lunedì 3 maggio 2010

Dove va la sinistra



Quando Comunismo fa rima con Berlusconismo



La Federazione della sinistra è nella bufera. L’uragano “poltroncina” si è abbattuto su di essa. E sinceramente è una novità (ma non una sorpresa) vedere che pezzi di ideologia si scannino, non per nobili motivi, ma per un assessorato. Toh! Il Berlusconismo ha contagiato anche loro. Unanimismo, Centralismo democratico, i contenuti che vengono prima delle persone, appaiono ormai slogan privi di qualsiasi riferimento con la realtà dei fatti. Non ci si affronta sui nodi del programma regionale; il quadrilemma è Vinti, Goracci, Stufara e Mascio. L’oggetto un posto nell’esecutivo. La crisi elettorale si è immediatamente trasformata in crisi politica. Ed è successo proprio in uno dei luoghi, L’Umbria, dove la “resistenza” dei comunisti è stata una delle migliori d’Italia. Non è un caso. E’ avvenuto dove ancora c’è un po’ di “ciccia” da mettere al fuoco. Le ragioni vengono da lontano. Il partito della Rifondazione Comunista, ai suoi esordi, era un progetto, un cantiere aperto che sfidava il “mare aperto”, sconosciuto e navigato senza bussola, degli ex compagni, fuggiti dal marxismo, per non finire sotto le macerie del muro di Berlino. Un progetto che aveva raccolto anche un discreto gruppo dirigente. Il Professor Renato Covino, I Caponi (Padre e figlio), Katia Bellillo, un sindacalista emergente della Cgil come Zuccherini e gran parte dell’ “Intellighenzia” di sinistra”, proveniente dal mitico circolo Carlo Marx, che non era rientrata nel Pci, ma che ha sempre svolto ( e ancora svolge con Microposis) un ruolo di primo piano nelle cose della sinistra umbra. Nonostante alcuni scricchiolii interni le prime elezioni regionali, quelle del 1995, furono un trionfo. Il Prc ottenne l’11%. Non solo, per la prima e unica volta l’area Pci ottenne la maggioranza assoluta. Una cosa che non era riuscita nemmeno al mitico Pietro Conti, che si fermò a 15 consiglieri su 30. Da lì, vicende nazionali e regionali hanno determinato un lento, ma inesorabile declino, fino all’imbarbarimento odierno. E’ stato principalmente l’effetto dell’avvento del “massimalismo socialista” di Bertinotti. Liti, tensioni, scissioni che hanno dato il via ad una interminabile concorrenza tra le varie anime. Concorrenza che, incredibilmente, continua anche oggi su facebook, dove le dispute tra “compagni” viaggiano al suono degli insulti. Piano, piano nel Prc è andata scomparendo l’anima e la cultura del Pci. Ai posti di comando sono saliti esponenti provenienti da Democrazia Proletaria e da altre formazioni di estrema sinistra. Quelli che in modo dispregiativo venivano etichettati come “gruppettari” sono diventati a Roma come a Perugia, il gruppo dirigente del principale partito comunista del paese. La fuga nel Pcdi di gran parte della tradizione non ha cambiato l’esito di un evidente processo di declino. Quello non è stato mai un partito, ma solo un simbolo. I suoi scarsi consensi non sono dovuti alla sua politica o ai suoi dirigenti, ma al fatto che “falce martello e stella su bandiere”, valgono ancora due punti percentuali. La nostalgia ha ancora i suoi fan. L’ingresso della sinistra extraparlamentare nel salotto della politica non ha minimamente inciso sulle politiche del centrosinistra, ma ha inciso sui comportamenti. Piano piano anche il Prc si è adattato alle regole dominanti. La divisione del potere non è stato più un argomento tabù, ma una pratica da incoraggiare. Se andate a riprendere la storia della nostra regione vi accorgerete che le rotture a sinistra, non sono mai avvenute sui provvedimenti adottati, ma su cose come “il riequilibrio” degli incarichi. Una parolina che, nelle scorse legislature, ha spaccato la Giunta Regionale, portando i suoi effetti fino alla Giunta Provinciale di Perugia. Un terremoto che si è concluso non con un cambio di obbiettivi, ma con l’ascesa di Mauro Tippolotti alla Presidenza del Consiglio Regionale. Gli affondi sui contenuti sono stati, appunto, “contenuti”. Con contraddizioni palesi. A Perugia di giorno il Prc permetteva all’esecutivo di richiedere soldi agli inquilini che vivevano nelle zone di edilizia popolare e la notte, andava per condomini ad organizzare la rivolta contro il comune. Stessa cosa per inceneritori o altri argomenti di indubbio valore sociale e politico. Ma tutto questo non ha mai dato esito a clamorose dimissioni o ad uscite dalle Giunte. Segno evidente che la perdita di qualche assessorato aveva un valore maggiore della battaglia politica. E di pari passo con questo atteggiamento è avvenuto anche il cambiamento dei costumi interni. Le battaglie tra esponenti sono diventate la norma e non una eccezione. Goracci contro Caponi, tutti contro Zuccherini, Vinti contro Goracci e Tippolotti, Stufara e Goracci contro Vinti ecc. E, come si evince dai nomi, è maturata anche la cultura dell’inamovibilità dei dirigenti. Salvo rare eccezioni, alcune delle quali anche interessanti per risultati e competenza come Giuliano Granocchia, a contendersi i posti che contano sono, da diversi anni,le stesse persone. E gli elementi legati alla difesa di una presunta rendita di posizione, hanno anche fortemente inciso su tutti i tentativi massi in piedi per cercare di creare un partito “a due cifre” alternativo alla cosiddetta sinistra di Governo (che poi tanto di governo non è visto che sta, per la maggioranza del tempo, all’opposizione). La pretesa egemonica di Rifondazione sulle altre formazioni ed esperienze, la sua chiusura a tutte le novità emergenti, hanno inciso, in larga parte, alla formazione della babele che oggi caratterizza la sinistra italiana. Chiunque, quindi, la spunterà tra Vinti, Goracci e Stufara, non cambierà lo stato delle cose. Il Prc, più che dividersi sulle persone, dovrebbe prendere atto della fine di una esperienza e avviare un processo nuovo. Rinchiudersi nella ridotta di Ferrero all’ultimo congresso è stato un errore “blu”. Eppure questa formazione ha energie, esperienze, competenze e un radicamento territoriale che possono essere utilissimi alla ricostruzione della sinistra. Anzi senza di esse è perfino superfluo parlare di “rifondazione”. Ma non è certo con un segretario che “abbaia alla luna” e con lo spettacolo “umbro” di questi giorni che si prepara una simile svolta. Per far concorrenza al Partito Democratico non si può fare come (o peggio) del Pd. A parità di condizioni “il richiamo della foresta” e la legge del più forte vincono sempre. E continuando di questo passo, senza novità, senza cambi di rotta finiranno presto anche le contese. Perché non ci sarà più niente da contendere.

Nessun commento:

Posta un commento