venerdì 29 giugno 2012

Sovranità sempre più limitata.

Scudo anti-spread non convince di: WSI Pubblicato il 29 giugno 2012| Ora 10:57 Dal mercato opinioni negative, subentreranno una volta passata la solita euforia iniziale? Le critiche: ci sono troppe condizioni e troppa politica, modifiche di trattati, ratifiche, fondi salva-stati e salva-banche. E circa i gap... Londra - Mercati euforici questa mattina dopo l'intesa raggiunta a Bruxelles dopo 13 ore di negoziati. Le notizie giunte alle prime luci dell'alba sono state accolte con entusiasmo e lo spread tra i paesi periferici e la Germania si e' presto ridotto di circa 50 punti base. Intanto i listini europei vedono rialzi dell'ordine di oltre il 2% e per la borsa di Milano anche del 3%. Ma i trader non sono convinti dell'efficacia dello scudo anti-spread, uno dei passaggi piu' importanti del piano disegnato dai leader dell'area euro. Si tratta di un meccanismo semi-automatico volto a contenere tassi di interesse e spread, che permetta ai fondi di stabilita' ed emergenza di agire sul mercato secondario e comprare titoli per alleggerire la pressione sui paesi piu' in difficolta'. A non convincere e' anche il fatto che il piano ponga molte condizioni e che sia preparativo per un altro piano, il quale richiedera' una modifica dei trattati del fondo salva stati (MES) e la ratifica - da parte di tutti gli stati membri, Finlandia e Germania compresi - di un nuovo trattato. Insomma la strada e' ancora lunga e l'impressione e' che l'oppio dato in pasto ai mercati permettera' alle autorita' di Bruxelles di prendere del tempo prezioso. Ma non risolve ancora nulla. Almeno non fino a quando verranno definiti i tanti aspetti tecnici ancora definire. Un trader da Londra, e non sarebbe il solo, ha fatto sapere che i gap aperti potrebbero essere richiusi in giornata aumentando la volatilita' dei mercati. Lo riferisce International Business Times. "Voci e rumors dalla city di Londra non fanno presagire il meglio, in quanto molti operatori e traders non sono convinti di questo scudo anti-spread, insomma non risolverebbe affatto l'attuale crisi", scrive il sito di informazione. Il trader ha parlato anche di "una mancanza di compratori in queste aree di prezzo, molto alte e, di conseguenza, non appetibili almeno per il breve". Il meccanismo anti-spread c'e', anche se ancora tutto da definire. Rimane infatti ancora tutto da chiarire l'aspetto tecnico, che dovra' essere messo a punto dall'Eurogruppo entro il 9 luglio. L'intesa prevede che il fondo salva-stati dell'Unione, Efsf e poi il meccanismo permanente Esm, possa intervenire in maniera automatica nel caso in cui gli spread di una nazione virtuosa superino una determinata soglia ancora da stabilire. Di intervenire, cioe', in quei paesi con conti pubblici in ordine e processi di riforme in atto. Per quei paesi che usufruiranno dell'intervento dell'Esm non saranno poste condizioni aggiuntive rispetto agli impegni gia' presi con la Commissione Ue e l'Eurogruppo nell'ambito delle raccomandazioni specifiche per paese. Lo stato interessato dovra' comunque fare una richiesta formale di attivazione dell'intervento del Fondo di salvataggio, e sottoscrivere un protocollo d'intesa. Inoltre e' prevista la possibilita' di ricorrere all'Esm per la ricapitalizzazione diretta delle banche dei paesi dell'Eurozona. Tutto pero' e' legato all'entrata in vigore del nuovo fondo salva-stati: l'Esm dovrebbe essere operativo da inizio luglio, ma perche' possa essere attivo occorre che il trattato sia ratificato da un numero di stati che contribuiscono al 90% delle dotazioni. La Germania lo dovrebbe ratificare oggi, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, volera' nel pomeriggio a Berlino per seguire i lavori del Bundestag. Rafforzato il ruolo della Banca centrale europea, che agira' per conto dei fondi salva-stati (Efsf ed Esm) sui mercati, comprando titoli dei paesi e svolgendo un'azione di supervisione. Sull'accordo Ue scrive nel suo commento macro MPS Capital Service: Siena - Tassi di interesse: dopo un’intensa riunione durata circa 14 ore, questa notte è stato diramato il comunicato contenente i punti dell’accordo raggiunto nel corso del consiglio europeo iniziato ieri. In sintesi sono i seguenti: 1) per le banche spagnole (con estensione anche al sistema finanziario irlandese) viene prevista la possibilità di ricapitalizzazione diretta da parte del meccanismo ESM senza l’assunzione dello status di creditore privilegiato. Tale intervento viene condizionato alla creazione di un’autorità unica di sorveglianza la cui proposta viene affidata alla commissione europea con successivo vaglio da parte del consiglio europeo entro fine 2012. L’aiuto alle banche spagnole arriverà dal fondo EFSF in attesa dell’entrata in vigore dell’ESM che successivamente se ne farà carico; 2) per assicurare la stabilità dei mercati finanziari viene previsto l’uso "flessibile ed efficiente" di EFSF/ESM dietro rispetto dei dettami del patto di stabilità e crescita. La Bce assumerà il ruolo di agente per conto di EFSF/ESM nel condurre le operazioni sui mercati; 3) le decisioni sui dettagli del Memorandum di intesa sono affidati al prossimo eurogruppo del 9 luglio. La reazione dei mercati è questa mattina piuttosto netta con un forte calo degli spread grazie anche ad un marcato rialzo dei tassi tedeschi. Il tasso swap decennale è tornato nuovamente sopra la soglia del 2%.

Italia/Germania. Una sintesi.

Cronaca della partita vinta da Monti.

Come Merkel e' stata sconfitta: dal punto di vista dei tedeschi di: WSI Pubblicato il 29 giugno 2012| Ora 14:50 La Cancelliera e' arrivata a Bruxelles convinta di non fare concessioni. Dopo 15 ore di trattative Italia e Spagna hanno rotto la cortina di ferro della difesa tedesca. Leggi la trattativa minuto per minuto, fino alle prime ore dell'alba. Mentre i leader Ue erano immersi nei negoziati, i giornalisti hanno guardato la semifinale di Euro 2012. L'Italia ha vinto entrambe le partite. New York - Sui quotidiani tedeschi di oggi la parola "Finito" e "Fuori" sono molto ricorrenti e prendeno il posto di "Finale" nell'immaginario collettivo del paese. Storicamente sfortunato nei confronti con l'Italia nelle competizioni internazionali. Dopo che Monti e' uscito vincitore dalle 15 ore di summit e l'Italia dai 90 minuti di una sfida calcistica intensa, disputata a Varsavia e valevole per l'accesso all'ultimo atto degli Europei 2012. L'undici allenato da Cesare Prandelli e il premier italiano sono riusciti a rompere la cortina di ferro della difesa avversaria. Dopo che Mario Balotelli ha garantito la vittoria dei suoi con una fantastica doppietta, resa possibile dagli assist al bacio di Cassano e Montolivo - che ha la madre tedesca - Monti e Rajoy, il suo omologo di Spagna, sono riusciti a strappare un si alla costituzione di un meccanismo anti-spread e un accesso piu' facilitato ai fondi salvataggio permamente (il famigerato MES). Una sconfitta dolorosa. In un lungo e dettagliato retroscena, il settimanale Der Spiegel definisce 'dolorosa' la sconfitta subita da Merkel. Con il parlamento tedesco che dovrebbe ratificare oggi patto discale e Meccanismo Europeo di Stabilita', la Cancelliera non era intenzionata a fare alcuna concessione ai suoi vicini mediterranei. Alla vigilia del summit, i consulenti e ministri del governo tedesco avevano escluso qualsiasi possibilita' di allentamento delle norme che regolano l'accesso al fondo. I confidenti di Merkel hanno gia' cercato di mettere il risultato del summit in una luce positiva per la leader del centro destra tedesco, dicendo che il cancelliere ha fatto il massimo. Nessun aiuto sara' concesso "senza una sovraintendenza di agenti esterni", come osservato da Hermann Grohe, segretario generale dei Cristiano Democratici (il partito di Merkel). L'aiuto diretto alle banche da parte del MES avverra' solo una volta che l;a Bce ha istituito un'autorita' di controllo. Hollande ha gia' fatto sapere che cedera' con piacere parte della sovranita' in nome dell'unione bancaria. "Dal punto di vista tedesco, tuttavia, e' una magra consolazione", concede lo Spiegel. I paesi della periferia hanno invece di che festeggiare. E' una svolta. Il 'blocco mentale' dell'eurozona e' stato superato, ha detto Monti esultando, se di esultare si puo' parlare quando ci si riferisce al tono sempre pacato del professore della Bocconi. Il premier e' giustificatamente soddisfatto per l'accordo strappato all'alba di venerdi'. La sua tattica ha pagato. Monti e Rajoy hanno minacciato di porre il loro veto al patto per la crescita se non fossero state accolte le loro richieste. Alle 19 il punto di svolta. A quell'ora il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy voleva dichiarare conclusa la prima sessione di lavoro del summit e annunciare alla stampa il patto sulla crescita. Secondo quanto riferito da chi c'era, Monti si e' infuriato e ha chiesto a Van Rompuy dove stava andando. Monti ha dovuto ripetere la domanda un'altra volta, perche' Rompuy faceva orecchie da mercante. Il primo ministro ha detto che non poteva lasciare il summit senza che delle misure concrete fossero prese per contrastare il rialzo dei tassi dei bond italiani. Non avrebbe percio' accettato di firmare il patto per la crescita finche' quella questione non fosse risolta. Rajoy a quel punto si e' unito a Monti e ha detto che anche lui non avrebbe approvato l'accordo. La minaccia ha avuto un impatto sugli altri delegati presenti. Il primo monistro danese Helle Thorning-Schmidt ha chiesto ironicamente se ora gli altri leader fossero "in ostaggio". Van Rompuy e' rimasto seduto. Dopo le 22 ha fatto un altro tentativo di alzarsi e presentarsi all'appuntamento con i giornalisti. Merkel lo ha esortato ad annunciare l'intesa sul patto per la crescita. A quel punto, pero', il presidente François Hollande gli ha detto di dire "la verita'". Il momento in cui le difese di Merkel hanno ceduto. Alle 22.30 Van Rompuy si e' recato nella sala conferenze per annunciare uno 'status ad interim', precisando che non c'erano obiezioni al patto per la crescita, ma che due paesi non volevano e non potevano ancora firmarlo. E' con questa notizia che sono andati in stampa i quotidiani italiani usciti stamattina. "Patto per la crescita vicino", titolava oggi La Repubblica. Dopo mezza notte il muro difensivo tedesco non era ancora stato valicato e i rappresentanti degli stati membri dell'Unione Europea che non fanno parte del blocco a 17 della moneta unica hanno lasciato le trattative e sono tornati nelle loro camere in albergo. Gli altri leader sono rimasti e hanno iniziato un confronto serrato. A questo punto, i membri della delegazione tedesca insistevano ancora sul fatto che non avrebbero ceduto di un millimetro. Qualche ora dopo, tuttavia, Monti e Rajoy sono riusciti a portare Merkel in una posizione per lei scomoda e a loro piu' propizia. La Cancelliera ha accettato che in futuro i paesi in difficolta' saranno in grado di ricevere finanziamenti dal fondo MES senza dover sottomettersi alla supervisione della Troika. Ad essere centrati obbligatoriamente saranno solo gli obiettivi annuali della Commissione Ue. L'Italia non chiedera' aiuti per ora. Ma Monti voleva mandare un segnale forte ai mercati finanziari, nel tentativo di alleggerire le pressioni sul suo paese e i suoi titoli di stato. Ovviamente l'accordo non chiarisce tutta una serie di questioni. In particolare l'intesa da' alla Grecia un maggiore spazio di manovra per rinegoziare il piano di salvataggio, un percorso che il premier Antonis Samaras ha gia' precisato di avere intenzione di seguire. La sessione si e' ufficialmente conclusa alle 4:20 della mattina. Dieci minuti dopo Van Rompuy e il presidente della Commisione José Manuel Barroso hanno fatto l'annuncio in conferenza stampa. Alle 5 del mattino Monti, il vero vincitore della serata, e' uscito dal palazzo del Consiglio. E in una conferenza stampa insolita, sulla via verso la sua auto, ha annuncato che sarebbe volato a Kiev domenica per assistere alla finale degli Europei di calcio. Lo stesso Monti che non ama il calcio e che aveva suggerito agli italiani di boicottare il calcio per due - tre anni dopo lo scoppio dell'ennesimo scandalo scommesse. Deve essersi sentito un po' come il suo omonimo Balotelli. Protagonista di una vittoria insperata, ottenuta con il coraggio che caratterizza le grandi imprese. Ma come per l'attaccante bresciano, anche per il professore milanese il torneo non finisce qui. C'e' una finale ancora da giocare. Per ora ha ottenuto un piano a meta', una bozza di idea che pone molte condizioni e che resta teorica, preparativa a un altro piano piu' concreto, che a sua volta richiedera' la modifica dei Trattati e la ratifica di tutti gli stati membri. Inclusa l'avversaria di sempre: la Germania.
Per contattare l'autore @neroarcobaleno; daniele@wallstreetitalia.com

mercoledì 27 giugno 2012

Germania pigliatutto .Finanza al posto dei cannoni.

LE TANTE AZIENDE NAZIONALI «A SCONTO». di Massimo Mucchetti, dal Corriere della Sera.
Il Paese è ricco di buone occasioni. La Deutsche Bank ha un'opzione d'acquisto sul 5% di Unicredit che il fondo speculativo Pamplona ha rastrellato a prezzo vile con soldi presi a prestito proprio dalla banca di Francoforte. E poi si scopre che questa detiene anche l'1% in diretta proprietà. L'Allianz, compagnia assicurativa di Monaco di Baviera, conserva il suo storico 2%. Il capitale tedesco, che nel 2005 aveva una rilevante partecipazione in Unicredit all'indomani dell'acquisizione della Hypo und Vereinsbank, si era defilato, soprattutto di fronte alle nuove emissioni azionarie, pur indispensabili per salvare la banca transeuropea costruita da Alessandro Profumo. Adesso, mentre il premier Mario Monti tratta con la cancelliera Angela Merkel le condizioni dell'European Redemption Fund a presidio dei debiti pubblici, la Deutsche Bank si mette nelle condizioni di contendere al fondo sovrano di Abu Dhabi il ruolo di primo azionista della principale banca italiana, il cui attivo è pari al 60% del Prodotto interno lordo del Paese. Il colosso tedesco era stato il primo, nel luglio 2011, a tagliare i titoli di Stato italiani e a darne notizia ai mercati. Il governo Berlusconi sottovalutò quel campanello d'allarme. Monti e la Banca d'Italia hanno potere ed esperienza per farsi sentire in questa nuova partita. Deutsche Bank deve chiarire le condizioni del prestito e dell'opzione e, soprattutto, i suoi progetti. Magari spiegherà che si tratta di un trading più sofisticato di altri. Tireremo un sospiro di sollievo. Ma se così non fosse, nemmeno la banca presieduta da Paul Achleitner potrebbe essere accolta a scatola chiusa. Sarebbe interessante, per esempio, riclassificarne lo stato patrimoniale secondo la declinazione italiana dei principi contabili internazionali. Che è più seria - sì, leggete bene: più seria - di quella tedesca. E poi, rifatti per bene i conti, la Vigilanza dirà quel che deve nel rispetto delle leggi. Il crollo della Borsa mostra un'Italia a sconto. Pesa la recessione, ma anche, e molto, la percezione di un rischio Paese più alto di quanto non dicano i numeri base dell'economia. In queste condizioni, l'Italia corre il duplice pericolo di farsi sfilare i gioielli del settore privato - uno per tutti: le Generali - attraverso manovre finanziarie, magari opache, e di trovarsi costretta a mettere all'incanto le grandi aziende a partecipazione statale - Eni, Enel, Finmeccanica - quale pegno di risanamento della finanza pubblica. Non sarebbe un bel giorno. Meglio evitarlo. Il caso Unicredit ha valore preventivo e segnaletico. L'Italia non è un Paese chiuso. Ma vuol conservare il potere di decidere sulle partite strategiche. Quando l'Audi compra la Ducati, spiace constatare che non si sia ripetuta la storia della Piaggio, dove un italiano, Roberto Colaninno, seppe prendere in mano la situazione. E tuttavia l'Audi va salutata con fiducia perché entra in trasparenza, chiedendo permesso anche ai sindacati (tutti) e garantendo sviluppo a Bologna. Il governo dei flussi finanziari è più delicato. Non possiamo dimenticare che la Banca d'Italia ha sudato le sette camicie per recuperare la sovranità di Unicredit sulla liquidità del gruppo che la Bafin, la Vigilanza tedesca, aveva segregato in Germania. Insomma, banche, assicurazioni e industrie non vivono trincerandosi. Si può cambiare. Anche molto. Ma mettendo prima tutte le carte sul tavolo. Con spirito paritario ed europeo. di MASSIMO MUCCHETTI 28 giugno 2012

INDECENTE.

"IL LAVORO NON E' UN DIRITTO". Elsa Fornero in una intervista al Wall Street Journal (qui sotto in originale).Non riconosce neanche più l'articolo uno della Costituzione.
L'INTERVISTA ORIGINALE. Italy Official Seeks Culture Shift in New Law By CHRISTOPHER EMSDEN ROME—Italy's Parliament is due to approve a watershed labor law on Wednesday, the last of the economic overhauls the country pledged to its European partners amid the region's debt crisis. But even the new law's architect says its ultimate success will hinge on a deeper cultural change in Italy. "This reform isn't perfect, but it's a good reform, especially for those starting out in the job market," Elsa Fornero, the economics professor who is labor minister in the technocrat government, said in an interview with The Wall Street Journal. "But this is also a wager on Italians changing their behavior in many ways." One of the key tenets of the new law is that employers will be able to lay off individual workers for economic reasons. Until now, companies have had to jump through long and expensive hoops to lay off employees in order to downsize during slumps—a practice many economists say is the key reason for Italy's low level of foreign direct investment and stagnant productivity. Enlarge Image Nadia Shira Cohen for The Wall Street Journal Italian Labor Minister Elsa Fornero says 'we're trying to protect individuals, not jobs' under the new law. More Transcript: Italy's Labor Minister On Reforms Tuscan Bank to Get Government Aid Earlier: Culture of Family-Run Firms Tests Italy's Growth Plan (11/14/2011) Opinion: Employment, Italian Style (6/25/2012) At the same time, the new law brings Italy closer in line with most advanced economies in offering a universal jobless-benefit program. Currently, this is available only to workers with lifetime contracts, and not to millions of others, especially younger Italians working on fixed-term, often low-salary, contracts. The trade-off of looser employment protection compensated by broader welfare provisions replaces an entrenched and litigious system that has left Italy with the euro zone's second-lowest employment rate, after Malta. "We're trying to protect individuals not their jobs," said Ms. Fornero, 63 years old. "People's attitudes have to change. Work isn't a right; it has to be earned, including through sacrifice." Getting to parliamentary approval hasn't been easy—and more controversy may lie ahead. Since January, when Ms. Fornero waded into the 1970 Workers' Charter that is the backbone of Italy's labor laws, she has clashed with both the business establishment and unions. Confindustria, Italy's main business lobby, has loudly criticized a requirement that companies pay higher payroll taxes for fixed-term employees in order to help fund the new broader unemployment-insurance plan. Streaming Coverage Follow every article, blog post, video and tweet on the debt crisis from our reporters across Europe. Euro Zone by the Numbers The 17-nation euro zone is a collection of countries with vastly different economic profiles. See how they stack up on the major measures. View Interactive Euro Zone Crisis Tracker Charting the Euro Zone Crisis Key Players in the Crisis: Bios, Quotes More photos and interactive graphics Susanna Camusso, head of CGIL, Italy's largest labor union, said the new rules won't create jobs and thinks the new unemployment insurance should be more generous. At one point, Ms. Camusso described Ms. Fornero as someone with a "passion for firing people." In its rush to get the labor bill approved this week—ahead of a crucial summit of European Union leaders on Thursday and Friday—the government has agreed to let Italy's political parties make some tweaks to the measures even after its Wednesday approval. It is still unclear how Italy's parties will use the opportunity: Conservative parties, for example, want to hold on to the more than 40 types of contracts that companies can use to hire people, often for temporary stints. Italy's center-left parties want to prolong programs that allow workers to stay on subsidized furloughs for as long as seven years. Ms. Fornero said the government will agree to "small adjustments, but no major changes." Perhaps the biggest significance of Ms. Fornero's effort is that the law has dismantled the most sacred cow of Italy's labor law—Article 18 of the Workers' Charter. Article 18 aimed to eliminate discriminatory practices at the workplace, but was immediately expanded to provide blanket employee protections. It has been politically toxic ever since. Some 13 million people joined a general strike when the government tried to dilute Article 18 in 2002. Under the law to be approved, discrimination remains illegal. But if companies want to dismiss employees for economic motives, they can expect to pay an indemnity instead of facing the risk of long legal disputes and a ruling that they rehire fired workers. "This reform, unlike past efforts, actually goes to the heart of the matter," said Marcello Giustiniani, a labor specialist at Milan law firm Bonelli, Erede & Pappalardo that has worked with multinational clients for 25 years. He says the new law reduces legal uncertainties regarding dismissals and is likely to motivate employees to work better—something that could boost productivity. Italy's productivity gap with Germany has widened by more than 30% since the euro was introduced. The law will likely lead to "less waste and petty corruption," said Antonio Bruzzone, a senior manager at Fiera di Roma, a trade-fair organizer. "Once workers know their job security depends on their company's health, all sorts of behavior that have been tolerated will become unacceptable." Ms. Fornero, whose soft-spoken, teacherly way of speaking makes her adversaries bristle, allowed for some changes to be made gradually. For example, ASPI, the new unemployment-insurance plan—which offers fewer and shorter benefits than existing programs but extends them to more people—will go into effect next year, while old programs will be phased out by 2017. "Italy is not a cold-shower country," she said. Another practice the law aims to curb: At least half of Italy's two million self-employed workers perform routine work on the premises of a single client. Under the new law, such clients would have to offer workers earning less than €18,000 ($22,519) a year proper contracts. Labor is the second big European agenda point Ms. Fornero has taken on. In December—as Italy tried to find €10 billion in annual relief for its public finances—the minister masterminded an emergency decree cutting pension benefits for current retirees and raised the retirement-eligibility age to 68, the highest in Europe. Those measures essentially sped up a 1995 law whose implementation had been routinely postponed by the past 10 governments. That overhaul of Italy's pension system—which has been lauded by European officials—links retirement checks to how much a person contributes to the national pension system over their lifetime, rather than based on an amount pegged to their highest, final salary at the end of their work life. Ms. Fornero said the pension and labor shake-ups aim ultimately to usher in more uniform and universal laws for everybody. That has long been anathema to the country's power brokers—political, labor and business alike—because it makes it harder to justify special exemptions. "Italy is not a rule-bound place," Ms. Fornero said. "It's a land where people rig the system, tweak here and there, and engage in tailor-made adjustments." She added: "That's got to stop." Write to Christopher Emsden at chris.emsden@dowjones.com A version of this article appeared June 27, 2012, on page A10 in the U.S. edition of The Wall Street Journal, with the headline: Italy Official Seeks Culture Shift in New Law.

Il naufragio definitivo del PD si chiama D'Alema.

Matrimonio all'italiana.di Norma Rangeri, da il manifesto. 27.06.2012 Una democrazia repubblicana che ancora deve conquistare la frontiera dei diritti civili e della laicità, con una forbice sociale tra le più alte nel vecchio continente e non solo, con il record europeo di evasione fiscale e una corruzione dilagante che divora la fiducia pubblica, avrebbe tutte le carte in regola per essere più avvelenata di altri. Invece uno dei massimi dirigenti comunisti, oggi democratici, Massimo D'Alema, in un'intervista all'Unità mostra stupore e meraviglia per il pessimo rapporto tra i partiti e la società. Come mai, si chiede il dirigente piddino, in Europa il confronto è tra destra e sinistra e da noi è tra casta e società civile? Qualche risposta si potrebbe azzardare. Bassi salari, pensioni prosciugate e, con il voto di fiducia sulla riforma del lavoro, anche l'umiliazione parlamentare dei diritti costituzionali, sono concime abbondante per l'antipolitica, miccia accesa per fare dell'Italia, ancora una volta, un paese a rischio. Le considerazioni di D'Alema si sposano con la soddisfazione del segretario del Pd per le ambigue attestazioni di vicinanza del leader udc, Casini, favorevole a un'alleanza di centrosinistra nel solco del montismo. Bersani la accoglie come una base finalmente sicura per dare al paese un governo stabile. Delle due l'una: o l'esperienza del governo dei professori ha cementato una solida base programmatica (bene la ricetta Bce, benissimo i provvedimenti su pensioni e lavoro, ottima la riforma bocconiana) e allora togliamo la parola sinistra dal centro. Oppure la sinistra esiste ancora in una parte del gruppo dirigente e nel corpo elettorale del Pd (come elezioni amministrative e, ancor di più i referendum, hanno dimostrato), e allora questa alleanza è un imbroglio peggiore di quello che radunò attorno a Prodi un governo destinato a fine prematura e ingloriosa. Il compromesso storico non c'entra nulla, anche se Casini e D'Alema erano a Sassari per ricordare Enrico Berlinguer. Non solo perché la scelta del segretario del Pci avveniva in un'altra era, era il '73 e la democrazia di Allende finiva nel sangue del golpe cileno. Ma perché il Pd è già un "compromesso stoico" fallito («un'amalgama mal riuscito»), una comunità politica bisognosa di riscoprire qualche radice (qualcuno ha osservato che il Pd senza la storia su cui è seduto sarebbe nulla). La discussione, ricca e vivace che proprio l'esperienza del governo Monti ha prodotto nel Pd tra chi pensa che la riforma dell'art.18 è nefasta e chi la ritiene benvenuta, dovrebbe suggerire maggiore prudenza nel rispondere alle profferte centriste. Strappare la foto di Vasto per imbarcare un altro pezzo di nomenklatura postdemocristiana sembra la scelta migliore per agganciare l'Italia al vagone greco e forse regalare al Pd il destino del Pasok.

Il Vietnam dell'Europa.

di BARBARA SPINELLI, da Repubblica 27 giugno 2012.
Alla vigilia del vertice europeo di domani, l'economista greco Yanis Varoufakis scruta l'incaponita ottusità delle politiche con cui i governi dell'Unione pretendono di salvare la moneta unica, e si stupisce di fronte a tanto guazzabuglio dei cuori e delle azioni. Un'attesa quasi messianica di palingenesi si combina all'abulia dei politici, alla pigrizia mentale degli economisti, alla sbalorditiva mancanza di leadership. Ancora una volta siamo alla vigilia di un vertice definito cruciale. Ci sarà un prima e un dopo, decideremo cose grandi o fatalmente naufragheremo. In Italia, chi punta allo sfascio annuncia che Monti avrà fallito, se fallisce il summit: come se il guazzabuglio europeo fosse suo, come se le responsabilità di Berlusconi si dissolvessero in quelle del successore. Alcuni si esercitano a contare i minuti: l'euro non vivrà più di tre mesi, dicono, pensando forse che l'orologio stia fermo. Sono anni che i mesi di vita sono quasi sempre tre. È quello che spinge Varoufakis a fare due paragoni storici che impaurano a pensarci. Il primo rimanda alla crisi del '29, e alla condotta che il Presidente americano Hoover ebbe a quel tempo. La ricetta era uguale a quella di oggi: ridurre drasticamente la spesa pubblica, tagliare salari e potere d'acquisto, il tutto mentre l'economia Usa implodeva. Seguirono povertà, furore, e in Europa fine della democrazia. Non meno inquietante il paragone con la guerra del Vietnam: negli anni '60-'70, gli uomini del Pentagono erano già certi della sconfitta. Continuarono a gettar bombe sul Vietnam, convulsamente, perché non riuscivano a mettersi d'accordo su come smettere un attivismo palesemente sciagurato. Riconoscere l'errore e cambiar rotta avrebbe salvato migliaia di vite americana, centinaia di migliaia di vite vietnamite, e risparmiato parecchi soldi. Disfatte simili a queste lo storico Marc Bloch le chiamò "strane", nel 1940: le avanguardie politico-militari sono senza visione né guida, mentre nelle retrovie società e classi dirigenti franano. Chi guida oggi l'Europa è animato dalla stessa non-volontà (l'antico peccato di nolitio): la crisi delle banche e dei debiti non è guerra armata, ma certi riflessi sono identici. Il povero cittadino perde la testa, non si raccapezza. Sono mesi che si succedono vertici (a due, quattro, diciassette, ventisette) e ognuno è detto risolutivo. Sono mesi che sul palcoscenico vengono e vanno personaggi, declamando frasi inalterabili. Merkel e Schäuble entrano in sala di Consiglio, si siedono, e recitano: "Non si può fare, prima della solidarietà ognuno faccia ordine a casa". E sempre c'è qualcuno, della periferia-Sud, che invece di negoziare sul serio implora: "Ma fate uno sforzo, qui si sta naufragando!". Sembra la musica che nei dischi di vinile d'improvviso s'incantava. Si siedono e ripetono se stessi (ecolalia è il termine medico), come i generali quando continuavano a cannoneggiare i vietnamiti nella speranza che la guerra, come i mercati, si sarebbe placata da sola, esaurendosi. Qualcosa, è vero, sta muovendosi in Europa. Grazie alle pressioni di socialdemocratici e verdi, il governo tedesco ammette d'un tratto che qualcosa bisogna fare per la crescita (una parola vana come quando i generali in guerra dicono: pace). Nella riunione a 4 che si è svolta a Roma tra Merkel, Hollande, Monti, Rajoy si è deciso di mobilitare 120 miliardi di euro (una bella somma ma sporadica, visto che contemporaneamente non si vuole un aumento del comune bilancio europeo). Si è anche deciso, finalmente, di ignorare le riserve inglesi e svedesi e di approvare una tassa sulle transazioni finanziarie, per dar respiro all'eurozona. Chi da anni lotta per la Tobin tax spera che nasca, per la prima volta, una vera fiscalità europea: il gettito previsto è di 30-50 miliardi all'anno, senza aggravi per i contribuenti. Ma la tassa ha difetti non ancora risolti: come pensare che l'Unione possa avviare con propri soldi investimenti congiunti, se il gettito non andrà nella cassa comune? Il 29 marzo, sulla Zeit, il ministro delle finanze austriaco si felicitò in anticipo per la tassa, i cui proventi erano già iscritti nel bilancio del 2014: nel bilancio austriaco, non europeo. Passi avanti sono stati fatti, assicurano i governi, ma l'essenziale manca: ancora non si possono emettere eurobond, e Berlino esita sul progetto - concepito in novembre dal Consiglio tedesco degli esperti economici - di una redenzione parziale dei debiti. "Ci vuole un salto federale", si comincia a sussurrare, ma anche queste parole rischiano di tramutarsi in nomi nudi, apparenti: come crescita, pace. Perfino cultura della stabilità diventa nome nudo, senz'alcun rapporto con l'idea che ci facciamo di una vita stabile. La sostanza che resta è il dogma tedesco della casa in ordine. E resta il nuovo potere di controllo sui bilanci nazionali, conferito alla Commissione di Bruxelles. Ma un potere strano, di tecnici che censurano e castigano. Non un potere che edifica politiche, dispone di proprie risorse, è controbilanciato democraticamente. Non dimentichiamolo: le spese federali in America coprono il 24 per cento circa del prodotto nazionale. Quelle dell'Unione l'1,2. Quanto alla tassa sulle emissioni di biossido di carbonio (carbon tax), nessuno ne parla più. Il fatto è che le misure non bastano perché il male non è tecnico: è politico. Ci siamo abituati a criminalizzare i mercati, a dire che l'Europa non deve dipendere dalla loro vista corta. Ma li ascoltiamo, i mercati? Sono imprevedibili, ma se diffidano dei nostri rimedi significa che c'è dell'altro nella loro domanda: "Siete proprio intenzionati a salvare l'Euro? La volete fare o no, l'unione politica che nominate sempre, restando fermi?". Se i mercati somigliano a una muta aizzata è perché fiutano un'Europa e una Germania che il potere non se lo vogliono prendere, che scelgono l'irrilevanza mondiale. Si calmeranno solo di fronte a un piano con precise scadenze (importa dare la data, anche se non immediata): un piano che preveda un fisco europeo, un bilancio europeo credibile, un controllo del Parlamento europeo, una Banca centrale simile alla Federal reserve, un'unica politica estera. Hanno ragione a insistere. Anche perché stavolta, manca l'America postbellica che spinse alla federazione. Obama chiede misurette all'Europa, non un grande disegno unitario. In una conferenza dei verdi tedeschi, domenica a Berlino, Monica Frassoni, Presidente del Verdi europei, ha detto parole giuste: "Quello di cui tutti (mercati compresi) abbiamo bisogno è che la parola più Europa significhi qualcosa", non sia flatus vocis. Deve esser chiaro in maniera lampante che Grecia, Italia, Portogallo, Spagna non potranno sanare i debiti con terapie che il debito addirittura l'accrescono. Urge un cambio di passo, dunque "una dichiarazione che dica: non si permetterà a nessuno Stato di fallire; la Bce interverrà comprando titoli delle nazioni indebitate se il Fondo salva-Stati non basta; l'Unione si darà un bilancio federale degno di questo nome, capace di avviare una crescita diversa, ecologicamente sostenibile". Il salto federale di cui c'è bisogno, pochi vogliono compierlo. Hollande dice che l'unione politica voluta da Berlino è accettabile solo se subito c'è solidarietà. La Merkel non esclude la solidarietà, ma prima chiede l'unione politica (anche se ieri ogni idea di scambio è svanita: "Finché vivrò non accetterò gli eurobond"). Qualcuno dunque bluffa. È come la scena del film Gioventù bruciata: due ragazzi guidano simultaneamente le loro auto verso un dirupo. Il primo che sterza sarà chiamato coniglio o pollo (per questo si parla di chicken game). Se entrambi insistono nella corsa finiranno nella fossa. È tragico il gioco, perché riproduce il vecchio equilibrio di potenze nazionali che ha condotto il continente alla rovina. L'Unione europea era nata per abolire simili gare di morte.

AHI, CAMUSSO.

SE LA CGIL DICE NO ALLO SCIOPERO GENERALE. di GIANNI RINALDINI, Fiom-Cgil. Alla vigilia di un probabile voto di fiducia sul disegno di legge sul mercato del lavoro, ovvero su precarietà, art. 18 e ammortizzatori sociali, la Cgil ha deciso di considerare conclusa questa fase e cambiare pagina per favorire le iniziative unitarie fino ad arrivare a un ipotetico sciopero generale unitario in autunno dai contenuti indefiniti. È stata così cancellata la decisione del precedente comitato direttivo che aveva proclamato 16 ore di sciopero, 8 ore a livello territoriale e 8 ore per lo sciopero generale, contro il ddl sul mercato del lavoro e per riaprire la questione previdenziale. La segreteria ha gestito quel mandato in modo tale da evitare l'apertura di un conflitto con il governo nel corso dei lavori del Senato, fino alla paradossale decisione alla vigilia dell'atto parlamentare conclusivo di mettere a disposizione le 8 ore di sciopero per le future iniziative unitarie, di cui non si conoscono i contenuti. Nel frattempo il ddl è stato ulteriormente peggiorato. Un vero e proprio ribaltamento, che svela una totale mancanza di trasparenza nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno scioperato e manifestato nel corso di queste settimane, senza che il gruppo dirigente della Cgil avesse il pudore di dire esplicitamente che stava operando in tutt'altra direzione, a partire dal comunicato della segreteria che considerava positiva la soluzione del nuovo art. 14 che cancella di fatto l'art. 18. Per questa ragione come Coordinatore dell'area di minoranza ho annunciato la nostra non partecipazione al voto del direttivo perché non è accettabile che l'organizzazione venga gestita in violazione delle più elementari regole democratiche. Se queste erano le intenzioni, il gruppo dirigente aveva il dovere di esplicitarle convocando il direttivo in tempi utili per confermare o disdire lo sciopero generale della Cgil e non convocarlo alla vigilia dell'ultimo passaggio parlamentare. Questa deriva nella vita interna della Cgil è l'ultimo atto in ordine di tempo di una gestione dell'organizzazione sconosciuta nella mia lunga esperienza sindacale. Una gestione dove si sostituisce l'autoritarismo all'autorevolezza di un gruppo dirigente. Vengono ridotti, in alcuni casi annullati, gli spazi democratici di confronto e di discussione con la pratica di accordi sottoscritti dalla segreteria e il pronunciamento successivo del direttivo che assume ogni volta il significato del voto di fiducia al segretario generale, pensando così di mettere a tacere la dialettica interna, che esiste nella organizzazione, e che va ben oltre il rapporto congressuale maggioranza e minoranza. La stessa consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori, quando si realizza come sull'accordo del 28 giugno, non ha alcuna possibilità di svolgimento e verifica democratica, correndo il rischio di svilire lo strumento della democrazia. Resta il fatto che in questi mesi il governo ha utilizzato la crisi per ridisegnare l'intero assetto sociale del nostro paese: sistema previdenziale, precarietà, art. 18 e tutela nel lavoro e ammortizzatori sociali, nell'assenza di una reale iniziativa di contrasto da parte della Cgil, a differenza di ciò che accade negli altri paesi europei. La mobilitazione cresciuta negli ultimi mesi, anche in previsione dello sciopero generale annunciato, è stata smontata in primo luogo dalla stessa Cgil, gli stessi scioperi da proclamare localmente si sono svolti soltanto in alcuni territori, isolando nella pratica l'iniziativa e la generosità dei metalmeccanici. In questo modo si è consegnato alla mediazione tra le forze politiche la definizione di questioni sociali che avranno un effetto devastante sulla condizione di lavoro e di vita di milioni di lavoratori, precari e pensionati. I rapporti unitari, per essere ricostruiti, devono svilupparsi in assoluta chiarezza delle reciproche posizioni. Affermare che non è possibile proclamare lo sciopero generale come Cgil perché in questo modo non si favorisce la crescita dei rapporti unitari, ovviamente su altre questioni, e non su quelle che ho prima richiamato, significa associare alla subalternità alle forze politiche, la subalternità alle altre organizzazioni sindacali. Un vero capolavoro. Infine, il documento finale del direttivo nazionale richiama l'importanza della manifestazione unitaria del 2 luglio in Campania, mentre negli stabilimenti Fiat le lavoratrici e i lavoratori iscritti alla Fiom-Cgil non vengono assunti a Pomigliano. Esiste un problema democratico non eludibile che va ben oltre l'accordo del 28 giugno 2011, e riguarda il ripristino di elementari diritti fondamentali, come il fatto che una organizzazione sindacale non può essere espulsa dagli stabilimenti. Questo è un aspetto preliminare nel rapporto con Cisl e Uil che non può essere condizionato ad alcun altro aspetto di natura contrattuale e/o di accordi sindacali perché riguarda la democrazia nel nostro paese, e qualsiasi cedimento su questo versante assume il significato della collusione. La crisi della rappresentanza politica non è cosa diversa dalla crisi della rappresentanza sociale. Non aprire un confronto a tutto campo che abbia la valenza di un congresso straordinario temo che preluda a una deriva preoccupante della Cgil, della funzione e del ruolo delle organizzazioni sindacali. Tutto ciò avviene mentre il disagio sociale cresce paurosamente con un impasto di rabbia, frustrazione e rassegnazione che non trovano oggi alcuna rappresentanza portatrice di un segnale di speranza per il futuro. Quella che viene chiamata antipolitica fa parte dell'umore popolare di cui anche noi portiamo responsabilità. È da qui che dovrebbe partire la discussione.

martedì 26 giugno 2012

Stiglitz e la fine del sogno americano.

La fine del "Sogno Americano": ormai è rimasto solo un mito di: WSI Pubblicato il 26 giugno 2012. Gli Stati Uniti hanno lavorato duro per creare la terra delle opportunità. Ma ormai la situazione è cambiata. Cresce la disparità di reddito e la vita futura di un bambino è sempre più legata alla disponibilità economica dei genitori. Parla il Nobel per l’economia Stiglitz. Il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz: "Gli Stati Uniti hanno lavorato duro per creare il sogno americano. Ormai e' soltanto un mito" . New York - La fine di un’epoca. Un tempo considerata la terra delle opportunità, gli Stati Uniti soffrono ora di una crescente disparità di reddito e di un sistema politico che va a beneficio dei ricchi, alle spese di tutti gli altri. Uno dei motivi che giustifica bassi tassi di crescita e, indirettamente, la probabile fine del cosiddetto "Sogno Americano". A dirlo è Joseph Stiglitz, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 2001. "Gli Usa hanno lavorato duro per creare il Sogno Americano, che desse opportunità a tutti. Ma ormai, il sogno è soltanto un mito", si legge nell’editoriale scritto da Stiglitz sul Financial Times. La disparità tra le varie classi sociali negli Stati Uniti è ormai ai massimi da un centennio, e il gap tra il ceto medio e i ricchi è in costante crescita. "Gli americani erano soliti considerarsi come il paese della classe media. Questo non è più vero. Oggi, le opportunità che si presentano a un bambino nuovo membro della società sono sempre più legate al reddito dei suoi genitori, ancora più che in Europa o in altri paesi industrializzati con a disposizione dati comparabili". Secondo un report del Census Bureau (Ufficio del Censimento), la disparità di reddito tra le famiglie è cresciuta +18% sin dal 1967. Precisazione: il trend si è attenuato negli ultimi anni. A contribuire a questa crescente disparità, secondo Stiglitz, in particolar modo le regolamentazioni del settore finanziario: "Le regole nel settore finanziario permettono varie pratiche che hanno come conseguenza il trasferimento di denaro dalla parte bassa a quella alta della piramide". Falsa la convinzione secondo cui la crescente disparità di reddito è in fin dei conti figlia di una crescita economica più forte. "I libri di testo ci insegnano che possiamo avere una società più equa solo trascurando crescita ed efficienza. Ma analisi più approfondite mostrano che il prezzo che stiamo pagando per questa crescente disparità di reddito è superiore: contribuisce a instabilità economica, sociale e politica, e in turno a tassi di crescita più bassi". La soluzione? Smetterla di tagliare risorse dall’educazione e altri programmi che creano opportunità per la classe media e per i più poveri.

lunedì 25 giugno 2012

Ma quale crescita?

New Deal: un modello contro l’austerity per rilanciare la crescita. di Federico Rampini, da Repubblica 21 giugno 2012. New Deal o tagli di spesa? Non è solo in Europa che si scontrano la linea dell’austerity e quella della crescita. Il dibattito è iniziato ancora prima negli Stati Uniti. Lo innescò la maxi-manovra di spesa pubblica anti-recessiva (quasi 800 miliardi di dollari) che Barack Obama riuscì a far passare nel gennaio 2009, quando si era appena insediato alla Casa Bianca, la sua popolarità era ai massimi, e il Congresso aveva una maggioranza democratica. La riscossa degli avversari partì con il dibattito sulla riforma sanitaria, quando il Tea Party invase le piazze d’America accusando Obama di imporre il “socialismo” nella patria del libero mercato, e il partito repubblicano riconquistò la maggioranza alla Camera nel novembre 2010. Oggi la scelta tra New Deal e austerity è la posta in gioco della campagna elettorale, il 6 novembre scegliendo Obama oppure Mitt Romney gli americani voteranno per un presidente che incarna l’una o l’altra opzione. Due modelli di società: perfino più distanti qui in America di quanto siano diversi in Europa i programmi economici di François Hollande e Angela Merkel. Almeno tre premi Nobel (Robert Solow, Paul Krugman, Joseph Stiglitz) più altri economisti autorevoli come Jeffrey Sachs e Robert Reich, invocano l’urgenza di un New Deal. È costante il riferimento con gli anni Trenta. Krugman non esita a definire la crisi attuale come una vera depressione, per l’immensa quantità di risorse inutilizzate (a cominciare dalla forza lavoro). Di conseguenza, torna attuale la lezione del grande economista inglese John Maynard Keynes: in situazioni come questa tocca allo Stato rilanciare la crescita, bisogna spingere sulla spesa pubblica (in deficit!) per colmare il vuoto di domanda privata (consumi e investimenti). Il New Deal di Franklin Delano Roosevelt fu questo: vasti programmi d’investimenti pubblici, a cominciare dalle grandi opere infrastrutturali, per dare lavoro ai disoccupati e supplire alla latitanza dell’iniziativa privata. Il New Deal fu anche un’altra cosa, complementare: raccogliendo esperimenti sbocciati in Europa (dalla previdenza di Bismarck in Germania alla società fabiana che prefigurò il laburismo inglese, alle socialdemocrazie nordiche), Roosevelt lanciò la costruzione di un Welfare State, che includeva pensioni pubbliche, diritti dei lavoratori, una rete di sicurezza contro la povertà. Anche questa dimensione del New Deal – un patto sociale progressista – tornano di attualità oggi in un’America dove le diseguaglianze sono a livelli estremi, e i diritti sindacali sono stati limitati in molti settori. Ancora un’analogia tra il presente e la Grande Depressione degli anni Trenta: la destra accusa un presidente democratico (Roosevelt, Obama) di soffocare la libertà americana imponendo lo statalismo e il socialismo; i conservatori premono per la rapida riduzione del debito attraverso tagli feroci ai servizi pubblici e alla spesa sociale. 80 anni fa lo spauracchio usato nei comizi era l’Urss di Josif Stalin. Oggi invece è l’eurozona, che Romney descrive come una società sprovvista di ogni dinamismo perché oppressa dalle tasse e lobotomizzata dall’assistenzialismo. Una differenza notevole però c’è: mentre Roosevelt non esitava a circondarsi di consiglieri che erano socialisti, Obama se ne guarda bene. Il “keynesismo radicale” di Krugman e Stiglitz, pur essendo popolare nell’ala liberal del partito democratico e sui mass media progressisti (New York Times, Msnbc) non ha diritto di cittadinanza a Washington. Nel dibattito politico quelle posizioni sono marginali. Gli equilibri politici al Congresso, sia oggi sia nella presumibile composizione post-elettorale, rendono improbabile un New Deal versione 2.0. A nulla servono i moniti di tanti esperti autorevoli, sul pericolo di “rifare un 1937”: cioè l’errore che Roosevelt commise quando cedette alle pressioni per un ritorno al rigore di bilancio, ridimensionò i grandi progetti del New Deal, e l’America ricadde nella recessione da cui sarebbe uscita solo con la seconda guerra mondiale. Oggi, proprio come nel 1937, il “partito dei tagli” non è soltanto repubblicano. Anche tra i democratici c’è una robusta corrente di moderati centristi – si rifanno alla Terza Via di Bill Clinton – i quali predicano moderazione nella spesa pubblica. Obama, pur avendo compiuto una sterzata a sinistra negli ultimi mesi della campagna elettorale, non può permettersi di proporre un vero New Deal. La prima ragione è la più ovvia: oggi il Welfare State esiste già, sia pure dimagrito dai salassi conservatori somministrati da Ronald Reagan in poi. La macchina della pubblica amministrazione è ben più grande e costosa rispetto ai tempi in cui Roosevelt la “costruiva” partendo da uno Stato minimo. La burocrazia e le tasse sono impopolari anche in una fascia di elettorato democratico. Riecheggiano nel dibattito americano posizioni che sono familiari agli europei. «Se il debito pubblico creasse lavoro, l’Italia con il suo debito-record dovrebbe avere da anni il pieno impiego », ha detto Mario Monti al festival La Repubblica delle Idee. «Se indebitarsi per crescere fosse virtuoso, allora non sarebbero esplose la bolla dei mutui subprime in America, e bolle immobiliari analoghe in Inghilterra, Spagna, Irlanda», dixit Angela Merkel. Perciò Obama è costretto a sforzi di innovazione: quando pensa al New Deal del XXI secolo, deve coniugarlo con le riforme del Welfare che tengano conto dello shock demografico, e deve pensare a strumenti di mobilitazione degli investimenti privati (nella Green Economy, nelle infrastrutture, nel digitale) che non comportino una dilatazione dell’intervento statale. Forse sta rifacendo un 1937? Per un New Deal più audace mancano i numeri al Congresso, e i consensi nella società. (21 giugno 2012)

Il colle intoccabile.

di Paolo Flores d’Arcais, da il Fatto quotidiano, 24 giugno 2012. Il Presidente della Repubblica è il custode della Costituzione o il garante dei partiti? Rappresenta la Nazione, cioè tutti i cittadini, o le nomenklature politiche e altri privilegiati di establishment? L’inquilino del Quirinale e i maggiorenti della Casta sembrano oggi avvinti in una sinergia di reciproco sostegno, a preventiva delegittimazione e anatema per qualsiasi critica che possa mettere in discussione l’uno o gli altri. Il Capo dello Stato aveva scelto la data del 25 aprile per un attacco in piena regola al movimento di Beppe Grillo, tacciato di qualunquismo. Il Presidente di tutti gli italiani può attaccare una forza politica, a meno che questa non metta a repentaglio la Costituzione repubblicana e il suo fondamento antifascista? Non avendo avuto nulla da ridire né sul partito di Berlusconi né sulla Lega, Napolitano si è inibito il diritto, istituzionale, politico e innanzitutto morale, di criticare chicchessia. I partiti si sono schierati perinde ac cadaver in sua difesa, quando ha ostracizzato la “campagna di insinuazioni e sospetti costruita sul nulla”, cioè la pubblicazione delle intercettazioni del suo consigliere giuridico colto in aumma aumma con il testimone (poi indagato) Mancino per intralciare il lavoro di una Procura. Nessun reato? Probabilmente. Mentre in America per intralcio alla giustizia, crimine di particolare gravità, si finisce subito in galera. Si può in buona fede negare che vi sia stata almeno “immoral suasion”? Schifani ha tuonato che “chi attacca Napolitano attacca il Paese”, con Bersani allineato “toto corde”, mentre Casini ha accusato“ schegge della magistratura che forse hanno obiettivi intimidatori”, benché sappia benissimo che non solo il Procuratore antimafia Grasso, ma perfino il Procuratore generale della Cassazione Esposito (che a Mancino dice: “Io sono chiaramente a sua disposizione”) hanno dovuto riconoscere come ineccepibile il comportamento di Ingroia e Di Matteo. Chi ha obiettivi intimidatori? Pesa, fin qui, il silenzio di tanti giuristi e intellettuali da sempre impegnati nella difesa della democrazia. La loro perplessità non ha nulla di risibile, anzi. Sono angosciati per una crisi gravissima, che potrebbe precipitare al buio e nel buio. Pensano che “lasciar correre” sul Presidente sia il male minore. Hannah Arendt diceva che i mali minori preparano il male peggiore. Napolitano ha spinto pubblicamente perché il Parlamento approvi la legge bavaglio. Siete davvero sicuri che sia questo il male minore?

domenica 24 giugno 2012

Travaglio vs Napolitano.1 a 0.

Corazzieri, pompieri e trombettieri sul Sacro Colle. di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano. | 23 giugno È con viva soddisfazione che registriamo le prime virili e pugnaci adesioni al Supremo Monito. Corazzieri, palafrenieri, trombettieri, ciambellani, aiutanti di campo, assistenti al Soglio, guardie svizzere, marchesi del Grillo, magistrati democratici, giuristi, costituzionalisti, fuochisti, macchinisti, uomini di fatica, ma soprattutto frenatori e pompieri han raccolto come un sol uomo l’appello alla mobilitazione generale, dando prova di attaccamento al Tricolore e gettando il cuore oltre l’ostacolo, pancia in dentro e petto in fuori, nell’ora della massima prova per il nostro Caro Leader, nonché Conducator e Piccolo Padre, insomma Re Giorgio, minacciato dalle sue stesse intercettazioni e da quelle del suo valoroso consulente giuridico. Un particolare ringraziamento va ai telegiornali e ai giornali per il titolo unico “L’ira di Napolitano” a reti ed edicole quasi unificate (a parte quel Mentana, lo stesso che insiste a trasmettere sondaggi sul boom di quel tal Grillo). È l’aratro che traccia il solco, ma è la penna che lo difende. Macaluso, il ventricolo e il “Me ne frego!”. Eccellente il compagno Emanuele Macaluso sull’Unità: “Il Fatto quotidiano, che opera come agenzia della Procura di Palermo, o meglio di un pezzo della Procura, ha rivelato che un intelligentissimo generale diceva al collega Mario Mori che io sono il ‘ventricolo del Quirinale’, scoprendo un inedito: che sono ‘grande amico’ di Napolitano. Ergo quel che dico e scrivo rispecchiano (sic, ndr) le opinioni del Presidente della Repubblica… I doveri della propaganda nel corso di una campagna forsennata contro il Quirinale fa premio sulla professionalità. Miserie. Tuttavia una questione va sollevata: la Procura di Palermo, anzi quel pezzo di procura, distribuisce intercettazioni che non hanno attinenza al processo sulla ‘trattativa’. A che gioco gioca? Fornisce foglietti di propaganda alla sua agenzia per scopi estranei al processo? Sempre sulla questione intercettazioni dal Fatto apprendiamo che sono state intercettate telefonate del presidente della Repubblica… Intercettazioni illegali e parte di una manovra che serve a ‘mascariare’ anche il capo dello Stato. Una vergogna… Io me ne frego di quel che dicono il generale e Il Fatto”. Si ringrazia il compagno Macaluso per la generosa difesa d’ufficio, e anche per il secco e atletico “Me ne frego!”, anche se sarebbe auspicabile una maggior cura per la lingua italiana. Bene l’accenno alle “intercettazioni illegali” (noi sappiamo bene che non lo sono e non le ha distribuite la Procura, visto che l’intercettato era Mancino e si tratta di atti depositati agli avvocati, ma è opportuno farlo credere, così la gente non va a chiedersi perché Napolitano e D’Ambrosio telefonassero a Mancino interferendo nelle indagini sulla trattativa). Un solo dubbio: ma il generale intelligentissimo avrà detto “ventricolo” o “ventriloquo”? No, perché siccome il Presidente si è “preso a cuore” le sorti di Mancino, è importante conoscere le condizioni dei suoi ventricoli, o almeno di uno di essi. Ps. Molto apprezzata, sul Sacro Colle, la satira patriottica del compagno Sergio Staino, che nella ficcante vignetta sull’Unità (su testi di Pasquale Cascella) effigia un Napolitano dolente che dialoga con la Donna Turrita, simbolo dell’Italica Nazione. “Hanno diffuso alcune telefonate del Quirinale”, lamenta il Presidente. L’Italia in persona risponde perentoria: “Oddìo, mica quelle d’amore che fai sempre a me?”. Alla lettura di una battuta cotanto spiritosa, il Presidente è stato colto da risate compulsive molto simili a convulsioni. Il primo Galli che canta ha fatto l’uovo. Encomio solenne per Carlo Galli, editorialista di Repubblica, corso al salvamento di Re Giorgio: “Da un punto di vista giuridico-penale, con buona pace di Di Pietro, non vi è nulla di rilevante a carico del presidente. Il quale, anzi, ha correttamente esercitato le proprie prerogative”. Noi sappiamo benissimo che tra le prerogative del Capo dello Stato non c’è quella di immischiarsi in indagini in corso, ma è bene scrivere che c’è, così la gente ci crede. Ottimo anche l’accenno del Galli a D’Ambrosio, che forse, magari, chissà, eventualmente, per così dire, “si mostra invero prodigo e di consigli e suggerimenti verso Mancino, con una dimestichezza e un’amicizia ben spiegabili ma che, riportate dai quotidiani, non fanno un bell’effetto” perché “possono essere strumentalizzati in un’ottica di populismo isterico e di antipolitica generalizzata”. Ma, si badi bene, “senza che tutto ciò abbia a che fare con Napolitano”. Sappiamo bene che D’Ambrosio faceva tutto d’intesa col Presidente, il quale a sua volta chiamò Mancino, ma è bene instillare il dubbio che D’Ambrosio abbia un filino esagerato: così, alla mala parata, quando le telefonate del Presidente saranno state distrutte, si scaricherà D’Ambrosio e lo si farà passare per pazzo. Eccellente la raffica di insulti ai giornali che informano e fan domande: essi, nell’ordine, hanno “aggredito, sospettato, calunniato, infangato, fatto oggetto di distorsioni interpretative in perfetta malafede e con spaventoso cinismo ” Re Giorgio, sobriamente descritto come “perno e garante degli equilibri politici, sostegno all’attività di governo, baricentro della Repubblica, investito dalla stima di tutti i politici del mondo e di tutti i cittadini italiani”, ragion per cui chi osa criticarlo “gioca allo sfascio”, anzi compie un “attentato alla democrazia”. Ben detto, Galli, gliele hai cantate chiare. Ora però urge legge bavaglio per evitare l’uscita di altre intercettazioni. All’uopo, Repubblica rimuova dagli archivi la campagna del 1991 per l’impeachment a Cossiga, che potrebbe fuorviare i lettori raziocinanti, e soprattutto quella dei post-it gialli contro il bavaglio, onde evitare che uno dei suddetti post-it finisca appiccicato sulla fronte spaziosa del nostro amato Presidente. Compagno Ferrara fa buon brodo. Utilissimo, anche se un po’ sopra le righe, anzi proprio per questo, il compagno Giuliano Ferrara, tornato l’amendoliano craxiano che ci piaceva tanto negli anni 80. Sul Foglio denuncia “la viltà pura” di chi non ha “difeso Lusi dal carcere preventivo”, non ha varato “la divisione delle carriere” (dei pm dai giudici, naturalmente, non dei politici dai ladri) e soprattutto “una legge severa sulle intercettazioni selvagge” per abolire “il potere di una coppia di pm di fare inchieste sul nulla (la trattativa Stato-mafia, che sarà mai?, ndr), smerdare carabinieri e classi dirigenti con accuse sanguinose, insinuare stragi (mai avvenute, ndr) e oscuri misteri (mai visti, ndr)”. Bravo compagno, nell’ora della prova non si butta via niente e tu fai sempre buon brodo. Ottima anche la chiusa dell’articolo: “Se non sono io per me, chi sarà per me? E non ora quando?”. Ma ora: per me, per voi, per tutti. Chi ha tempo aspetti Tempo. Non è passato inosservato, presso chi di dovere, l’atteggiamento costruttivo di un altro giornale di centrodestra: Il Tempo dell’amico Mario Sechi, che titola “L’onda del fango non tocca il Colle” e “Il fango non piega Napolitano”. Si apprezza in particolare la temeraria sfida alle leggi della fisica: ora qualche disfattista che gioca allo sfascio potrebbe domandare come può il fango, materia molliccia quant’altre mai, piegare alcunché. Trattasi però di quesiti oziosi, già risolti da una nota canzonetta: “Come può lo scoglio arginare il mare?”. Napoletano pro Napolitano, ovvero Il Sòla-24 ore. Encomio solenne, degno del Cavalierato di Grande Croce, al Sole-24 ore di Roberto Napoletano. Il Quasi Omonimo schiera ben due pompieri. Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, non solo esclude scorrettezze del Caro Leader, ma addirittura lo ringrazia per aver compiuto un’“azione opportuna” impicciandosi nell’inchiesta sulla trattativa. E questo perché “la legge prevede specifici poteri di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia”, a sua volta soggetto alla “sorveglianza del Pg della Cassazione”, per evitare “conflitti di competenza fra Procure” e il “mancato coordinamento” delle indagini. Bene fa l’Onida a sorvolare sul fatto che le indagini erano perfettamente coordinate, come ha detto il Pna Grasso, e nessun conflitto di competenza è mai stato sollevato: altrimenti tutti capirebbero che il Piccolo Padre s’è mosso a gentile richiesta di Mancino. Ancor più prezioso il vice-monito dell’amico Stefano Folli contro “il tentativo piuttosto goffo di delegittimare il Quirinale… costruendo un caso davvero fragile, attraverso l’uso di intercettazioni che non si sono fermate nemmeno davanti al telefono del Presidente della Repubblica… Un gesto che assomiglia molto a un’intimidazione… Come dire: attento, anche tu sei sotto controllo… È un pessimo clima… grave e pericoloso indebolire a colpi d’ariete il punto di equilibrio istituzionale. L’abbiamo già scritto, ma il tema ritorna”. Abbondantis abbondandum! “C’è la volontà politica di tenere sotto pressione il Presidente della Repubblica”. Nel Sacro Palazzo si plaude in particolar modo all’accenno a “intercettazioni che non si sono fermate nemmeno davanti al telefono del Presidente della Repubblica”: giusto e severo monito alle cimici infilate nel telefono di Mancino. Cimici complottiste che avrebbero dovuto avere la sensibilità istituzionale di spegnersi da sole appena captata la voce del Presidentissimo, e possibilmente scattare sull’attenti e intonare l’inno di Mameli. Invece rimasero golpisticamente accese. Tutte le cimici d’Italia sono pregate di prendere buona nota ed eseguire le nuove direttive senza fiatare, ma soprattutto senza registrare. Sole che Sorgi, libero e giocondo. Un vivo e scrosciante plauso sale dal Sacro Colle per il ditirambo dell’amico Marcello Sorgi, che sulla Stampa sottolinea “la solitudine del Colle” individuando finalmente i mandanti dell’orrendo complotto, conclusosi al momento con un “impeachment mancato”: “Sul campo, a muovere l’assedio al Quirinale, sono Grillo e Di Pietro”. Non le telefonate di D’Ambrosio e Napolitano con Mancino, ma – lo si ripete – Grillo e Di Pietro. Il vero scandalo però è la tiepidezza degli altri partiti, scolpita dal Sorgi con imperiture parole: “Da Berlusconi, che tra l’altro è coinvolto nell’inchiesta palermitana (non è vero, ma è bene farlo credere per aumentare il casino, ndr) … non c’era da aspettarsi molto. Bersani o Casini non è che non difendano il Presidente: ci mancherebbe. Ma lo fanno con una timidezza che tradisce il timore che le campagne dell’antipolitica abbiano ormai irrimediabilmente fatto breccia in un’opinione pubblica trattata alla stregua di una tifoseria da stadio. A questo siamo”. Punto, punto e virgola, due punti: ma sì, abbondiamo, ché poi dicono che siamo tirati! “Si stenta a crederci, ma è così: poiché schierarsi con le istituzioni si sta rivelando elettoralmente poco conveniente, pur di non correre il rischio dell’impopolarità, Napolitano, in pratica, viene lasciato solo a difendersi”. Solo con Repubblica , Corriere, Unità, Tempo, Messaggero, Mattino, Sole-24 ore, Stampa, Foglio, Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e tutti i leader politici tranne Grillo e Di Pietro. Torna finalmente a splendere il sole dell’Impero sui colli fatali di Roma.

E' il tempo di dirti quanto sei merda.

E' il tempo di dirti quanto sei merda. Oggi ho voglia di dirne quattro a quelli che rovinano questo mondo fantastico. Credo che ogni tanto faccia bene alla salute mettersi a urlare. Scusate il linguaggio, ma quando ce vo' ce vo'! Io ti odio merda secca (invettiva numero uno) Cacca putrida Razza dannata Hai corrotto Hai sprecato Hai speculato Hai rubato il sangue della terra Pagandolo con l’oro della guerra E ogni giorno ti freghi le mani contento Che non esista un Dio nel firmamento Che ti possa incenerire al momento Ma hai commesso un errore Hai creduto veramente Di poterci fottere la mente Sostituendo l’etica con l’estetica DEFICIENTE: hai riempito il mondo di telecamere e televisori E ora tutti possono guardare la tua faccia che fa veramente cagare Sei brutto fuori Sei brutto dentro Sei vomito, sei un’infezione Ma la cosa affascinante è che la puzza delle tue ascelle è debordante E inizia a uscire lentamente Anche dai televisori a colori delle marche migliori (L’ascella ne risente se nella tua anima non c’è niente) Coagulo di pus di iena triste La tua immagine non resiste Il sistema non funziona più Lo dice anche la tv E non c’è un solo posto al mondo dove tu possa nasconderti Quando porti alla disperazioni le Nazioni Poi succede che gli girano i coglioni E quella storia del popolo sovrano finisce che ci prende la mano La maggioranza ha il potere in democrazia La maggioranza ha il potere nella società dei consumi (se non compriamo più la tua pupù che cosa ci puoi fare tu?) Chiuderemo i paradisi fiscali Con l’aviazione e le forze navali Cancelleremo il segreto bancario usando in modo alternativo il sistema carcerario E poi ti presenteremo il conto E sarà salato, per tutto quello che hai rovinato E non ci saranno abbastanza avvocati per salvare i tuoi soldi rubati Adesso ancora ti puoi divertire con gli ultimi scampoli del tuo potere e tirare un sospiro di sollievo per i tempi dimezzati della prescrizione dei reati Ma sono solo parole scritte su un pezzo di carta Stiamo venendo a prenderti E non faremo sconti E quando chiederai pietà faremo i finti tonti Perché sei un pezzo di merda E non meriti niente Piattola fetente Sei un piccolo scaracchio (Invettiva numero due) Se i cattivi del mondo li manderemo all’inferno cosa faremo di te che sei soltanto un banale vigliacco? Il potere della rapina Della mano assassina Dello spreco feroce Della stupidità programmata ha durato per così tanto perché qualcuno gli dava la benzina E quel qualcuno eri tu Merda di zebù! Tu che quando i bambini urlavano per strada col corpo in fiamme correggevi i loro errori di grammatica, che ti compiacevi per il valore di artisti tristi assassini di fantasie guardie armate dell’assenza di senso ed eri molto contento di poter barattare il sospetto di essere vivo con la partecipazione a un programma televisivo. Per te non c’è nessuna pena. La tua pena sei già tu Nessuna vendetta può essere di più La solitudine del vuoto Il tradimento della logica La vaporizzazione dell’emozione La tua vita spray Che non rischia mai di finire nei guai Semplicemente perché non c’è. Ma chi è più stronzo di te? Tu sì che sei un ribelle! (Invettiva numero tre) Tu sì che sei un ribelle Si vede dalle bretelle Che sono belle Dico a te che sei un pacifista Ma fai benzina dalla multinazionale fascista E assassina Fai il pieno di sangue, magari perché costa un po’ meno Non hai realizzato che il tuo amore ti ha lasciato perché hai perso l’anelito vitale la voglia di cambiare Sei spompato Sei incazzato coi potenti ma tutto quello di cui sei capace sono i commenti sul blog, sul social network, sul forum Ti sfoghi, pontifichi Non capisci un cazzo Dico a te ecologista che compri i panini Dalla multinazionale che ammazza i bambini Il potere ce l’hai per cambiare Ti basta non comprare I cioccolatini d’argento Con le stragi dentro Dico a te che fai lo yoga E curi il tuo corpo E disponi accortamente Gli spazi della tua mente E i mobili di casa E poi non ti fermi ad aiutare uno che è quasi morto E celebri senza amici I tuoi riti infelici Nella solitudine della tua anima immortale Imprigionata in una rete venale Dico a te che ami la natura E ami gli animali E hai deciso di non rischiare più Con gli esseri umani E hai rinunciato alla passione Perché fa troppa confusione E hai rinunciato alla rivoluzione Perché hai un impegno a colazione E se proprio devi offrire un caffè Lo offri a te Non credere di ottenere l’assoluzione In cambio di una donazione Nessuno ti toglierà la punizione Annusare il profumo dei fiori con la maschera antigas contiene la delusione assoluta per il tuo spirito vivente Potevi sperimentare tutto e invece non sei niente. Dico a voi ribelli immaginari vi conviene correre al pentimento e nutrire il cuore contento e studiare con ardimento c’è la grande possibilità di non sprecare questa vita qua (visto che un’altra nessuno te la dà)

SCIENZA E CONOSCENZA.

Un articolo di Suman Casini, da Promiseland.it (Sarebbe piaciuto anche al grande Terzani.) La fisica quantistica ha dato varie interpretazioni della realtà, da quelle basate sulla casualità della creazione, a quelle che prevedono l’esistenza di universi multipli e paralleli, dove tutto ciò che è possibile avviene in ogni possibile dimensione. Altre invece prevedono il collegamento fra la mente e la materia, e più recenti teorie affermano che dietro il mistero della creazione c’è la Mente di Dio . Arrivando a includere anche il concetto di Coscienza dell’Universo, che appare sempre più come un’entità globale governata da leggi che scaturiscono da una matrice primigenia che lega tra loro le varie parti in un tutto indissolubile. Lasciando intravedere leggi più profonde che vanno oltre la realtà apparente. Una visione olistica che in modi diversi ha sempre fatto parte delle religioni e delle filosofie orientali e occidentali, e che ultimamente sta sempre più orientando il pensiero scientifico. Anche la scienza quindi, in tutte le sue branche, si sta avvicinando a un livello di conoscenza superiore, realizzando la non casualità della creazione e l’esistenza di un Nucleo da cui tutto ha origine. Un’Entità alla quale nel corso del tempo sono stati dati molti nomi, ma che è sempre e comunque la stessa. La Mente Cosmica che si nasconde nella creazione e la organizza in ogni suo aspetto. Isaac Newton, considerato il padre della fisica moderna, ha detto: “Fisica, guardati dalla Metafisica”…. E verso la fine della sua vita affermò: “Non so come appaio al mondo, ma io vedo me stesso come un bambino che ha solo giocato sulla spiaggia divertendosi ogni tanto a trovare un sasso più liscio o una conchiglia più bella dell’ordinario, mentre il grande oceano di verità era lì sconosciuto davanti a me.” Per assolvere al compito di svelare i segreti della realtà e guidare l’umanità verso un progresso consapevole la scienza del futuro dovrà quindi esplorare l’oceano, non potrà limitarsi a raccogliere sassolini sulla riva, e questo studio dovrà necessariamente includere la mente e la coscienza, e la loro relazione con l’universo creato. Macrocosmo e microcosmo dovranno essere compresi per quello che sono, e dovrà essere svelata l’Unicità del Tutto, riconducendo ogni cosa a quell’Uno con la U maiuscola che le religioni e le filosofie hanno tentato di definire, rivestendolo spesso però di dogmi e superstizione. Nel suo dramma più famoso Shakespeare fa dire ad Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”, lasciando intuire una consapevolezza che va molto oltre le concezioni della sua epoca. Tutta la sua opera del resto è intrisa di una conoscenza esoterica che rimanda a concetti trascendenti profondi e attuali. Molti antichi, da oriente a occidente, hanno tramandato sprazzi luminosi di conoscenza e tracciato il cammino dell’umanità. Un cammino che ci vede oggi alle soglie di una Nuova Era, in cui scienza e conoscenza andranno di pari passo, e i segreti del cosmo saranno finalmente interpretati nell’ottica giusta. Considerando il Tutto come un oceano di onde, che vanno da quelle infinite della Mente Cosmica a quelle estremamente grezze della materia, possiamo dire che quest’ultime esistono all’interno delle prime in vari livelli vibrazionali, dal più sottile al più denso. Materia, mente e spirito coesitono quindi in un continuum di onde, partendo da livelli più elevati e più fini a quelli più grezzi e grossolani. L’universo manifesto è la proiezione psichica della Mente Cosmica, e secondo il Tantra Yoga l’insieme dell’esistenza consiste in sette livelli o Loka immaginabili come cerchi concentrici, uno dentro l’altro. Partendo dal livello più sottile, il regno dell’anima, dove non c’è dualismo e la Coscienza Cosmica è dominante, definito nella cosmologia orientale lo stato della “verità assoluta omnipervadente”. Gli altri sei livelli o cerchi compongono la Mente Cosmica oggettiva, andando dai livelli più sottili a quelli più grezzi e crudificati che includono il mondo fisico. Questi livelli generano e penetrano la creazione riflettendosi in ogni cosa, anche nella mente umana, e a ognuno di essi corrispondono lunghezze d’onda diverse che vanno dal sottile al grezzo, con stati di consapevolezza più o meno elevati. La Pura Coscienza senza limiti né causa esprime Sé stessa dapprima a livello psichico e poi a livello fisico, e i sette livelli sono relazionati fra loro in maniera consecutiva e causale. Occorre quindi tenere presente che l’insieme di questo processo è interno alla Mente Cosmica, e che le varie sfere o regni della creazione, dal più sottile al più grossolano, incluso l’essere umano e il suo mondo animato e inanimato, ne sono parte e formano un tutto unico. Anche l’universo fisico, che a noi appare come una realtà oggettiva, è una proiezione mentale della Mente Cosmica. Sta qui la differenza sostanziale della concezione di Dio e della creazione della filosofia tantrica, che la distacca sia dalle religioni che dai principi della scienza formulati finora, separando forzatamente Macrocosmo e microcosmo. Con tecniche di concentrazione e meditazione la mente umana può metodicamente elevarsi al di là dei livelli mentali più bassi e inoltrarsi nei livelli superiori. O può anche penetrarvi in maniera occasionale, accedendo a stati di coscienza più elevati dove passato, presente e futuro si fondono e i misteri della vita sono svelati. Trascendendo i livelli del conscio e subconscio la mente si immerge infatti nel sottile regno del Superconscio cosmico, perdendo le sue caratteristiche individuali e riflettendo nel suo specchio mentale le qualità più sottili della Mente Cosmica. Il superconscio individuale e quello cosmico coincidono, e penetrando in questo sottile regno psichico tanti artisti, scienziati, santi e mistici sono stati ispirati, superando i confini dell’ego e andando oltre l’agitazione dei livelli mentali più bassi. Si spiegano così molti fenomeni di percezioni extrasensoriali, onniscenza, telepatia, intuizione creativa, visioni, sogni profetici e illuminazioni, veri e propri flash di conoscenza cosmica proiettati nella mente umana. E si spiegano anche i risultati degli esperimenti sulla sincronicità o coerenza cerebrale fatti con il Brain Olotester su gruppi di persone in meditazione profonda . Durante la meditazione la mente penetra nei livelli psichici superiori e le onde cerebrali rallentano notevolmente, allineandosi con le onde della Mente Cosmica e acquisendone le caratteristiche più sottili. Tuffandosi nella Mente Cosmica la mente individuale si immerge in una rete di vibrazioni armoniche condivise con le persone allinate sulla stessa lunghezza d’onda, perdendo progressivamente la sua peculiarità e entrando in empatia con le menti degli altri meditatori. Un po’ come dei telespettatori sintonizzati sugli stessi canali, che vedono tutti lo stesso programma. Anche le deduzioni sulla coerenza psicosomatica individuale fatte in base a questi stessi esperimenti seguono la stessa logica. Gli stati di coscienza più elevati attingono infatti direttamente al flusso armonico della Mente Cosmica, proiettandolo nella mente e nel corpo della persona. Creando quindi uno stato di benessere generale, in cui le frequenze fisiche e mentali sono elevate e integrate. E qui entrano in scena i Cakra, o plessi psico-spirituali e psico-fisici presenti nel corpo umano. Vere e proprie stazioni rice-trasmittenti, che durante la meditazione entrano in risonanza con le vibrazioni della Mente Cosmica, e attraverso un complesso sistema di ghiandole e subghiandole creano campi energetici e flussi ormonali che inondano l’intero sistema modificandolo. Il regno della psiche umana è ancora per lo più inesplorato, spesso identificando il cervello come sede della mente e della coscienza, ponendo così dei limiti alla ricerca. Ed è anche in gran parte inesplorato il rapporto fra mente e materia, fra l’essere umano e l’universo che lo circonda, fra la creazione e il suo Creatore. Ma l’era futura vedrà senz’altro la scienza incontrare finalmente la sua dimensione aurea, svelando la relazione intima e segreta fra Macrocosmo e microcosmo, e riconoscendo l’esistenza di una Entità Superiore in grado di organizzare la creazione in ogni suo aspetto e controllarne il funzionamento attraverso leggi ben precise. Le leggi divine nascoste in ogni cosa, che menti umane più evolute saranno sempre più in grado di comprendere e penetrare. www.seitangourmet.it – info@seitangourmet.it

Neanche la Grecia ha potuto.

Se la Grecia può fermare il rullo compressore che distrugge l'Europa JOSEPH HALEVI, da il manifesto 15.06.2012 (prima delle elezioni greche) Il programma di Syrizia potrebbe essere la via d'uscita per tutti i paesi dell'Europa. Soprattutto quelli meridionali - Francia in testa - da anni legati (per interesse del nord) a un ruolo "deficitario" Chi abbia letto l'articolo del presidente di Syriza Alexis Tsipras sul Financial Times del 12 giugno avrà certamente notato che non c'è una sola parola con cui Bersani possa onestamente dissentire. La Grecia deve rimanere nell'euro, scrive Tsiparas, ma le condizioni imposte dalla Troika la stanno spingendo fuori dall'eurozona con effetti dirompenti sull'Unione europea. Riforme fiscali rigorose che colpiscano l'evasione e permettano la riduzione del debito sono possibili solo in un programma di sviluppo. La politica attuale aggrava la crisi fiscale perchè crea solamente miseria. Due anni fa scrissi che la Guernica economica imposta alla Grecia avrebbe prodotto uno tsunami per il resto dell'Europa. Non possiedo un acume particolare: bastava sapere che schiacciando la spesa oggi non si ristabilisce la « crescita » domani. La posizione presa alla fine del 2009 da Bruxelles, Francoforte e Berlino - con l'appoggio ossessivo dell'Aja, Vienna e Helsinki - segnalò l'abbandono del frastornante populismo antifinanziario del duo Merkel-Sarkozy per una politica modellata esclusivamente sui timori ed obiettivi dei capitalismi nordeuropei. In quella fase la Francia cercava di svolgere un ruolo di potenza europea , mentre in realtà in termini di conti esteri già apparteneva all'Europa meridionale. La concezione nordico-weberiana del capitalismo è stata ribadita giovedì dal vice ministro delle finanze di Berlino Steffen Kampeter in un'intervista alla Bbc. Egli ha affermato di non concepire alcuna strategia volta a « socializzare e ridistribuire le cattive decisioni politiche fatte da certi (paesi) sovraindebitati ». Posizione che coincide perfettamente col ruolo di esportatori netti che i nordici si sono ritagliati in un'eurozona ormai divisa nettamente in due: Germania, Benelux, Austria e Finlandia eccedentarie da un lato, Francia, Italia, Grecia e iberici, deficitari dall'altro. Usufruire in termini di profitti della domanda della debole zona franco-mediterranea sì, sostenerla invece assolutamente no. E' quest'ottica che ha innescato il micidiale rullo compressore della deflazione da debito, iniziata in Grecia ed Irlanda e rapidamente estesasi altrove. Oltre che in Spagna il rullo compressore é in azione in Italia , nemmeno sotto traccia. Rammentiamo a chi legge in cosa consiste tale deflazione. Quando molte entità economiche cercano di uscire dal debito tagliando la spesa creano nuovi indebitamenti attraverso il crollo dei redditi e della domanda e ciò porta anche ad un aumento del peso del debito. Il processo si sta allargando con vaste somme di denaro che dai paesi meridionali resi rischiosi, Italia e Francia comprese, si spostano verso le banche tedesche e olandesi creando nuove passività per i paesi del sud. Contemporaneamente la Bundesbank, per paura di « sborsare » soldi, vuole limitare le operazioni di rifinanziamento della Bce acuendo ulteriormente la deflazione generale. Sarà la Grecia a fermare il rullo?

sabato 23 giugno 2012

Germania magnatutto.

Una goccia nel mare. di MARCO D'ERAMO, da il manifesto. 23.06.2012 Meno di così, decentemente non potevano. Più di così non volevano. Ecco come può essere sintetizzato il vertice dei quattro «grandi» dell'area euro (in ordine d'importanza Germania, Francia, Italia e Spagna) che hanno tenuto ieri a Roma Angela Merkel, François Hollande, Mario Monti e Mariano Rajoy. Ancora una volta ci viene assicurato che verrà varata la Tobin tax, ma sono due anni che l'annunciano. Come da due anni ogni settimana ci dicono che «abbiamo una settimana per salvare l'euro». Ci mollano un pacchetto da «130 miliardi di euro per la crescita»: ma per l'intera area sono solo una goccia nel mare della recessione: giusto un contentino per il neo presidente francese Hollande, e anche per l'ospite Monti che sente traballare la poltrona, anche se nessuno sa come innescare davvero la crescita. Preoccupa di più l'affermazione sull'irreversibilità dell'euro: quando ti dicono che una cosa non si tocca, è il momento d'incrociare le dita: se l'euro fosse davvero irreversibile non avrebbero bisogno di dircelo. Invece è lunga la lista di quel che non hanno deciso, o non hanno detto. Nulla si sa sul futuro degli eurobond, anche se il Fondo monetario internazionale (Fmi) li chiede a gran voce: ma se l'Fmi non si decide anch'esso ad allentare i cordoni della borsa, la Banca centrale europea e Mario Draghi non potranno molto. Stessa vaghezza sul debito greco, e - più impellente - su come salvare le banche spagnole: l'aiuto sarà richiesto ufficialmente lunedì. Più importante, anche se meno immediato, è come ristrutturare il debito pubblico di Italia, Spagna e Belgio. Le sole Italia e Spagna necessitano nei prossimi due anni di più di 1.500 miliardi per onorare il servizio del debito. L'impressione è che la Germania abbia infilato l'Europa in un vicolo senza uscita e che ora la stessa Merkel si senta impotente e non sappia come far rientrare nella bottiglia il genio della recessione e della crisi. Certo è che il patto fiscale è sempre più una camicia di Nesso che strangola le economie che imbriglia: ironia della sorte, è proprio il parlamento tedesco che non riesce ad approvare il patto di stabilità fiscale. Il vertice dell'eurogruppo di giovedì prossimo non promette perciò vere novità, ed è un peccato. Quando leggerete queste righe, la partita di calcio Germania-Grecia sarà stata giocata e saprete già chi ha perso e chi ha vinto a Danzica. Nella partita reale invece stiamo perdendo tutti, tedeschi compresi.