martedì 18 maggio 2010

Il fondo del barile




Le due guerre

- di Concita De Gregorio - da l'Unità





Chi ruba per sé ruba la speranza degli altri. Ruba la capacità di resistere in un mondo di regole, se chi può le viola e deve rispettarle solo chi è più debole, chi non ha amici potenti, chi non conosce scorciatoie o non vuole prenderle, in questo caso un eroe della resistenza civile. Milioni di eroi sconosciuti si ostinano a resistere. A prendere calci in faccia dalle cricche e pagare il conto per loro. Alcuni, disperati, cercano i tetti e le isole. Altri si uccidono in forme sempre più insopportabili per chi resta. Smettiamo di parlare, per un momento: facciamo di conto.

Per una minoranza che ruba c'è una maggioranza che paga. La manovra da 25 miliardi - gli ulteriori sacrifici che ci aspettano, la novità è un prelievo del 10 per cento su scuola e pubblico impiego - corrisponde a poco meno di un decimo del furto: i furbi di tutte le cricche sottraggono allo stato ogni anno 220 miliardi. La corruzione ne ruba 60, l'evasione 160. Sono stime certamente per difetto. Vediamo più da vicino. Una larga fetta dell'evasione riguarda le società di capitali. L'81% circa delle società di capitali italiane dichiara redditi negativi (53%) o meno di 10mila euro (28%). In pratica su 800mila società di capitali l'81% non versa le imposte. Una perdita per l'erario di 18 miliardi l'anno. Per le big company, invece, una su tre ha chiuso il bilancio in perdita e non pagando le tasse. In totale 31 miliardi in meno. 10 miliardi poi è quello che riguarda i lavoratori autonomi e le piccole imprese. Il resto è da ripartire tra economia criminale e lavoro sommerso. Combattere e punire l'evasione. Estirpare dal suo corpo il cancro della corruzione capillare. Un governo capace di far questo non avrebbe bisogno di chiedere altri soldi ai dipendenti pubblici, ai pensionati. Darebbe una speranza di lavoro ai giovani.

I furbi costano agli italiani onesti l'equivalente di dieci manovre economiche. Li prendono a calci in faccia ogni giorno. È una questione di tempo: si tratta di capire se arriverà prima l'agonia o la ribellione. La rabbia cova sotto la cenere.
La madre che si uccide dissanguandosi parlerà per molto tempo a ciascuno di noi. A quelli che vanno a fare la spesa nel capannone fuori Firenze rovistando tra le casse a terra, a chi fa la fila fuori dal negozio di Salerno dove dopo le sette di sera la merce si vende a metà prezzo. Nelle code, fra le casse sta in fila gente che poi torna a casa e dovrebbe educare i figli al rispetto delle libertà e delle regole. Per quanto ancora? Le università sono in rivolta, i ricercatori gridano al mondo il trattamento che viene riservato a chi investe in sapere anzichè in astuzia truffaldina. È una guerra: una guerra civile condotta dai ladri contro gli inermi.

L'altra querra quella delle bombe, continua a fare vittime. Ancora due soldati italiani, visi da ragazzini, tra i feriti una donna. La marcia per la Pace è stata domenica. Sembra retorica: ci hanno convinti che sia solo retorica. Invece no: pretendere la pace, fuori e dentro il paese è l'unica battaglia che abbia senso combattere. Con le armi della politica e della parola, speriamo che non sia già troppo tardi.

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