mercoledì 31 agosto 2011

Il grande vecchio del giornalismo sul caso Penati


Giorgio Bocca: “Il Pd è come il Psi di Craxi”

Il giornalista: "In quanto a onestà la sinistra è la stessa cosa della destra. Bersani non dovrebbe fare un passo indietro, ma buttarsi a mare. Il pericolo, ora, è che questa classe dirigente (tutta) faccia un golpe per evitare la galera"
Due squilli e il ricevitore si alza. Poi non fai nemmeno in tempo a concludere una domanda – sulla questione morale a sinistra – che la risposta è questa: “Ma è la solita storia della corruzione politica: tutti i partiti, in tutte le epoche, quando amministrano hanno bisogno di soldi e li rubano. Nulla di nuovo sotto il sole”. Dall’altra parte, l’accento cuneese di Giorgio Bocca, scrittore e firma di Repubblica e dell’Espresso. Che, con il tono mite di un neo 91enne, aggiunge il seguente siluro: “Soprattutto nulla di nuovo rispetto a Craxi”.

Vede analogie tra il Pd e i tempi d’oro del Psi piglia-tutto?
Macché analogie. Vedo un’assoluta identità.

Perché?
Craxi diceva: i mariuoli ci sono ma i soldi servono ai partiti. L’unica cosa che si capisce da questa vicenda è che la sinistra è la stessa cosa della destra, quanto a onestà.

Ce lo spieghi meglio.
C’è poco da spiegare: rubano tutti. Tutti i politici hanno lo stesso interesse: avere il potere e fare soldi. La via è comune.

Nella sua similitudine tra Pd e Psi non torna solo la lungimiranza. Il partito di Craxi fu annientato dagli scandali. Il Pd vuol fare la stessa fine? Non è vero che la storia insegna?
Historia magistra? Mah. Guardi, le dico questo: alla fine della Guerra io e altri partigiani pensavamo che il Partito socialista avrebbe cambiato il modo di fare politica in Italia. Nel giro di pochi anni tutte le persone per bene e oneste sono state cacciate da quel partito. Dove sono rimasti solo i furbi e i ladri. Vuol farmi dire che la politica è cambiata? Non lo penso.

Non voglio farle dire nulla: le chiedo come può la dirigenza del Pd essere così miope.
Non c’è nessun disegno politico, questa è la cosa grave. C’è l’istinto, in chi fa politica, di usare i mezzi più facili.

Quali sono?
Mettere le mani sul denaro e corrompere. Non mi pare si tratti di altro.
Tangentopoli non è servita.
Vista dal punto di vista di uno storico no. Andiamo ancora più indietro. Che ha fatto Giulio Cesare quando aveva consumato il suo patrimonio? S’è fatto mandare in Spagna, dove ha rubato talmente tanto che è tornato a Roma ricchissimo. Ha armato un esercito e si è impadronito del potere. Le dinamiche sono abbastanza chiare.

Bersani dovrebbe fare un passo indietro, considerando i suoi rapporti stretti con Penati?
Altro che far passi indietro. Dovrebbe fare un tuffo nel mare.

Ci sono stati tempi in cui la politica era diversa?
Forse solo nelle grandi emergenze, durante le guerre, si sono visti politici onesti e disposti anche a farsi fucilare per la libertà. Ma quando la politica diventa amministrazione scade, di solito, a un livello bassissimo. Non conosco oggi un politico che sia stimabile come persona privata. Un uomo come me, che a vent’anni comandava una divisione partigiana, aveva tutte le opportunità di impegnarsi in politica. Ma ho capito immediatamente che era un rischio da non correre. E non me ne sono pentito. Mai.

Così non c’è scampo.
Come si fa a sperare? Io non vedo segni di cambiamento.

Non dappertutto è così. Nella maggior parte dei Paesi a regime democratico l’etica pubblica è un valore.
Dove si sono stabilite – almeno in minima parte – le regole del gioco, il codice viene rispettato. Noi le avevamo stabilite, ma le abbiamo anche mandate all’aria. Dopo la guerra partigiana e la Liberazione dell’Italia, l’onestà è stata, per quasi mezzo secolo, un valore condiviso. Allora i partiti rubavano, ma lo facevano con cautela e vergognandosene quando venivano scoperti. Ora si ruba senza nemmeno vergogna.

È una questione statistica. Essere indagati o imputati, per i politici, fa quasi curriculum…
Sì, è un metodo. Un sistema: lo diceva oggi (ieri, ndr) nel suo articolo sul Fatto Nando Dalla Chiesa, una persona che stimo, come del resto stimavo molto suo padre. Però anche lui non scrive a chiare lettere: lì c’è gente che ruba. Con i nomi e i cognomi.
Siamo ancora nella fase delle indagini preliminari. Diventa un reato fare certe affermazioni prima dei processi.
Sì, ma mi ha stupito il tono di Dalla Chiesa, troppo leggero. Oggi è impossibile dire a un politico che ha rubato “hai rubato”. Ma allora cos’è questo giro di affari, soldi, tangenti?
Bersani, all’alba della vicenda Penati, minacciò querele a destra e a manca.
È vero, infatti mi sono ben guardato dallo scrivere articoli sull’argomento. Le querele volano e i giornali nemmeno ti sostengono. Un tempo mi sarei lanciato nella discussione, stavolta non l’ho fatto anche con un senso di paura.
Al di là dell’opportunità, secondo lei dire “faremo una class action contro i giornalisti” è un discorso politico?

La classe politica rivendica il diritto di far paura alla stampa.
Più che politica è arroganza.
I potenti dicono: state zitti perché comandiamo noi.
Non sono comportamenti molto diversi da quelli dei partiti di governo.
Berlusconi è più moderno, ha capito che con il denaro si risolve tutto. La sua calma si legge così: io li compro e tanti saluti. Gli altri, semplicemente, non hanno abbastanza soldi. E hanno delle preoccupazioni d’immagine. Ma come fa Penati a difendersi?


I democratici si sentono – e si professano – molto diversi dal centrodestra.

Certo che si dicono diversi. Lo fanno perché agli occhi della pubblica opinione non vogliono apparire uguali agli altri. Uguali ai ladri.

Vede pericoli?
L’unico pericolo è che questa intera classe dirigente, per non andare in galera, faccia un golpe.

Un loro azzeramento no?
Proveranno a tirare avanti, come han fatto fino a ora. Chi ha i soldi se la cava. Cesare è ricordato come uno dei più grandi uomini politici della romanità ed era uno che confessava candidamente di aver rubato. Però potrebbe arrivare anche un moto d’ira popolare che li manda tutti a casa. Mi trovo di fronte a un’umanità incomprensibile. Un politico che ruba, sa di essere al di fuori dell’etica. Eppure lo fa. Io veramente non li capisco.

Crede che la prudenza dei vertici del partito sulla questione Penati vanificherà il successo delle amministrative e dei referendum?
Mi pare che ci sia un fraintendimento su questo nuovo interessamento alla politica. Lo scambiamo per un cambiamento morale. Ma è più che altro una moda.

Ha compiuto 91 anni tre giorni fa…
… quindi posso dire tutto, anche le sciocchezze?

No, le chiedevo cosa direbbe a un ragazzo italiano di vent’anni.
Gli direi: “Non rubare”. Si vive meglio da onesti. L’onestà è l’unica riserva per sopportare questa vita terrena, che è piena di insidie e porcherie.

Evangelico.
Certo. Sono sempre più cattolico.

domenica 28 agosto 2011

Prove generali di calamità a Manhattan: la grande bufala

Irene: tutto qui? (Tanto meglio!)

di Federico Rampini, da La Repubblica

Popolo scettico e scafato, la tribù metropolitana di Manhattan comincia a chiedersi se l’allarme dei giorni scorsi non fosse esagerato. Ora (alle 11.00 locali) i meteorologi ci dicono che Irene sta già lasciandoci, quanto meno per la parte più potente del suo impatto che già si dirige più a Nord, verso Boston. Pare che nelle prossime ore ci sarà vento molto forte (con i relativi pericoli: cadute di alberi ecc.), ma la pioggia dovrebbe diminuire d’intensità. Finora, e salvo colpi di coda, è stata meno tremenda la congiunzione fra le alte maree e l’acqua alta indotta dai venti di Irene.

Naturalmente le tv si guarderanno bene dall’annunciare “finita la grande bufala”, dopo che su questa presunta Apocalisse hanno investito mezzi quasi analoghi alla copertura di un’elezione presidenziale. Ma tra la gente di Manhattan, e qualche commentatore disincantato, comincia a serpeggiare il dubbio: era proprio il caso di paralizzare una città di 8,5 milioni di persone, chiudendo metrò ferrovie aeroporti? Alla fine l’Armageddon-Irene avrà fatto meno vittime di un weekend di controesodo sulle strade italiane? Una risposta possibile è questa: proprio l’allarme è servito a minimizzare il bilancio delle vittime. Il modo migliore per ridurre i rischi è costringere la gente a starsene tappata in casa. Ex post tutti possono accusare il sindaco Bloomberg di avere esagerato, ma bastava che ci fossero una dozzina di morti a Manhattan e ora i titoli sarebbero “la strage di New York”.

C’è anche una tendenza ad essere un po’ troppo Manhattan-centrici. La Grande Mela, anche per il fatto di essere la sede di tutti i maggiori network televisivi d’America, si considera l’ombelico del mondo. Passa così in secondo piano l’impatto delle inondazioni nei “boroughs” vicini (che fanno pur sempre parte di New York), o il fatto che già 3 milioni di americani sono senza luce. Perfino i disagi della capitale federale, Washington, non fanno quasi notizia benché vari quartieri siano piombati in un blackout che rischia di durare a lungo.

giovedì 25 agosto 2011

Losing Jobs

di Piergiorgio Odifreddi, da La Repubblica

Steve Jobs si è dimesso da amministratore delegato della Apple. Sembra, dunque, che stia perdendo la battaglia contro il male che lo sta divorando da tempo, e che l’ha reso ormai quasi evanescente come un fantasma, soprattutto se paragonato al florido ragazzo che era quando ha dato inizio all’avventura dei computer user friendly.

Interessante paragonare la sua carriera con quella parallela dell’altro enfant prodige dell’informatica, Bill Gates. Naturalmente, nessuno dei due è responsabile nè dell’invenzione del computer, nè dello sviluppo della sua tecnologia di base. Siamo dunque lontani anni luce dai contributi cruciali di Charles Babbage, Alan Turing e John von Neumann, tanto per limitarci alla Santissima Trinità.

Volendo mantenere la metafora profana, Gates e Jobs sono però i Pietro e Paolo della diffusione del vangelo del computer. Cioè, gli uomini del marketing, che hanno provveduto a diffondere il verbo informatico tra le genti, incarnato nel silicio invece che nelle valvole.

Agli inizi, Gates predicava il vangelo canonico dei fondatori, quello della programmazione e dei sistemi operativi. Il suo colpo di genio, come racconta lui stesso nella sua autobiografia La strada che porta a domani, fu di comprare (non di sviluppare!) l’ormai storico Dos, e di regalarlo all’Ibm, senza permetterle però l’esclusiva. L’adozione del Dos da parte dell’Ibm, e la costruzione dei cloni che potevano utilizzarlo grazie all’uso pubblico, ruppe il monopolio del colosso e diede inizio alla rivoluzione dell’informatica prêt-à-porter.

Jobs tradì la vocazione iniziale dell’informatica, di essere una religione per il solo popolo eletto in grado di programmare, e la diffuse tra i gentili: cioè, tra la gente comune, che non voleva saperne della te(cn)ologia. La teoria sparì dietro le icone, e rimase soltanto la pratica: come le vecchiette russe che pregano di fronte alle immagini di Andrei Rublev, completamente ignare dei dogmi che queste occultano, così i giovanotti occidentali si sono convertiti alla nuova religione, completamente ignari di cosa sia l’informatica. Come d’altronde, già era successo per le auto e la meccanica.

Analogamente all’originale evangelico, anche nel remake informatico ad avere la meglio è stato appunto Paolo-Jobs. E Pietro-Gates ha da tempo dovuto riconoscerne la vittoria e adattare la sua visione a quella dell’amico-rivale. Oggi il frontedi conversione della tecnologia digitale passa per l’Iphone, l’Ipod e l’Ipad, in attesa dei prossimi Iped, Ipud e Ipid: cioè, per i prodotti Apple, alla cui filosofia si è da tempo convertita anche la tecnologia Microsoft.

La consolazione per Gates è che tutti questi aggeggi ci portano sempre più avanti lungo La strada che porta a domani tracciata nel suo libro. Verso l’ormai prossima meta, cioè, di un’unica macchina versatile, portatile e in grado non soltanto di calcolare, ma di riunire in sè tutti i possibili flussi di informazione digitalizzabile (telefono, giradischi, radio, televisione, macchina fotografica, videocamera e, naturalmente, computer).

Che Jobs pssa riuscire a vedere realizzato l’obiettivo finale, alla cui realizzazione ha tanto contribuito.

I Kaimani del mondo


Strauss-Kahn, l’uomo “alfa”

di Lidia Ravera

Ho scritto che Dsk si era servito del corpo di una cameriera non diversamente da come aveva appena fatto con i sanitari, nel bagno della sua suite. Non ho cambiato opinione. I segni lasciati sul sesso di Nafissatou Diallo, i riscontri clinici, sommati all’attitudine violenta dell’aggressore, testimoniata da precedenti denunce, mi sembravano e mi sembrano più che sufficienti per una condanna.

Non alla gogna mediatica o all’ergastolo o all’evirazione chimica (non credo nelle punizioni esemplari), ma a un equo conteggio dei danni: pagare e sparire. Una punizione pedagogica: non si è mai né troppo vecchi né troppo ricchi per imparare una lezione elementare come quella del rispetto verso un altro essere umano. Una punizione terapeutica: per quanto di malato c’è negli uomini che non possono fare a meno di saltare addosso a una donna, quando “gli tira” (chi c’è c’è, basta che cammini).

Invece no: zero punizione. La sentenza di assoluzione va letta così: se da una parte c’è un maschio alfa, ma veramente alfa, non te lo metti contro, per riconoscere i diritti di una femmina omega. Cane non mangia cane. Se fai parte dell’élite ti scatta lo spirito di clan, se non ne fai ancora parte, premi per entrarci. Che te ne frega di una “serva negra” (l’ho sentito con le mie orecchie, in un bar di Roma, a maggio) che non è neanche così furba da recitare il ruolo della vittima come sta scritto nel copione del populismo?


Avrebbe dovuto essere casta e incensurata, in regola col permesso di soggiorno e magari bellissima. La nipote prediletta dello zio Tom. Invece è come sono spesso le vittime: fragile, ricattabile, sporcata da una vita difficile. Più facile fare il tifo per il colpevole. Così cool, così smart, così elegante. Certo che tornerà a fare politica. Aver offeso una donna, averla violentata ridicolizzata e distrutta, è mai stato considerato un buon motivo per non votare un uomo?

Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2011

mercoledì 24 agosto 2011

Steiner ci conforta


Dobbiamo sradicare dall’anima tutta la paura e il timore che il futuro può portare all’uomo.
Dobbiamo acquisire serenità in tutti i sentimenti verso il futuro.
Dobbiamo vivere con assoluta equanimità e dobbiamo pensare che tutto ciò che verrà ci sarà dato da una direzione del mondo piena di sapienza.
Questo è parte di ciò che dobbiamo imparare in quest’era, e saper vivere con assoluta fiducia senza nessuna certezza nell’esistenza, fiducia nell’aiuto sempre presente del mondo spirituale.
In verità nulla avrà valore, se ci manca il coraggio.
Discipliniamo la nostra volontà e cerchiamo il risveglio interiore tutte le mattine e le notti.


Rudolf Steiner

Un progetto per la sinistra?





CRESCITA E DECRESCITA

Fonte: Paolo Cacciari - il manifesto | 07 Agosto 2011

Fa una certa impressione leggere i patti multilaterali, gli appelli bipartisan alla coesione nazionale in nome della crescita, invocata come se fosse la Madonna miracolosa. Ma di cosa parlano? Scrivono i ricercatori del Wuppertal Insitute (Futuro sostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa, a cura di Wolgang Sachs e Marco Morosini, Ed. Ambiente, 2011): «Da tre decenni i politici cercano inutilmente di combattere la disoccupazione attraverso una crescita economica forzata. Ma se la produttività del lavoro aumenterà, come ha fatto finora, del 1,5-2% all'anno, il Pil dovrebbe aumentare del 3 o 4% all'anno o anche di più nel lungo periodo per eliminare davvero la disoccupazione. Puntare a tassi di crescita del genere è vano». E stiamo parlando della Germania, della "locomotiva" dell'Europa, del "modello" di economia. Dal 1970 al 2005 la produttività del lavoro è aumentata del 2,5%, il Pil è più che raddoppiato, ma le ore lavorate sono diminuite dell'86%. Insomma, nei paesi a capitalismo maturo, i posti di lavoro diventano più produttivi e diminuiscono di numero: jobless growth.
Le ragioni di questa divaricazione, di questo divorzio tra crescita e benessere, sono molte: la delocalizzazione delle produzioni industriali di massa, l'allargamento dei sistemi di mercato in nuove aree geografiche e settori produttivi, la finanziarizzazione dell'economia con i tassi di rendimento esorbitanti pretesi dai possessori di titoli di credito, altro ancora. Ma è certo che inseguire questa crescita è un vero suicidio per le società occidentali. Senza contare il fatto che questa crescita economica si porta dietro un carico ambientale semplicemente insostenibile. Serve ricordare le guerre commerciali (e non solo) in corso per l'accaparramento delle materie prime, delle utilities, del suolo fertile, dei genomi, di internet e di quanti altri beni comuni ancora rimangono da saccheggiare? Per quanta droga finanziaria si possa immettere, la cosiddetta "economia reale" europea, quella fatta di merci vendibili e di lavoro vivo remunerato, non riuscirà mai a tenere il passo nella guerra competitiva senza confini e senza regole che si chiama concorrenza intercapitalistica internazionale, dove 500 società di capitale controllano il 52% del Prodotto lordo mondiale, dove una microscopica casta di cosmocrati stile Marchionne ha il potere di determinare le politiche industriali degli stati nazionali.
Difficile pensare che la crisi di un sistema si possa risolvere perseverando nelle stesse logiche che l'hanno determinata. Un altro che se ne intende, Tim Jackson, a capo di uno staff di consulenti del governo britannico (Prosperità senza crescita. Economie per il pianeta reale, Ed. Ambiente, 2011) ha scritto: «Sono state le politiche attuate per stimolare la crescita a portare l'economia al tracollo».
Sarebbe forse giunto il momento di mettere in dubbio l'imperativo della crescita. Le alternative esistono, ma sono quelle non scritte nel "patto sociale": redistribuire il lavoro attraverso una diminuzione degli orari (in Germania lo chiamano «tempo pieno breve per tutti» o «società a mezza giornata») e l'introduzione di nuovi modelli di reddito (reddito di base garantito con valorizzazione del lavoro non retribuito per attività di cura per la famiglia, la natura, la società); nuova fiscalità puntando su tasse ecologiche (carbon tax) e socialmente eque (Tobin tax); economia solare (conversione ecologica dell'industria secondo i modelli della Blue economy, a zero emissioni). Insomma è necessario «disaccoppiare» (come dicono gli economisti) il benessere, lo star bene, da quanto il mercato ti può dare. Per uscire davvero dalla crisi dovremmo far recedere il mercato aumentando gli spazi anche economici di autonomia da esso. Sottrarre beni e servizi comuni (l'acqua è solo il primo esempio, quanti altri sarebbero possibili?) dagli artigli della "messa a valore" di ogni cosa e di ogni relazione sociale. Insomma servirebbe un progetto per la sinistra.

martedì 23 agosto 2011

Incognita Libia


Mustafa Abdel Jalil, capo del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT)

Capitribù, jihadisti e voltagabbana. La rissosa armata dei nuovi padroni



Opposizione divisa su tutto: a succedere al raiss sarà chi ha saputo tradire al momento giusto

MIMMO CÁNDITO, da La Stampa

DAL CONFINE TUNISINO
Scrutata nel buio di questo polveroso, e inquieto, posto di frontiera, con la Tunisia dolce e morbida che si allontana alle spalle, e di fronte lo spazio aperto della Libia, le montagne ruvide del Jebel Nafusa a destra e, poi, il pianoro, fin laggiù dove si allunga il deserto vuoto di Sebha perduto dentro l’oscurità della notte che scende rapida, la geografia di questa Libia sfasciata assomiglia drammaticamente alla storia politica che l’attende, ora che Gheddafi è una pagina amara del passato. Vallate aperte e verdi, pianure che occhieggiano il mare, il deserto infinito giù a Sud, e monti, alti e aspri come i berberi che li abitano, tutto segna l’orografia di una complessità e di una contraddizione che - nel dopo Gheddafi segnerà indecisa, e probabilmente caotica, la costruzione di un Paese, il Nation Building, nel quale si sono sempre affossati i progetti e le speranze dell’Occidente, quando hanno voluto ficcare il naso in faccende che spettavano ad altri popoli.

È un «naso» che questa volta non è arrivato fino a calpestare con gli stivali il terreno di combattimento, anche se i bombardamenti della Nato sono stati nettamente lo strumento con il quale si è squinternata la macchina repressiva del regime e la sua armata di giannizzeri e di mercenari. Tuttavia, ora che si tratta di fare i conti con il futuro, si accende l’inquietudine di come impedire che questo futuro sia un altro dei teatri di destabilizzazione nei quali pare inevitabilmente precipitare il mondo, dopo il crollo delle Torri, giusto dieci anni fa.

E la più forte delle inquietudini è certamente il ruolo che probabilmente giocherà nei nuovi equilibri il fondamentalismo islamico. Gheddafi aveva voluto una Libia laica, dove lo spazio della religione e gli ipersensibili processi di autoidentificazione che accompagnano l’Islam nella quotidianità delle società musulmane erano stati tenuti sotto rigido controllo, con quella stessa, feroce, indifferenza repressiva che il Colonnello riservava a tutte le forme di opposizione possibile. Era stato, il suo, un lavoro metodico, e niente affatto facile, ricordando che a Derna, nella Cirenaica che sta dall’altra parte di questa frontiera, sul confine egiziano, sorgeva uno dei centri religiosi più rigidamente integralisti dell’intero Maghreb (è da Derna che arrivavano quasi tutti i libici che Al Qaeda ha impegnato nelle sue operazioni in Afghanistan e nel Golfo, e anzi i terroristi libici costituivano - rispetto alle ridotte dimensioni demografiche della Libia - la componente nazionale più numerosa).

Molti di questi jihadisti sono stati ammazzati nelle guerre dove lavoravano, ma molti sono tuttora vivi e sono anche rientrati in patria. Quale sarà il loro ruolo nel Nation Building nessuno, tuttora, può dirlo: ma certamente conteranno, e anche molto, se la Cia fin dall’inizio della sollevazione di Bengasi, in un febbraio che oggi appare lontano quanto un anno luce, esortava il dipartimento di Stato e la signora Clinton, a usare molta, molta cautela nel riconoscere la legittimità politica del nuovo governo insorto, il Cnt.

E ai jihadisti si attribuisce anche, da qualcuno, la responsabilità dell’assassinio del generale Younis, comandante generale delle forze armate ribelli, fatto fuori più o meno misteriosamente qualche settimana fa, per via di una possibile vendetta consumata a causa del ruolo che egli aveva avuto nella repressione del fondamentalismo religioso, quando era ancora compagno di merenda di Gheddafi. Altri attribuiscono questa vendetta a uomini appartenenti a clan e tribù che furono duramente repressi da Younis, allora ministro degli Interni del Colonnello.

L’una spiegazione può valere l’altra. Ma ciò che è certo è che il Nation Building dovrà inevitabilmente misurarsi con una catena sanguinosa di vendette che la vittoria legittimerà contro quanti avevano goduto di potere e di forza, e di violenza, nel regime che è appena finito. Sarà difficile districarsi da questa catena, consapevoli tutti che più della metà dei componenti del Cnt trionfatore è fatto comunque di uomini che nel vecchio regime avevano onori e responsabilità ufficiali (lo stesso leader Jalil era ministro della Giustizia di Gheddafi, nel momento in cui ha abbandonato il Colonnello ed è passato con gli insorti).

Questi «disertori» si spalleggeranno a vicenda avendo tutti un passato comune poco commendevole. Ma tra di loro si incuneerà anche l’identità tribale, cioè l’appartenenza a famiglie e clan che hanno una lunga storia identitaria nella vita delle terre che hanno fatto la Libia (la Cirenaica a Est, la Tripolitania a Ovest il Fezzan a Sud). L’identità tribale comporta il riconoscimento e il forte valore connotativo dell’appartenenza che è un fattore che la realtà metropolitana tende a diluire ma che conserva tuttora una sua forte qualità solidaristica nella Libia allo sbando dell’oggi post-gheddafiano.

Terza incognita dunque di questo Nation Building assegnato ai vincitori è il valore dell’appartenenza, che è poi uno dei fattori che hanno deciso la sconfitta finale di Gheddafi, per il ruolo assunto dalle tribù ribelli del Jebel quando hanno deciso di rompere ogni relazione con il Colonnello e cedere alle sollecitazioni e agli impegni che arrivavano dagli emissari clandestini dell’Occidente. Resta infine la componente liberale di questo complesso, contraddittorio, confuso, e forse anche inquietante, nuovo governo libico. Sono, queste, figure che hanno vissuto all’interno del regime, in una condizione di quieta accettazione, senza identificarsi troppo e però anche senza mai prendere le distanze.

Questa componente è la più vicina alla cultura europea, ed è stata ampiamente influenzata dai ripetuti contatti con l’Occidente, soprattutto con l’Italia. Per tutti loro vale quanto mi diceva qualche mese fa a Bengasi il professor Gerber, costituzionalista dell’università di Tripoli e anche docente all’università di Tor Vergata a Roma: «Abbiamo preparato il progetto per la nuova carta costituzionale. Il primo punto riconosce l’eguaglianza di tutti, senza distinzioni di sesso, di razza, o di religione. C’è stato un lungo e aspro dibattito tra i 21 membri della mia commissione. Ho avuto qualche difficoltà a farlo approvare; spero che verrà mantenuto nel documento finale della nostra Costituzione». E guarda fuori dalla finestra, verso il verde delle terre della Cirenaica. Ma la Libia ha una orografia complessa, come vedo da questo confuso posto di frontiera perduto nel buio della notte.

La mitica Yvonne


Continua la fuga della mucca Yvonne scappata a maggio da una piccola fattoria in Germania. La ricerca del bovino bavarese amante della libertà ha ammaliato i tedeschi, che seguono la vicenda con passione. Da maggio Yvonne riesce a nascondersi con successo nelle foreste del sud della Germania e ogni tentativo di catturarla è finora andato in fumo.

Diversi residenti locali hanno detto di averla vista più volte, ma quando le squadre impegnate a cercarla si recano sul luogo dell'avvistamento il bovino marrone e bianco è già scomparso. Probabilmente la mucca non avrebbe mai conquistato le prime pagine dei giornali nazionali se non fosse stato per un incidente sventato. A pochi giorni dalla fuga, infatti, una macchina della polizia ha rischiato di investirla su una stradina di campagna.

A mali estremi, estremi rimedi: falliti miseramente l'amore materno e l'affetto sororale per catturare Yvonne, la mucca bavarese in fuga da due mesi, è sceso in campo il toro Ernst. Come riporta il quotidiano tedesco Bild, la sorella Waltraut e il tenero - ma evidentemente non abbastanza - vitellino Waldi non sono riusciti ad attirare la Primula Rossa fuori dalla foresta bavarese in cui si nasconde, ragion per cui gli animalisti hanno deciso di passare alla metaforica artiglieria pesante prima che i cacciatori assoldati dalle autorità arrivino per primi con quella vera.

A dire il vero, una visita di cortesia alla sorella Yvonne l'ha pure fatta, ma nottetempo e lontana da occhi indiscreti: da quando ha scelto la strada della libertà infatti la mucca fuggiasca pascola leopardianamente sotto le stelle e si nasconde di giorno. Quanto ad Ernst, il suo allevatore - che, dovesse la storia d'amore andare a buon fine, si è offerto di adottare anche la mucca - lo descrive come «serio e tranquillo», qualità che difficilmente si immagina possano attrarre un bovino dedito ormai all'Avventura: a meno che Yvonne che non riesca a reclutare anche lui. 22 agosto 2011

lunedì 22 agosto 2011

Contromanovre


dal sito di Beppe Grillo

In un Paese dove l'evasione è congenita e premiata, la corruzione è spesso il secondo abito dei partiti e dell'amministrazione e gli sprechi una costante, indicare i tagli è relativamente semplice. Lo sviluppo è invece, molto più complicato. Tagliare è necessario, ma bisogna avere un'idea di futuro (oltre che riformare profondamente lo Stato). L'Italia deve ripartire. E' chiaro cosa non è sviluppo. Non lo è l'economia del cemento, delle automobili, della finanza speculativa e della distruzione dell'ambiente, dei flussi migratori incontrollati.
L'Italia deve ripartire, c'è riuscita altre volte nella Storia, con i Comuni, il Rinascimento e la parte più nobile del Risorgimento. Bisogna sognare, ma anche essere molto pratici. Non c'è più tempo e la classe politica è totalmente incapace di proposte, è un'accozzaglia di vecchi parassiti con il contorno di qualche ex giovanotto vanaglorioso. Merce avariata per il nostro futuro.
Qualche modesta proposta:
- il marchio Made in Italy deve essere utilizzato solo dalle aziende che producono in Italia, il marchio vale spesso quanto il prodotto, oltre ai capitali devono rientrare gli stipendi dei lavoratori
- le aziende che producono utili e li reinvestono in ricerca e sviluppo devono essere detassate
- i finanziamenti europei, pari a 9 miliardi di euro annui, ma che potrebbero salire a 13 se fossimo più efficienti nel predisporre i progetti da presentare, vanno investiti in società esistenti e start up votate alle nuove tecnologie in modo trasparente e dopo una discussione parlamentare
- i 22 miliardi della Tav in Val di Susa vanno destinati alla Ricerca Universitaria
- i 6 miliardi della Gronda di Genova vanno destinati all'eliminazione del Digital Divide e alla diffusione della Rete
- i 4 miliardi del Ponte di Messina vanno destinati allo sviluppo della Cultura, valorizzando i musei e i luoghi storici e d'arte
- la dorsale telefonica, oggi gestita da Telecom, deve essere resa disponibile da un ente terzo a qualunque azienda offra servizi attraverso la Rete
- la tassa CIP6 va erogata integralmente al finanziamento delle aziende di energie rinnovabili, non più a inceneritori e agli scarti delle imprese petrolifere
- incentivazione agricoltura nazionale, in particolare prodotti a km zero, con l'obiettivo di rendere l'Italia autosufficiente dal punto di vista alimentare
- la distruzione dell'ambiente, dal capannone industriale abusivo all'inquinamento dei corsi d'acqua. deve diventare un reato contro il patrimonio comune, ogni (pesante) sanzione dovrà andare in un fondo apposito per lo sviluppo del Turismo.
Aspetto le vostre indicazioni, non vedo l'ora di leggerle!

Dateci un Buffet pure in Italia


Warren Buffett sulla crisi: “Quant’è? Pago io”

Fonte: Saverio Raimondo, comico, da "il Fatto Quotidiano"

Warren Buffett non ci sta. Dopo che una ricerca Usa ha dimostrato come i ricchi siano più egoisti e insensibili, il miliardario di Omaha ha prima scritto sul New York Times chiedendo di poter pagare più tasse perché “è giusto tassare di più i super ricchi”; poi, qualche ora fa, si è presentato alla Banca Mondiale chiedendo il conto della crisi: “Quant’è? Offro io”.

Gli impiegati, presi alla sprovvista, hanno prima tergiversato (“si figuri, offre la casa” ); poi, quando hanno capito che Buffet faceva sul serio, gli hanno presentato il conto del debito mondiale: circa 1 trilione di dollari. Buffett, dopo essersi frugato un po’ nelle tasche, ha chiesto di poter pagare con la carta.

Il gesto filantropico di Buffett, che con una strisciata ha risollevato le Borse e pareggiato i bilanci mondiali, ha gettato però nel panico gli altri ricchi, che si sentono scavalcati dall’imprenditore americano; ma che soprattutto temono rappresaglie nei confronti del loro egoismo.

In Italia, due su tutti: Berlusconi e Montezemolo. Il premier si è giustificato di non aver fatto altrettanto dando la colpa alla sentenza Mondadori: “Quest’anno ho già dovuto pagare 560 milioni a De Benedetti, e manco c’ho fatto il bunga bunga”.

Luca Cordero di Montezemolo, invece, che prepara in silenzio la sua discesa in politica (“devo fare piano, altrimenti gli elettori se ne accorgono” ), in una intervista sul Corriere della Sera liquida il gesto del collega americano come “un’americanata. Buffett è solo un coatto.” “Sì, certo che avrei potuto pagare anch’io la crisi - continua - ma non volevo mortificare chi non se lo può permettere” ha infine dichiarato LdM, prima di sgommare via sulla sua Ferrari.

IL SOCIALISMO PER I RICCHI


La Fed: per salvare le banche Usa furono impiegati 1200 miliardi di dollari

I numeri forniti da Bloomberg News in base al Fredoom of Information Act. Morgan Stanley avrebbe ricevuto 107,3 miliardi di dollari, Citigroup 99,5 e Bank of America 91,4 miliardi di dollari. Soldi e tanti anche alla Royal Bank of Scotland e alla svizzera Ubs


Fonte: La Repubblica

NEW YORK - Nel 2006, con i prezzi immobiliari che raggiungevano il loro apice, Citigroup e Bank of America erano le regine incontrastate del settore finanziario statunitense. Complessivamente, le dieci più grandi istituzioni finanziarie americane riportavano utili per 104 miliardi di dollari. Due anni dopo, il collasso del mercato immobiliare obbligava queste stesse istituzioni a prendere in prestito 669 miliardi di dollari dalla Federal reserve, una cifra che finora era rimasta segreta. Stando a Bloomberg news, il salvataggio del sistema finanziario da parte del presidente della Banca centrale americana Ben Bernanke sarebbe costato agli stati uniti oltre 1.200 Miliardi di dollari.

Secondo i dati ottenuti dall'azienda di notizie fondata dal sindaco di New York, Michael Bloomberg, in base al Freedom of information act (legge sulla libertà d'informazione), Morgan Stanley avrebbe ricevuto 107,3 miliardi di dollari, Citigroup 99,5 e Bank of America 91,4 miliardi di dollari. Ma ad avere beneficiato dei prestiti non sono state solo istituzioni finanziarie americane, ma anche europee. Almeno metà delle 30 più grandi istituzioni ad aver ricevuto fondi sarebbero, infatti, europee. Secondo Bloomberg, la Royal Bank of Scotland avrebbe incassato 84,5 miliardi di dollari mentre la svizzera Ubs 77,2 miliardi.

L'importo dei prestiti erogati dalla Federal reserve a dicembre 2008 in base ai suoi sette distinti programmi di sostegno all'economia, ammontava a 1.200 miliardi di dollari. Ovvero, tre volte le dimensioni del budget federale per quell'anno. Per fare un paragone, il Tarp (maxipiano di salvataggio del settore bancario americano approvato dal Congresso) aveva un valore totale pari a 700 miliardi di dollari.

"Abbiamo concepito i nostri programmi d'emergenza per arginare la crisi e ridurre il rischio finanziario del contribuente americano", ha spiegato il vice direttore della divisione affari monetari della Banca centrale americana, James Clouse, che ha voluto sottolineare come "quasi tutti i nostri programmi sono stati terminati. Finora non abbiamo riportato perdite e non ce ne aspettiamo in futuro". Bloomberg stima che i 1.200 miliardi di dollari erogati dalla Banca centrale americana sarebbero stati sufficienti ad estinguere tutti i 6,5 milioni di mutui americani relativi ad immobili il cui valore è inferiore all'importo del prestito.

Quando non si è Dini


"Ho 62 anni: tanta esperienza, tanta capacità, ma nessun lavoro. Mesi fa ho chiesto la licenza di accattonaggio al mio comune: la richiesta non è stata protocollata perché considerata una "battuta". Oggi faccio il "direttore commerciale" part time per una piccola ditta che mi rimborsa solo con una cifra simbolica i miei spostamenti. Comunque faccio l'impossibile per cercare di aumentare significativamente il loro fatturato, nel qual caso, forse, verrò inquadrato. Intanto sono stato confermato fino a dicembre, alle stesse misere condizioni. Ovviamente ad agosto verrò "pagato" la metà della cifra già simbolica perché l'azienda ha chiuso 15 giorni per ferie. Meglio di niente. E vado avanti in attesa che le banche creditrici mi tolgano la casa, con l'impossibilità di riscuotere i miei crediti (che superano i miei debiti!) grazie a leggi assurde che permettono a filibustieri e banditi commerciali di rovinare aziende fondamentalmente sane ed attive. Il tempo passa nell'attesa e la speranza di arrivare a 66,5 anni, quando riuscirò a riscuotere la mia pensione pagata con decine e decine di milioni di lire di contributi versati dal 1972 al 2009. Ovviamente se non muoio prima! Tanti auguri a chi è nella mia stessa situazione. Non mi resta che resistere, cosa che invito a fare a tutti gli imprenditori d'Italia." Roberto A., Massa Martana

A proposito di Dini, di riforme e di pensioni



Lui che ha fatto la riforma delle pensioni percepisce 27.000 euro al mese


Ha esordito a destra (era il 1994), ha girato tutti gli scranni dell’emiciclo (prima con Romano Prodi e poi con Berlusconi) per approdare nuovamente, nel 2008, nel suo porto naturale, il Pdl. Ex presidente del Consiglio, ed ex ministro degli Esteri e del Tesoro, ex tutto, Lamberto Dini, classe 1931, siede in Parlamento da 15 anni. Dini è passato alla storia per aver avviato la fase dell’austerità previdenziale. E’ sua, infatti, la riforma previdenziale del 1995 che introduce il sistema di calcolo contributivo (che decurta le pensioni fino al 50%) condannando intere generazioni di lavoratori ad un futuro senza pensione (o con pensioni da fame). Eppure Dini è riuscito ad assicurarsi una pensione Inps da 13.288.250 lire al mese, cioè quasi 7 mila euro mensili odierni, e una da Banca d’Italia da 36.752.479 lire al mese, oltre 18 mila euro odierni. Entrambe per 13 mensilità. si tratta di circa 27 mila euro al mese, l’equivalente di quanto percepiscono in media 54 pensionati. A cui va aggiunta l’indennità da senatore alla faccia del divieto di cumulo. Nel 1994 dichiarava: «Da una parte c’è il mantenimento dei benefici per le generazioni più anziane, dall’altra quello di garantire costi sostenibili per le generazioni più giovani». Costi sostenibili: 27.000 euro al mese? Dai davvero basta. Vediamoci a Roma il 10-11 settembre

10-11 SETTEMBRE TUTTI A ROMA, LEGGI

Torniamo alla terra!



Nostro pane quotidiano. È giusto tornare alla terra?

di Goffredo Fofi, da l'Unità

Negli anni di un’altra crisi del capitalismo, quelli che avvicinarono alla II Guerra mondiale, uscirono due film con uno stesso titolo: Nostro pane quotidiano. Il primo era diretto da un grande regista dimenticato, Piel Jutzi, e parlava dei disoccupati nella Repubblica di Weimar, a un pelo dall’avvento di Hitler, senza farsi nessuna illusione sul futuro. Il secondo era statunitense e pieno di entusiasmo, diretto e prodotto dal vitalistico King Vidor che era stato regista di uno degli ultimi capolavori del muto, un cupo film su La folla anonima e dolente della grande città, ed esaltava ora il ritorno alla terra di un gruppo di giovani senza lavoro, cantava la nascita di una comune agricola in chiave New Deal. In quegli stessi anni, lo stalinismo decimava i kulaki e deportava intere popolazioni in nome della collettivizzazione e il fascismo difendeva le città innalzando risibili inni a un’ideale vita contadina senza fatica e senza sfruttamento («Voglio vivere così/ col sole in fronte/ e felice canto/ beatamente» gorgheggiavano i contadini nei film del ventennio).

È la strada giusta?

Nel dopoguerra ci furono in Italia riforme agrarie decisive, però sopravanzate dall’evoluzione di un’economia che favorì l’abbandono delle campagne. Esse deperirono e si spopolarono (ho riletto di recente un bellissimo poemetto di Volponi sulle campagne del dopoguerra, L’Appennino contadino) mentre mutavano nel mondo le coltivazioni e i modi di coltivare secondo i piani e gli interessi della grande finanza e dei grandi mercati. Ai quali è imputabile oggi, per esempio, la tremenda carestia del Corno d’Africa, e saranno imputabili quelle che, altrove, certamente verranno. Eppure, negli anni, c’è sempre stata una piccola corrente contraria che ha attuato, senza cantori e senza pubblicitari al suo servizio, un «ritorno alla terra» sano e benemerito, cominciando da coloro che, secondo ideologie vagamente hippies, si trasferirono in campagna dopo il fallimento dei movimenti giovanili attorno al ’70.

Non tutti resistettero, perché lavorare la terra era molto più duro di quel che pensavano, ma molti piantarono radici e dettero vita ad aziende agricole efficienti, o anche – aderendo a nuove mode – ad astuti agriturismi. Ma il ritorno alla terra è stato ed è un fenomeno mondiale, benché limitato, un fenomeno strisciante e sotterraneo e però, fortunatamente, di dimensioni crescenti come ha documentato qualche anno fa il saggio di Silvia Pérez-Vitoria (Il ritorno dei contadini, Jaca Book) con un’utilissima prefazione storico-politica di Pier Paolo Poggio che ricordava il disprezzo per i contadini della cultura borghese e anche, purtroppo, di quella comunista – che privilegiò e idealizzò il proletariato di fabbrica vituperando o combattendo tutti gli altri – i contadini, gli artigiani, gli impiegati – come se la lotta di classe non riguardasse anche loro.

Ho pensato a tutto questo e ad altro ancora dopo l’incontro con una coppia di conoscenti che di recente ha recuperato una cascina abbandonata, e con un giovane amico che, ottimamente laureato in africanistica ma condannato all’avvilimento del precariato, mi ha detto di aver ripreso il mestiere che era stato dei suoi e di aver aperto una bottega di falegname. Non toccati dalle smanie di successo e di soldi che muovono, con esiti spesso disastrosi, milioni di giovani laureati che hanno creduto alle lusinghe pubblicitarie del luna park detto cultura, logorandosi in una sterile concorrenza interna dentro un mercato bacato e una storia nemica, questo giovane ha fatto, credo, una scelta giusta ed esemplare, che potrebbe venir ripetuta da molti altri.

Forse è proprio nella risposta individuale e di piccoli gruppi alla sfacciataggine del sistema economico attuale, che precipita tutti in una crisi di lunga durata e i cui effetti sono imprevedibili, che tanti altri giovani potrebbero individuare qualche strada di giusta sopravvivenza di fronte a un destino di disoccupazione o allo sfruttamento della sottoccupazione e alle frustrazioni che ne conseguono.
L’unico consiglio che è ancora possibile dare ai più giovani è di non fidarsi di noi adulti, per convincersene basta che guardino che razza di società abbiamo edificato o accettato.

Lottare, anzitutto, per i giusti diritti di chi non possiede e per i propri, ma anche contare sulle proprie forze, ripartire da sé in un contesto in cui nulla di buono hanno da aspettarsi dalla classe dirigente – finanziaria, economica, politica, culturale – che pretende guidarli, dai suoi inganni e dalle sue interminabili e colossali ingiustizie. E costruire reti sociali nuove, e legami di produzione-distribuzione. In un rapporto il più possibile diretto e in qualche modo di scambio. Questo in parte già avviene, perché non sono poche le reti che legano tra loro esperienze considerate sinora come economicamente marginali o folkloriche, ma occorre difendersi dalle mistificazioni di chi già trova il modo di speculare anche su questo, costruendo non delle alternative e dei contropoteri bensì dei nuovi poteri che si aggiungono ai vecchi.

sabato 20 agosto 2011

Mitico Francesco


Francesco Guccini, 71 anni, «sognatore,metereopata e soprattutto ansioso: per prendere il treno da Porretta Terme a Bologna arrivo sempre un'ora prima e chiedo conferma»


Il cantautore: la prima cotta a 12 anni, quanti sbagli Poi tante altre storie, positive e negative. Sono cambiato

ANDREA SCANZI

Il Maestrone ha il tono burbero, sempre in bilico tra spigolosità ostentata e simpatia ruvida. Più la seconda. Settantuno anni, Francesco Guccini si è sposato la seconda volta ad aprile. Vedendo l’assembramento di fotografi davanti alla sala comunale di Mondolfo, il paese natale della moglie Raffaella Zuccari, rispose così a un reporter che gli diceva buonasera: «Buonasera un paio di palle!». Venne a tutti da ridere. Anche a lui, forse. Eppure l’amore, Guccini, l’ha cantato spesso. Soprattutto quello tormentato, incompreso, sul punto di finire. Da Vedi cara («è difficile capire se non hai capito già» 1970) dedicata alla prima moglie Roberta, a La canzone delle domande consuete («Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse, trascinate dai giorni come piena di fiume tante cose sembrate e credute diverse, come un prato coperto a bitume» 1990). Ma anche passione travolgente come Vorrei («Perché non sono quando non ci sei» 1996) dedicata alla moglie Raffaella. E non manca nel suo canzoniere un amore estivo (da Canzone per Piero «Poi quell’amore alla fine reale, tra le canzoni di moda e le danze» 1974).

Il primo amore se lo ricorda?
«Avrò avuto 12 anni e sbagliai tutto. Ce ne sono stati tanti altri, di amori. Positivi e negativi. Il Guccini innamorato è cambiato molto, negli anni».

E a un certo punto ha scritto Farewell («Non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d’estate con qualcosa di fragile come le storie passate» 1993): è dedicata ad Angela, la madre di sua figlia Teresa, giusto?
«E’ la storia di un amore che finisce. La feci sentire alla donna che mi aveva ispirato. Alla fine, freddamente, mi disse: “E ora che dovrei fare, piangere?”. Tornai a casa e gliene scrissi un'altra: un’invettiva, Quattro stracci ».

Quella in cui l’autore è «fiero del suo sognare» e la donna «casta che sogna d'esser puttana». Oltre che sognatore, Guccini è ancora senza patente e ansioso?
«Pure meteoropata, se è per quello. Ma soprattutto sono un ansioso. Quando prendo il treno da Porretta Terme a Bologna, arrivo sempre un’ora prima. C’è solo quello, impossibile sbagliare. Io però, ogni volta, chiedo in stazione: “E’ quello delle ore ‘X’ per Bologna?”. Non lo chiedo mica per sapere a che ora arriva: lo chiedo per sapere se arriva».

Sì, ma Guccini come sta?
«Come vuole che stia: male. Guccini sta sempre male (lo dice ridendo, NdA). Dopo due ore di concerto sono morto, ho la schiena a pezzi»

Vasco Rossi si è dimesso da rockstar a neanche 60 anni. Lei ne ha qualcuno in più e fa ancora tournée.
«Macché tournée. Faccio scelte oculate, 4-5 serate l’anno. Di solito suono in palazzetti o capannucce. A Lucca il palco era smisurato e il camerino gigantesco: sembrava la tenda di Gheddafi. Pensavo arrivasse Berlusconi col bunga bunga. Vasco lo capisco, ma non ci monterei sopra un dibattito: non puoi cantare tutta la vita»

Ritratti, l’ultimo disco di inediti, è di sette anni fa. Dopo un po’ la creatività evapora?
«Ho scritto soltanto tre canzoni nuove. La chitarra in mano non la prendo quasi mai. E’ faticoso e neanche ho tempo. Ci sono le interviste, quelli che mi vengono a trovare. Vedrà che prima o poi passa un altro pellegrino, ogni giorno è così a Pàvana».

Se le cerca: quando un artista incide un album che ha per titolo un indirizzo di casa, Via Paolo Fabbri 43, dà l’indicazione implicita di andare a trovarlo. Forse si diverte.
«Non userei una parola così impegnativa. Mi diverto quando dormo il pomeriggio, quando vado a pesca. Il resto lo faccio perché è meno difficile che comporre canzoni. Scrivere libri, ad esempio».

Perché la canzone è complicata?
«Devi ridurre tutto a 3-6 minuti e c’è la metrica. Passare dalle 2-3 pagine iniziali al testo finale è dura e di voglia ne ho poca».

Visti oggi, voi cantautori sembrate tutti poco indignati e molto quieti. L’ultimo Gaber sostenne che la vostra generazione aveva perso.
«Abbiamo fatto quello che potevamo e non puoi rimanere tutta la vita sopra la barricate. Con Giorgio parlavamo spesso, ma non ebbi con lui il tempo di confutare quella tesi. Almeno ci abbiamo provato, le generazioni successive non lo so. Poi, è vero, non abbiamo portato il Sol dell’Avvenire».

Riascolta mai qualche suo disco?
«Per carità. Se qualcuno mette una mia canzone per farmi un tributo, gli intimo di toglierla subito. Non mi sopporto e in generale non ascolto quasi nulla. Mi incuriosiscono solo i rapper: sono molto distanti da me musicalmente, ma abbastanza interessanti».

Non crede, musicalmente, che a volte i suoi testi meritassero vesti più coraggiose? .
«Mah. Faccio quello che so fare e non è del tutto vero che abbia sempre suonato la stessa canzone. Una volta un collega - non le dirò mai quale - mi accusò di scrivere brani con due accordi. Gli risposi: “'Menomale che ci sei tu che ne usi tre”. Per raccontare storie non devi essere virtuoso, il blues ha tre accordi ma esiste da una vita».

La manovra economica dei cittadini


dal sito di Beppe Grillo

I sacrifici li devono fare i cittadini. I sacrifici li decidono i parlamentari. I parlamentari non fanno sacrifici. E' il teatro dell'assurdo. Forse abbiamo perso il senso della realtà. I media usano la tecnica della confusione e ci becchiamo come i polli di Renzo prima che gli sia tirato il collo. Proviamo a ridefinire le regole. I sacrifici li devono fare tutti. I sacrifici li decidono e votano i cittadini. I parlamentari fanno i sacrifici. Così va meglio.
Nel minipost "La manovra economica" ho proposto:
- Taglio delle spese militari e rientro delle missioni di guerra in Libia e in Afghanistan
- Abolizione di tutte le pensioni parlamentari in assenza di un periodo di contribuzione pari a quello di tutti gli altri cittadini
- Abolizione immediata dei finanziamenti pubblici ai partiti a partire dal prossimo settembre
- Abolizione dei finanziamenti diretti e indiretti ai giornali con effetto retroattivo al primo gennaio 2011
- Contribuzione del 60% dei capitali regolarizzati con lo Scudo Fiscale
- Statalizzazione di tutte le concessioni in mano ai privati
- Abolizione immediata di tutte le province. Riduzione del 50% del numero dei parlamentari
- Abolizione delle doppie e triple pensioni
- Tetto massimo per ogni pensione di 3.000 euro al mese
- Cancellazione delle Grandi Opere Inutili (Tav Val di Susa 22 miliardi, Ponte Messina 4, Gronda Genova 6, ecc.)
- Eliminazione delle Authority e degli stipendi dei trombati dalla politica lì collocati.

Ho ricevuto più di 500 contributi. Non posso, per ragioni di spazio, elencarli tutti, ne riporto solo alcuni. In assoluto la misura più gettonata è l'introduzione dell'ICI per gli immobili del Vaticano, molti propongono l'uscita dall'Euro o il default immediato. Ecco un breve sommario:
- Abolizione finanziamenti pubblici alle scuole private
- Abolizione finanziamenti ospedali privati
- Detrazione di tutte le spese documentabili per fare emergere l'evasione stimata in 130 miliardi
- Aumento tassazione case e uffici sfitti per calmierare il mercato degli affitti e ridurre la speculazione edilizia e il riciclaggio dei soldi delle mafie
- Recupero dei 98 miliardi di euro evasi dalle società di slot machines
- Eliminare ogni buonuscita per incarichi pubblici (esempio per i consiglieri regionali)
- Dimezzare i parlamentari o in alternativa chiudere il Senato
- Tassazione della prostituzione
- Cancellazione di tutte le auto blu
- Eliminazione delle pensioni multiple
- Favorire il lavoro a distanza
- Obbligo di pareggio di bilancio per ogni ente pubblico
- Abolizione fondi pubblici a attività venatorie o di carattere privato.
Vi invito a proseguire con altri suggerimenti. Le misure proposte saranno votate con un sondaggio sul blog. Per ognuna saranno definiti i potenziali risparmi. Un documento riassuntivo sarà disponibile in Rete e inviato per conoscenza ai parlamentari per chiederne la messa in discussione nella immancabile manovra economica d'autunno. Lo ignoreranno, ma ancora per poco. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

venerdì 19 agosto 2011

Giustizia vaticana




IL VATICANO NON PAGA ICI, IRPEF, IRES, IMU, TASSE IMMOBILIARI E DOGANALI, MA NEANCHE GAS, ACQUA E FOGNE. E' TUTTO A CARICO DEI CONTRIBUENTI ITALIANI. Possiede quasi il 30% del patrimonio immobiliare Italiano e con l'8 per mille toglie quasi 1 Miliardo di Euro all'anno all'Italia. Tassare la Chiesa e i suoi possedimenti in Italia é giusto per gli Italiani.
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mercoledì 17 agosto 2011

Parla Nichi


Vendola: «Italia alla deriva, serve una svolta»

giovedì 18 agosto 2011 | Leonardo Molinelli

Il Corriere Canadese intervista il Presidente di Sinistra Ecologia Libertà. Una rivoluzione culturale. Elezioni al più presto, primarie e misure che tassino chi ha più soldi per alleviare le sofferenze di chi ne ha meno. Non è il programma di Robin Hood, ma quello di Nichi Vendola, presidente della regione Puglia oltre che del partito SEL, per il futuro dell’Italia.

«Il Canada chiama e io rispondo…» esordisce Vendola prima di parlare con il Corriere Canadese sui problemi economici del Belpaese, su quelle che secondo lui sono le soluzioni migliori ma anche sul Vendola possibile candidato premier.

Presidente Vendola, com’è la situazione in Italia in questo momento?«L’unica cosa assolutamente stabile in Italia è il sentimento di totale instabilità. Instabilità sociale, economica e politica. È un Paese alla deriva, con una classe dirigente travolta dagli scandali e da una questione morale che non appare più l’espressione di una patologia ma sembra diventata la fisiologia della vita pubblica. Sono così giunti al pettine tutti i nodi di un quindicennio di chiacchiere demagogiche e populiste mescolate a feroci politiche che hanno colpito al cuore il ceto medio, i pensionati, il mondo del lavoro subordinato e soprattutto le giovani generazioni».

Qual è secondo lei la soluzione?«Credo che la via maestra sia quella indicata dalla Spagna. Rompere gli indugi, tornare alle urne e costruire nel Paese la svolta sociale e culturale che è ormai matura. Berlusconi è assoluta minoranza nel Paese e il Berlusconismo ha devastato la fisioniomia civile ed economica dell’Italia. Oggi occorre un governo di alternativa, non servono i pasticci».

Quindi nessun governo tecnico?
«Esattamente, i governi tecnici istituzionali sono un rimedio peggiore del male. Non c’è nulla di tecnico ed istituzionale nella scelta che è di fronte a noi: dobbiamo salvare milioni di famiglie e chiedere sacrifici, questa volta per la prima volta, alla grande proprietà, alla ricchezza, alla rendita finanziaria, alle forze della speculazione. In un Paese in cui l’evasione fiscale gira tra i 130 e i 300 miliardi di euro all’anno non è possibile immaginare che sia un pensionato che guadagna 500 euro al mese o un giovane che sta invecchiando senza lavoro a doversi fare carico del tema del contenimento del debito pubblico. Loro devono già fronteggiare i loro debiti privati».

Un progetto piuttosto ambizioso in questa Italia.«L’ambizione non è mia. Credo che la domanda di svolta radicale sia matura nel Paese, come si è visto nelle ultime elezioni amministrative e nella tornata referendaria».

Tutto ciò passerebbe dalle primarie?«Credo che il centrosinistra abbia imparato che le primarie rappresentano sempre un valore aggiunto, la possibilità di costruire non soltanto un’alleanza tra Stati maggiori dei partiti ma di mettere in campo un grande processo di partecipazione popolare».

Conoscendo la storia del centrosinistra italiano, in caso di vittoria alle primarie e poi alle politiche, non teme di finire come Romano Prodi, per due volte generale senza esercito?«Il punto è tutto politico e riguarda la volontà di mettere entrambi i piedi in un’epoca storica nuova in cui non è più il caso di accontentarsi di collocare bandierine ideologiche sul terreno che si occupa. Noi siamo nell’epoca segnata da grandi catastrofi, e penso a Fukushima, segnata dal bisogno di rispondere con coscienza ecologica alla domanda di sviluppo, di lavoro, di benessere, di reddito delle giovani generazioni. In Italia abbiamo la prima gioventù che è compiutamente orfana di lavoro, di reddito e di previdenza e questo non crea soltanto una gigantesca ingiustizia sociale. Crea perfino un corto circuito antropologico».

Nella prospettiva di candidarsi l’essere presidente della Regione Puglia è un aiuto o può diventare un intralcio?«L’essere presidente di Regione intanto è un osservatorio particolarmente denso di occasioni di crescita, anche umana. È il luogo in cui si impara, vicino ai cittadini e ai territori, a padroneggiare la complessità delle procedure e dei problemi. Io poi sono presidente di una grande regione del Sud, governo una coalizione complessa e tuttavia penso, nonostante errori e inciampi, di aver messo in piedi un’idea differente di Sud. Non il Sud lamentoso e maledetto, ma un Sud orgoglioso, capace oggi di presentarsi sulla scena internazionale come oggetto di fascino e di tendenza. Il brand Puglia è oggi un elemento di qualità».

Quindi aiuta a capire i meccanismi del gioco.«Un conto è cantare il dolore del mondo, un conto è avere l’opportunità di curare il dolore del mondo».

Chi sono i tre personaggi che metterebbe in un pantheon ideale che rappresenti le sue idee?«L’idea di organizzazione delle reti sociali che ho costruito negli anni, l’ho costruita in relazione ad un sacerdote molto particolare che è don Luigi Ciotti, fondatore dell’univeristà Abele e oggi capo di Libera l’associazione delle associazioni anti-mafia. La mia simpatia dal punto di vista di un modo specifico di abitare la zona internazionale va ovviamente ad Emergency e a Gino Strada. La mia idea di economia, coniugata al rispetto delle storie, delle identità, delle tradizioni, dei diritti umani è molto affezionata, direi innamorata, a Carlo Petrini di Slow Food. Ci sono poi molti nomi al femminile che vorrei fare, perché credo che la parità di genere sia la cartina di tornasole per rendere credibile il cambiamento. Piuttosto che citare una donna però, dico il pensiero della differenza, la cultura delle donne, la libertà delle donne, la voce delle donne. Tutto ciò deve essere al centro di tutta l’azione di governo e deve attraversare tutti i territori della pubblica amministrazione».

Quindi la donna in quanto genere.
«Le donne e le loro battaglie di libertà».

Pugliese, omosessuale, comunista e cattolico. Lei fonde in sé caratteristiche che per un Paese come l’Italia sono spesso inconciliabili. In cosa questo suo modo di essere l’ha aiutata e in cosa l’ha frenata?«Mi aiuta il fatto di non aver mai praticato l’ipocrisia e mi danneggia il fatto di non aver mai praticato l’ipocrisia».

Una delle istanze che più la caratterizzano è la sua militanza nel Partito comunista, un fattore che può spaventare molti elettori in Italia e all’estero. Cosa le ha dato di positivo questa sua militanza e cosa di negativo?«Il Comunismo è stato forse il più grande sogno dell’umanità. Quando poi nel ’900 si è strutturato in forma di Stato si è trasformato in un gigantesco incubo. Le domande da cui è sorto, la liberazione umana, l’uguaglianza, la libertà dalla miseria, la libertà dalla superstizione sono attualissime, diciamo che sono state sbagliate le risposte»

Crede si possa fare?
«Analizziamo criticamente le risposte e facciamo i conti con gli errori e con gli orrori del Ventesimo secolo dal lato delle bandiere rosse. Dobbiamo evitare però di seppellire anche le domande, perché queste restano intatte oggi più che mai. Dobbiamo saperle coniugare nelle forme nuove. Per questo per me il nome del mio partito, Sinistra ecologia e libertà, sono tre parole che hanno pari dignità: Sinistra è sempre il tema dell’uguaglianza e della giustizia sociale, ecologia è centrale immaginare la conversione ecologica del modello di sviluppo. Libertà è una parola che va oggi intesa a partire dalle nuove soggettività, dalle loro battaglie, dall’inviolabilità di ogni essere umano».

Che segnale è allora quando il Parlamento boccia la legge sull’omofobia?
«È il segnale di una classe dirigente immorale e moralista. Una classe dirigente che non capisce cosa c’è fuori dal Palazzo. La condanna dell’omofobia oggi appartiene a un sentimento assai diffuso. Purtroppo abbiamo una classe dirigente omofoba e anche abbastanza ipocrita da questo punto di vista perché è un’omofobia esplicita che serve come nascondiglio per identità sparpagliate».

L’ipocrisia di cui parlava prima.
«E certo».

Leonardo Molinelli

Fonte: http://www.corriere.com/viewstory.php?storyid=111273

Sabbie mobili




Nella situazione di bilancio che conosciamo bisognerebbe riorientare le spese verso la crescita, diminuire i prelievi sui salari e aumentare le tasse per i più ricchi.

Joseph Stiglitz

Obiettivo: zero diritti


Sacconi e la guerra santa contro il sindacato

di Sara Nicoli, da Il Fatto Quotidiano


Alla fine ce l’ha fatta. E nessuno può pensare che per Maurizio Sacconi, ministro del Walfare, nato socialista e poi folgorato sulla via del liberismo estremo da chissà quale padrone, l’inserimento nella manovra economica di norme che rendono derogabili leggi e contratti nazionali del lavoro davanti a un contratto aziendale, non rappresenti il coronamento di un sogno. Inseguito con la pervicacia e la determinazione di una vendetta, Sacconi ha, di fatto, distrutto i contratti nazionali quadro di categoria, pugnalato al cuore la rappresentatività sindacale, aggirato l’intoccabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e, soprattutto, dato la stura alla creazione di piccoli sindacati “gialli” interni alle aziende, anche le più piccole, che in nome della produttività dell’azienda del “signor padrone” saranno disposti a venire in deroga anche ai più elementari diritti del lavoro costituzionalmente garantiti. La Cgil è già sul piede di guerra, il segretario Camusso ha già annunciato lo sciopero generale, ma molto di più è atteso all’orizzonte.

In sostanza, dopo anni di tentativi di far fuori gli odiati “sindacalisti rossi” dai tavoli di qualsiasi trattativa, l’ex socialista Sacconi, folgorato dalla fede cattolica sulla via della convenienza tanto da essere autore, nel gennaio 2011, di una lettera aperta ai cattolici (controfirmata anche da Formigoni) in cui si chiedeva ai credenti tutti di sospendere il giudizio morale su Berlusconi in seguito all’affaire Ruby e alla successiva indagine per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile, ha concluso la sua battaglia: distruggere il sindacato. Nella manovra, infatti, si permette “ai contratti aziendali sottoscritti dalle associazioni dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale, o dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda, di realizzare specifiche intese che potranno anche derogare dai contratti collettivi di lavoro e dallo Statuto dei lavoratori”. Purché, si legge nel testo del decreto, tutto ciò sa finalizzato alla “maggiore occupazione, alla qualità dei contratti, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’ avvio di nuove attività”. Ovviamente, non è scritto da nessuna parte chi debba vigilare all’applicazione di queste clausule e, soprattutto, se sia prevista qualsivoglia “punizione” nel caso in cui vengano disattese. Sempre secondo Sacconi, “le norme approvate in materia di lavoro contengono il “cuore” dello Statuto dei lavori in quanto attribuiscono ai contratti aziendali o territoriali la capacità di regolare tutto ciò che attiene all’organizzazione del lavoro e della produzione; il centro della contrattazione diventa l’azienda o il territorio”.

Per arrivare a questo risultato e per minare, in modo pressoché definitivo,l’autonomia delle parti sociali sui temi del lavoro, Sacconi ha inserito nella legge il riconoscimento “erga omnes” degli accordi di Pomigliano, di Mirafiori e della ex Bertone. Cioè: d’ora in poi sindacati comparativamente rappresentativi, a livello nazionale o di azienda, potranno stipulare contratti aziendali sostitutivi di quelli nazionali, senza nessuna certificazione di rappresentatività e senza nessun referendum tra il lavoratori. “E’ inutile che il ministro del Lavoro si sforzi di spiegare che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non viene toccato – tuonava l’altro giorno l’ex ministro del Lavoro del governo Prodi, Cesare Daminano – è vero invece che viene riconosciuta la sua derogabilità, ad eccezione dei licenziamenti discriminatori e per le lavoratrici in ‘concomitanza di matrimonio’; in tempo di crisi si tratta di un segnale grave e preoccupante che può aprire la strada a situazioni socialmente insostenibili. Per il Pd, una manovra che abbia come componente essenziale lo scempio dello stato sociale, dei diritti e della tutela dell’occupazione va assolutamente respinta al mittente”.

Non sarà così. Perché Sacconi è deciso a metterci la propria testa sull’approvazione di questa parte della manovra così com’è. E come piace tanto a Confindustria e alla Fiat. Val la pena ricordare che Sacconi, negli anni, si è distinto nella battaglia personale contro la Cgil spesso andando contro i voleri della sua stessa maggioranza e che, in questa occasione, ha messo davanti la necessità di una maggiore liberalizzazione e ulteriore flessibilità del mondo del lavoro per dare incremento alla crescita del Pil, lui che – storicamente e politicamente – ha sempre agito più da cicala che da formica. E’ bene anche sottolineare che Sacconi è stato relatore di maggioranza di alcune delle Finanziarie più spendaccione della storia della Repubblica, quelle del 1983, 1984 e 1987. Solamente le prime due, ad esempio, portarono il debito pubblico da 234 a 336 mila miliardi di lire. Dal 1987 fino al 1994 ha poi ricoperto ruoli di governo dove le maglie della spesa statale sono state tenute eccessivamente ampie, ma erano gli anni del pentapartito, dei governi Craxi, della Milano da bere, del consumismo spinto come stile di vita, delle notti in discoteca di De Michelis, della degenerazione correntizia della Dc, degli inutili richiami al rigore dei conti di Spadolini e dei repubblicani. E Maurizio Sacconi è stato uno dei protagonisti di quella stagione. Che ora, cristianamente, dà ai ricchi e toglie ai poveri.

Una analisi d'insieme interessante

Il giornalista e saggista Paolo Barnard, per dieci anni a Report, ci spiega come il potere già dal dopoguerra preparava attraverso la finanziarizzazione dell'economia la disfatta delle democrazie occidentali, nate come frutto dell'Illuminismo settecentesco. Le elite mondiali oggi si stanno definitivamente prendendo la rivincita sulle masse.


http://blip.tv/rivoluzioniamo/paolo-barnard-il-piu-grande-crimine-5059059

(dura un'ora e venti, molto ben spese)

L'inconsistenza della politica ed il sogno del cambiamento





parla Giulietto Chiesa

Veti contrapposti sulla definizione del pacchetto di misure anticrisi che il Ministro Tremonti sta presentando in Parlamento. Anche in una situazione d'emergenza come quella che stiamo vivendo la politica non riesce a fare fronte comune e si dimostra inadeguata?

"Totalmente inadeguata. Sostanzialmente i partiti politici italiani sono come i polli di Renzo nel Romanzo "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni che si beccano l'uno con l'altro senza capire che stanno finendo entrambi in padella.
Questo progetto di risanamento è una dichiarazione di guerra dei governi e del Governo europeo nei confronti dei popoli europei, questa è l'unica definizione possibile. Stanno pensando e progettando di far pagare alla gente europea, a tutti i popoli europei, in primo luogo ai greci, a noi, agli spagnoli, ai portoghesi, il disastro che la finanza mondiale ha compiuto. Non ci sono più dubbi in merito. La finanza mondiale ha letteralmente spolpato la ricchezza del pianeta a cominciare da quella americana, seguita naturalmente e fedelmente dalle posizioni assunte dalla Banca centrale europea, la quale ha, insieme alla Federal Reserve americana, praticamente salvato tutte le banche che erano andate in fallimento nel 2007/2008, indebitando tutti gli stati oltre ogni limite. Quindi, sostanzialmente noi stiamo pagando il disastro creato da Wall Street e dalle banche di investimento mondiali, tra cui molte banche europee e adesso pretenderebbero di imporci un programma di risanamento che significa letteralmente "spolpare" i redditi e il welfare state, o quello che ne resta, delle popolazioni europee: questa è la vera spiegazione e non ci dovrebbero essere discussioni in merito. In realtà, i partiti e i governi che hanno autorizzato questo disastro, sono tutti corresponsabili: questo non è un programma di risanamento, questa è la guerra dei finanzieri, della finanza, contro le popolazioni, si chiama così, questa è una dichiarazione di guerra della finanza europea e internazionale contro le popolazioni.
La mia proposta è molto semplice, non accettare questo ricatto, perché chi deve pagare sono i responsabili. Ci hanno detto e ci hanno ripetuto fino alla nausea che il mercato ha delle leggi, se queste leggi valgono, loro devono pagare perché avendo fatto male i banchieri ed essendo andati in fallimento, devono rispondere, non siamo noi che dobbiamo rispondere, prima di tutto perché non siamo noi cittadini che abbiamo preso queste scelte perché non sapevamo nulla di quello che stavano facendo, prima questione fondamentale. In secondo luogo, poiché nessuno era informato di ciò che è accaduto, loro hanno potuto fare quello che volevano, e adesso non possono chiedere a noi di pagare. Aggiungo questo piccolo dettaglio, noi siamo stati tutti educati negli ultimi 30 anni a consumare e a dilapidare tutte le risorse perché ci hanno detto che bisognava consumare e indebitarsi, adesso ci accusano di esserci indebitati e di avere consumato? Ma se ogni giorno da ogni televisione ci viene ripetuto che dobbiamo continuare a oltranza a consumare, come possono chiedere a noi di essere responsabili del fatto che milioni di persone hanno consumato? Io sto parlando dell'Europa ma l'America è 10 volte peggio da questo punto di vista, l'America è costretta di fatto a essere ormai in bancarotta, perché? Ma perché hanno consumato molto di più di quello che potevano consumare, è molto semplice, quindi tutta questa è una grande commedia, è una grande commedia che viene recitata in parte da veri e propri farabutti che sono i grandi detentori della finanza mondiale, veri e propri criminali, lo dico senza mezzo termine a cominciare da Alan Greenspan, che dopo avere trascinato il mondo intero nel disastro ha detto in un'intervista al New York Times circa un anno fa: "Scusatemi mi sono sbagliato". Se si è sbagliato una volta bisognerebbe dirgli di non parlare più per favore, questa gente dovrebbe andare tutta in galera direttamente.
Peraltro, i governi hanno consentito alle banche di emettere denaro più di quello che ne avevano, le banche non hanno nessun obbligo di mantenere delle riserve adeguate, prestano soldi che non hanno e su questi soldi che non hanno, chiedono l'interesse e in questo modo le banche hanno moltiplicato e ingigantito, parlo delle grandi banche naturalmente, la massa monetaria, interamente falsa. Noi stiamo vivendo la crisi che loro hanno creato letteralmente minuto per minuto negli ultimi 10 anni, quindi la gente deve essere capace di rispondere e di reagire organizzandosi, rifiutando di pagare e quindi anche ricorrendo a tutte le forme di difesa della propria esistenza e del proprio territorio, come stanno facendo per esempio quelli che si difendono contro l'alta velocità in Val di Susa, faccio questo esempio specifico che è esattamente la stessa cosa, è proprio questo che bisogna fare, bisogna dirgli: voi siete una manica di irresponsabili, noi non accettiamo le vostre decisioni e difendiamo la nostra vita e il nostro territorio, il nostro cervello, le nostre vite, i nostri corpi, la nostra salute, l'educazione dei nostri figli, i nostri ospedali, le nostre città. Noi questo dobbiamo dire, tutti insieme, e questa è una proposta politica.

Anche in Italia, come a Londra, c'è il rischio di uno scontro sociale?

"Io sono certo che questo scontro sociale sta per esplodere perché fino adesso noi non abbiamo ancora visto niente. Ho letto un editoriale di un certo Sensini, un economista, il quale addirittura dice: "Beh, bisogna abolire le pensioni di anzianità". Questa gente ci sta dichiarando guerra sul serio, stanno dichiarando che devono togliere le pensioni di anzianità a milioni di persone, il che vuol dire che praticamente un terzo della popolazione verrà gettata sul lastrico, se arrivano a fare queste proposte, vuol dire che sono convinti di potercela fare, bisogna spiegargli che non ce la faranno.
Io ritengo che quello che è successo e sta succedendo in Grecia è soltanto l'inizio, quando la gente a milioni verrà posta di fronte a condizioni insostenibili, si ribellerà, è evidente che si ribellerà, in che forma avverrà non lo so, a Londra sta avvenendo nella forma di una jacquerie assolutamente senza obiettivo, perché sfortunatamente non ci sono forze politicamente capaci di guidare questo movimento, dal momento che tutte le forze politiche sinistra, destra e centro sono tutte implicate in questa operazione. Quindi, siccome non ci sono forze politiche che guidano in modo responsabile un movimento di protesta, sfortunatamente questa protesta sarà violenta. Io non propongo di fare proteste violente, ma temo fortemente che quando queste misure verranno messe in atto, ci saranno risposte violente perché la gente non essendo organizzata e diretta, reagirà in modo immediato e spontaneo e quindi si andrà a degli scontri sociali di grandi proporzioni. La politica della Bce e dei governi centrali che sostengono quella linea sta incendiando l'Europa, le conseguenze sono interamente nelle loro mani e la loro responsabilità è in questo senso assoluta."

Le soluzioni proposte da alcuni esponenti dell'opposizione, come le elezioni anticipate o un governo di responsabilità nazionale, sono strade valide e percorribili?

"Questa intanto non è un'opposizione, perché non fa opposizione a niente. In sostanza cosa dice? Dice che, se dovessero sostituire l'attuale governo, faranno esattamente le cose che gli sono state imposte dall'Unione Europea e da Francia e Germania, questo è quello che dicono. Quindi se va al governo un'altra coalizione, farà esattamente le stesse cose che ha fatto questa, probabilmente le farà addirittura con maggiore spregiudicatezza, fidandosi del fatto che potranno dire di avere "il consenso" popolare, quindi non ho nessuna fiducia nell'opposizione e nelle loro proposte.
Naturalmente non ho neanche nessuna fiducia nei confronti di questo governo, la mia proposta è: via tutti questi cialtroni dalla direzione politica del Paese: ci vuole un gruppo di saggi al quale venga affidato il compito di gestire il rapporto con la popolazione italiana, di gestire il patto sociale che si regge sulla Costituzione, rifiutando innanzitutto le modifiche costituzionali che ci vengono imposte da questa Europa che è l'Europa dei banchieri. La soluzione politica in questo contesto, con queste forze non c'è, quindi bisogna trovare un'altra coalizione, un'altra forza politica che sia espressione della volontà popolare. E non mi si venga a dire che l'opposizione che dovesse andare al governo al posto di Berlusconi rappresenta questa forza popolare, perché non la rappresenta."

fonte:http//www.facebook.com/

Attacchi di panico








...sono in buona compagnia...

martedì 16 agosto 2011



Ta pizza est Italienne
Ton couscous est Algérien.
Ta démocratie est Grecque.
Ton café est Brésilien.
Ta montre est Suisse.
...Ta chemise est Hawaïenne.
Ton baladeur est Coréen.
Tes vacances sont Turques,
Tunisiennes ou Marocaines.
Tes chiffres sont Arabes.
Ton écriture est Latine.
Ton Christ est Juif.
...
Et tu reproches à ton voisin d'être un étranger !?

Le mani sporche della sinistra


di Marco Travaglio

Buongiorno a tutti, anche questo Passaparola è stato registrato il primo agosto perché mentre vi sto parlando, spero di essere ancora in vacanza.
Parliamo della nuova Tangentopoli, la nuova tangentopoli che coinvolte tutti i partiti, centro-destra e questo lo diamo quasi per scontato, anche se non è corretto darlo per scontato, perché altrimenti si finisce per indignarsi soltanto per le tangenti del centro-sinistra, ci sono tangenti di centro-destra molto più gravi di quelle del centro-sinistra, ma ci sono tangenti del centro-sinistra molto gravi, non fosse altro che per il fatto, al di là del merito delle vicende, che autorizzano il centro-destra a dire: non c’è ricambio perché chi potrebbe venire dopo è come noi!

Come nel 1992
Quindi questa nemesi che colpisce il centro-sinistra che sperava di raccattare il potere senza sforzo nel momento in cui Berlusconi sembrava finito e bollito, in realtà sta colpendo a doppio taglio sia la sinistra radicale di Vendola con il caso Tedesco, sia il Partito Democratico anche esse coinvolto nel caso Tedesco e poi soprattutto nel caso Penati intanto la Procura oltre a quella di Monza c’è anche la Procura di Milano che sta indagando e pare che ci siano imprenditori e professionisti, architetti, pentiti che stanno parlando davanti ai magistrati del nuovo sistema di Tangentopoli che si è ricostituito e che è molto simile a quello, molto più simile a quello del 1992, scoperto nel 1992/1993 di quello che si pensasse, perché è vero che, come dice Di Pietro la tangente si è ingegnerizzata ma è anche vero che ci sono pure storie di versamenti estero su estero, e storie di valigette, di denaro contante.
Perché nemesi? Perché bastava la legge che risolve il conflitto di interessi per mettere al riparo certi esponenti del centro-sinistra da tentazioni che poi diventano corruzioni, basta togliere il topo dal formaggio per ridurre sensibilmente e drasticamente la corruzione, nel conflitto di interessi, invece, chi ci guadagna in proprio si accontenta del suo guadagno di controllore e controllato insieme, chi invece non ci guadagna in proprio, ma viene utilizzato come topo nel formaggio per portare il formaggio anche a terzi, poi a sua volta si fa dare un po’ di formaggio per sé e ecco la corruzione, oltre al conflitto di interessi che è il punto di partenza mi spiego con due esempi: nel 2006 Vendola vince le elezioni, prima le primarie e poi le elezioni, diventando governatore eletto direttamente dal popolo pugliese, della sua regione e formando la sua Giunta sceglie come Assessore alla Sanità, Alberto Tedesco, quest’ultimo ha due figli e una moglie che sono titolari di due, in certi periodi addirittura tre aziende che producono protesi sanitarie o apparecchiature medicali, chi sono i clienti di queste aziende? Le A.S.L., oltre alle cliniche private convenzionate con le A.S.L., stiamo parlando di aziende che forniscono le aziende regionali sanitarie, che ricadono sotto il controllo e sotto la gestione dell’Assessore alla sanità, la sanità è la prima voce di bilancio di ogni regione, ogni anno spendiamo 105 miliardi di bilancio sanitario, una spesa che andrebbe controllata come faceva Padoa Schioppa che aveva iniziato a aprire i libri bianchi per vedere dove vanno tutti quei soldi e poter decidere dove tagliare oculatamente, chirurgicamente quella buona abitudine è stata immediatamente abbandonata da Tremonti e quindi la spesa sanitaria è tornata a impazzare, oppure è stata segata dai tagli orizzontali che finiscono per segare servizi utili per il cittadino nel settore sanitario.
Chi è l’unico che non dovrebbe diventare Assessore regionale alla sanità? Uno la cui famiglia ha delle aziende fornitrici della sanità regionale, perché? Perché è un conflitto di interessi clamoroso e invece Vendola sceglie proprio Alberto Tedesco come assessore regionale alla sanità. Tedesco in una trasmissione sul sito ilfattoquotidiano.it, dove ero presente a mia domanda ha raccontato che Vendola gli telefonò a mezzanotte la sera prima di presentare la Giunta e gli disse: “Tu devi fare l’assessore regionale alla sanità”. Tedesco all’epoca era rappresentante di partito che aveva due consiglieri regionali su 70, quindi non aveva alcuna aspettativa, alcuna speranza di poter ottenere un incarico che è il più importante incarico in Regione dopo il governatore, fu scelto lui e fu scelto dalla sanità, si sa che era molto amico di D’Alema, Vendola ha sempre fatto sapere che il nome di Tedesco era stato caldeggiato da D’Alema ma la responsabilità della scelta ricade comunque sul governatore eletto dal popolo, quindi la responsabilità è di Vendola che ha fatto molto male a assecondare i desideri di D’Alema se quelli erano i desideri di D’Alema.
Tedesco ha raccontato di avere fatto presente il suo conflitto di interessi e di avere detto Nichi “Non mi mettere in imbarazzo, ho i miei figli che hanno queste aziende nel settore sanitario, mettimi in un altro posto”, Vendola gli ha detto: “No, la risolviamo noi” e poi non l’hanno risolta perché come fai a risolverla? O la famiglia di Tedesco vende le aziende, e non le ha vendute, o Tedesco non fa l’Assessore regionale alla sanità, altrimenti il conflitto di interessi non si sana. Vendola ha fatto finta di niente e ha lasciato che le cose andassero avanti, finché Tedesco due anni dopo è stato indagato per corruzione, concussione, turbativa d’asta, accusato di avere favorito aziende familiari, tra l’altro che secondo la Procura, Tedesco lo contesta, avrebbero aumentato di molto il loro fatturato dal momento in cui Tedesco era diventato la volpe alla guardia del pollaio in cui c’erano, tra le galline i suoi figli, le aziende dei suoi figli.
Indagato si dimette, buono, ottimo! Ma nello stesso tempo viene mandato in Senato, da chi? Dal PD, nel frattempo era, da quel piccolo partito socialista che rappresentava, entrato nel PD e il PD lo manda in Parlamento con tutta l’aria di volergli garantire al salvacondotto, perché Tedesco rischiava l’arresto e allora cosa fanno? Prendono un parlamentare, un senatore De Castro, membro del comitato scientifico della fondazione italiani e europei di D’Alema e lo fanno eleggere al Parlamento europeo, si libera il posto in Senato, chi è il primo dei non eletti? Tedesco che quindi senza neanche passare di nuovo dalle urne, ascende alla carica di Senatore con immunità parlamentare, nel frattempo i magistrati completano l’inchiesta, molto lentamente devo dire e chiedono il suo arresto, anche perché sostengono che la sua veste di parlamentare gli consente di inquinare meglio le prove, evidentemente intimidendo testimoni o cose del genere con la sua carica di senatore, giusto o sbagliato che sia il mandato di cattura non importa. il G.I.P. lo decreta, Tedesco va arrestato, il riesame poi tramuta la richiesta di autorizzazione all’arresto in una richiesta di autorizzazione agli arresti domiciliari. Nel frattempo il Parlamento perde tempo e quando si vota, lo stesso giorno in cui si è votato a favore dell’arresto di Papa, il Senato a differenza della Camera su Papa, nega l’autorizzazione all’arresto di Tedesco che rimane senatore, sebbene lui stesso avesse detto “Autorizzate il mio arresto” quindi abbiamo un senatore che è in Senato che aveva chiesto il proprio arresto, ma ne non è stato accontentato, non riesce a arrestare un senatore neanche quando lo chiede lui di essere arrestato, cosa dovrebbe fare Tedesco per essere arrestato come aveva chiesto al Senato inutilmente? Dimettersi da senatore, perde l’immunità e viene immediatamente mandato agli arresti domiciliari, lui ha detto che non lo fa, si è dimesso dal PD.

I topi nel formaggio
Colpa del PD che l’aveva portato lì? Colpa di Vendola che l’aveva scelto come assessore alla sanità, se non fosse stato messo il topo nel formaggio, il topo non avrebbe mangiato il formaggio o meglio non sarebbe stato accusato di avere mangiato il formaggio, quindi anche i guai giudiziari di Tedesco rimontano alla scelta sbagliata di Vendola, dell’ignorare il suo conflitto di interessi e la scelta sbagliata di Tedesco di non dire: “Se non mi metti un altro assessorato, rinuncio all’assessorato alla sanità”, errore di Tedesco, di Vendola, del PD!Dimostrazione di menefreghismo totale dei conflitti di interesse, dimostrazione che non hanno risolto il conflitto di interessi di Berlusconi, non perché se ne sono dimenticati o perché non ci sono riusciti, ma perché non gliene frega nulla del conflitto di interessi, perché anche loro obbediscono a questa Costituzione non scritta che è in Italia il conflitto di interessi, destra e sinistra, purtroppo!
Dopo che Tedesco ha detto: “Vendola mi ha detto: fai l’Assessore alla sanità e solo quello e gli ho detto: c’è un conflitto di interessi mettimi in un’altra delega e lui mi ha detto: no fai l’assessore alla sanità”, abbiamo chiesto noi de Il Fatto Quotidiana a Vendola di rispondere, ma Vendola ha detto: “Non rispondo” e quando un giornalista gliel’ha chiesto in un incontro pubblico a Amalfi, Vendola ha risposto “Di Tedesco non parlo, parliamo di Milanese e di Tremonti” come se lui c’entrasse qualcosa, è comodo parlare degli scandali degli altri, invece dovresti parlare di uno scandalo che nasce da una tua scelta errata, Vendola non parla di Tedesco che è un nervo scoperto, evidentemente perché dovrebbe spiegare come anche la cosiddetta sinistra radicale in questi anni se ne sia infischiata e abbia sguazzato nei conflitti di interessi. Dunque a maggior ragione per il fatto che non risponde, Vendola non è il candidato giusto per succedere a Berlusconi e per cominciare finalmente una dura lotta ai conflitti di interessi che in Italia come nel mondo provocano terremoti finanziari, fanno costare di più le cose i conflitti di interesse, a quanto ammontano le tariffe dell’autostrada di Gavio? Legato mani e piedi al centro-sinistra? A quanto ammontano i costi delle opere pubbliche se poi quelli che le devono realizzare devono pagare soldi ai politici? I conflitti di interessi e la corruzione fanno esplodere la spesa pubblica e mandano in bancarotta i paesi, purtroppo non è adatto a fare il candidato del centro-sinistra per succedere a Berlusconi neanche Bersani e l’abbiamo fatto presente quando è esploso lo scandalo Penati e lo scandalo Pronzato in un precedente Passaparola abbiamo parlato di D’Alema e della sua abilità diabolica nello scegliersi sempre i collaboratori sbagliati che poi finiscono regolarmente sotto inchiesta o addirittura in carcere, abbiamo fatto delle domande anche a Bersani, quest’ultimo non ha commesso reati, non risulta, non lo penso, ha però un concetto dei rapporti tra politica e affari che è nel pieno della cultura del conflitto di interessi, quando era Ministro delle attività produttive, anche se si chiamava in un altro modo, nel primo Governo Prodi, lo dice lui stesso, si ritrova tra i consiglieri del Ministero e lo conferma, un certo Pronzato, Franco Pronzato, dopodiché Bersani lascia il governo quando cade il Governo Prodi, torna al governo nel 2001, sempre alle attività produttive che si chiamano finalmente così, Pronzato in quegli anni diventa il responsabile del PD, quando poi nasce il PD, quindi stiamo parlando di due anni dopo, nel 2008 per il trasporto aereo e contemporaneamente consigliere di amministrazione dell’Enac che è l’ente che controlla i voli, un ente pubblico, possibile che un dirigente di partito con un incarico, proprio nel settore dei voli, faccia anche il Consiglio di Amministrazione di un’azienda pubblica che deve controllare i voli? Conflitto di interesse, il topo nel formaggio, anche in questo caso mangia il formaggio, cosa succede? Lo arrestano poche settimane fa per una tangente, è accusato di avere preso una tangente da una azienda di un certo Paganelli che possiede aerei e che quindi è interessata a gestire delle rotte aeree, era interessata a gestire la rotta tra la Toscana e l’Isola d’Elba, quella che i toscani aspettano per evitare di dover prendere il traghetto ogni volta che devono andare all’Elba, poter prendere un aereo da Pisa o da Firenze, per questa tratta si candida l’azienda di questo Paganelli e chiede un aiuto per avere questa tratta per essere raccomandato presso l’Enac, a chi si rivolge? A quello che procaccia i finanziamenti alla Fondazione italiani e europei, il braccio destro di D’Alema, un certo Morichini che è quello che ha venduto la seconda barca a D’Alema, al quale poi D’Alema ha intestato anche la barca per un certo periodo. Morichini procura soldi, finanziamenti alla Fondazione di D’Alema, l’abbiamo scoperto da questa indagine perché i finanziatori di italiani e europei restano tutt'ora segreti per ragioni di privacy, dice D’Alema.
Paganelli finanzia la Fondazione italiani e europei, Paganelli offre dei passaggi aerei sui suoi aerei a D’Alema gratis, Paganelli paga una tangente a questo Morichini della Fondazione italiani e europei, amico di D’Alema perché Pronzato gli dia una mano all’Enac, Pronzato si spartisce la tangente con Morichini, si prendono 20 mila Euro a testa, Pronzato viene arrestato e adesso ha chiesto di patteggiare la pena, quindi se non è un’ammissione di colpa, se uno patteggia è perché ha qualcosa da nascondere, perché altrimenti patteggiare una pena detentiva? Se non fosse stato nominato all’Enac quel dirigente di partito, ex consigliere di Bersani al Ministero, non avrebbe potuto favorire nessuno all’Enac e quindi nessuno gli avrebbe offerto tangenti e lui non avrebbe preso tangenti e il PD si sarebbe risparmiato uno scandalo. Ecco la nemesi, ignorando il conflitto di interessi di Berlusconi volevano proteggere i loro conflitti di interessi e adesso che speravano di raccattare il potere dalle mani di Berlusconi, si ritrovano inquisiti nei loro principali collaboratori e screditati perché certamente chi ha fatto queste scelte dovrà pure risponderne, esattamente come Bersani deve rispondere della scelta di Penati, che nel 2009 quando Bersani diventa segretario del PD, Penati diventa capo della sua segreteria, Penati era stato trombato alle elezioni provinciali, non era stato riconfermato Presidente della Provincia di Milano e infatti è stato poi mandato al Consiglio regionale, ha perso le elezioni provinciali per la riconferma, ha perso le elezioni regionali contro Formigoni, faceva fino a una settimana o due fa, il Vicepresidente del Consiglio regionale perché è diventato comunque consigliere, adesso si è dimesso perché è indagato per corruzione, concussione e altri gravissimi reati, accusato di avere chiesto e preso tangenti per vari milioni di Euro per sé e per il partito e ci sono intercettazioni, bonifici, memoriali di imprenditori anche a lui vicinissimi che dicono che queste cose sono vere, non voglio sapere per il momento lo stabiliranno i giudici quali di queste tangenti sono vere e quali non sono vere, può darsi che siano vere tutte, può darsi che non sia vera nessuna, certamente è molto difficile che non sia vera nessuna perché i riscontri cominciano a essere numerosi e incrociati, ma lasciato perdere l’aspetto penale che spetta ai giudici affrontare, il problema è politico, si poteva sapere che Penati aveva uno strano modo di rapportarsi agli affari? Si poteva sapere, si poteva sapere per quello che abbiamo detto nell’altro Passaparola, perché indagando sullo scandalo della Milano Serravalle che contrapponeva Albertini Sindaco di Milano, Ombretta Colli Presidente della Provincia prima di Penati e il gruppo Gavio, soci tutti dell’autostrada Milano – Genova, la famosa Serravalle, si era scoperto che in seguito alla Colli se ne era occupato in un certo modo anche Penati penalmente non c’era niente di rilevante, ma sicuramente si era scoperto che Penati aveva comprato una quota appartenente al gruppo privato di Marcellino Gavio, re delle autostrade, con i soldi dei milanesi, pagando delle quote il triplo di quelle che le aveva pagate Gavio un anno e mezzo prima, Gavio le aveva pagate poco meno di 3 Euro a azione, Penati le fece pagare ai milanesi quasi 9 Euro a azione, così Gavio mise in tasca una plus valenza di 176 milioni di Euro, mica male, era l’estate del 2005 e subito dopo nell’estate del 2005 investì 50 di quei milioni di plus valenza per sostenere la scalata dell’Unipol alla Bnl, la scalata di Consorte che oggi è sotto processo perché era una scalata illegale, è stata dei furbetti del quartierino, foraggiati di Gavio che aveva appena ottenuto dei soldi, grazie a Penati, soldi dei cittadini milanesi, un acquisto totalmente inutile soprattutto sovracosto anche se poi c’erano stati degli studi di audit che avevano avallato quel costo, ma certamente non potevano dire che la Provincia di Milano dovesse per forza accollarsi un altro 15% dell’autostrada Serravalle, visto che già controllava il 40% di quell’autostrada e non c’era bisogno che salisse al 55%.
Tutto ciò dimostra che questa operazione tra Penati e Gavio già denotava un rapporto malato tra politica e impresa, anche perché Gavio è uno che i politici non dovrebbero toccare neanche con una canna da pesca per un motivo molto semplice, l’abbiamo ricordato nel Passaparola perché il braccio destro di Gavio, Bruno Binasco è stato condannato per avere pagato un finanziamento illecito all’ex Pds tramite Greganti nella prima Tangentopoli, è un vecchio finanziatore del partito che poi ha cambiato nome, fare un favore così a uno che ha finanziato il tuo partito, non è una bella cosa, il problema qual è? E’ che la scalata Unipol è stata sostenuta pubblicamente e privatamente nell’estate del 2005 da tutto il vertice DS: D’Alema, Fassino, La Torre e anche Bersani e anche Bersani ha uno strano rapporto, secondo me malato, tra politica e affari perché nell’autunno 2004 il governatore Fazio racconta che andarono a trovarlo a Banca d’Italia Fassino e Bersani per raccomandargli di sostenere la fusione tra il Monte dei Paschi e la Bnl che poi un anno dopo ha tentato di scalare Unipol, puntavano una Bnl prima tramite il Monte dei Paschi, la banca rossa di Siena e poi tramite l’Unipol, l’assicurazione delle cooperative rosse, cosa ci vanno a fare Bersani e Fassino dal governatore della Banca d’Italia per caldeggiare una fusione bancaria? Cosa ci fanno un anno dopo a caldeggiare e a tifare per la scalata a una banca? E’ questo il compito dei politici? Conquistare banche o scrivere regole per la finanza e poi lasciare che le autorità terze vigilino sulle operazioni finanziarie togliendo le mani della politica dalla finanza? Se uno mette le mani rischia di bruciarsele e è quello che è successo a Bersani, anche perché Penati fa l’operazione con Gavio, raccomandato da Bersani, Gavio chiama Bersani per avere appuntamento con Gavio e vendergli quel 15% e Bersani chiama Penati mettendolo in contatto con Gavio, organizzando con un incontro pubblico, è giusto che il Presidente della Provincia incontri un costruttore di cui è consocio per le sue ragioni istituzionali in un’autostrada, lo riceve nel suo ufficio alla Provincia, fa un comunicato dicendo: oggi abbiamo ricevuto il Cavalier Gavio che ci ha prospettato questa operazione, la posizione della Provincia è questa, così si fa, nella trasparenza, invece si sono incontrati Penati e Gavio su appuntamento caldeggiato da Bersani in un albergo di Roma segretamente, nessuno l’avrebbe mai saputo se non ci fosse questa indagine.
Bersani ci ha detto: beh conosco Gavio perché ero Ministro delle attività produttive, no, nel 2004 quando prende l’appuntamento a Bersani con Gavio, governava Berlusconi, Bersani era un Europarlamentare, perché Gavio si rivolge a Bersani per parlare con Penati quando potrebbe benissimo prendere appuntamento con la segreteria di Penati che è Presidente della Provincia di Milano e del suo consocio nella Serravalle? Allora vedete che anche Bersani ha delle cose da spiegare non sul penale, sul rapporto tra politica e affari, è stato cortese, ha risposto a delle nostre domande su Il Fatto Quotidiano, se volete trovate le nostre domande e le sue risposte, ma trovate anche le mie di controrepliche perché le risposte di Bersani, come già quelle di D’Alema, purtroppo, sono molto poco soddisfacenti, continuare a rispondere “Abbiamo le mani pulite, noi siamo diversi dagli altri” e poi fare cose simili, ti autorizza a dire che sei diverso dagli altri perché gli altri fanno peggio, ma non che tu non fai cose analoghe, perché purtroppo abbiamo visto che fuori dal penale, ma nel rapporto malato – politiche e affari anche Bersani evidentemente ha un concetto strano del ruolo della politica, un concetto assolutamente incompatibile con il libero mercato, il libero mercato non prevede il soggetto politica, il libero mercato prevede tanti soggetti che si fanno concorrenza tra di loro e la politica che stabilisce le regole affinché delle autorità terze e indipendenti sorveglino l’attività dei privati, regole severe, certamente, ma lì si ferma la politica, non abbiamo una banca, prendiamo la Bnl, la facciamo prendere al Monte dei Paschi, la facciamo prendere all’Unipol compriamo le azioni, parla con Gavio, ti metto in contatto, ma stiamo scherzando?

Ecco perché purtroppo dal punto di vista del conflitto di interessi di Tedesco, Vendola e dal punto di vista del conflitto di interessi di Pronzato e del rapporto malato tra politica e affari dimostrato da Bersani sia nel caso Serravalle, sia nel caso Unipol, sia nel caso Monte dei Paschi – Bnl, bisognerà cercare altrove un candidato che possa prendere il posto di Berlusconi. Per andare al posto di Berlusconi non basta avere una faccia diversa da Berlusconi, una statura diversa o un’etichetta diversa sulla fronte, bisogna anche essere diversi, passate parola!