giovedì 18 marzo 2010

La barzelletta tragica del "partito dell'amore"

Tutto l’odio del Regime dell’Amore

La scheda del libro


“Noi vogliamo che trionfi il Bene sul Male”, era questa la dichiarazione lanciata da Silvio Berlusconi nel 1994. Una contrapposizione frontale ( “I comunisti controllano tutto… sono da eliminare, se non fisicamente, politicamente”): chi non è con lui, è un “nemico “, “terrorista”, “coglione”, “miserabile”, “illiberale”, “mentecatto”… Seminando odio, il partito dell’amore ha screditato le istituzioni, la magistratura, qualsiasi forma di opposizione.
Questo libro ricostruisce il clima che sta funestando il paese e ci sbatte in faccia la volgarità, il razzismo, la violenza verbale, il disprezzo che fa da sfondo alla politica del Pdl e della Lega, amplificata dagli organi d’informazione vicini al centro destra: Libero, Il Giornale, La Padania, Tg4, Studio Aperto e il Tg1. Ecco smascherato chi sta buttando via il patrimonio democratico e civile dell’Italia.Chi sono, che cosa fanno, che cosa dicono i principali esponenti del Partito dell’Amore? Che cosa scrivono i loro giornali, che cosa dicono le loro televisioni e le loro radio? Per gentile concessione della casa editrice proponiamo due estratti da "Il Partito dell'Amore" di Mario Portanova, pubblicato in questi giorni da Chiarelettere: l'introduzione e uno dei tanti ritratti che compongono il volume, quello di Sandro Bondi, ministro della Cultura dell'attuale governo.

QUESTO LIBRO
di Mario Portanova

Dove si annida l’odio
Il senatore padano pensa al forno crematorio per i clandestini. L’avvocato di Forza Italia vorrebbe la morte di un giudice. Il collega deputato godrebbe accompagnandone un altro alla forca. Il capogruppo ex missino dà dello sfigato al giornalista che riprende il comizio. Il ministro della Difesa addita come pedofilo un contestatore. Il ministro dell’Interno immagina medici e presidi delatori per individuare ed espellere gli stranieri senza documenti. Il segretario nazionale della Lega Nord è convinto che i banchieri ebrei complottino per fiaccare l’Europa, inondandola di venti milioni di immigrati. Per il giornale «Libero» quelli di sinistra sono bamba, mediocri, pagliacci, buffoni, papponi. A Radio Padania si dibatte la questione della razza e gli ascoltatori si sfogano contro i transessuali: cessi, aborti umani, immondi, bestie. Il presidente del Consiglio parla di elettori coglioni, giudici matti, cancri da estirpare, bambini bolliti. E di avversari che, se vincessero le elezioni, porterebbero solo miseria, terrore e morte.
È il Partito dell’Amore.
Il 13 dicembre 2009, dopo aver terminato un comizio, Silvio Berlusconi è in mezzo alla folla in piazza Duomo a Milano. Un oggetto lo colpisce in faccia, le telecamere riprendono il suo volto insanguinato. Gli uomini della sicurezza lo caricano in macchina, ma lui scende subito e resta fuori qualche istante. Poi risale e lo portano via. L’oggetto che l’ha ferito è un duomo in miniatura, di quelli che si vendono in piazza come souvenir. I medici dell’ospedale San Raffaele diagnosticano al presidente del Consiglio una ferita lacero-contusa al volto e due denti lesionati.
L’aggressore, fermato e arrestato sul posto, si chiama Massimo Tartaglia, ha quarantadue anni, vive nell’hinterland a Cesano Boscone. È in cura per problemi psichici e la Digos comunica, la sera stessa, di non avere traccia di lui nei suoi archivi. Non è mai stata segnalata la sua appartenenza a gruppi politici di qualsiasi natura, o la sua partecipazione a manifestazioni estremiste, e niente emergerà in seguito.
Il quadro è chiaro: è stato il gesto isolato di una persona psicolabile. Invece no, il centrodestra compatto scatena la macchina delle dichiarazioni per dire che quanto avvenuto in piazza Duomo è frutto del «clima d’odio» creato intorno al premier dall’opposizione e da certi giornali. Pochi minuti dopo l’aggressione, il ministro della Cultura Sandro Bondi detta alle agenzie: «Quello che di aberrante e terribile è accaduto è il frutto di una lunga campagna di odio che è stata scatenata da precisi settori della politica e dell’informazione». La formula è fotocopiata con poche varianti da un fiume di esponenti del centrodestra.
Il cerchio si stringe due giorni dopo, il 15 dicembre, quando la Camera dei deputati discute l’informativa del ministero dell’Interno sui fatti di piazza Duomo. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Popolo della libertà, individua i«mandanti» con nomi e cognomi: «L’espresso», «la Repubblica», «Il Fatto Quotidiano», i giornalisti Michele Santoro e Marco Travaglio, il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro, alcuni magistrati. La mano di chi ha aggredito Berlusconi, denuncia Cicchitto, «è stata armata da una spietata campagna di odio, il cui obiettivo è il rovesciamento di un legittimo risultato elettorale». La campagna – il riferimento è agli scandali sessuali che hanno coinvolto Berlusconi e a nuove accuse di rapporti con la mafia – è orchestrata da «un network composto dal gruppo editoriale Repubblica-Espresso, da quel mattinale delle procure che è “Il Fatto Quotidiano”, da una trasmissione televisiva condotta da Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio».
Gli altri nodi della rete sono «alcuni pubblici ministeri» impegnati in processi su mafia e politica, che «vanno nei più vari talk show televisivi a demonizzare Berlusconi» e «l’Italia dei valori, il cui leader Di Pietro sta in questi giorni evocando la violenza».
Ecco dove si annida l’Odio. Ma dove sta l’Amore? Lo rivela Berlusconi, ancora in ospedale, quello stesso giorno: «State tutti sereni e sicuri, perché l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio». Il 26 dicembre tornerà sul punto: «Sempre una volta di più dico che l’amore vince su tutto, non solo sull’odio che rende violente contro l’avversario politico le menti più fragili. Al contrario di ciò che noi facciamo, perché noi rispettiamo l’avversario politico».
Così prende forma la favola del Partito dell’Amore. Dell’esercito del Bene contrapposto all’esercito del Male. «Sono in politica perché il Bene prevalga sul Male» aveva già proclamato il Cavaliere anni prima, benché la circostanza non rendesse giustizia alla solennità dell’annuncio (Berlusconi era in collegamento telefonico con la manifestazione forzista «Neve Azzurra» di Roccaraso in provincia dell’Aquila, il 16 gennaio 2005). La favola è raccontata ogni sera in televisione, prima che il popolo vada a letto, ed è ampiamente creduta.
È davvero così? Chi sono, che cosa fanno, che cosa dicono i principali esponenti del Partito dell’Amore? Che cosa scrivono i loro giornali, che cosa dicono le loro televisioni e le loro radio? Potete farvene un’idea dalle pagine di questo libro. I campioni dell’Amore approvano leggi che sono definite «razziali», oppure ad personam. Portano in Parlamento chi ha acquisito meriti speciali, come un’inchiesta penale o la radiazione dall’albo professionale. Vietano la costruzione di luoghi di culto a centinaia di migliaia di musulmani regolarmente residenti in Italia, e protestano quando il loro affollamento in posti inadeguati crea disagi. Invocano vagoni piombati, linciaggi, castrazioni, rastrellamenti, schedature, espulsioni, «tutti fuori dalle balle». Se però a finire nei guai è uno del Partito dell’Amore, sono garantisti «fino al giudizio di Cassazione». Minacciano con leggerezza pallottole, rivolte del popolo in armi, secessioni, ma accusano di eversione chi applica la Costituzione. Credono di essere vittime di complotti interni o mondiali, dicono che ci vorrebbe una nuova battaglia di Lepanto. Se la prendono con «i culattoni», insomma «i finocchi». Berlusconi e i suoi avatar combattono una guerra mediatica quotidiana contro i bersagli del momento, e intanto si lagnano di essere «demonizzati», secondo la tipica tecnica dei «comunisti».
Teorizzano un’inedita concezione di democrazia, secondo la quale chi ha la maggioranza dei voti può dire e fare tutto ciò che gli passa per la testa.

L’odio paga
Il «clima d’odio» in Italia c’è davvero. Anche contro Berlusconi, ma non solo contro Berlusconi. «Odio» magari è troppo, diciamo astio, risentimento diffuso. Di questo clima, però, il principale responsabile è proprio lui. Non favorisce la concordia definire coglioni gli elettori avversi, sottrarsi sistematicamente alle leggi, dominare sfacciatamente il sistema televisivo, imbarcare gli alleati più imbarazzanti, praticare una costante autoincensazione, circondarsi di un’adulazione grottesca e di collaboratori con curriculum penali sconcertanti. Non rasserena gli animi vedere la sistematica promozione ad alti incarichi governativi e istituzionali di personaggi noti soltanto per la loro piatta adesione a qualunque necessità del Capo (senza voler scendere in altre malignità vociferate ma non documentabili).
Di Berlusconi non si contano le battutacce, le gaffe, gli insulti, spesso strategicamente piazzati nelle campagne elettorali difficili, per afferrare la pancia dell’elettorato più umorale e trascinarlo alle urne. I suoi lo seguono in blocco, senza se e senza ma. Si aggiungono le cosiddette «sparate» degli alleati leghisti, sempre difese e minimizzate. Sono cose che si dicono «nella foga dei comizi», sono tecniche per conquistare «spazio sui giornali», oppure «solo provocazioni»... Dicono che bisogna tirare cannonate ai barconi dei migranti, ma tanto poi mica lo fanno, dunque che problema c’è?
Il problema è che dopo sedici anni di berlusconismo assistiamo in Italia a un continuo aumento di pestaggi razzisti, a roghi e rivolte contro «zingari» e «negri», ad avvisaglie di pogrom sempre giustificate, se non appoggiate o guidate, dagli esponenti dell’«esercito del Bene». Per scovare i «clandestini» casa per casa si organizzano operazioni di polizia locale denominate «White Christmas», come è accaduto nel 2009 a Coccaglio, in provincia di Brescia. Ai comizi di Berlusconi capita di incontrare signore impellicciate che non usano toni tanto diversi da quelli dei vituperati centri sociali, cambiano solo i bersagli: i «comunisti», i «giudici rossi», i sindacati «che hanno rovinato l’Italia», i giornalisti «faziosi», gli «extracomunitari che rubano e stuprano»... Sottobraccio hanno «Libero», magari con un titolo di prima pagina tipo «Prodi giustiziato. Il sogno s’è avverato».
Dove stanno nell’Italia del 2010 i cattivi maestri, i «Toni Negri bis», come disse di Bossi nel 1996 l’allora dirigente di Alleanza nazionale Gianni Alemanno?
Giorno dopo giorno, la goccia degli slogan ha scavato la pietra dell’opinione pubblica. Mentre si continuano a evocare i fantasmi di un comunismo sepolto dalla storia, il fascismo è stato sdoganato da tempo, per il nazismo si stanno sbrigando le ultime formalità. «Io sono del parere che se toccano un mio familiare applico la legge delle SS, uno a dieci» ha detto al Consiglio comunale di Treviso il leghista Giorgio Bettio il 4 dicembre 2007, perché sua madre aveva avuto un diverbio condominiale con un vicino di casa straniero.
Ed è solo un esempio. Su internet intanto spuntano siti sulla supremazia bianca in versione italiana. Le «menti fragili» esistono, da una parte e dall’altra.
L’odio paga. Il Cavaliere, più volte dato per finito, è sempre risorto grazie a campagne elettorali urlate e all’incapacità del centrosinistra di presentare una visione alternativa convincente.
«Libero» è un quotidiano di successo, lo stile del direttore Vittorio Feltri sfonda in edicola. I leghisti famosi per le loro sparate non sono affatto personaggi folcloristici. Calderoli è ministro ed è stato vicepresidente del Senato, oltre a essere un uomo chiave del partito. Borghezio, Boso, Gentilini, Salvini ottengono migliaia di preferenze personali e alle feste di partito raccolgono ovazioni da star. Umberto Bossi è segretario della Lega da più di venticinque anni ed è il perno della maggioranza che governa questo paese.
Così il racconto del Partito dell’Amore si trasforma in un viaggio alla scoperta delle radici dell’odio.

SANDRO BONDI
Ex sindaco comunista di Fivizzano (Massa Carrara), cinquantuno anni, curatore della grottesca agiografia di Silvio Berlusconi distribuita a tutte le famiglie italiane nella campagna elettorale del 2001, Sandro Bondi impersona meglio di ogni altro lo spirito del Partito dell’Amore: adulazione sfrontata nei confronti del Caro Leader, ossessivo disprezzo per l’avversario, totale irrilevanza della verità dei fatti. Se davvero in Italia si è creato un clima d’odio verso Berlusconi, Bondi ne è uno dei principali artefici, se non altro per la quantità di interventi (nell’archivio Ansa il suo nome ricorre quasi diecimila volte dal 2000 a oggi), per la loro volgarità e per la carriera che gli hanno fruttato: segretario particolare di Berlusconi, deputato nel 2001, portavoce di Forza Italia nel 2002 e coordinatore nel 2005, poi del Pdl insieme a Ignazio La Russa e Denis Verdini. Infine, nel 2008, l’ultimo riconoscimento: ministro della Cultura.
È il 19 febbraio del 2000 quando un ancora sconosciuto Bondi, presidente della Fondazione Calamandrei (sì, quel Calamandrei) spazza via il passato e getta le basi del futuro: «Per cinquant’anni la sinistra di tradizione comunista ha alzato la voce contro tutti i suoi avversari, sia nel mondo della cultura che della politica, con la potenza delle sue campagne propagandistiche e con la violenza della accuse rivolte a chi non si riconosceva nelle sue idee. Con il leader di Forza Italia la sinistra ha creduto di fare la stessa cosa, ma gli è andata male».
È l’imprinting di un’attività dichiaratoria senza freni né limiti. Ecco un commento sulla vicenda Telekom Serbia, poi rivelatasi una gigantesca bufala: «Prodi, Fassino, Dini e altri esponenti della sinistra hanno una responsabilità politica della quale dovranno rendere conto di fronte alla coscienza civile del popolo italiano nell’aver sostenuto, con la vicenda Telekom Serbia, seppure indirettamente, un regime criminale e finanziato il genocidio di un popolo.
Non osino mai più parlare di questione morale di fronte a noi» (5 settembre 2003). Secondo il poeta dell’Amore, Prodi non si è limitato a sostenere un genocidio, ma «si assume la piena responsabilità di fronte al popolo italiano di introdurre, fomentare e alimentare una vera e propria guerra civile di carattere ideologico nella vita del nostro paese» (31 marzo 2005). Lo sfidante del Caro Leader è «un uomo cattivo, vendicativo» (5 aprile 2004), «un vero imbroglione» (5 aprile 2006).
Berlusconi non si tocca, e chi ci prova va incontro alla demolizione sul piano umano. Come Massimo D’Alema, i cui attacchi sono dovuti a «uno stato d’animo esacerbato da troppe sconfitte personali e politiche», i cui sentimenti sono «meschini e rozzi»: probabilmente vuole intraprendere «qualche altra sporca e torbida iniziativa politica, il solo campo in cui può vantare un’eccellenza e una superiorità» (10 dicembre 2002. D’Alema aveva definito il premier Berlusconi al di sotto dei suoi compiti e anche «del decoro»). Luciano Violante è, niente meno, «un orditore di trame eversive» (5 settembre 2003). E quando il famoso imprenditore delle scarpe Diego Della Valle osa criticare il Cavaliere in campagna elettorale, Bondi distilla alle agenzie tutto il suo disprezzo: «Non conosco Della Valle. Della Valle chi? Il ciabattino? Non so chi sia questo signore» (20 marzo 2006).
Identica sorte tocca a molti giornalisti. Un commento di Enzo Biagi su «Sette» a proposito del viaggio di Berlusconi negli Stati Uniti è segno del «provincialismo bilioso di certa stampa italiana», perché Biagi rivela «un’odiosa incapacità di comprendere tutto ciò che di grande, di nobile, di lungimirante, di politicamente importante e di umano, sì di umano c’è nelle azioni di Silvio Berlusconi, anche e soprattutto in politica estera» (31 luglio 2003, Ansa). «La Repubblica» «rimesta nella spazzatura» dice alla trasmissione Ballarò del 26 maggio 2009 di fronte al direttore Ezio Mauro, a proposito delle dieci domande che il quotidiano rivolge a Berlusconi sul caso di Noemi Letizia, sollevato peraltro dalla moglie del premier Veronica Lario che si era pubblicamente lamentata della visita del marito alla festa della «minorenne».
Bondi accusa «la Repubblica» di aver «comprato» un’intervista.
La sfida di Mauro a dimostrarlo cade ovviamente nel vuoto. Il ministro tornerà alla carica un mese più tardi per dire che «la Repubblica» è «l’insidia più grande per la nostra democrazia» (22 giugno 2009, lettera a «Il Giornale»). Non si contano le volte in cui «L’espresso» è definito «infame» (26 giugno 2009), Travaglio «un emblema di barbarie» (26 novembre), Annozero un esempio di «televisione degradante» (2 ottobre). È addirittura «ributtante e volgare» la puntata di Glob, condotto da Enrico Bertolino su Rai Tre, per la sua satira su Mara Carfagna, ex showgirl nelle grazie di Berlusconi che aveva appena cominciato la sua carriera politica da ministro delle Pari opportunità (10 novembre 2008).
Sull’argomento giustizia, il portavoce del Partito dell’Amore è più realista del re. A proposito di Mani pulite, «pian piano, tutti gli italiani capiranno quali meschine, torbide e inquietanti motivazioni si nascondessero e si nascondano dietro una figura come quella di Di Pietro» (17 gennaio 2010). Quando Marcello dell’Utri è condannato in primo grado per mafia, lui si dice comunque certo che «il clamoroso errore giudiziario» sarà ribaltato, ripagando il braccio destro di Berlusconi «di troppe ingiuste sofferenze, che nessuno tuttavia potrà mai rimarginare» (11 dicembre 2004).
E l’apoteosi: «È necessario difendere fino in fondo Berlusconi e la sua maggioranza dall’accanimento persecutorio dei giudici. Fino al sacrificio del nostro corpo» (8 agosto 2003, intervista a «Il Giornale»). Perché Berlusconi ha portato nella politica italiana «innanzitutto una ventata di moralità e di pulizia» (17 settembre 2003, intervista a «Il Giorno»).
Alla fine, naturalmente, è la sinistra a creare contro di lui «un clima atroce» (25 maggio 2009).
«Achille Occhetto e Antonio Di Pietro sono responsabili di atti osceni in luogo pubblico. La squadra di Occhetto e Di Pietro è un incontro sconcio tra la gioiosa macchina da guerra della sinistra e l’altra meno gioiosa della giustizia politicizzata».
(7 febbraio 2004, Sandro Bondi, portavoce di Forza Italia, a proposito dell’alleanza Occhetto - Di Pietro alle elezioni europee)

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