giovedì 26 gennaio 2012

Germania euroscettica


il giornalista svizzero Alfonso Tuor (che tempo fa conduceva una trasmissione sulla finanza vista anche nel nord Italia):

Ticinonews - In Germania si discute l'uscita dall'euro

In Germania il dibattito sull’uscita dall’euro è ormai diventato di dominio pubblico. La prospettiva di ricreare il marco tedesco non è vista come una iattura da molti industriali tedeschi. Citiamo in proposito alcune dichiarazione pubbliche rilasciate negli ultimi giorni.
Anton F. Börner, presidente dell’Associazione tedesca degli esportatori, ha dichiarato al giornale Handelsblatt: “Il fatto che approfittiamo dell’euro non vuol dire che dobbiamo accettare qualsiasi compromesso per salvare la moneta unica europea. Infatti, noi abbiamo bisogno di un mercato comune, non di una valuta”. L’ex Presidente della Confidustria tedesca ha da parte sua proposto che si abbandoni l’euro come è oggi, per creare un euro del Nord, di cui facciano parte solo i Paesi che l’austerità l’hanno già acquisita nel proprio Dna,cioè Germania, Olanda, Austria e Finlandia. Sulla questione è pure intervenuto Wolfgang Reitzle, amministratore delegato del Gruppo Linde (gas industriali) il quale ha dichiarato al settimanale Der Spiegel: “Se non si riesce ad imporre la disciplina ai Paesi della periferia, la Germania dovrebbe abbandonare l’euro. Questo non dovrebbe essere un tabù. Avremo un aumento della disoccupazione all’inizio, ma poi diventeremo ancora più competitivi e in grando di affrontare i nostri concorrenti asiatici. Per correttezza è corretto citare anche le dichiarazione di segno opposto. Il Chief Financial Officer di BMW, Friedrich Eichner, ha dichiarato che “un ritorno al marco tedesco sarebbe catastrofico”. Il CEO di Deutsche Post, Frank Appel, ha detto: “Qualsiasi sarà il costo necessario per salvare l’euro, sarà comunque inferiore a quello che l’euro ha dato e continuerà a dare alla Germania e all’Europa”.
Questo spaccato della discussione in corso in Germania conferma che oramai la sopravvivenza dell’euro è diventato un argomento di dibattito politico e che la prospettiva di un’uscita della Germania dall’euro è ormai all’ordine del giorno e non è più solo un’eventualità lontana di cui si discute solo in questo blog. Da queste prese di posizione si può dedurre che non vi è ancora un consenso negli ambienti economici tedeschi sulla strada da seguire. Ma bisogna fare attenzione. Alle prese di posizione di questi esponenti del mondo dell’industria, bisogna aggiungere la chiara linea adottata dalla Bundesbank, la prestigiosa banca centrale tedesca che ha una grandissima influenza sia sulle decisioni del Governo sia sull’opinione pubblica germanica. Ebbene, la Bundesbank, con le dimissioni di Axel Weber e di Jürgen Stark, dal Comitato direttivo della Banca centrale europea ha chiaramente espresso non solo dubbi sul futuro dell’euro, ma anche una pesante critico sull’opera di sostegno alla moneta unica europea prestata dalla Bce.
Altrettanto sta facendo il nuovo rappresentante tedesco nel Direttivo della Bce. Quest’ultimo ha infatti dichiarato che il testo del “Patto fiscale” in discussione non soddisfa le richieste della Germania. In particolare – ha aggiunto – è inaccettabile la possibilità di non rispettare i criteri sul debito pubblico in caso di difficoltà economiche. Puntualmente il Governo tedesco ha fatto proprie queste critiche e nel corso dell’Eurogruppo di lunedì scorso ha vincolato il decollo del Fondo di Stabilità Europeo (ESM), dotato di 500 miliardi di euro, alla correzione del testo attualmente in consultazione. Insomma, Berlino non cede di una virgola e chiede in cambio di nuovi esborsi impegni che i Paesi deboli europei non sono assolutamente in grado di assumersi. Quindi, sostenere – come hanno fatto molti giornali italiani – che Berlino ha accettato l’asnticipo a luglio del varo dell’ESM e che avrebbe accettato pure di mantenere in vita il Fondo Salva-Stati è una forzatura che non risponde alla realtà dei fatti. Anzi, la Germania continua ad alzare l’asticella che molti Paesi, tra i quali l’Italia, non potranno riuscire a saltare.

La grancassa della propaganda, soprattutto di origine italiana, non può nascondere il dato di fatto che la posizione finanziaria dell’Italia è sempre più precaria e sempre più vicina all’insolvenza. In proposito, basti ricordare che lo Stato italiano vuole saldare le sue fatture con migliaia di imprese italiane pagando con i BOT, ma questo stratagemma dimostra solo che Roma ha difficoltà a raccogliere liquidità sui mercati. Infatti i BOT emessi per pagare le aziende italiane faranno lievitare sia il deficit pubblico sia il debito pubblico italiano. Per risolvere questo problema, è stata avanzata l’idea di vendere alla Cassaepositi e Prestiti di proprietà del Ministero del Tesoro i pacchetti azionari di alcune società detenuti dallo Stato, come Eni, Sace, Enel, ecc. Si tratta, come tutti capiscono, di un’operazione che farebbe rizzare i caprelli anche ai maghi della nuova ingegneria finanziaria di Wall Street. Ma le cose già funzionano da tempo in questo modo. Infatti alcune banche italiane emettono obbligazioni garantite dallo Stato che poi danno alla Banca centrale europea come pegno per ottenere liquidità. Siamo al gioco delle tre carte, che non può durare a lungo, anche se questa liquidità viene usata per comprare tuitroli di Stato con il risultato di ridurre rendimenti e spread.
Ma c’è di più. Molti strati popolari italiani stanno insorgendo contro la stangate del Governo Monti e le liberalizzazioni recentemente annunciate. A ciò bisogna aggiungere i morsi sempre più lancinanti della recessione. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che quest’anno l’economia italiana si contrarrà del 2,2% e l’anno prossimo dello 0,6%. Insomma, il rischio Grecia è sempre più concreto. Resta dunque valida la previsione dell’uscita della Germania dall’euro.

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