mercoledì 30 giugno 2010

COSANOSTRA ED I SUOI PICCIOTTI AL POTERE





Una sentenza di condanna


CLAUDIO FAVA


Che piaccia o meno ai difensori di Marcello Dell’Utri, la sentenza che lo condanna
in appello a sette anni di reclusione ci dice anzitutto una cosa: il partito di Silvio Berlusconi è stato fondato da un amico dei mafiosi.

Quanto a lungo sia durata questa amicizia, e se essa duri ancora, è dettaglio che
non ci riguarda e che non ci sottrae da un obbligo di verità: riscrivere la storia e
la cronaca di questo paese.
La storia non sta in una sentenza, ma nello sguardo, limpido e responsabile, con
cui si leggono i fatti che quella sentenza certifica.
E il fatto che ci consegnano i giudici di Palermo, per la seconda volta, è che
l’uomo di punta di Publitalia, il principale ispiratore dell’avventura politica del
Cavaliere, era persona di fiducia al tempo stesso dei Corleonesi e di Berlusconi.
Fino al ’92, chiosa adesso la difesa, come se i vincoli di solidarietà mafiosa si
costruissero e si sciogliessero alla mezzanotte d’un 31 dicembre. L’amicizia
con i capi di Cosa Nostra è per definizione una virtù solida e duratura.

Dell’Utri lo sa bene, e in un eccesso di generosità lo ha confermato ieri in
conferenza stampa: Mangano, il boss mafioso palermitano, resta un suo
eroe civile.
C’è più verità in quest’affermazione che in qualsiasi nostro commento.

Consapevolmente o meno, è lui stesso, il senatore, a confermarci che in
questi ultimi quindici anni non un solo atto politico dei governi presieduti
da Berlusconi, non una sola dichiarazione del premier o del suo braccio
destro Dell’Utri, non un loro gesto, una parola, una denunzia sono serviti
a contrastare la mafia.

Al contrario: se questa storia avremo cura e onestà di riscriverla davvero,
scopriremo un florilegio di atti di governo che hanno garantito l’impunità di Cosa
Nostra smantellando sistematicamente tutti gli strumenti d’indagine e di verità
della magistratura.
Se poi qualcuno ritiene che la notizia oggi non sia la condanna ma i due anni
di sconto di pena rispetto al primo grado, siamo di fronte alla parodia della
giustizia.

Come i cannoli di Totò Cuffaro che festeggiava cinque anni di galera per un
favoreggiamento mafioso semplice e non aggravato.

Va riscritta la storia non per bonificarla di ciò che non ci piace ma per
comprenderne ogni verità.
E va riscritta la cronaca, questo tempo slabbrato e impunito in cui
“innovare” in politica significa cercare le proprie personali convenienze.
In un telegiornale di qualche settimana fa la telecamera inquadrava
Gianfranco Miccichè e Marcello Dell’Utri sul portone di Palazzo Grazioli:
erano andati a spiegare a Berlusconi le ragioni del patto siciliano che
li ha portati a governare assieme a Lombardo e al Partito Democratico.

Eppure in quel partito, il PD, c’è un’antica consuetudine di lotta alla mafia,
intensa e responsabile, trascorsa anche attraverso il sacrificio di uomini
come Pio La Torre e Piersanti Mattarella.

Anche in nome di questa storia andrebbe raddrizzata la cronaca: e quel
partito dovrebbe sottrarsi immediatamente al vizio di masticare lo stesso
pane e di praticare la stessa politica con Dell’Utri, Miccichè e Lombardo.

Forse non è un caso che in un solo pomeriggio si siano raccolte due vicende
così umilianti per la Sicilia: la condanna di Dell’Utri e i dieci anni di galera
chiesti dalla pubblica accusa per l’ex governatore Totò Cuffaro.

Se c’è un momento in cui un popolo si trova nudo davanti a sé stresso e alla
propria storia, quel momento per la Sicilia è adesso: da dieci anni è solo una
storia giudiziaria, computata nelle camere di consiglio dei tribunali, una storia
di processi, sentenze, condanne, di sguardi storti, verità rabberciate,
messaggi obliqui…

Tocca ai siciliani, se ne hanno ancora la forza e la volontà, immaginare un
tempo nuovo in cui non saranno più le facce di Dell’Utri, Lombardo e Cuffaro
a raccontare la loro terra.


"MACELLO" DELL'UTRI
RACCONTATO PASSO PER PASSO
***
Passo finale
1990, gennaio-febbraio Il gruppo torna nel mirino. A Catania avvengono una serie di attentati contro Standa (Fininvest) e Rinascente (Fiat). La Fiat ammetterà di aver pagato per farli cessare. La Fininvest invece nega e non si costituirà parte civile al processo. Per i pm, il... vero obiettivo è sempre avvicinare Craxi. Vari pentiti e un teste dicono che Dell’Utri incontrò i boss Salvatore Tuccio e Nitto Santapaola per accordarsi. E a partire da quel periodo Dell’Utri risulta volare spessissimo a Catania.


1991 Mangano esce di prigione. Vuole riprendere in esclusiva il legame con Dell’Utri. Ma Riina invia il boss Totò Cancemi a dirgli di farsi da parte. Dice Cancemi: “Dell’Utri inviava 200 milioni all’anno a Cinà, che tramite (i boss) Di Napoli e Ganci li dava a Riina, che li smistava alle famiglie”.


1992, gennaio-febbraio Vincenzo Garraffa, senatore Pri e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del capomafia Vincenzo Virga. “Mi manda Marcello”, spiega Virga venuto a reclamare 700 milioni per conto di Dell’Utri. Nel maggio 2004 il fatto è stato accertato dal Tribunale di Milano. Dell’Utri e Virga sono stati condannati a due anni per tentata estorsione.


1992, maggio-giugno L’ex dc Ezio Cartotto (sentito come teste) è ingaggiato in segreto da Dell’Utri per studiare un’iniziativa politica in previsione del crollo dei partiti amici a causa di Tangentopoli.


15 gennaio1993 Arresto di Riina. La mafia, coi vecchi referenti politici alle corde (compreso l’agognato Craxi), pensa di fondare il partito Sicilia Libera, con i cui esponenti (risulta da agende e tabulati telefonici) Dell’Utri è in contatto.


1993, estate Bernardo Provenzano, secondo il boss Nino Giuffrè, abbandona l’idea di Sicilia Libera e stringe un patto elettorale con Dell’Utri: fine delle stragi in cambio dell’alleggerimento delle indagini, del 41 bis, e di una nuova legge sui pentiti.


12 luglio 1993 Berlusconi, racconta l’ex condirettore de “il Giornale” Federico Orlando, faxa un decalogo con la “linea” da seguire. Uno dei punti forti è l’attacco ai pentiti e al reato di associazione mafiosa.


1993, novembre Mentre Berlusconi crea Forza Italia, Dell’Utri vede Mangano a Milano (risulta dalle agende del senatore). Con l’arresto di Riina l’ostracismo nei suoi confronti è caduto. Mangano anzi è stato promosso capofamiglia di Porta Nuova.


31 dicembre 1998 Dell’Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra un collaboratore di giustizia messinese, Pino Chiofalo, organizzatore di un complotto per screditare i pentiti che accusano il senatore e i boss. Nel film lo si vede mentre gli consegna dei regali. Chiofalo, arrestato, confessa: “Dell’Utri promise di farmi ricco”.


1999 Dell’Utri si candida alle europee. Una microspia capta la voce di uno stretto collaboratore di Provenzano, Carmelo Amato, mentre raccomanda più volte ai picciotti di votarlo. Per esempio il 22 maggio: “Ora a questo si deve portare in Europa: Dell’Utri. Sì, qua già si stanno preparando i cristiani (i mafiosi, ndr)”. Anche Cinà, chiamato “zio Tano”, viene intercettato. E addirittura ammette di essere un uomo d’onore: “Carmelo, vedi che io sono combinato (mafioso ndr) come te”, dice.


13 maggio 2001 Dell’Utri viene rieletto. Nelle intercettazioni in casa del boss Giuseppe Guttadauro si sente il capomafia dire: “Con Dell’Utri bisogna parlare”, anche se “alle elezioni del ’99 ha preso degli impegni, e poi non s’è fatto più vedere”. Poi Guttadauro aggiunge che Dell’Utri si era accordato di persona con Gioacchino Capizzi, l’anziano capomandamento della Guadagna, lo stesso clan di cui facevano un tempo parte Bontade, Teresi e i fratelli Pullarà.

Per Dell’Utri è il passato che ritorna.
Anzi che non se ne è mai andato.

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