. La rinuncia al vantaggio in termini di prezzo sarebbe quindi per la Germania una manifestazione di solidarietà (consentirebbe il rilancio delle economie del Sud), ma soprattutto di razionalità. L’uscita sarebbe anche meno costosa dell’unione fiscale: il “costo del federalismo” – ovvero l’ammontare dei trasferimenti da Nord a Sud necessari per ripristinare una situazione equilibrata senza ricorrere alla leva del cambio – è stato stimato da Jacques Sapir in quasi il 10 per cento del Pil per un paese come la Germania. Trasferimenti di questa entità sono politicamente improponibili. Se una segmentazione dell’euro è necessaria, è più razionale realizzarla lasciando che nella transizione le economie più deboli godano della relativa stabilità della moneta unica: fra euforia da “nuovo marco” e panico da “li-retta” è piuttosto evidente cosa convenga scegliere. Non si tratta però di una proposta di euro a due velocità. Il Manifesto considera la possibilità di ulteriori segmentazioni, fino a un eventuale ritorno alle valute nazionali. Un percorso non facile, ma necessario, e comunque più gestibile se realizzato in modo ordinato, con il progressivo distacco dei paesi più competitivi. *Alberto Bagnai è professore di Economia politica all’Università di Pescara, blogger per ilfattoquotidiano.it e su goofynomics.blogspot.com

venerdì 14 giugno 2013

GRILLO ED IL DISSENSO.

Caro Beppe Grillo, il dissenso è la ricchezza della nuova politica di Paolo Flores d'Arcais | 14 giugno 2013
Questo è il testo che ho inviato ieri a Beppe Grillo chiedendo che lo ospiti come post sul suo sito. Oggi l' ho inviato a tutti i parlamentari del M5S. Caro Beppe, ho letto il tuo post di oggi (giovedì 13 giugno), in cui chiedi a chiunque faccia parte della “voce esplosa a fine febbraio, con nove milioni di voti al MoVimento 5 Stelle” e “poi diventata più flebile” di far sentire la propria voce (ovunque: “nei bar, nei taxi, al lavoro, negli studi televisivi, in rete, nei tribunali …”). Poiché cerco di farlo senza interruzione da 52 anni (la prima manifestazione a cui partecipai è del 1961, quando avevo 17 anni, per la libertà in Spagna), accolgo molto volentieri il tuo invito, ed essendo uno dei nove milioni che ha votato M5S mando questo post al tuo blog, sperando che tu voglia pubblicarlo, prendendo alla lettera quello che tu anche oggi ribadisci: “Ognuno deve valere uno per riportare la democrazia in questo Paese”. In realtà, dal punto di vista della possibilità di comunicare, tu ed io siamo dei privilegiati, abbiamo più strumenti per essere ascoltati di un cittadino nella media (tu naturalmente molto più di me), e questo aumenta le nostre responsabilità, che sono proporzionali alla visibilità che abbiamo. La prima responsabilità è quella di dire la verità, tutta la verità niente altro che la verità, e la seconda di fare in modo che quei 9 milioni di voti non si disperdano, non diminuiscano, anzi si accrescano, per portare l’Italia a quella svolta che l’establishment del privilegio chiama “antipolitica” e che invece è solo “Altrapolitica”, contro corruzione, mafie, Casta. Oggi quei nove milioni non ci sono già più, questa è la prima, benché amara, verità da cui dobbiamo partire. Perché in tre mesi si sono ridotti alla metà, e in alcune zone (comprese Roma e la Sicilia) a un terzo? Una parlamentare del M5S, la senatrice Adele Gambaro (una militante della prima ora) tra queste cause ha messo “i toni” della tua comunicazione. Può essere che sbagli del tutto o che abbia ragione solo parzialmente o che abbia messo il dito sulla piaga. Se si vuole discutere seriamente bisogna farlo senza tabù. E se ci si prende sul serio, se “ognuno vale uno”, la semplice logica impone che nessuno possa dire che “qualcuno vale niente”. Personalmente non credo che si tratti solo dei “toni” della tua comunicazione. Perché sono anche quei “toni”, che hanno trasformato il tuo “Tsunami tour” in uno tsunami nelle urne delle politiche di tre mesi fa, con più di un elettore su quattro a votare M5S. Quei “toni” tre mesi fa raccoglievano consensi ciclopici, oggi però non più. Cosa è successo? In un tuo blog di quattro giorni fa (“C’è chi ha votato il M5S perché …”) sono elencate tutte le ragioni per cui elettori molto diversi e con diverse motivazioni hanno realizzato lo tsunami dei nove milioni di voti. Erano comunque uniti su un punto: volevano che quei voti contassero, subito. Non per fare accordi da vecchia politica, ma per incidere contro la vecchia politica senza aspettare le calende greche del 51% (la demenza tipo partito a vocazione maggioritaria lasciamola a Veltroni). In tre mesi non è accaduto. Un mare di polemiche autoreferenziali, “chi fa x è fuori”, “chi dice y è fuori”, mentre una politica nuova sa essere molto più libera della falsa libertà dei partiti, e dunque non solo tollera il dissenso ma lo considera parte integrante della propria ricchezza. In questi tre mesi è mancata l’azione. Fuori, ancor più che dentro il Parlamento. Fuori, esistono molti movimenti (di lotta su temi diversi, di opinione, di piazza, sul web), ma il M5S partecipa pressoché esclusivamente alle proprie iniziative, non cerca mai di promuoverne con altri “soggetti” anche quando ne condivide pienamente gli obiettivi. Due soli esempi: a Bologna si è svolto un referendum in difesa della scuola pubblica, Davide contro Golia, trenta cittadini comuni contro tutti i poteri della città, dal vescovo Cl (cardinal Caffarra) al sindaco Pd alla Confindustria alle coop. I consiglieri comunali M5S stavano con il comitato laico, beninteso, ma nelle piazze e nella mobilitazione il M5S in quanto tale non si è visto. A Roma qualche settimana prima MicroMega ha organizzato a piazza Santi Apostoli una manifestazione per la ineleggibilità di Berlusconi, dopo aver raccolto 250 mila firme sul web. C’erano militanti del M5S, ma a titolo personale. Eppure quella sulla ineleggibilità è una battaglia del M5S. Perché non farla insieme? MicroMega la conduce dal 1994. Perché ogni tentativo di iniziative comuni ottiene un “fin de non recevoir” tanto silenzioso quanto eloquente? Gli esempi si potrebbero moltiplicare, con moltissimi altri “soggetti”, sigle, movimenti. La scelta di votare Rodotà per la presidenza della Repubblica è stata un gesto esemplare, perché rovinarlo insolentendolo alla prima affermazione critica nei tuoi confronti? Cosa vogliamo, gli intellettuali organici, come nel vecchio Pci, o obbedienti “perinde ac cadaver” come nella Compagnia di Gesù? Di cose da discutere, e da fare, insieme, ce ne sono moltissime, ma di queste in prossimi e specifici blog che mi impegno a mandare, nella speranza che ora la discussione e la partecipazione, che invochi nel tuo blog di oggi, possa cominciare davvero, e davvero secondo il principio che uno vale uno. Un carissimo saluto, Paolo Flores d’Arcais

lunedì 10 giugno 2013

Jacopo ed il vizio del comunismo.

Sono ancora comunista? Cosa vuol dire essere comunista? Sono ancora comunista nonostante tutto? Nonostante Lenin, nonostante Stalin? Si può dire ancora la parola COMUNISTA? Interrogativo storico. Mi consolo pensando che c’è tanta gente che continua a dirsi cristiana, nonostante tutti i crimini commessi nel nome di Gesù. Perché non potrei io continuare a essere comunista, allora? Comunista con qualche precisazione. Sono pacifista, è storicamente provato che Marx non ha mai posseduto una pistola. E sono della corrente comica: una risata vi seppellirà. Il nostro simbolo è quell’operaio degli inizi del ‘900, che mentre due carabinieri lo portano via, tenendolo per le braccia, sghignazza. Una risata vi seppellirà. I miei ne fecero un manifesto agli inizi degli anni settanta, con buona pace di chi ancora li calunnia sostenendo che il Soccorso Rosso Militante era un’organizzazione che fiancheggiava il terrorismo. Chiarito questo, vorrei spiegare perché sono, ancora, comunista. Una sera mia mamma mi spiegò il comunismo. Quando ero bambino avevo capito che in famiglia eravamo comunisti (come si può essere cattolici o protestanti). Poi quando avevo 9 anni mia madre ritenne opportuno informarmi sulla situazione del mondo. Quella sera, invece di raccontarmi le storie di Ulisse e dei due Spazzacamini, per farmi addormentare, iniziò a parlarmi di pensionati che non riuscivano a campare, operai licenziati, gente che muore di fame. Un terribile racconto dell’orrore che mi si impresse in testa. Da allora per me “essere comunista” volle dire lottare contro l’orrore del mondo. E con gli anni mia madre si impegnò a insegnarmi che “essere comunista” non vuol dire essere d’accordo con un’idea ma riuscire nei fatti ad alleviare le sofferenze degli altri. “I veri comunisti” erano persone che cercavano di migliorarsi nella vita sociale e nella vita privata, essere onesti, corretti, sinceri e capaci di lavorare sodo. Essere persone degne è uno strumento essenziale per migliorare il mondo. Che tu sei comunista non lo decidi tu ma quel che sei capace di fare e come vivi. Se uno va al corteo e poi torna a casa e picchia la moglie non è un vero comunista, è un vero stronzo. Questo pensava mia madre. Poi, quando avevo 16 anni, e avevo già letto parecchi libri comunisti, capii la differenza tra l’essere impegnato nel miglioramento del mondo e l’essere comunista. Gay, femministe e comunisti, una combinazione esplosiva. Ero entrato a far parte del Gruppo Gramsci fin dalla sua fondazione, era un gruppo microscopico nato dalla scissione del Movimento Studentesco di Maria Capanna. Un gruppo strano, pieno di operai, che nel 1973 già si dedicava alla difesa dei diritti delle donne, degli omosessuali e degli emarginati. Ma, soprattutto, ci facevano una scuola quadri straordinaria, animata da persone come Nanni Arrighi, economista di fama internazionale e Romano Madera, oggi insigne psicoterapeuta. Grazie a quelle lezioni appassionate scoprii che il comunismo non è solo un ideale di umanità e giustizia, ma è anche un modello dell’evoluzione umana che permette di comprendere e prevedere il percorso della storia. E finalmente riuscii anche a capire come mai la rivoluzione russa era finita in un bagno di sangue con milioni di morti, in gran parte comunisti, uccisi da altri comunisti. L’idea comunista non riguarda solo la politica, è una visione del mondo che parte dall’osservazione della natura, per questo si parla di comunismo scientifico. Marx ed Engels han detto (grossomodo) che esiste una forza nell’Universo che naturalmente tende a far crescere la varietà delle forme e degli eventi. Una forza che rifugge dalla ripetizione, perché essa porta con sé la morte causata dalla noia, altrimenti nota come entropia. Marx, che ben conosceva la cultura cinese e sulla Cina scrisse molto, concepì un modo di interpretare la storia basato sull’idea taoista. Una concezione delle leggi di natura come discendenti meccanicamente da una qualità intima presente in tutte le cose, uno stampino contenuto in ogni atomo. Il Tao dei cinesi non è un Dio, non è una sostanza fisica o un’entità spirituale; è la legge fisica che governa l’Universo, la sua qualità pregnante. E in questa qualità è essenziale l’impulso allo sviluppo, all’evoluzione. Esiste nel mondo una forza evolutiva che determina pure i destini umani, generando novità e invenzioni incredibili che modificano il modo di vivere. Questi cambiamenti si assommano via via producendo periodicamente salti di qualità nel modo di organizzare la vita umana e il potere sociale. È il modo stesso del vivere delle genti, il sistema di produzione, che crea il modo di pensare e dà il potere alle classi sociali. Ed è questo meccanismo materiale che determina che una nuova classe sociale si sviluppi e ad un certo punto arrivi al potere sostituendo la precedente. Così si passa dalla società paritaria matriarcale a quella patriarcale schiavista, grazie all’invenzione dell’arco, della doma del cavallo e della guerra. E grazie ai successivi sviluppi diventano dominanti le nobiltà feudali e le caste burocratiche e religiose. Lo sviluppo dei commerci e delle manifatture fa nascere la borghesia e la rivoluzione industriale le dà il potere. E le grandi fabbriche creano la classe degli operai e trasformano la maggioranza dei cittadini in proletari urbani, dando loro coesione. Essi un giorno saranno talmente socialmente organizzati e sapienti che il potere dei borghesi non avrà più senso, né forza. Il cosiddetto comunismo russo era una cattiveria. La storia avanza sospinta dalle invenzioni, dalle conoscenze e dalle tecnologie che trasformano le persone e le relazioni. E non a caso la rivoluzione socialista in Russia generò una feroce dittatura criminale. La struttura produttiva russa era agricola, non certo industriale, non esisteva né sufficiente classe operaia né sufficiente sapienza e urbanizzazione, perché il popolo potesse amministrarsi da solo. In breve tempo la forma della vita della gente prese il sopravvento sugli ideali e il modo di vivere e pensare che aveva reso possibile il potere assoluto degli zar aveva prodotto lo zar Lenin e lo zar Stalin. Le idee se non sono sostenute dall’economia e dagli stili di vita non possono cambiare la struttura del potere. L’idea di un Partito Comunista che cambia per decreto la vita e la testa di milioni di contadini russi, con una decisione dall’alto, non ha nulla a che vedere con la teoria comunista, anzi è una bestemmia. Costringere con il terrore milioni di persone a chiamarsi “compagni” è una cosa che avrebbe fatto inorridire Marx e Engels. Un’idea dittatoriale dipinta di rosso. E i comunisti russi che ben sapevano questo e cercarono di opporsi furono quasi tutti ammazzati o rinchiusi nei campi di concentramento. Se Stalin avesse avuto modo di incontrare Marx lo avrebbe fatto fucilare immediatamente. Non c’è modo di cambiare la società se prima non cambiano le teste e non c’è modo di cambiare le teste se prima non cambi il modo in cui le persone lavorano e collaborano. Questa è la legge naturale, materiale, della storia. Per questo i comunisti si dicono anche materialisti. Che poi questo materialismo non è stato capito. S’è pensato che si fosse interessati solo alla materialità della vita. Ma non è così: Marx ed Engels dicevano che la società nuova andava costruita per il pane e per le rose. Sei un progressista ottimista? Stai attento che si diventa comunisti senza neanche accorgersene. A questo punto il discorso si sposta: ti sembra che negli ultimi millenni la condizione umana sia migliorata? Credi nel fatto che l’umanità sia destinata a continuare a migliorare? Discutendo questo argomento Marx scrisse che i comunisti seguono una fede spirituale molto più dei cristiani che agiscono bene solo per ottenere in premio il Paradiso (che è una vantaggio concreto, materiale). I comunisti hanno fede nella natura dell’essere umano e nell’esistenza di leggi naturali che determinano il progresso. Una fede che si basa sull’osservazione dell’evoluzione che ci ha portati dallo stato iniziale di cellule asessuate, che si riproducevano scindendosi, alla civiltà delle tecnologie. È c’è chi dirà che non c’è mai stato vero progresso e che l’umanità è destinata a guerre globali ed epidemie per i prossimi mille secoli. A me sembra invece che poter far l’amore ascoltando il rock & roll sia infinitamente meglio che scindersi in due. Che non dev’essere neanche piacevole… Per questo sono comunista… L’ho già detto. Il comunismo è una manipolazione della realtà? Ma sono comunista anche per un altro motivo. Per quella frase che Marx e Engels hanno scritto sulla prima pagina del Manifesto del Partito Comunista: “Uno spettro s’aggira per l’Europa, lo spettro del comunismo”. Era un secolo buio. I due vecchiacci vedevano limpidamente che era ancora molto lontano il giorno in cui le leggi dell’economia e le tecniche della produzione avrebbero prodotto una società socialista (il primo passo verso una società comunista). E allora inventarono il grande spettro, lo spauracchio: il comunismo. E quell’idea, da sé sola terrorizzò a morte i potenti. Fu un gran colpo di teatro. Un imbroglio sublime. Marx ed Engels con una sola mossa ottennero due vittorie. Innanzi tutto rovinarono il sonno ai capitalisti. Da quando la parola comunismo fu pronunciata essa balenò nella mente dei grandi industriali e banchieri insieme a echi di dannazione, punizione ed esproprio. Lo champagne, le cosce delle ragazze, i castelli, non furono più capaci di dare a quella gente che succhiava il sangue del mondo la stessa soddisfazione che provavano prima. Inoltre la paura del comunismo mise un freno all’arroganza della borghesia. Quanto di più avrebbero vessato il popolo e malpagato i lavoratori se non avessero temuto che esagerando avrebbero causato la RIVOLUZIONE COMUNISTA? Grande idea, mitigare la prepotenza dei potenti creando una superstizione terroristica. Dissero IL COMUNISMO STA ARRIVANDO e bastava guardarli negli occhi per capire che ne erano assolutamente convinti. I due imbroglioni si limitarono a tacere, sarebbero passate parecchie generazioni prima dell’inevitabile avvento comunista. I comunisti non finiscono mai I potenti erano incazzati con i comunisti che avevano rovinato loro il sonno e il caviale e iniziarono a imprigionarli e ad ammazzarli. E a quel punto successe qualche cosa di grande: si scoprì che coi comunisti non c’era niente da fare. Potevi bastonarli, richiuderli, ammazzarli, ma continuavano a essere comunisti. E più ne ammazzavi più te ne trovavi davanti. E allora i capitalisti iniziarono a credere veramente anche loro all’imminenza del comunismo. E molti si fecero scannare pur di tenere bordone ai due vecchiacci, senza mai rivelare il fatto che il comunismo non fosse da temere perché ne sarebbe passato di tempo prima che arrivasse. Che gente, che tempra… Che disperazione bisogna avere per sostenere questo teatro per un secolo e poi un altro… E mi torna alla memoria di Marx, senza un soldo, che seppellisce la sua creatura piccolissima, morta di miseria e disperazione. Marx con quella piccola bara in mano e neanche i soldi per un funerale e una lapide. Marx che ha cambiato la mente degli umani e non ne ha ricavato nulla. Ma quante volte la paura del comunismo ha mitigato l’ingiustizia? Quante vite ha salvato? Quanti hanno potuto vivere meglio grazie a ogni compagno caduto? Se ci sono le otto ore lavorative, le pensioni, l’assistenza sanitaria e le scuole gratuite, un minimo di legalità, il diritto di voto per tutti e le ferie pagate, dovete ringraziare anche quelli che hanno gridato: capitalisti siete finiti, il comunismo sta arrivando! E più modestamente, mi ricordo alle elementari una maestra autoritaria, scortese e militarista, e ricordo la sua faccia scioccata quando io, che allora avevo 10 anni, le dissi educatamente: “Io sono comunista, signora. Io non ubbidisco.” Vidi nei suoi occhi la paura benpensante e mi convinsi che comunista doveva essere una grande parola se generava tanto stupore e terrore, in bocca a un ragazzino. Quindi, se permettete, e anche se non lo permettete, io sono comunista, pacifista, comico e matriarcale. Abbiamo iniziato a rompere i coglioni appena usciti dalle caverne e non smetteremo certo fino a quando questo mondo non sarà un posto meraviglioso dove far crescere i figli in pace, amarsi, collaborare, giocare e fare arte. Su questo puoi scommetterci. Siamo comunisti, siamo milioni. Siamo qui per migliorare il mondo e non ce ne andiamo se non abbiamo finito. E se non ci riuscirò io verranno i miei figli e i figli dei miei figli. E qualunque cosa succederà non smetteremo mai di avere fede nell’intelligenza umana e nel buon senso dell’Universo. Non ne siamo capaci. Più che una fede è un vizio. Non si parla quasi mai di funerali di Jacopo Fo | 9 giugno 2013. E nessun partito ha la morte nel suo programma di governo. La morte inonda telegiornali e telefilm ma contemporaneamente è un tabù. Eppure la morte di una persona cara è un momento importante della vita. Io devo ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine in questi giorni. Questa condivisione ha alleggerito enormemente lo shock della dipartita di mia madre. E mi sono chiesto quanto dev’essere terribile un lutto vissuto da soli. Nella società contadina è ancora viva la tradizione di recarsi tutti presso la casa del morto. La famiglia è impegnata così a ricevere, a offrire da bere e da mangiare. Nei giorni successivi parecchie ore sono dedicate alla recitazione collettiva del rosario, con decine di persone stipate in una stanza a ripetere quella cantilena ipnotica. Si tratta di riti molto efficaci per aiutare le persone ad alleggerire il dolore. Ma nelle città queste ritualità sono in gran parte andate perdute, senza che altri riti le abbiano sostituite. Quando parliamo di nuovi stili di vita, di valore delle relazioni sociali basate sulla condivisione ci riferiamo proprio a questo tipo di problema. Affrontare la vita senza avere intorno a sé una comunità di amici è un’eventualità che riduce pesantemente la qualità della nostra esistenza, lasciandoci esposti al dolore e alla depressione più di quanto sia inevitabile. I gruppi d’acquisto, le banche del tempo, le attività solidali, le associazioni culturali, la condivisione di spazi abitativi e lavorativi, non sono importanti solo perché ci permettono di avere prodotti, servizi ed esperienze migliori a un prezzo inferiore, ma sopratutto perché danno vita a reti di amicizie e ci permettono di aumentare la profondità dei nostri legami con gli altri. Collaborare è un grande modo per conoscersi. La partecipazione a una collettività di amiche e amici è qualche cosa che ha un valore enorme, un lusso che letteralmente non ha prezzo, perché l’affetto non si compra. Se la nostra critica a questa società si ferma a denunciare le malefatte della casta e a proporre qualche soluzione più ecologica, non andiamo molto lontano. Ben più forte è la nostra capacità di migliorare il mondo se iniziamo a vivere secondo altre modalità e un’altra filosofia, che metta al centro le vere fondamentali necessità degli esseri umani. La costruzione dell’economia alternativa, delle cooperative, degli ecovillaggi, di un’educazione alla libertà, alla creatività e all’onestà, sono essenziali perché portano progresso sociale ma soprattutto perché ci offrono la possibilità di vivere in modo diverso, invecchiare in modo diverso e morire in modo diverso. I numerosi anni di esperienza di gruppi come i Bilanci di Giustizia ci insegnano proprio questo. Quando Bilanci di Giustizia hanno voluto realizzare una valutazione dei benefici ottenuti si sono resi conto che i soldi risparmiati (uno stipendio all’anno) e la migliore qualità dei prodotti ottenuti, non erano in cima alla loro graduatoria dei vantaggi ottenuti attraverso il gruppo d’acquisto. Al primo posto mettono la qualità della vita che la partecipazione al gruppo ha generato. Le feste in occasione delle visite alle aziende agricole che forniscono le verdure e le uova, lo scambio di lavori, la valorizzazione attraverso lo scambio di servizi delle diverse abilità di ognuno, le nuove conoscenze, le collaborazioni che si sono sviluppate intorno al gruppo d’acquisto. Amicizie, amori, imprese… Noi siamo geneticamente esseri sociali, animali di branco. Numerose ricerche sulle scimmie hanno dimostrato che esiste un forte istinto naturale verso la generosità, la condivisione, il mutuo aiuto. E si è dimostrato che un gruppo di esseri umani che si dedica alla stessa attività nello stesso luogo, sintonizza le onde cerebrali (vedi le ricerche di Nittamo Montecucco). Questa sintonizzazione ha effetti benefici anche sull’organismo e induce inoltre la produzione di endorfine, sostanze che ci danno sensazioni di benessere e contemporaneamente galvanizzano le funzioni fisiologiche e il sistema immunitario. La socialità è un’esperienza che dà benessere e fa bene alla salute. E non costa nulla, ma contemporaneamente è un lusso senza prezzo. I leader progressisti alla fine grippano sempre e non riescono ad acchiappare questo benedetto progresso perché sono ancora convinti che il cuore della battaglia avvenga in piazza, in parlamento e alle elezioni. Invece il cuore dello scontro sociale sta nei matrimoni, nelle nascite, nelle feste, nei funerali e nelle emozioni. Se vogliamo far capire cosa stiamo facendo, perché ci affatichiamo a costruire un mondo migliore, dobbiamo dirlo che nella vita abbiamo messo al primo posto il lusso sibaritico di far parte di una collettività amorevole. E questo è stellarmente meglio che stare chiusi in casa a guardare la pubblicità dell’auto che c’ha 400 cavalli nel motore. Che te ne fai dell’auto di lusso se non c’è nessuno che ti aspetta da nessuna parte? Coglione!

lunedì 3 giugno 2013

Dio c’è ed è comunista e femmina.

Dio c’è ed è comunista e femmina. di Jacopo Fo | 2 giugno 2013. Questa è la trascrizione del discorso che ho tenuto alla celebrazione di mia madre, Franca Rame. Ringrazio ancora tutti per l’affetto che hanno dimostrato alla mia famiglia e a me in questo momento. Grazie a tutti! Per noi ieri è stata un’esperienza pazzesca: siamo stati due ore e mezza nella camera ardente con tutti questi compagni e queste compagne… e la sensazione… ecco, quello che le persone mi hanno detto è stato soprattutto che mia madre ha sempre fatto qualcosa per gli altri. Quando mia madre doveva spiegare perché si batteva contro le ingiustizie diceva: “Non posso fare altro: bisogna farlo! Non si può lasciare che degli esseri umani vengano trattati così…”. Quando avevo 9 anni, uscì su un giornale la storia di un uomo disperato che era svenuto perché era senza lavoro e non mangiava da 4 giorni. Io ero un bambino e mia madre mi disse: “Vieni con me, dobbiamo andare da questa persona perché ha bisogno”. E vogliamo parlare del manicomio di Aversa? Un posto dove venivano fatte cose orribili: lei andò in questo manicomio con un gruppo di parlamentari per occuparsi di queste persone e riuscì a far chiudere quell’orrore. Allora, quando sento compagni delusi che dicono che non abbiamo combinato niente in questi 40 anni, io vorrei dire: non è vero! Non è vero! L’Italia oggi ha dei problemi drammatici, ma 40 anni fa era peggio! E abbiamo lottato! E il fatto che voi siate venuti qui, che ci siano così tante donne vestite di rosso è il segno che abbiamo ancora speranza e che possiamo cambiare questa realtà. Mia madre è stata rapita e massacrata dai fascisti. Allora c’erano i corpi deviati dello Stato e un gruppo di questi era composto addirittura da ufficiali dei carabinieri che brindarono dopo che mia madre fu stuprata e torturata. Mia madre ebbe il coraggio di raccontare questa storia e non fu facile per lei perché veniva da una famiglia cattolica in cui la vergogna del dolore è maggiore della volontà di denuncia! Ecco, io vorrei ringraziarvi e vorrei dire che ci sono state tante battaglie che abbiamo fatto in questi anni e che è stato grande il fatto che mia madre sia riuscita a mettere assieme delle persone anche per fare delle cose, per fare delle cose buone, a essere sempre con i gruppi che facevano delle iniziative per chi ne aveva bisogno. Mi ricordo quando iniziarono ad arrivare le notizie dal carcere dopo le bombe nella banca dell’Agricoltura [12 dicembre 1969], le notizie che i compagni arrestati venivano massacrati. “Bolzaneto” era tutti i giorni, in carcere, e mia madre iniziò a dire in teatro: “Bisogna fare qualcosa, non si può, non si può accettare!” E allora non c’erano i computer, e c’erano centinaia di compagni in prigione. Non avevamo più notizie di centinaia di persone, le famiglie erano disperate: operai, sindacalisti, studenti. E mia madre iniziò con un gruppo di ragazze: su grandi tavoli si compilavano i fogli con il nome del compagno arrestato, dove era, chi era il gruppo di compagni che doveva occuparsene e mandare un segnale, una lettera, una telefonata ogni settimana per dire che stavano continuando a occuparsi di quel compagno. E veniva annotato tutto: i trasferimenti, che cos’era successo, se il compagno era legato al letto di contenzione, se lo stavano ancora picchiando… tutti i giorni… ed era una cosa incredibile, incredibile… con carta e penna. Ore, ore e ore… decine di persone…Ad un certo punto Soccorso Rosso venne sostenuto da 20mila persone! C’è una forza straordinaria in questo paese, cazzo! E qualche imbecille ha detto, parlando di quando mia madre fu rapita, una cosa relativa alla sua bellezza. Che cazzata! Mia madre è stata rapita perché rompeva i coglioni! Era intollerabile per i fascisti, per il potere, che ci fosse una donna, bella tra l’altro, che osava dire no a questo orrore! E quando mio padre prese il Nobel decisero di destinare tutti quei soldi per i disabili, per comprare dei pulmini attrezzati… La gioia di mia madre e la gioia di mio padre quando vennero messi uno vicino all’altro: 36 pulmini per 36 associazioni di disabili che vennero a prenderli, fu una giornata meravigliosa per mia madre… E quando non c’era nessuno che accettava la verità orribile che avevamo mandato i nostri soldati a combattere in Jugoslavia nei territori contaminati dall’uranio impoverito… Arrivavano gli inglesi e gli americani con gli scafandri e i nostri erano lì in maglietta a farsi contaminare e quando sono tornati in Italia hanno iniziato a morire a decine. Dicevano che non era vero… che non c’era problema… Mi fermo qua. Le conoscete le battaglie di mia madre, non è che ve le devo raccontare tutte! Vorrei ringraziarvi per quello che voi avete fatto oggi per la mia famiglia, a tutti quelli che hanno mandato messaggi d’amore… Perché mia madre è stata una donna che ha amato immensamente. Ha amato immensamente mio padre, me, le mie figlie, la mia nipotina, e lei diceva sempre, quando succedevano le cose belle ma anche le cose brutte: “Ricordati che dio c’è ed è comunista!” E vorrei che voi andaste a casa con un po’ di fiducia in più perchè dio c’è ed è comunista e se si sono estinti i dinosauri si estingueranno anche questi! Le persone che non conoscono l’amore e il rispetto per l’umanità si estingueranno! E vorrei dire anche che non solo dio è comunista, ma è anche femmina e perciò possiamo stare certi che questo mondo lo cambieremo! Grazie compagne! Grazie compagni!