giovedì 8 novembre 2012

Intervista a Milo Manara.

di Malcom Pagani, per il "Fatto quotidiano". Il responsabile degli umani turbamenti di un vasto serraglio di età, tendenze e inclinazioni balla tra le forme e non si intende di erotismo: "Delle donne, insondabile mistero, so più o meno quel che sanno tutti. Mai pensato di essere una guida o peggio un guru. Ho provato solo a esplorare, a capirci qualcosa". Mentre il tratto corre rapido sul foglio e la curva di Milo Manara seduce l'ambizione della bellezza, c'è più silenzio che rumore: "Mi opprimeva l'idea che un trillo mi sorprendesse all'improvviso, così un telefonino non l'ho mai comprato e latitavo, con grande dispetto di Hugo Pratt, anche ai tempi della Sip". Con la cornetta, come con il riconoscimento del proprio lavoro, i 67 anni del nostro disegnatore più letto al mondo, covano rapporti ondivaghi. "I miei limiti mi sono molto più evidenti degli eventuali risultati".
Non c'è pericolo "di montarsi la testa" dice, anche se torme di fanciulle lo fermano rivelandogli piena identificazione con le sue protagoniste e pergamene e premi occupano le librerie. "È un mestiere molto faticoso, nessuno ti regala niente e, giurano, non allunghi l'esistenza. Forse mi premiano perché tutti gli altri sono già andati via". Se l'artigiano diventato maestro ha smesso di vivere come Corto Maltese e per girare il mondo in barca a vela naviga con l'invenzione, l'uomo sa nascondere il rimpianto. "Oriento la fantasia verso un'altra destinazione. So disegnare. Una fortuna. Ho intenzione di sfruttarla fino in fondo". Verona è in penombra. La luce sul tavolo non brilla di malinconia. Gli anni restringono gli orizzonti? Non ho rinunciato ai sogni, sono loro a essersi allontanati. Irrealizzabili per una banale deduzione anagrafica. La mia aspirazione era attraversare l'Atlantico. Non accadrà. Posso sempre immaginarlo però. Riprodurlo. Viaggiare in un altro modo. Ricorda il principio? Per gioco. Per divertimento. Mamma era maestra, papà segretario comunale. Ero il quarto di 6 fratelli. I soldi pochi. Il disegno significava emancipazione e libertà, anche economica. Cominciai con il fumetto erotico disimpegnato. Nel '68, con 4 o 5 goliardi come me, guadagnavo già abbastanza bene. Quanto? Un milione al mese. Ma da dividere in 5. Non mi ponevo traguardi, né per le storie né per i contenuti. Era un approccio ludico, il mio. Stupido e un po' sventato. Per capire che c'era una potenzialità pressoché illimitata di narrazione c'è voluto tempo. Primi modelli? Crepax e il Forest di Barbarella, ma senza velleità di entrare nei meandri della tecnica fumettistica. Da Barbarella avrei voluto trarre un film prodotto da De Laurentiis. Dino era deciso, sicuro. Oggi non c'è più. Ho ricevuto un messaggio del suo assistente. Parafrasava Manzoni. "Questo film s'ha da fare". E si farà? Direi di no. Manca l'entusiasmo di Dino. La propulsione. Senza la macchina si ferma. Lei era in classe con 16 ragazze. Unico maschio. Ma non ho disegnato ragazze per questo. Tette e culi sono un antico topos, ma di per sé non pulsano alcun fascino. La scintilla dove si nasconde? In un'atmosfera. Il nudo non è sufficiente, a meno che non sia contestualizzato. Oltre ai corpi ci sono un'infinità di dettagli. Senza l'oggetto è simile a un'oscenità nei bagni pubblici. Il porno è a portata di clic. Ma un eccesso di fruizione non corrisponde all'assenza di mistero?
La gente non si parla più. Non si seduce. Non si sfiora. Attraversa la vita a occhi bassi. Vediamo milioni di nudità in azione, ma è un effetto ottico. Pura virtualità. Patrizia Valduga scriveva: "A questo serve il corpo/Mi tocchi o non mi tocchi/mi abbracci o mi allontani/il resto è per i pazzi". L'organo sessuale per antonomàsia, il cervello, è oggi il meno chiamato a partecipare. Un peccato. Un dispiacere. Si appiattisce tutto. Si banalizza. Prevale il fisico. Non l'intelletto. E le conseguenze, anche culturali, sono quelle riservate al pubblico. Quale pubblico? Noi. Eravamo un popolo, siamo diventati comparse tv. L'intervallo tra la pausa pubblicitaria e la realtà. Una ragazza viene uccisa da un mostro? Noi l'accompagniamo in cielo con un applauso in diretta tv. Come se sapessimo esprimere dolore e commozione solo così. Mai disegnato un delitto? Mai. Neanche un amplesso. Riflettendo sull'erotismo, non mi viene in mente nulla di meno interessante di una coppia impegnata nell'atto. Il sesso è noioso anche al cinema? Se escludi America Oggi di Altman, quando Julianne Moore si toglie la gonna, sotto non porta nulla e come se niente fosse si mette a stirare, "Ultimo tango a Parigi", "L'impero dei sensi" o anche la forza della passione repressa di "Taxi driver", gli ultimi 30 anni hanno regalato poco. Frequenta amici? Non me li creo facilmente, ma l'amicizia è molto importante. Noi fumettari di campagna facciamo una vita molto solitaria. In genere, tendo ad avere frequentazioni molto migliori di me. (Ride). Quelli di una vita? Fellini mi chiamò a casa. Lo ammiravo. Lo veneravo. Persi la telefonata. Volevo suicidarmi. Per fortuna ci riprovò. Andavo a Roma a trovarlo. La sua donna ideale? Per Federico era proiezione, rifrazione adolescenziale, compulsione. Nei film evocava le gigantesse del suo inconscio, ma se avesse amato solo la tabaccaia di "Amarcord" la donna creatrice o la culona ipertrofica, non avrebbe scelto Giulietta. Oltre l'archetipo, c'era l'uomo. Insieme facevamo osservazioni da Vitelloni. Grandi camminate. Conversazioni. Commenti molto simili. Poi c'è Pratt. Con lui e Pazienza fondammo una società editrice. C'era una grande differenza di età e pensavamo di approfittarne raggiungendo lettori di ogni fascia. Il primo incontro tra Hugo e Andrea a casa di Pratt non andò bene. Per dimostrare vitalità e marcare la distanza generazionale, Pazienza provò a saltare il divano. Inciampò. Lo sfregiò. Lei ha vissuto ovunque. La mia città preferita è Venezia. L'intensa malinconia, l'acqua che batte i gradini delle case, la sensazione che mettendo una barca di carta nel canale, anni dopo si possa ritrovare alle Fiji. Manara, l'Italia è immersa in un fumetto? Iniziamo a renderci conto di aver solcato un ventennio pazzesco. Non da fumetto, ma da fantascienza. Abbindolati da un imbonitore televisivo. Se ne può fare un libro di disegni? Un film? Una storia di costume, a bassissimo tasso di erotismo. Non perché mi scandalizzi, ma quello di Berlusconi tra una maschera da calciatore e una finta infermiera è un Pantheon da rabbrividire. Una catastrofe estetica da lasciare senza fiato. Però una cosa vorrei dirle. Dica, Manara. Nelle interviste appaio un po' saccente. Il contrario di come sono. Faccia uno sforzo. Se c'è qualcuno che non ha proprio niente da insegnare a nessuno quello sono io.

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