lunedì 16 gennaio 2012

Non solo idiota il comandante. Anche deliquente.Un ottimo rappresentante della classe dirigente italiana.






“VADA A BORDO, COORDINI I SOCCORSI DA BORDO, CAZZO! E’ UN ORDINE! LEI HA DICHIARATO L’ABBANDONO NAVE, ORA COMANDO IO! CI SONO GIÀ DEI CADAVERI SCHETTINO!”. “QUANTI CADAVERI CI SONO?”. “QUESTO DOVREBBE DIRMELO LEI, SCHETTINO!” - L’AUDIO DELL’AGGHIACCIANTE TELEFONATA TRA LA CAPITANERIA DI PORTO DI LIVORNO (COMANDANTE DE FALCO) E IL CAPITANO DELLA CONCORDIA - SCHETTINO BALBETTA, DE FALCO LO CAZZIA: “LEI SI È SALVATO DAL MARE, MA IO LE FACCIO PASSARE L’ANIMA DEI GUAI. MI DICE IL MOTIVO PER CUI NON SALE SULLA NAVE? VADA SULLA PRUA E MI DICA COSA SI PUÒ FARE, QUANTE PERSONE CI SONO E CHE BISOGNO HANNO!”
da: dagospia


Atti di dio e atti dell’uomo


di Giuseppe Notarbartolo di Sciara, ecologo marino

Nel linguaggio assicurativo esiste il termine “atto di dio” per definire un evento imprevisto e imprevedibile, provocato dalle forze della natura. Come vediamo, però, il più delle volte i disastri non sono “atti di dio” ma “atti dell’uomo”. La differenza tra le due situazioni è che nella seconda c’è, o dovrebbe esserci, ampio margine per interventi preventivi. Invece no, come al solito siamo a rincorrere l’emergenza dopo che la frittata è fatta.

Il costo di questa stolta immunità al pensiero preventivo, nel caso del naufragio del Giglio? Vite umane, innanzitutto. Ma anche l’ambiente, di cui timidamente si inizia a parlare. Per esempio, una quantità di combustibile oltre sette volte superiore a quello della nave Rena (incagliatasi di recente causando un serio disastro ambientale in Nuova Zelanda), che una sottile paratia di metallo, sulla cui imminente integrità nessuno vorrebbe scommettere, separa oggi dal pregiato ecosistema del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e del Santuario Pelagos per i mammiferi marini del Mediterraneo.

Gli strumenti per l’attuazione di politiche di prevenzione esistono, ma vengono utilizzati con eccessiva parsimonia per non irritare interessi particolari che continuano a contare di più di quelli della collettività. L’International Maritime Organisation delle Nazioni Unite, per esempio, può istituire le Particularly Sensitive Sea Areas dove le regole della navigazione sono più stringenti, ma in Mediterraneo l’unica PSSA è stata dichiarata meno di un anno fa nelle Bocche di Bonifacio.

Ci vorrebbe ben altro. Ora non ci resta che fare gli scongiuri nella speranza che chi si occuperà di mettere il relitto in sicurezza riesca a farlo prima che avvenga l’irreparabile. Avremmo preferito meno scongiuri ex post e più ferme regole ex ante, soprattutto quando le regole sono non solo possibili, ma anche doverose.


LA TRAGEDIA DELLA COSTA CONCORDIA.
Ammutinati in difesa dei passeggeri: l’evacuazione iniziata prima dell’ordine. A casa dal maître: soli 90 metri dalla nave.


fonte: Marco Imarisio, Corriere della Sera

La finestra della sala da pranzo si affaccia sul mare. Quando c’è sole, la casa è inondata di luce. In tutto quell’azzurro bisogna sporgersi e guardare di sotto per vedere le uniche tre macchie scure. Sono gli scogli delle Scole. La Costa Concordia ha urtato l’ultimo, il più piccolo, ed è stato come l’iceberg per il Titanic. Il panico nei momenti dell’evacuazione A guardare da questa terrazza sembra tutto più chiaro, e non solo per l’orizzonte limpido. Appena un passo indietro e dalla mensola sopra la televisione un uomo in divisa dai capelli brizzolati sorride da una foto. «Eccolo il mio figliolo» dice la signora Mamigliana. Il sorriso in cornice è di Antonello Tievoli, il maitre della nave crociera. Questa è casa sua, della sua famiglia, un piccolo edificio in cima alla strada che porta alla spiaggia delle Cannelle, e i due anziani seduti a un tavolo apparecchiato in modo spartano, tovaglioli di carta e bicchieri di plastica, sono i suoi genitori. Spaventati, smarriti. Non è un caso, non può esserlo. La casa del capo cameriere della Costa Concordia, l’unico gigliese a bordo, il destinatario dell’inchino, l’omaggio dell’avvicinamento della nave ai suoi cari per un saluto, è la più vicina a quegli scogli. Con la deviazione dalla rotta, la nave guidata del comandante Francesco Schettino era quasi sotto a quelle finestre. E anche il 6 gennaio, data del penultimo passaggio, non doveva essere poi così distante. «Sto facendo i segnali luminosi, chissà se mi vede» scrive su Facebook la sorella Patrizia, insegnante alla scuola elementare del Giglio. Adesso anche lei è vittima di una reazione a catena che da un inchino non richiesto, non in quel modo, ha causato un disastro di proporzioni colossali. Poche parole, tanta rabbia. «Non è che se il comandante decide di fare una cosa per una persona la colpa è dell’altro. Lui non ha chiesto nulla, è solo un marittimo, mica uno dei capi della nave. Non si azzarderebbe mai». La maestra Patrizia ha ragione, niente e nessuno potrà togliere al comandante Schettino la paternità di quella decisione che definire scellerata è poco, non solo perché dalla finestra sembra quasi che basti allungare una mano per toccare quelle rocce. Ieri i carabinieri del nucleo sommozzatori di Genova si sono immersi dal promontorio sotto casa Tievoli. Cercavano il punto preciso dell’impatto. Lo hanno trovato a 8 metri di profondità, nell’allargamento sottomarino della Scola piccola, lo scoglio esterno. C’erano anche due pezzi di lamiera della nave, prova definitiva della violenza dell’urto, di una nave fuori controllo. Hanno misurato la distanza dall’ultima propaggine del litorale, e il risultato è come una sentenza. Tra 92 e 96 metri, quella bestia da 114mila tonnellate era in zona balneabile. Relitto sommerso, le foto dei sub Relitto sommerso, le foto dei sub Relitto sommerso, le foto dei sub Relitto sommerso, le foto dei sub Relitto sommerso, le foto dei sub Relitto sommerso, le foto dei sub Ma in questa storia di inchini maldestri il vero incrocio di destini è quello tra l’allievo e il maestro. Il comandante Schettino è stato a lungo vice di Mario Palombo, il venerabile maestro con 43 anni di navigazione, 23 dei quali al comando delle navi passeggeri di Costa crociere, anche lui, come l’amico e compaesano Tievoli travolto da un evento sul quale non ha mai esercitato alcun controllo, convocato ieri in procura e sentito per oltre due ore dai magistrati, non solo sulla pratica dell’inchino, da lui sperimentata per primo, almeno nelle acque del Giglio. Tra i due il legame è ancora forte, al punto che venerdì sera, durante la navigazione, Schettino sente il bisogno di chiamare il vecchio comandante per dirgli che l’omaggio riguarda anche lui. Tra le 21.30 e le 21.40, questa la forbice temporale indicata da Palombo. «Già che passo dall’isola ti faccio un saluto con la sirena» avrebbe detto Schettino. Ma io sono a Grosseto, è la risposta. Cade la linea. Comunicazione interrotta. L’unico privilegio del povero Palombo, come riporta il Corriere fiorentino, è quello di avere ascoltato l’urto in diretta. Il seguito delle telefonate apre il vero scenario dell’inchiesta. Perché Palombo chiama un suo amico al Giglio, che gli racconta quel che vede, la nave arenata, «troppo sotto la costa». Il comandante in quiescenza, reduce da un infarto, riprova per due volte a mettersi in contatto con Schettino. Niente. Allora telefona subito alla «sua» Costa crociere dalla sua casa di Grosseto, chiede lumi, è lui a dare l’allarme, seguito subito dalla Guardia di finanza. Il direttore del dipartimento marittimo della compagnia genovese chiama subito la nave - 22,05 e 22,07. Nella seconda telefonata, il comandante ammette di avere «problemi a bordo» ma non parla della collisione. I soccorritori al lavoro I soccorritori al lavoro I soccorritori al lavoro I soccorritori al lavoro I soccorritori al lavoro I soccorritori al lavoro C’è una mezza verità, in quelle parole, perché di problemi a bordo ce ne sono parecchi, a cominciare da una sorta di ammutinamento da parte di alcuni ufficiali di seconda che prende corpo intorno alle 22.45. I membri dell’equipaggio prendono i passeggeri dalle cabine, preparano le scialuppe per lasciare la Concordia, tredici minuti prima della comunicazione di «abbandono nave» ricevuta dalla Guardia costiera. Se l’ammutinamento è una delle onte peggiori per un comandante, Schettino la subisce due volte in una notte, la seconda come parte attiva, disobbedendo all’ordine superiore della Capitaneria di risalire sulla nave per prendersi cura dei passeggeri. Sembra un film, lo è quasi. I finanzieri arrivano in zona alle 22.35 e non si limitano ai soccorsi. Riprendono con le videocamera quel che sta accadendo, e solo alle 23.15 la Costa Concordia comincia a inclinarsi. Se Schettino avesse dato subito l’ordine di abbandonare la nave, magari ascoltando quegli ufficiali che lo imploravano di farlo, avrebbe avuto almeno un’ora e mezzo di tempo a disposizione per l’evacuazione, e forse adesso ci sarebbe da contare qualche morto in meno.
A questo si arriva, partendo dalla casa della famiglia di un capocameriere, dalle sue finestre così vicine al mare, e agli scogli.

Marco Imarisio


"Il Comandante tutto il tempo al telefono".L'ultima ipotesi: rotta suicida per una sfida.

Scavalcato dai secondi: "Via all'evacuazione, decidiamo noi". L'ufficiale sceso in sala macchine: "Continuavo a urlare nell'interfono che giù era tutto allagato ma nessuno mi rispondeva". Il precedente di Marsiglia, il 7 dicembre, quando già mise a repentaglio una nave carica con una manovra spericolata.

fonte: CARLO BONINI e MARCO MENSURATI, da Repubblica


Grosseto - Il naufragio della "Concordia" restituisce altri segreti. E le parole del procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio, lo confermano. "Al di là della posizione del comandante, stiamo valutando le eventuali responsabilità dell'intera catena decisionale", dice.

È un'affermazione volutamente anodina, ma sufficientemente chiara. Che annuncia nuovi avvisi di garanzia, almeno tre, e dissimula le domande intorno a cui ruota l'inchiesta. Chi ha assunto davvero le sciagurate decisioni della notte di venerdì 13? Il solo Francesco Schettino? Cosa è accaduto in plancia tra le 21.42 (il momento dell'impatto con il granito degli scogli del Giglio) e le 22.58, momento in cui viene registrato l'ordine di evacuazione della nave? Cosa ha saputo in quei frangenti l'armatore, la "Costa Crociere"? E che ruolo ha avuto? Perché tanto ritardo per impartire il più ovvio e ragionevole degli ordini? Perché è stato deciso un "inchino" all'isola con modalità di manovra così azzardate?

Nelle ultime ventiquattro ore, tra Grosseto, Orbetello, Porto Santo Stefano e Livorno, sono stati ascoltati dagli inquirenti una decina di testimoni chiave. L'intero quadro ufficiali della Concordia. Tra loro, Salvatore Orsini e Silvia Coronica (secondo e terzo ufficiale), gli ufficiali di coperta Martino Pellegrini, Andrea Bongiovanni, Giovanni Iaccarino e Alessandro Di Lena. E nei loro ricordi, è un nuova messe di dettagli che, messi insieme,
accreditano una nuova incredibile ipotesi. Che venerdì 13, Francesco Schettino stesse in realtà conducendo una sfida. Dimostrare "ancora una volta" di che cosa era capace in mare. Del resto, lo vedremo, lo aveva già fatto. Sulla stessa nave, il 17 dicembre.

AL TELEFONO CON LA COSTA

Torniamo dunque alla notte di venerdì. E ai 60 minuti in cui si gioca il destino della "Concordia", del suo equipaggio e dei suoi 4.200 passeggeri. Cosa accade in plancia, dopo l'impatto? Racconta l'ufficiale Alessandro Di Lena: "Il comandante si è attaccato al suo telefono cellulare. Ha fatto numerose chiamate. Noi gli facevamo domande. "Comandante, che si fa?". Ma lui, niente, era sempre al telefono". Al telefono con chi? Almeno tre diversi ufficiali in plancia riferiscono un dettaglio cruciale. "Schettino chiama almeno tre volte, forse quattro, Ferrarini, con cui parla a lungo". Roberto Ferrarini è il "Marine operation director", il responsabile dell'unità di crisi e controllo della flotta "Costa".

I due parlano per prendere quali decisioni? Interpellate da Repubblica, fonti della società armatrice, spiegano: "È vero, Schettino ha contattato Ferrarini una prima volta alle 22.05 e a seguito di quella comunicazione sono state attivate le procedure di emergenza". Bene. Ferrarini ordina forse al comandante di evacuare la nave? O di allertare la Guardia Costiera? Se lo fa, perché Schettino ignora la disposizione (l'evacuazione sarà ordinata solo alle 22.58 dopo un'ulteriore insistenza della Guardia Costiera)? E se effettivamente Schettino fa di testa sua, perché, la mattina del 14, la società armatrice difende la correttezza del comportamento del suo comandante?

La "Costa" sostiene ufficialmente di "non poter violare in questa fase il segreto di indagine" e dunque di non poter dare risposte sul contenuto di quelle tre telefonate. Ma, ufficiosamente, fonti interne alla compagnia riferiscono che, effettivamente, le comunicazioni di quella notte con Schettino sono movimentate. Il comandante ammetterebbe infatti di avere "un problema grave a bordo", ma, a quanto riferiscono ancora le fonti, lo minimizzerebbe, sostenendo di potercela fare. È un fatto - e questa volta a riferirlo sono due ufficiali in plancia - che la terza e ultima delle telefonate con Ferrarini, prima di evacuare la nave, si chiude con le parole del comandante. Affranto. "La mia carriera finisce qui. Mi licenziano".

CON PALOMBO AL CELLULARE


Ferrarini non è il solo con cui Schettino passa quell'ora cruciale al telefono. C'è anche il commodoro in quiescenza Mario Terenzio Palombo, l'ufficiale che, per quattro anni, è stato il suo comandante sulla "Serena", la nave gemella della "Concordia". Il destinatario dell'inchino. Interrogato in procura, Palombo, conferma di aver parlato quella notte con Schettino. Di averlo chiamato lui, dopo essere stato avvertito dal sindaco del Giglio, che la Concordia aveva dei problemi. È così? Altre fonti investigative, spiegano che, in realtà, "si sta verificando se Schettino fosse al telefono con Palombo già al momento dell'impatto con gli scogli". In una sorta di "diretta telefonica" del suo azzardo (la procura ha chiesto di acquisire i tabulati del cellulare del comandante). È un fatto che Palombo, dopo aver parlato con Schettino contatta la Costa Crociere, come conferma la compagnia: "Effettivamente, Palombo, che è uno stimatissimo comandante, con una lunga carriera in Costa, risulta aver contattato Gianni Onorato, il direttore generale. Ma quando la società era ormai già al corrente dell'emergenza".

NEL VENTRE DELLA NAVE ALLAGATA


Dobbiamo immaginare la scena, tra le 21.42 e le 22.58. Schettino attonito in plancia e al telefono. I passeggeri con i salvagenti indossati, in attesa di ordini. Il quadro diventa drammatico nelle parole di Giovanni Iaccarino, primo ufficiale. "Alle 21.42, dopo l'impatto - riferisce a verbale - il comandante mi ordina di scendere in sala macchine. Mi precipito e lo spettacolo è terrificante. Tutto allagato. Avevo letteralmente l'acqua alla gola. Allagato il comparto motori. Allagati i generatori. Allagato i quadri di trasmissione elettrica". Iaccarino si attacca all'interfono e grida in plancia quello che vede. "Allagato comparto motori", "allagato generatore". In plancia, lo "copiano" ripetendo ad alta voce quello che ascoltano. Sono fuori uso le pompe, fermi i motori. Tutti aspettano una risposta scontata: l'evacuazione. Anche perché, sulla nave, funziona ormai una sola fonte di energia. Un piccolo "Isotta Franschini" diesel. Il "Paperino", come chiamano in gergo il generatore di emergenza sul ponte più alto della "Concordia", in grado di alimentare soltanto le luci di emergenza a bordo. Iaccarino, torna a gridare all'interfono quello che vede ogni dieci minuti. Ma non c'è risposta. Schettino è al telefono.

L'ORDINE DI SALIRE SULLE SCIALUPPE

Intorno alle 22.30, in plancia, è chiaro che attendere una risposta dal comandante è inutile. Accanto a Schettino è rimasto di fatto il solo Dimitri Christidis, ufficiale superiore greco (sarà con lui "appennellato" nella scialuppa che li porta in salvo nella notte). Altri ufficiali decidono di investire di fatto del comando della nave Roberto Bosio, il comandante in seconda, un ligure che con Schettino ha sempre avuto rapporti di profonda diffidenza e rivalità marinara. Bosio è per l'immediata evacuazione e, infatti, comincia le operazioni anche senza l'ordine ufficiale. Bosio non deve avere tutti i torti se è vero quello che riferisce ancora Di Lena: "Per i primi quaranta minuti dall'impatto, la nave è rimasta in assetto. Avremmo potuto agevolmente calare le scialuppe con i passeggeri su entrambe le murate. Saremmo arrivati tutti a terra senza neanche bagnarci i piedi".

LA FOLLIA DI MARSIGLIA

La Concordia sta affondando e per la prima volta i suoi ufficiali hanno la forza di ribellarsi al loro comandante. Non l'avevano avuta il 17 dicembre scorso quando - è l'altra sconvolgente verità che emerge dai verbali - Schettino mette a repentaglio una prima volta la nave, carica di passeggeri. Quel giorno, la Concordia è all'ancora nel porto di Marsiglia. Il vento soffia tra i 50 e i 60 nodi. Una tempesta. Racconta l'ufficiale di coperta Martino Pellegrino: "Ci radunò sulla banchina e ci informò che saremmo usciti comunque, nonostante quel vento. Ci fu un silenzio agghiacciante. Ci guardammo tra di noi, ma non avemmo la forza di parlare. Poi, ci ordinò di ispezionare i respingenti della banchina, per assicurarci che tenessero". Quel giorno, infatti, la manovra è spericolata. La "Concordia" lascia la banchina con le "macchine avanti tutta" facendo leva proprio su quei respingenti, come fossero una molla.

LA SFIDA DEL GIGLIO


Marsiglia il 17, il Giglio il 13. Sembra una cabala scaramantica. Ma forse - è l'ipotesi degli inquirenti - è una terribile "sfida marinara". Schettino vuole dimostrare a se stesso e agli altri ufficiali della Costa quello di cui è capace. La notte del 13 - come hanno ora accertato i nuovi rilievi cartografici - ordina all'ufficiale di rotta di definire la traiettoria per accostare il Giglio. Nel sistema elettronico di comando integrato - racconta ancora Pellegrino - viene immessa la rotta "278° nord-ovest" per arrivare a 0,5 miglia da terra (900 metri). Ma quando la "Concordia" vede le luci del Giglio, Schettino prende il timone. "Passiamo in manuale", ordina. "Comando io". E quell'accosto per l'inchino, diventa una roulette russa.









Concordia, comandante nega l’avaria e fugge.E a lanciare il mayday è una passeggera

fonte: Il Fatto Quotidiano

La Procura di Grosseto accusa Francesco Schettino, capitano della Concordia, di avere abbandonato la nave molto prima che i passeggeri fossero tratti in salvo. Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire i movimenti e i contatti del comandante in fuga: "Lo chiamò la Capitaneria intimandogli di tornare a bordo, ma non ne volle sapere"

Il comandante Francesco Schettino
Si porterà per sempre appresso due nomi la tragedia dell’isola del Giglio: uno è Concordia, il nome della nave, l’altro è Schettino, nome di battesimo Francesco, campano, l’uomo fermato dai magistrati e ritenuto il responsabile numero uno di quanto accaduto venerdì notte: è stato lui, secondo la Procura, a dirottare la nave verso la costa, lui che si è avvicinato troppo, lui che ha abbandonato i passeggeri e l’equipaggio al loro destino.

Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.

Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.

L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.

“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.

La fuga. Schettino è tra i primi ad arrivare al Giglio, sulle banchine del porto. Lui e moltissimi membri dell’equipaggio. A bordo resta praticamente solo il primo commissario di bordo quello che, al contrario degli altri, farà il suo lavoro, verrà trasformato in eroe. Lui resta e aiuta i passeggeri a trasferirsi sulle scialuppe, ma gran parte del resto dell’equipaggio è già sulla terra ferma, in salvo. Il bar, l’unico del porto, il Caffè Ferraro, riapre la saracinesca per aiutare i naufraghi.

Schettino sale su un taxi. Tra le persone gigliesi, così si chiamano gli abitanti dell’isola, arriva sul molo anche un tassista. E’ a lui che il comandante, in abito bianco pronto per la cena di gala, si rivolge. “Mi porti lontano da qui”. “Comandante”, risponde il tassista, “io la posso portare a casa mia, questa d’inverno è un’isola deserta”. Così il tassista porta a casa il capitano e gli prepara un caffè.

Le telefonate dalla Capitaneria di porto di Livorno. Schettino, che è frastornato, ma non sotto choc, riceve tre telefonate in serie. E’ sempre la Capitaneria di porto di Livorno che lo chiama. L”ufficiale in servizio alla sala operativa non riesce a capire. “Come capitano, lei non è sulla nave?”. “No, non sono sulla nave e non ci torno”. Un’altra telefonata. “Capitano”, dice il funzionario di turno, “ordini superiori mi riferiscono di dire che lei deve tornare sulla sua nave”. “Non ci torno”. La terza telefonata, racconta il tassista, è concitata. Urlano da Livorno, urla Schettino. Sempre con le stesse ragioni. Il comandante a quel punto si fa accompagnare sulla banchina, ma sale sulla prima barca che lo porta a Porto Santo Stefano. Sulla nave non ci tornerà.

L’inchiesta e la disperata difesa. Il giorno successivo al naufragio, Schettino viene trattenuto nella caserma dei carabinieri di Orbetello. Quando il Procuratore riesce a ricostruire quello che è accaduto, senza neppure interrogarlo, ordina lo stato di fermo. Schettino viene trasferito nel carcere di Grosseto. Schettino (dopo la fuga appare improprio chiamarlo ancora comandante) continua a ripetere che la sua manovra è stata regolare, che gli scogli non erano segnalati da nessuna carta, che lui doveva passare da lì, a 100 metri dall’Isola del Giglio, distanza di sicurezza a malapena consentita per un pedalò.

Naufragio colposo, omicidio plurimo colposo, abbandono della nave. Ma secondo le fonti inquirenti, non è neppure la bontà delle sue intenzioni dal timone, anche se l’ordine di avvicinarsi all’isola lo ha dato lui in persona, per il consueto saluto di sirene: il punto è che Schettino ha abbandonato la nave a un’ora dall’incidente, lasciando a bordo i passeggeri e i suoi membri dell’equipaggio, in balia di un’organizzazione che alla fine, infatti, non c’è stata. Doveva essere lui – secondo il codice della navigazione e quello penale – a coordinare le operazioni di soccorso. Non poteva sparire nel nulla, pensare a salvarsi e lasciarsi alle spalle quel bestione di 282 metri che la compagnia di navigazione gli aveva affidato.

Le dichiarazioni del procuratore. E questo il nodo centrale dell’inchiesta. Il procuratore della Repubblica di Grosseto, Francesco Verusio dice che “il comandante ha abbandonato la nave quando c’erano ancora molti passeggeri da portare in salvo”, e “le operazioni di soccorso non sono state coordinate dal comandante”, ha detto. Un delitto imperdonabile per chi comanda una nave. “A questo punto - dice il procuratore capo – vogliamo capire chi si è assunto poi il compito di dirigere le operazioni di salvataggio, perché il comandante ha abbandonato la nave molte ore prima che si concludessero”. Sul numero di vittime il procuratore inizia a essere pessimista: “I morti per ora accertati sono cinque a questo punto, due turisti francesi e un membro dell’equipaggio peruviano oltre ai due anziani individuati nel pomeriggio”, ma “abbiamo gravi sospetti per altre cinque o sei persone. All’appello ne mancano una trentina – ha aggiunto – stiamo spuntando i loro nomi uno per uno dagli elenchi”, ma “non è facile dire con precisione quanti manchino all’appello”. Indiscrezioni, provenienti da fonti della Prefettura di Grosseto parlerebbero di 36 persone, delle quali 10 membri dell’equipaggio di nazionalità cinese e filippina, e 26 passeggeri. Ma anche questo dato è parziali. Fonti della Capitaneria ripetono che la lista definitiva non esiste. Esiste una lista, ma non è possibile sapere fino a questo momento quante fossero i membri dell’equipaggio, quelli che svolgono i lavori più umili, la lavanderia e la pulizia delle cucine e della nave. Filippini, molti, e cinesi.

La compagnia Costa dice che non ci sono lavori appaltati ad aziende esterne, fonti vicine agli inquirenti continuano a ripetere che invece è una possibilità che viene valutata.

Perché avvicinarsi all’isola? Il magistrato è riuscito a capirlo, alla fine. Schettino si è avvicinato al Giglio perché voleva salutare l’isola. Un codice campano, procidese per essere precisi, che impone l’inchino quando si passa dalle parti di un’isola. Una consuetudine, forse neppure così strana. Ma Schettino, venerdì, ha sbagliato i calcoli o fose si è abbandonato alla distrazione.

L’ordine di negare. Nei momenti successivi all’incidente l’ordine di Schettino è negare. Negare con i passeggeri e, come abbiamo visto, con la Capitaneria di porto: “Nessun incidente, solo un guasto tecnico”.

Le scatole nere. Ciò che è successo tra la comunicazione del presunto guasto tecnico e l’annuncio dell’abbandono nave verrà accertato con l’analisi delle scatole nere, già in Procura a Grosseto, che per le navi si chiamano ‘Voyage data recorder’ (che registra tutto cio’ che ‘fa’ la nave, compresi i movimenti prima e dopo l’impatto con lo scoglio) e ‘Voyage voice recorder’, che oltre a registrare le comunicazioni radio recupera anche le conversazioni all’interno della plancia di comando, una sorta di intercettazioni ambientali. “E qui – sorride un investigatore – se ne sentiranno delle belle”.

L’assicurazione sulla nave. Cinquecento milioni di dollari, secondo un broker genovese, è probabilmente il valore assicurativo di Costa Concordia. L’assicuratore è il gruppo statunitense Aon, leader mondiale nel settore del risk management e nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. Ma i 500 milioni di dollari riguardano soltanto la copertura della nave, scafo e macchina. Per la copertura assicurativa delle responsabilità dell’armatore, che comprendono risarcimenti ai passeggeri e all’equipaggio, eventuali danni all’ambiente, e rimozione del relitto, interviene il club inglese Protection&Indemnity Club, nel mondo dello shipping comunemente indicato come P&I. Nel caso di Costa Concordia interverrà la Standard. La nave, secondo gli esperti del settore, è totalmente irrecuperabile. Costa Crociere dovrà quindi fare eseguire la rimozione del relitto. Per asportare il carburante è stata ingaggiato l’olandese Smit International Group che, in Italia, lavora con l’azienda Neri di Livorno. I rappresentanti dei due gruppi sono già al Giglio in attesa di disposizioni della magistratura per poter operare. Non si sa quando. “Sicuramente”, spiegano, “sarà una corsa contro il tempo. Un cambiamento climatico e la nave, che ora è appoggiata su un fondale basso, potrebbe inabissarsi”. A pochi metri, infatti, il fondale scende fino a 70 metri: se dovesse alzarsi il venti di scirocco, come le previsioni dicono, la situazione potrebbe diventare irrecuperabile. E il danno ambientale di proporzioni senza precedenti.

di Emiliano Liuzzi, Diego Pretini e Antonio Massari

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