lunedì 16 gennaio 2012

Lo sapevo: i grattacieli son menagrami.


Grattacieli, crisi e recessioni. Il prossimo sboom sarà in Cina?

Gli analisti di Barclays Capital hanno una teoria: a ogni corsa a costruire l'edificio più alto del mondo segue fatalmente una grave impasse economica. E' accaduto negli Usa, nel Sud Est Asiatico e negli Emirati. Il boom edilizio tra Pechino e Shanghai deve farci preoccupare?

di ENRICO FRANCESCHINI, da Repubblica

Grattacieli, crisi e recessioni Il prossimo sboom sarà in Cina? Il grattacielo più alto del mondo è il Burj Khalifa di Dubai

LONDRA – Lo chiamano l’Indice del Grattacielo. E’ uno studio di Barclays Capital, braccio di investimenti di una delle maggiori banche britanniche. Sostiene una singolare teoria: nell’ultimo secolo e mezzo ogni corsa a costruire grattacieli sempre più alti ha preannunciato un’imminente recessione. “Fortunatamente”, afferma il rapporto, “al momento non sembrano esserci piani per costruire da qualche parte un grattacielo più alto del Burj Khalifa del Dubai”, che a quota 828 metri è attualmente l’edificio più alto del pianeta. Ma il boom di grattacieli in Cina, dove si trovano più della metà dei palazzi monstre in costruzione in tutto il mondo, invia un campanello d’allarme che la prossima crisi potrebbe coinvolgere anche Pechino. Una previsione condivisa da alcune cassandre della City di Londra, secondo cui il terremoto economico-finanziario iniziato nel 2007 vivrà il suo apice nel 2012 proprio con un collasso cinese.

La teoria dei grattacieli, ripresa oggi dalla stampa inglese, sembra infallibile. La costruzione del Chrysler Building e dell’Empire State Building a New York precedette di poco il crollo di Wall Street nel 1929 e la Grande Depressione degli anni Trenta. La costruzione del World Trade Center a New York (le Torri Gemelle abbattute dai terroristi di al Qaeda nell’attentato dell’11 settembre 2001) e della Sears Tower di Chicago negli anni Settanta anticipò la crisi di quel decennio, contrassegnato dal collasso dell’Opec e degli accordi di Bretton Woods. La costruzione delle Petronas Towers a Kuala Lampur e del Taipei 101 a Taiwan negli anni ’80-’90 preannunciò lo scoppio della bolla della new economy, il crollo dell’economia dotcom. E la costruzione del Burj Khalifa in Dubai negli anni Duemila ha introdotto la grande crisi globale di oggi, non ancora terminata.

Naturalmente lo studio preparato da Andrew Lawrence, analista di Barclays Capital, può essere minimizzato affermando che ripresa e recessione si alternano ciclicamente e non c’è nulla di anomalo in quello che è accaduto dal punto di vista delle leggi dell’economia negli ultimi 150 anni. Ma la correlazione tra la gara a costruire grattacieli sempre più alti e i successivi crolli economici è come minimo una curiosa coincidenza su cui riflettere. E sebbene il rapporto noti che per l’appunto nessuno, tantomeno in Cina, ha in programma di costruire un nuovo tetto del mondo più alto del grattacielo del Dubai, l’abbondanza di cantieri cinesi che erigono grattacieli induce ad aspettarsi nel prossimo futuro qualche brutta notizia per l’economia cinese e di conseguenza per quella mondiale, specie se si crede al suddetto “Skyscraper Index”.

Ma ci sono preoccupazioni anche fra chi non ci crede. Albert Edwards, capo strategista di Société Générale e uno dei più noti pessimisti della City, ha ammonito ieri sera in un discorso a Londra che nel 2012 un “atterraggio turbolento” dell’economia cinese porterà la recessione globale degli ultimi cinque anni al suo apice. Anche se poi, è il suo messaggio di consolazione, le cose miglioreranno: “I prossimi dodici mesi saranno l’anno finale di dolori e delusioni”, afferma il banchiere.

E un altro allarme viene dal World Economic Forum, che a poche settimane dal summit annuale di Davos ha pubblicato ieri il suo Global Risk Assesment, il rapporto sui rischi globali per l’economia: il sondaggio fra 500 esperti internazionali indica nella crescente diseguaglianza di reddito, nel sempre più largo gap tra ricchi e poveri, il maggiore pericolo per la stabilità mondiale. “Per la prima volta in generazioni”, avverte il documento, “molta gente, in particolare nei paesi industrializzati che sono stati la storica culla della fiducia e delle nuove idee, non crede più che i propri figli avranno uno standard di vita superiore al proprio”. Ce n’è abbastanza per alzare gli occhi al cielo e pregare che non svetti una nuova torre più alta del mondo.

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