giovedì 8 novembre 2012

Questo sole oggi lo dedico a Terzani. Il grande.

Quale è il fine della conoscenza se non quello di capire la natura per poterne seguire le regole e vivere meglio? Bisogna capire quale è il posto di noi esseri umani nell'universo, capire in che rapporto siamo coi vari fenomici cosmici, cosi' da poterci comportare disciplinatamente, evitare disastri e contribuire al benessere di tutte le creature.
Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia.
Questo mondo è una meraviglia. Non c'è niente da fare, è una meraviglia. Riesci a sentirti parte di questa meraviglia? Ma non tu, con i tuoi due occhi e i tuoi due piedi; tu, questa essenza di te, sente d'essere parte di questa meraviglia? Ma che vuoi di più, che vuoi di più? Una macchina nuova?
E' importante per l'uomo aver attorno a sè un pò di natura, osservarla, impararne la logica e goderne. Come può un bambino crescere mentalmente sano nel mezzo di una città, senza sentire, accanto al ritmo della propria vita, quello della vita degli animali e delle piante? Mai come nel nostro tempo l'uomo si è così allontanato dalla natura, e questo è forse stato il più grande dei nostri errori.
Gandhi nel suo modo semplice, ma preciso e normale, lo aveva capito quando diceva: "La Terra ha abbastanza per il bisogno di tutti, ma non per l'ingordigia di tutti."
Sempre fuori dalla norma. Sai, questo è il tema del Vecchio, di Krishnamurti e di tanti; la verità è una terra senza sentieri. Cammini, trovi. Non c’è chi ti dice; guarda, il sentiero per la verità è quello. Non sarebbe la verità. Se rimani nel conosciuto non troverai niente di nuovo. Come fai? Viaggi sui binari del conosciuto e rimani nel conosciuto. E così è quando cerchi. Se sai cosa cerchi non troverai mai quello che non cerchi e magari è giusto la cosa che conta, no? Per cui è uno strano processo che richiede una grande determinazione, perché implica rinuncia, assenza di certezze.
Viaggiavo lentamente e ne godevo. Avevo di nuovo il tempo di guardare, di sentire i posti […]. Adoravo viaggiare così. Viaggiare è un’arte. Bisogna praticarla con comodo, con passione, con amore. Mi resi conto che, a forza di viaggiare in aereo, quell’arte l’avevo disimparata. E pensare che è l’unica cui tengo!
Vivo ora, qui, con la sensazione che l'universo è straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.
Il senso della ricerca sta nel cammino fatto e non nella meta; il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare.
Chi pratica il Tao,"la via", non ha che da essere in pace con se stesso, perché Senza uscire dalla porta conosce tutto quel che c'è da conoscere, senza guardare dalla finestra vede le vie del cielo, perché più lontano si va meno si capisce. Il saggio arriva senza partire, vede senza guardare, fa senza fare.
"Quando l'allievo è pronto il maestro compare", dicono gli indiani a proposito di un guru, ma lo stesso è vero di un amore, di un posto, di un avvenimento che solo in certe condizioni diventa importante.
Me la sono inventata un po' questa vita, no? Sono stato mille cose, alcune vere, alcune potenziali. Sono stato gigione, sono stato attore, assassino, pedofilo, adultero, tutto sono stato, come tutti. Sono stato tante cose in tempi diversi. Tante cose vere, intense. E ogni volta una sostituiva l'altra, entrava nell'altra come in un cannocchiale. Mamma mia, quante parti ho fatto, quanto maschere ti metti che alla fine ti soffocano. Fino a che un giorno dici "Io, questa - pfft! la butto via". E alla fine sono Anam, uno senza nome, senza storia, senza passato. Perché tutta quella roba lì è frattaglia e al cuculo non gliene importa proprio nulla. Ma non per cattiveria, non è che mi vuole male. Anzi, magari canta anche per me. Vivete "ora", vivete nel momento. Il futuro non esiste. Siatene coscienti: "ora".
Lentamente mi accorsi che il cancro era diventato una sorta di scudo dietro il quale mi proteggevo, una difesa contro tutto quel che prima mi aggrediva, una sorta di baluardo contro la banalità del quotidiano, gli impegni sociali, contro il fare conversazione. Col cancro mi ero conquistato il diritto di non sentirmi più in dovere di nulla, di non avere più sensi di colpa. Finalmente ero libero.
Credo che ci sia una vita unica, che ho sentito così forte seduto sui contrafforti dell' Himalaya e la vedevo in un maggiolino, in un una formica, nei fili d'erba, negli stupendi alberi, e quella vita che circolava lì era anche la mia.
La vera conoscenza non viene dai libri, neppure da quelli sacri, ma dall'esperienza. Il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti, l'intuizione, non attraverso l'intelletto. L'intelletto è limitato.
Solo se riusciremo a guardare l'universo come un tutt'uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo andando.
Questo è un concetto che la cultura occidentale ha dimenticato: tutto è uno! L'idea della dicotomia è profondamente sbagliata e niente meglio di un grande simbolo cinese, la ruota dello yin e dello yang, rappresenta la vita: l'universo è l'amornia degli opposti, perché non c'è acqua senza fuoco, non c'è femminile senza maschile, non c'è notte senza giorno, non c'è sole senza luna... non c'è bene senza male! E questo simbolo è perfetto perché il bianco e il nero si abbracciano e all'interno del nero c'è un punto del bianco e all'interno del bianco c'è un punto del nero. Pensa ad una faccenda sulla quale non riflettiamo mai, noi che perseguiamo il piacere in ogni modo: non c'è piacere senza sofferenza e non c'è sofferenza senza piacere. Solo quando capisci questo godi del piacere e accetti la sofferenza! Noi non accettiamo che la nostra vita abbia in sé la sofferenza. Non l'accettiamo, non ci piace! E allora pasticche contro questo, iniezioni contro quell'altro, droga, gioie effimere... per nascondere la verità che è accanto al piacere: la sofferenza. [...] La cura è un'altra. Non è la cura, è la guarigione che cerco, e la guarigione è la ricostituzione dell'equilibrio.
Perché non esistono scorciatoie a nulla: non certo alla salute, non alla felicità o alla saggezza. Niente di tutto questo può essere istantaneo. Ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perché uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita.
"Io chi sono?". La risposta sta nel porsi la domanda, nel rendersi conto che io non sono il mio corpo, non sono quello che faccio, non sono quello che posseggo, non sono i rapporti che ho, non sono neppure i miei pensieri, non le mie esperienze, non quell'Io a cui teniamo così tanto. La risposta è senza parole. È nell'immergersi silenzioso dell'io, nel sé.
Se uno vive senza mai chiedersi perchè vive spreca una grande occasione. E solo il dolore spinge a porsi la domanda.
La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c'è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all'erta.
Finirai per trovarla la Via, se prima hai il coraggio di perderti.
Allora, questa è la fine, ma è anche l'inizio di una storia che è la mia vita e di cui mi piacerebbe ancora parlare con te per vedere insieme se, tutto sommato c'è un senso. 
La storia di questo viaggio non è la riprova che non c'è medicina contro certi malanni e che tutto quel che ho fatto a cercarla non è servito a nulla. Al contrario: tutto, compreso il malanno stesso, è servito a tantissimo. E' così che sono stato spinto a rivedere le mie priorità, a riflettere, a cambiare prospettiva e soprattutto a cambiare vita. E questo è ciò che posso consigliare ad altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi. Per il resto ognuno deve fare la strada da solo. Non ci sono scorciatoie che posso indicare. I libri sacri, i maestri, i guru, le religioni servono, ma come servono gli ascensori che ci portano in su facendoci risparmiare le scale. L'ultimo pezzo del cammino, quella scaletta che conduce al tetto dal quale si vede il mondo sul quale ci si può distendere a diventare una nuvola, quell'ultimo pezzo va fatto a piedi, da soli. Io provo.
La ragione per la quale si ha tanta paura della morte è che con quella bisogna rinunciare a tutto quel che ci stava tanto a cuore, proprietà, desideri, identità. Io l'ho già fatto. Negli ultimi anni non ho fatto che buttare a mare tutto questo e non c'è più nulla a cui sono legato. Perché ovviamente tu non sei il tuo nome, tu non sei la tua professione, non sei la casetta al mare che possiedi. E se impari a morire vivendo, come hanno ben insegnato i saggi del passato -i sufi, i greci, i nostri amati rishi dell'Himalaya- allora ti abitui a non riconoscerti in queste cose, a riconoscere il valore estremamente limitato, transitorio, ridicolo, impermanente. Se la casa che ti sei comperato al mare un giorno -vrumm! Viene portata via dalla marea; se un figlio, uno come te che sei stato mio per così tanto tempo e a cui ho dedicato pensieri, a volte sofferenze e angosce, esce di casa, gli casca un tegolo in testa e -vrumm, finito! Allora capisci che non è possibile che tu sia quelle cose che scompaiono così semplicemente...
E se, vivendo, incomici a capire che non sei quelle cose, allora piano piano te ne stacchi, le abbandoni. Abbandoni anche le cose che ti paiono le più care, come l'amore che io ho per tua madre. Io ho amato tua madre per i quarantasette anni in cui siamo stati assieme e quando dico che me ne stacco non voglio dire che non la amo più, ma che questo amore non è più una schiavitù; che non sono più dipendente da questo amore; che sono, anche da questo, distaccato. Questo amore è parte della mia vita, ma io non sono quell'amore. Sono tante altre cose... o forse nulla. Ma non sono quella cosa lì. E l'idea che morendo perdo quell'amore, perdo questa casa all'Orsigna, perde te e la saskia, perdo la mia identità, non mi preoccupa più, non mi fa più assolutamente paura, perché mi ci sono abituato. E qui, l'Himalaya, la solitudine lassù, la natura, la fortuna di questo malanno che mi ha dato l'occasione di riflettere su tutto questo è stata una grande maestra.
E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. Tiziano Terzani
Tiziano Terzani, da "Viaggio nel Mondo" su FB.Frasi tratte dai libri: Un altro giro di giostra-La fine è il mio inizio-Un indovino mi disse-Anam, il senzanome. Tiziano Terzani (Firenze, 14 settembre 1938 – Orsigna, 28 luglio 2004) è stato un giornalista e scrittore italiano. Tiziano Terzani nacque a Firenze, nel quartiere di Monticelli, mercoledì 14 settembre 1938. Dei suoi genitori (la madre era di origini modeste, il padre meccanico) disse: "Mio padre era un comunista, ex partigiano, mia madre cattolicissima [...] debbo a loro forse un senso di tolleranza e questa cosa profonda [...] di vedere il bello della vita nella sua diversità e vedere la vera essenza della vita nell'armonia degli opposti". Visse l’infanzia in ristrettezze economiche ma con la dignità dei semplici ma saldi principi morali dei genitori che Tiziano fece propri. L’acuta intelligenza che lo distingueva, la sua predisposizione allo studio, l’incontro fortunato con insegnanti che ne colsero le qualità già nell’istruzione primaria, gli valsero la possibilità del riscatto culturale e sociale dalla povertà dell’ambiente familiare che si convinse a concedergli la possibilità del proseguimento degli studi e a frequentare il liceo classico "Galileo" di Firenze, dove, sedicenne ebbe il primo contatto col mondo, impiegando le vacanze scolastiche come lavapiatti in Svizzera: con lo stipendio ricevuto visitò Parigi, quindi un passaggio in Belgio e in Germania. Brillantemente diplomato, rischiò l’impiego in banca: lo salvò l’ammissione alla borsa di studio presso il prestigioso Collegio medico-giuridico di Pisa (allora facente capo alla Scuola Normale Superiore), attuale Scuola Superiore Sant'Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento (tra i compagni di corso c'era Giuliano Amato), laureandosi brillantemente in giurisprudenza nel 1961. Nello stesso anno sposò Angela Staude, fiorentina di genitori tedeschi (suo padre era il pittore Hans-Joachim Staude). Trascorsi sei mesi per un Master in Inghilterra, nel 1962 iniziò a lavorare per la Olivetti dapprima come venditore e successivamente occupandosi del personale estero. Nel 1965, l'azienda lo inviò a tenere corsi di formazione in molte aree del mondo (fra cui il Giappone ed il Sud Africa), dove entrò in contatto con le problematiche dell'apartheid e dello sfruttamento sociale del continente africano: tema dei suoi primi scritti giornalistici che l'Astrolabio, rivista diretta da Ferruccio Parri, gli pubblicò in Italia contribuendo a maturargli la decisione di cambiare radicalmente vita ed esplorare il mondo scrivendone. L'esordio nel giornalismo Una borsa di studio offertagli dalla Columbia University di New York per dedicarsi allo studio della lingua e della cultura cinese gli fornì la motivazione e la possibilità di licenziarsi dall'Olivetti (1969) per investire sulla professione giornalistica attrezzandosi di conoscenze sul paese asiatico e sugli esperimenti di nuova e utopistica organizzazione sociale in esso in atto in un'epoca di grandi fermenti e fenomeni politici di ripensamento critico dell'organizzazione occidentale. Dello stesso anno, in agosto, la nascita del suo primogenito Folco. Dopo qualche collaborazione, prima per L'Astrolabio e poi per Il Giorno, Terzani finalmente ebbe l'opportunità, grazie al settimanale tedesco Der Spiegel, di recarsi in Asia come corrispondente. Gli anni da corrispondente Nel marzo del 1971 nacque la figlia Saskia. Terzani, con la moglie ed i due figli piccoli, si trasferì a Singapore. In quegli anni Tiziano ebbe l'opportunità di seguire da molto vicino le fasi decisive della Guerra del Vietnam, esperienza che diede origine ai suoi primi due libri. In seguito collaborò anche con i quotidiani italiani Corriere della Sera e La Repubblica, diventando uno dei più importanti giornalisti italiani a livello internazionale. Terzani è stato un profondo conoscitore dell'Asia, non solo per quanto riguarda le vicende storiche e politiche, ma anche dal punto di vista filosofico e culturale. Ha vissuto a Pechino, Tokyo, Singapore, Hong Kong, Bangkok e Nuova Delhi, che negli ultimi anni aveva eletto come sua seconda casa. Il suo soggiorno a Pechino si concluse quando venne arrestato e "rieducato" per un mese prima di essere espulso dalle autorità cinesi per "attività controrivoluzionarie". Le esperienze di Terzani in Asia sono confluite, oltre che negli articoli per i giornali, anche in numerosi libri, a cominciare da Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973 (1973), che racconta le ultime fasi della guerra del Vietnam, e per finire con il suo ultimo lavoro: Un altro giro di giostra. Tra i libri più interessanti di Terzani si ricorda Un indovino mi disse, cronaca di un viaggio di un anno attraverso numerosi paesi dell'Asia, compiuto senza mai prendere un aereo, per seguire l'avvertimento datogli da un indovino. Nel 1997 a Terzani è stato conferito il "Premio Luigi Barzini all'inviato speciale". Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 diede una sua risposta alle invettive anti-islamiche della scrittrice fiorentina Oriana Fallaci nel libro Lettere contro la guerra. Gli ultimi anni Il libro "Un altro giro di giostra" tratta del suo modo di reagire alla malattia, un tumore all'intestino, viaggiando per il mondo e osservando con lo stesso spirito giornalistico di sempre le tecniche della più moderna medicina occidentale e le medicine alternative; il viaggio più difficile, alla ricerca di una pace interiore, che lo portò ad accettare serenamente la morte. Terzani si ritirò a trascorrere i suoi ultimi giorni ad Orsigna, il rifugio di una vita, sull'Appennino tosco-emiliano (Pistoia), spegnendosi il 28 luglio 2004. La ricerca della verità si spostò dai fatti all'interiorità, portandolo a concepire il giornalismo solo come una fase della sua vita.] Le sue ultime memorie sono registrate in un'intervista televisiva intitolata "Anam, il senzanome" (dove Terzani parla anche della sua scelta etica in favore del vegetarismo) e nel libro postumo La fine è il mio inizio, in cui Terzani riferisce al figlio Folco le proprie riflessioni di tutta una vita. La sua attività di scrittore ricade in buona parte nell'ambito della periegesi, termine con cui si intende quel filone storiografico che, intorno ad un itinerario geografico, raccoglie notizie storiche su popoli, persone e località, verificate, per quanto possibile, dall'esperienza diretta. Terzani non fu molto conosciuto in Italia durante la sua attività giornalistica, poiché la testata per la quale lavorava principalmente era un periodico tedesco, Der Spiegel (anche se scrisse saltuariamente per molte testate italiane tra cui L'Espresso), ma oggi è riconosciuto quale uno dei massimi scrittori italiani di viaggi del XX secolo, appassionato cronista del proprio tempo, entusiasta ricercatore della verità degli avvenimenti, dei suoi protagonisti e degli uomini suoi compagni di viaggio, fisico e spirituale: una mente tra le più lucide, progressiste e non violente di inizio XXI secolo.

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