venerdì 30 settembre 2011

ASSALTO FINALE ALLA DEMOCRAZIA


Prima che sia troppo tardi

di Paolo Flores D'Arcais da Il Fatto Quotidiano

Il regime delle cricche e dei prosseneti, delle macerie e delle menzogne, ha deciso l’assalto finale contro le libertà repubblicane e l’abc di ogni convivenza democratica: l’autonomia del giornalismo e della magistratura. Il compagno di merende di Gheddafi ha dettato anche i tempi per il golpe che vuole imporre guinzaglio alle procure e mordacchia all’informazione: non più di quaranta giorni. In un mese o giù di lì – se quanto resta di civile in Italia non saprà reagire con immediata e vincente vitalità – diventerà legge dello Stato la picconata anticostituzionale che renderà l’Italia sempre più assuefatta alla tossina totalitaria. Berlusconi ha dalla sua un Parlamento ormai omertoso (è l’unico aggettivo adeguato, dopo il voto che ha salvato un ministro in odore di mafia), e l’assuefazione, appunto. Dell’opinione pubblica e delle cariche istituzionali che dovrebbero, in una liberaldemocrazia, “fare equilibrio”.

Infatti, solo l’impegno eccezionale e tuttavia inesausto, e soprattutto congiunto e intransigente, dei cittadini nelle piazze e sul web, delle testate giornalistiche refrattarie o alla corriva “equidistanza” che manda il regime in brodo di giuggiole, delle più alte istituzioni di garanzia – Presidenza della Repubblica e Presidenza della Camera – può fermare uno sfregio che ci piomberebbe nella melma del fascismo soft.

E invece, la gravità del rischio non sembra essere percepita. Al punto che il ministro Nitto Palma, che Berlusconi ha voluto come suo complice alla Giustizia, può spiegare sul Messaggero che la legge contro magistrati e giornalisti dovrebbe essere ancora più dura. E può permettersi ammiccanti riferimenti a immaginarie preoccupazioni del Quirinale per le intercettazioni (non per la cloaca che rivelano: un premier che propizia nomine e appalti miliardari, fino a regalare motovedette armate a Stati esteri, secondo i desiderata di Lavitola e Tarantini, in cambio del procacciamento di prostitute e relativo silenzio o spergiuro) e a un’opposizione che giudicherebbe il suo operato “serio ed equilibrato”.

Opposizione che farebbe bene a riconoscere come imperdonabile errore la proposta di legge sulle intercettazioni avanzata dal governo Prodi tramite il ministro Mastella. Altrimenti la contrarietà alla legge berlusconiana sarà svilita dal tanfo dell’opportunismo.

Il regime putiniano di Arcore punta sulla stanchezza della “guardia” repubblicana: cittadini, giornalismo, cariche istituzionali. Prima che sia troppo tardi, ognuno faccia la sua parte per dimostrare che ha sbagliato i conti.

Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2011

martedì 27 settembre 2011

l'inquietante svolta dell'11 settembre



11 settembre, un Consenso importante

di Giulietto Chiesa, da Il Fatto Quotidiano

Propongo all’attenzione di chi voglia documentarsi con calma la notizia (che troverete su Consensus911.org) della creazione di un panel internazionale di esperti, di varie discipline e professionalità, che hanno lavorato nell’ultimo anno a definire i punti precisi sui quali impostare il lavoro di una nuova commissione d’inchiesta sull’11 settembre.

Informo anche, in proposito, che l’ex senatore americano Mike Gravel (il protagonista delle rivelazioni dei Pentagon Papers) ha annunciato nel recente incontro di Toronto l’inizio di una raccolta firme per far partire la richiesta formale di una Commissione d’inchiesta sull’11 settembre nei tre stati di California, Oregon e Massachusetts.

Tornando al Consensus 9/11, informo che si tratta di 22 persone di varia nazionalità che hanno individuato una serie di domande fondamentali sull’11 settembre 2001, alle quali non è stata fornita alcuna risposta o risposte non accettabili secondo la “migliore evidenza”.

Chi voglia accertare chi sono queste 22 persone potrà visitare il sito consensus911.org, oppure, per brevità, leggere quanto ho già scritto, in italiano.

In sintesi sono 13 domande, su quattro delle quali il consenso tra i membri del panel è stato del 100%, su altre tre del 95% e sulle restanti cinque del 90%.

Il gruppo ha lavorato con il metodo Delphi, consistente nel consultare le opinioni di persone che non si conoscono tra loro e il cui giudizio non viene quindi influenzato da elementi personali. Le domande che hanno ottenuto ratings inferiori o hanno presentato incertezze tra i membri del panel, sono state scartate e non figurano nel risultato finale.

La scelta del gruppo di esperti (vi sono due italiani in questo gruppo, cioè Massimo Mazzucco e il sottoscritto) è stata compiuta da David Ray Griffin, coadiuvato dai suoi collaboratori.

Riferisco solo delle quattro domande che hanno registrato il consenso massimo del 100%. I dettagli li potrà vedere chi vuole, sui siti indicati.

Questione 2 : la “migliore evidenza” disponibile dice che Osama bin Laden non fu responsabile per gli attentati dell’11/9.

Questione 3 : le Twin Towers, secondo la “migliore evidenza” non furono abbattute dall’azione congiunta degli impatti aerei e dagl’incendi degli uffici.

Questione 5 : la “migliore evidenza” raccolta nega la possibilità che le torri siano potute crollare, a una velocità assai prossima a quella della caduta libera, senza l’intervento di esplosivi.

Questione 6 : il WTC 7 (la ormai famosa “terza torre”, crollata nel pomeriggio di quel giorno alle 17:20 circa) non può essere precipitata al suolo in quel modo a causa dell’effetto combinato del fuoco prodotto da combustibili stoccati all’interno e dai danni strutturali subiti dai detriti caduti dalla torre più vicina.

Le versioni ufficiali fornite su questi quattro temi non reggono alla “migliore evidenza” emersa da una numerosa serie di fattori scoperti dalle indagini successive, ma ignorati dalle istituzioni governative e dalla stessa commissione ufficiale d’inchiesta.

Naturalmente anche le altre nove questioni costituiscono vere e proprie mine demolitrici della versione ufficiale che – si potrebbe dire – viene ora letteralmente azzerata. Se l’iniziativa del senatore Mike Gravel potrà andare in porto, essa consentirà di convocare numerosi alti funzionari americani dell’epoca, costringendoli a deporre sotto giuramento. Cosa che finora nessuno ha fatto, grazie alla complicità di Philip Zelikow, il direttore della 9/11 Commission e dei suoi due co-presidenti, Lee Hamilton e Thomas Kean.

Appello alla mobilitazione il primo ottobre, di Nichi







Rivolgo un appello alle donne e agli uomini che non si rassegnano ad assistere impotenti al declino italiano, alla distruzione di vincoli sociali e democratici che rendono unita la comunità nazionale del Paese. A questo siamo ormai giunti con la destra al governo. In un crescendo di diseguaglianze e ingiustizie sociali, di smarrimento di un ruolo e di una funzione dell’Italia dentro l’Europa e nel mondo, di pieno spossessamento dei diritti, nel campo del lavoro, dell’ambiente, del sapere, della sfera soggettiva e individuale delle persone.

La crisi economica, a lungo negata come non ci dovesse riguardare, si manifesta ora in tutti i suoi effetti dirompenti, disgreganti, duraturi nel tempo, tanto sulla vita delle singole persone come su quella delle istituzioni, a partire da quelle più prossime ai cittadini, come i tanti comuni italiani messi ormai nelle condizioni di rinunciare a programmare lo sviluppo del proprio territorio.

C’è un paese colpito al cuore, smarrito, umiliato e offeso, intaccato ormai alla radice in quel che di più prezioso possa dirsi convinto: il senso di una speranza, di una possibilità autentica di cambiamento, di costruzione di una prospettiva dignitosa e libera di futuro per ciascuno, a partire da quelle ragazze e quei ragazzi che si aprono al compimento stesso della loro esistenza e oggi la intravvedono densa di minaccia anziché di possibilità.

Occorre un’opera di rigenerazione del Paese. Non solo politica. Insieme morale, democratica, sociale e prima ancora culturale. Perché è proprio a partire dai capisaldi culturali con cui questa destra si è insediata nel Paese, dal lavoro ai diritti, che ha avuto inizio e oggi giunge al più nefasto degli esiti possibili, lo smantellamento di una identità comunitaria nazionale.

Occorre dare, da subito, segnali forti, credibili, mettere in campo prima possibile una proposta di alternativa. Larga, unitaria, popolare, incentrata su un’idea forte di cambiamento da presentare al Paese, mobilitando energie, risorse, intelligenze, speranze ben presenti, come si è visto nella recente tornata di elezioni amministrative e nell’esito stesso del voto referendario. All’epilogo della crisi politica e morale della destra, capace di trascinare nel pantano e nella rassegnazione il Paese, è sempre più urgente da parte nostra contrapporre un’accelerazione per presentare all’Italia una grande, coesa, unita, coalizione di centrosinistra, forte di una sua autonoma agenda di governo.

Attese, ritardi, divisioni, dilazioni, separatezze, apparirebbero insensate, incomprensibili, rispondenti a pure logiche di parte, di fronte alla primaria necessità di costruire una risposta per voltare pagina e avviare il cambiamento.

Ora tocca a noi. Vi aspetto in piazza il 1° ottobre.


Nichi Vendola

domenica 25 settembre 2011

Neutralità della scienza?

LA CONTROSCIENZA - UNO SQUARTO DAL PONTE

di Rita Pennarola [ 17/09/2011] DAL SITO: lavocedellevoci.it



Inauguriamo una serie di articoli “tosti” sulla scienza killer. Ovvero, le menzogne assassine dei colossi ufficiali della medicina smascherate dai coraggiosi ricercatori di Science and Democracy.


E' ormai da qualche anno che a New York un allarme silente e' scattato nelle case. Attenti: quando chiamate il 118 per un familiare in gravi condizioni potrebbero arrivare le “squadrette della morte”: giungono in un baleno e, prima ancora di verificare se le sue condizioni siano recuperabili, gli praticano una fiala di eparina, poi effettuano un crash cerebrale, una pratica definita in gergo “Minnesota”, con annientamento del cervello sul piano cognitivo, ma non su quello metabolico. In pochi minuti ecco trovato un nuovo donatore di organi, pronto a colmare la fame di fegati, cuori, reni e cornee che negli Stati Uniti (ed oltre) letteralmente dilaga. Per questo “geniale” procurement l'e'quipe ricevera' qualcosa come 100mila dollari. Cash. Visto che non ci sara' nemmeno bisogno di convincere i parenti a donare gli organi.
La rivelazione arriva da un chirurgo di fama internazionale, Rocco Maruotti. Lui e' un foggiano di origine, vive da sempre a Londra ed ha esercitato per decenni la sua attivita' nelle sale operatorie di Pittsbourgh. Oggi, dopo un atroce dramma familiare, e' entrato nella crescente schiera di ricercatori ed intellettuali afferenti a Science and Democracy, centinaia di uomini e donne che in tutto il mondo si battono per restituire dignita' e diritti ad esseri umani sempre piu' massacrati e mercificati dalle logiche del profitto, in medicina ed oltre.
«Quando si arriva in ospedale con un familiare gravissimo o questo viene soccorso in casa dall'ambulanza, in genere sono anche i familiari a perdere ogni barlume di lucidita'. Sopraffatti dal panico, diventano la preda ideale per la speculazione. Lo sanno bene i professionisti dell'e-procurement, che studiano per anni le tecniche di marketing da applicare in questi casi. Primo: non bisogna dare ai familiari nemmeno un istante per pensare; secondo: evitare in qualsiasi modo l'approccio diretto col malato, niente carezze o tentativo di risveglio. La persona in trauma cranico o colpita da ictus e' gia' un ammasso di organi da espiantare, nulla deve ricondurre alla sua personalita', a sentimenti come amore o speranza». Piuttosto, tutto deve confluire nei messaggi propagandistici intorno al concetto di eternita'.
Fra le slides mostrate da Rocco Maruotti ce n'e' una che agghiaccia piu' delle altre. E' la locandina di una pubblicita' affissa in diversi posti degli States e mostra una giovane e bella ragazza dallo sguardo ammiccante. La scritta: “C'e' un solo modo che voi avete per entrare dentro questa ragazza, donarle i vostri organi». In basso, le modalita' di acquisto della “Donor card”.

ILe#8200;BOIAe#8200;DELL'ESPIANTO
Non usa mezzi termini, il professor Maruotti. E va giu' ancor piu' duro: «il donatore di organi e' atteso da una morte tripla. La prima, quando subisce il trauma cranico. La seconda, quando viene artificiosamente “resuscitato” per essere curarizzato e subire l'espianto; la terza quando gli vengono amputati i grossi vasi per prelevare i suoi organi mentre il cuore batte». Maruotti parla di una «agonia prolungata» che non trova eguali nella storia dell'umanita'. E ricorda quel boia dei penitenziari statunitensi, che si vantava di uccidere in meno di 9 secondi per accorciare il tempo della sofferenza. O ancora il genocidio dei nazisti, «che almeno non chiedevano alle vittime o ai loro familiari di apporre una firma di assenso al proprio omicidio». Nei trapianti non e' cosi': «tu firmi e l'agonia dura non meno di 24-48 ore». La “colpa”, quella dannata “colpa”, e' degli air bag, che salvano ogni anno la vita a centinaia di migliaia di persone coinvolte in incidenti stradali. Per esempio, il tasso di mortalita' sulle autostrade italiane e' passato dall'1,14% del 1999 allo 0,52 del giugno 2010. E il Progetto Mister della Regione Emilia Romagna ci ricorda che gli incidenti stradali rappresentano infatti la prima causa di morte per la popolazione di eta' compresa tra i 14 e i 29 anni.
Senza contare le regole per la sicurezza sul lavoro, i caschi obbligatori agli operai nei cantieri... Cosi' vanno “perse” altrettante giovani vite in grado di donare organi e i reparti ospedalieri rischiano la chiusura. Che facciamo? Scendiamo in piazza per salvare i posti di lavoro ai chirurghi trapiantisti rimasti disoccupati? O vogliamo organizzare una colletta per rimpinguare le casse di Big Pharma, i cui farmaci anti-rigetto (in primis la Cyclosporina della Novartis) restano ad ammuffire per mesi negli scaffali? I ricercatori di SeD ricordano in proposito che l'industria farmaceutica spende il 75% in attivita' di marketing, mentre mediamente solo il 20% e' dedicato alla produzione e appena il 2% alla ricerca.

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E cosi' l'orrore non ha fine. Maruotti racconta cosa ha visto con i suoi occhi in Cina: un salame di carne umana. Carne scadente, naturalmente, visto che si tratta di muscoli e grasso dei detenuti, condannati ad esecuzioni capitali, non senza essere stati prima accuratamente espiantati. Loro erano cattivi (magari avevano osato protestare nelle piazze contro gli abusi del regime). Ma gli organi, beh, quelli dovevano essere buonissimi: prima l'espianto, poi l'esecuzione capitale. Infine, siccome del maiale non si butta via niente, ecco con gli avanzi di quei prigionieri una serie di belle collane di salami. A Pechino e dintorni pare ci sia chi le acquista. Magari solo come souvenir.
«Il principio - riprende Maruotti - come e' stato giustamente affermato da diversi antropologi, e' quello del cannibalismo. Ecco, l'espianto-trapianto e' una forma di cannibalismo non orale, una situazione in cui riusciamo a non sentirci in colpa, martellati come siamo dai condizionamenti medico-mediatici. E' insomma in atto un processo di de-umanizzazione, compresa la tendenza a concepire i diversi, e quindi anche gli ammalati gravi, come non-umani. Cosi' accadeva al popolo che assisteva alle esecuzioni capitali nelle piazze, incitando il boia».

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A fronte di una spesa crescente per le attivita' di procurement, ivi comprese le sempre piu' sofisticate tecniche di persuasione dei familiari, ad infliggere un duro colpo alle frenesie trapiantistiche sta provvedendo una presa di coscienza - tanto inattesa, quanto generalizzata - estesa alla intera classe medica. In Italia il Sistema Informativo Trapianti annesso al Ministero della Salute fino a tutto luglio 2011 segnala che sono stati effettuati 1.100 trapianti su 1.111 donatori. Mancano alcuni mesi alla fine dell'anno, ma il calo appare gia' sensibile rispetto al 2010 (2.875 trapianti) e al 2009 (2.322).
Un gruppo di chirurghi australiani ha affermato categoricamente che c'e' un solo modo per sottrarsi alla pratica dell'espianto: ribellarsi con ogni mezzo, anche a costo di “dare di matto”, quando il familiare arriva in ospedale in gravi condizioni. «Urlate, minacciate, denunciate!», e' la loro esortazione.
La levata di scudi da tempo coinvolge anche anestesisti ed infermieri di questi reparti, cui la legge italiana non riconosce alcuna possibilita' di obiezione. Per quasi tutti, la scelta e' quella, quando e' possibile, di chiedere il trasferimento ad un'altra unita' ospedaliera. Soprattutto da quando le piccole voci, che una volta denunciavano in totale isolamento questi fenomeni, stanno diventando un coro. La notizia e' sempre quella: non esistono medici donatori di organi. E se ci sono, cio' avviene solo sulla carta. Lasciate che a donare siano gli altri: il loro motto resta sempre quello.
A Rocco Maruotti il cuore dal petto e' stato strappato per davvero. Se oggi dedica la sua vita a contrastare, da luminare della scienza, la pratica «aggressiva ed estorsiva» dei trapianti, e' perche' lui, proprio lui, il famoso chirurgo di Pittsbourgh, un dannato giorno del 2009 si e' trovato a passare dall'altra parte. Era tornato da Londra con la famiglia per trascorrere qualche giorno in provincia di Foggia. Con lui il piccolo Sacha, 5 anni, la gioia attesa da una vita. Durante la visita ad una famiglia di amici il bambino si sporge troppo, cade, batte la testa.
Racconta Rocco: «Sono morto io, in quel momento. Me lo hanno portato via. Ero come paralizzato, non sono riuscito ad oppormi all'espianto».
Cosi' lui, che peraltro di trapianti nel corso della sua lunga professione non ne aveva mai eseguiti, ha trovato la forza per studiare e far conoscere al mondo tutti gli osceni dettagli di questa pratica mortifera, fino a descrivere minuziosamente le tecniche adottate per conferire ai familiari piu' titubanti quella «magnifica sensazione d'immortalita' che si acquista donando gli organi dei propri cari». Da li' partono quelle oceaniche manifestazioni celebrative che sono poi il cuore di tutte le organizzazioni dei cacciatori di organi, lautamente finanziate dai governi. «A queste manifestazioni - aggiunge il chirurgo - non vengono pero' mai invitati i familiari dei donatori, bensi' solo i trapiantati. Servono essenzialmente ad oscurare la tragedia della morte, a negare la sofferenza umana. E a sancire il concetto per cui un corpo diventa denaro». Inutile dire che i chirurghi dissenzienti vengono espulsi dalle organizzazioni scientifiche “istituzionali”. Se giovani, restano generalmente senza lavoro.
Per contrastare il linguaggio orweliano della propaganda trapiantistica, Rocco Maruotti adotta nelle sue conferenze in giro per il mondo i termini brutali che i medici usano in questi casi fra loro. Niente “doni”: solo squartamento ed eviscerazione di pazienti ancora vivi.

* * *

LA CASTA SCIENZA
La sezione italiana dell'associazione internazionale Science and Democracy e' guidata da un matematico, il professor Marco Mamone Capria dell'Universita' di Perugia. Decisamente una bella testa e una mente ancor piu' illuminata. A proposito del diritto che i cittadini hanno di criticare la scienza, ecco cosa scrive Mamone: «Se si possa criticare la scienza senza per cio'e#768; stesso meritarsi l'accusa di irrazionalismo e'e#768; questione non solo dotata di intrinseco interesse, ma cruciale per chi e'e#768; interessato al problema del controllo democratico della scienza. La tesi oggi maggiormente diffusa al riguardo e'e#768; negativa, e la si puo'e#768; riassumere come segue. La scienza e'e#768; un'attivita'e#768; dotata di una forte ed essenziale componente specialistica, che impedisce al non specialista di intervenire in maniera significativa sulle sue produzioni. (...)». Percio', «chi pensa di poter criticare la scienza senza “farne parte”, e'e#768; un illuso; bisogna isolarlo perche', rifiutando la razionalita'e#768; scientifica, egli mette a repentaglio i fondamenti del consorzio civile e apre la strada a un ritorno alla barbarie».
Cosi' nasce quella “casta” che dalla medicina dei trapianti alle sciagure nucleari, fino ai disastri ambientali, sta mettendo a repentaglio i destini del pianeta e della stessa umanita', senza che nessuno, dall'esterno, possa avere a che dire alcunche'. Altro che magistrati o politici, sembra dirci Mamone: la casta piu' pericolosa e' proprio quella della scienza per cosi' dire canonizzata e ufficiale.
Un ottimo motivo per passare dall'altra parte e aderire a Science and Democracy, che ad aprile scorso ha celebrato in Italia i suoi primi dieci anni con l'arrivo di ricercatori fuori dal coro provenienti da universita' ed istituti di ricerca di mezzo mondo. In prima fila, anche Rocco Maruotti.
Di una scienza «oligarchica e autoritaria», come la definisce Mamone, oltre che plutocratica, i segnali non mancano. A partire da quella modulistica che oggi il ministero italiano pretende per concedere i (sempre piu' rari) finanziamenti alla ricerca. Una modulistica in cui si e' tenuti ad indicare “cosa si intende scoprire” e quanti “anni/uomo” impieghera' la ricerca. E' il “peer review system” anglosassone, che nei paesi in cui vige da decenni e'e#768; stato piu' volte criticato. «Ma - fa osservare Mamone - risulta particolarmente gradito ai governi, perche' possono cosi' razionalizzare a fini pubblici le proprie decisioni mediante l'avallo di un'opinione scientifica gia' in partenza irreggimentata e piu' facilmente controllabile».
R. P.

venerdì 23 settembre 2011

Sarebbe stato meglio morire democristiani

Se il Parlamento è vivo la democrazia è certa, se il Parlamento è povero o pezzente, come oggi, allora c'è da dubitare molto che ci sia democrazia".

L'analisi impietosa è di Oscar Luigi Scalfaro

giovedì 22 settembre 2011

Il capitalismo è incompatibile con la vita sul pianeta



Fenomeno Land Grabbing, scandalo risorse scippate
Gli Stati e le multinazionali fanno incetta di pianure fertili, fonti, pascoli, boschi. Li sottraggono ai paesi troppo poveri. La terra resta lì, ma i suoi frutti vanno altrove, nei forzieri dei paesi che hanno fatto cassa con l'inquinamento

di ANTONIO CIANCIULLO, da Repubblica

PIANURE fertili, fonti, pascoli, boschi: sono questi i beni di cui gli Stati e le multinazionali cominciano a fare incetta nell'era della scarsità di risorse. Le potenze nascenti non conquistano più le terre con gli eserciti, le comprano sottraendole ai disperati troppo poveri per opporsi al potere della finanza. La nuova corsa all'oro si chiama land grabbing e in 10 anni ha virtualmente delocalizzato un territorio grande più di sette volte l'Italia: 227 milioni di ettari hanno cambiato padrone. La terra è sempre lì, ma i suoi frutti vanno altrove, finiscono in buona parte nei forzieri dei paesi che hanno fatto cassa con l'inquinamento e ora si attrezzano per sopravvivere in un pianeta esausto.



I numeri sono contenuti nel rapporto Land and Power curato da Oxfam 2, l'associazione che in questi giorni sta lanciando vuna raccolta di fondi, via sms, per il Corno d'Africa 3. Non tutti i 227 milioni di ettari sono sicuramente classificabili come land grabbing, ma dietro le acquisizioni di terreni, caratterizzate quasi sempre da una scarsa trasparenza, si cela spesso questo fenomeno.

Oxfam ha analizzato circa 1.100 accordi relativi all'acquisizione di 67 milioni di ettari: il 50% delle compravendite sono avvenute in Africa e coprono un'area quasi pari alla superficie della Germania. La ricerca è stata condotta sul campo, visitando i luoghi e raccogliendo testimonianze e racconti. Racconti come quello di Christine Longoli, una degli oltre 20 mila ugandesi che hanno denunciato di essere stati costretti ad abbandonare le loro case per far posto alle piantagioni estensive: "Ricordo la mia terra, tre acri di caffè, tanti alberi, mangrovie e avogado. Avevo le mucche, le api. Mi avevano dato anche un premio come agricoltore modello. Ora non ho più nulla, sono la più povera tra i poveri".

O come quella di Lokuda Losil, 60 anni e 30 acri, sempre in Uganda: "Gli uomini della New Forest Company sono venuti e hanno cominciato distruggere i raccolti e a demolire le case ordinando di andarcene. Picchiavano la gente che non riusciva a scappare". La New Forests Company, una società britannica che ha ottenuto ampi riconoscimenti da parte del governo ugandese e dichiara di seguire rigorosi codici di comportamento, smentisce le accuse, ma il rapporto riferisce di migliaia di testimonianze sulle violenze subite da parte dei contadini, sull'arresto dei leader delle comunità locali, sulla distruzione di scuole e strutture sociali.

E l'Uganda non è un caso isolato: con quasi 3 miliardi di persone che vivono in aree in cui non c'è acqua a sufficienza, chi può accaparra frammenti di natura. In Honduras, la Bajo Aguan Valley, una delle regioni più fertili, a meta degli anni Settanta era stata affidata a 54 cooperative. Negli ultimi dieci anni un'escalation di violenze mirata a concentrare le proprietà terriere nelle mani di pochi latifondisti è culminata, nell'ottobre del 2010, con l'assassinio di 36 contadini e la militarizzazione dell'area.
In Guatemala, dove il 78 per cento dei terreni è di proprietà dell'8 per cento degli agricoltori, la spinta a moltiplicare la produzione di biocarburanti ha portato a triplicare l'area destinata alla palma da olio espellendo i contadini che lavoravano la terra per coltivare cibo per la propria sopravvivenza. Nel marzo 2011, 800 famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro comunità nella Polochic Valley. Si calcola che entro il 2050 la produzione di olio da palma raddoppierà a livello globale portando a un'estensione delle coltivazioni su un territorio grande 6 volte l'Olanda.

Nell'Amazzonia peruviana sono in corso più di 50 megaprogetti energetici. Le concessioni per lo sfruttamento del petrolio e del gas coprono il 70 per cento del territorio amazzonico; più di 10 milioni di ettari sono stati assegnati all'uso minerario; quasi 8 milioni di ettari sono stati dati alle società che trasformano gli alberi in parquet.

Nel Sudan del Sud tra il 2007 e il 2010 società straniere, governi e singoli individui hanno preso il controllo di 2,6 milioni di ettari di terreno da destinare ad agricoltura, biofuel, legname: l'area, grande quanto il Rwanda, rappresenta il 10 per cento del paese.

In Indonesia, nel distretto di Tayan Hulu, la pressione per convincere i contadini a cedere i terreni ha portato nel 2007 a proteste con blocchi stradali e arresti. Il tentativo di espandere ulteriormente la coltivazione della palma da olio sta creando problemi in tutto il paese.

"Il numero senza precedenti delle compravendite e la crescente competizione per la terra sta avvenendo sulla pelle dei più poveri del mondo. In questa nuova corsa all'oro, gli investitori ignorano i diritti delle comunità locali", dichiara Francesco Petrelli, presidente di Oxfam Italia. "Lo scandalo è che l'80% delle terre accaparrate rimane inutilizzato. Questa nuova corsa all'oro si intensificherà nel futuro, a causa della crescente domanda di cibo, dei cambiamenti climatici, della scarsità d'acqua e dell'incremento della produzione di biocarburanti".

Nouriel Roubini dice che la Grecia deve fallire ed andare fuori dall'Euro



Greece should default and abandon the euro

di Nouriel Roubini dal Financial Times

Greece is stuck in a vicious cycle of insolvency, low competitiveness and ever-deepening depression. Exacerbated by a draconian fiscal austerity, its public debt is heading towards 200 per cent of gross domestic product. To escape, Greece must now begin an orderly default, voluntarily exit the eurozone and return to the drachma.

The recent debt exchange deal Europe offered Greece was a rip-off, providing much less debt relief than the country needed. If you pick apart the figures, and take into account the large sweeteners the plan gave to creditors, the true debt relief is actually close to zero. The country’s best current option would be to reject this agreement and, under threat of default, renegotiate a better one.

Yet even if Greece were soon to be given real and significant relief on its public debt, it cannot return to growth unless competitiveness is rapidly restored. And without a return to growth, its debts will stay unsustainable. Problematically, however, all of the options that might restore competitiveness require real currency depreciation.

The first of these options, a sharp weakening of the euro, is unlikely while the US is economically weak and Germany über-competitive. A rapid reduction in unit labour costs, through structural reforms that increased productivity growth in excess of wages, is just as unlikely. Germany took 10 years to restore its competitiveness this way; Greece cannot wait in depression for a decade.

The third option is a rapid deflation in prices and wages, known as an “internal devaluation”. But this would lead to five years of ever-deepening depression, while making public debts more unsustainable.

Logically, therefore, if those three options are not possible, the only path left is to leave the eurozone. A return to a national currency and a sharp depreciation would quickly restore competitiveness and growth, as it did in Argentina and many other emerging markets that abandoned their currency pegs.

Of course, this process will be traumatic. The most significant problem would be capital losses for core eurozone financial institutions. Overnight, the foreign euro liabilities of Greece’s government, banks and companies would surge. Yet these problems can be overcome. Argentina did so in 2001, when it “pesified” its dollar debts. America actually did something similar too, in 1933 when it depreciated the dollar by 69 per cent and repealed the gold clause. A similar unilateral “drachmatisation” of euro debts would be necessary and unavoidable.

Major eurozone banks and investors would also suffer large losses in this process, but they would be manageable too – if these institutions are properly and aggressively recapitalised. Avoiding a post-exit implosion of the Greek banking system, however, may unfortunately require the imposition of Argentine-style measures – such as bank holidays and capital controls – to prevent a disorderly fallout.

Realistically, collateral damage will occur, but this could be limited if the exit process is orderly, and if international support was provided to recapitalise Greek banks and finance the difficult fiscal and external balance transition. Some argue that Greece’s real GDP will be much lower in an exit scenario than in the hard slog of deflation. But this is logically flawed: even with deflation the real purchasing power of the Greek economy and of its wealth will fall as the real depreciation occurs. Via nominal and real depreciation, the exit path will restore growth right away, avoiding a decade-long depressionary deflation.

Those who claim contagion will drag others into the crisis are also in denial too. Other peripheral countries have Greek-style debt sustainability and competitiveness problems too; Portugal, for example, may eventually have to restructure its debt and exit the euro too.

Illiquid but potentially solvent economies, such as Italy and Spain, will need support from Europe regardless of whether Greece exits; indeed, a self-fulfilling run on Italy and Spain’s public debt at this point is almost certain, if this liquidity support is not provided. The substantial official resources currently being wasted bailing out Greece’s private creditors could also then be used to ringfence these countries, and banks elsewhere in the periphery.

A Greek exit may have secondary benefits. Other crisis-stricken eurozone economies will then have a chance to decide for themselves whether they want to follow suit, or remain in the euro, with all the costs that come with that choice. Regardless of what Greece does, eurozone banks now need to be rapidly recapitalised. For this a new European Union-wide programme is needed, and one not reliant on fudged estimates and phoney stress tests. A Greek exit could be the catalyst for this approach.

The recent experiences of Iceland, along with many emerging markets in the past 20 years, show that the orderly restructuring and reduction of foreign debts can restore debt sustainability, competitiveness and growth. Just as in these cases, the collateral damage to Greece of a euro exit will be significant, but it can be contained.

Like a broken marriage that requires a break-up, it is better to have rules that make separation less costly to both sides. Breaking up and divorcing is painful and costly, even when such rules exist. Make no mistake: an orderly euro exit will be hard. But watching the slow disorderly implosion of the Greek economy and society will be much worse.

Nouriel Roubini is Chairman of Roubini Global Economics, professor at the Stern School, New York University and co-author of ‘Crisis Economics’. A longer version of this article can be found on the RGE website


This article is part of the A-List series: Can the euro be saved?

mercoledì 21 settembre 2011

NICHI. GRANDI PAROLE DI VERITA...






Vendola: “Gli amici di Berlusconi? Quattro vecchi rincoglioniti che sporcano la politica”

Il leader di Sinistra Ecologia e Libertà descrive in questo modo il "cerchio magico" del premier: Gianpaolo Tarantini, il direttore del tg 4 Emilio Fede e l'agente dei vip Lele Mora
Il magico trio che ruota intono al Presidente del Consiglio è formato da “Emilio Fede, Lele Mora e Gianpaolo Tarantini”. Il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, Nichi Vendola li descrive senza giri di parole: ”Ci fa vergognare il fatto che quattro vecchi, maschi e un pò rincoglioniti possano entrare nella politica e sporcarla. Noi, che ricordiamo un periodo storico in cui la politica, con Enrico Berlinguer, era una grande passione e non una piccola miseria, ci vergogniamo”. Un disgusto espresso oggi pubblicamente durante un convegno di piazza a Civitavecchia. “Vergogna, dolore e rabbia – ribadisce il leader di Sel – sono i tre sentimenti che sempre più salgono dentro di noi man mano che viene a galla come in Italia viene gestito il potere”. Per Vendola, il declassamento del rating italiano, a opera di Standard & Poor’s, “è un’altra medaglia che può mettersi al petto Silvio Berlusconi, che sembra sempre più asserragliato nel suo palazzo. C’è bisogno del disgelo in Italia, siamo ancora prigionieri del grande freddo”. Tra metafore e figure retoriche Vendola si candida a nuova guida del paese: “Dobbiamo liberare la scena pubblica da una classe dirigente impresentabile in Italia e nel mondo. Una classe politica che ha dato scandalo pubblicamente e che ha fatto della pornografia e del turpiloquio un codice. La mia partita è per restituire nobiltà alla politica”.

Altro tema caldo nell’agenda di Vendola è il referendum per cambiare l’attuale legge elettorale: il Porcellum “è un sistema elettorale che non garantisce la governabilità, che umilia la democrazia e il pluralismo, e priva i cittadini persino della possibilità di indicare direttamente i propri rappresentanti”. Il messaggio è stato diffuso tramite la pagina facebook del leader pugliese. Ecco il video integrale:

martedì 20 settembre 2011

SBEFFEGGIAMOLO!




"Piove? E' #colpadeimedia" Twitter ironizza su Berlusconi





FEDERICO GUERRINI da La Stampa

Ricordate le Morattiquotes e #colpadiPisapia, i tormentoni su Twitter che avevano scandito la fine dell'era di Letizia Moratti come sindaco di Milano? All'epoca, centinaia di messaggi sarcastici e irriverenti (stile: “piove? È colpa di Pisapia”) erano stati scatenati dall'indignazione di molti internauti per la false accuse mosse dall'ex primo cittadino allo sfidante poi vittorioso.

Le ultime dichiarazioni del premier Berlusconi dopo il declassamento del rating da parte di Standard&Poor - “è tutta colpa dei media” - stanno ottenendo un effetto simile.

In un baleno, sono nati su Twitter due hashtag che stanno impazzando nella rete di microblogging italiana e, di riflesso, su Facebook: “#downgradingSilvio” e “#colpadeimedia” (ma pure #silviodimettiti va forte).

“L'Europa blocca i finanziamenti al Ponte? #colpadeimedia - scrive ad esempio Arianna Ciccone, l'ideatrice del Festival del Giornalismo di Perugia che assieme all'amico Vincenzo Marino ha avuto per prima l'idea di sfogare in Rete la propria indignazione”.

“Il 25% dei giovani al nord è disoccupato, il 33% al sud e il 53% delle donne? #colpadeimedia – aggiunge Evolux”. E se il collegamento wi-fi sul Frecciarossa non funziona neanche oggi – come racconta Cristianaraffa - di chi sarà la colpa?

Ma sempre di questi benedetti media, ovviamente, che non fanno le leggi, non governano, e in buona parte appartengono proprio a lui, al presidente del Consiglio, ma in qualche modo esoterico, eppur efficacissimo, riescono a condizionare le decisioni di una delle più importanti agenzie finanziarie internazionali.

Più serie, nel tono e nelle intenzioni, le discussioni attorno al tema #downgrading Silvio: “Se avete un account twitter oggi – scrive dottorpeni - usate #DowngradingSilvio, facciamo sapere al mondo che noi cittadini lo abbiamo "declassato"”.

E c'è anche chi, come l'utente Tigella fa qualche considerazione più ponderata sul ruolo e l'efficacia delle proteste sui social media, che, se non accompagnate da azioni concrete rischiano di trasformarsi in "slacktivism", termine coniato per designare i contestatori da salotto: “Il problema – twitta - è che non riusciamo a far uscire dalla rete intelligenza e creatività: meno #downgradingSilvio e più pianificazione di azioni”.

“Giusto – ribatte Ungormite - Partiamo coi video virali. Poi meetup, piazza e tenda”. Nel giorno più buio della crisi, anche l'Italia ha partorito i suoi Indignados?

Io vado già a caccia di cacciatori



...meravigliosi caprioli davanti a casa mia l'inverno scorso...


Caccia: una strage senza fine e senza senso

di Fabio Balocco,da Il Fatto Quotidiano

L’esercizio della caccia in Italia è la lampante dimostrazione che la democrazia (il governo del popolo) è, nelle società capitaliste, solo una vuota parola.

In Italia circa l’80% dei cittadini è contrario alla caccia. I nostri politici lo sanno benissimo ma non hanno mai fatto nulla, non dico per abolire, ma almeno per restringere di molto i confini dell’attività venatoria (almeno, ad esempio, vietarla a certe specie, su terreni innevati, alla domenica). Sarebbe questo il governo del popolo? Se io, politico, so che i miei elettori sono contrari alla caccia, perché non faccio nulla per rappresentarli in questo campo? Scusate, domanda del tutto pleonastica, anzi, idiota.

E non solo i politici non fanno nulla, ma quando ci sono stati i due referendum sulla caccia non hanno mosso un dito perché si raggiungesse il quorum, col bel risultato che in Italia esiste ancora una assurda norma del Codice Civile (art. 842) che permette l’accesso ai cacciatori (ma non anche ai pescatori…) ai fondi privati per abbattere la selvaggina (termine che solo ad usarlo mi fa venire i brividi).

Eppure i cacciatori sono una razza in via d’estinzione. Dal 1980 al 2007 essi sono diminuiti del 55,8%, e la loro età media è compresa fra i 65 ed i 78 anni. Questo la dice lunga anche sulla loro capacità lobbistica, cui i nostri parlamentari sono così sensibili…

Ma prima dei cacciatori, purtroppo, si estinguerà almeno la tipica fauna alpina (coturnice, fagiano di monte, lepre variabile, pernice bianca). Io vado in montagna da più di trent’anni e in tutte le gite che ho fatto ho visto solo due volte delle pernici bianche. Poi basta. Eppure ogni anno si consente la caccia persino a queste specie in via di palese e drastica diminuzione.

Questo per non parlare dei cosiddetti “ripopolamenti” (tipico esempio il cinghiale, ma anche il capriolo) ad opera delle associazioni venatorie, ripopolamenti che alterano ulteriormente gli equilibri di ecosistemi già in parte compromessi.

Ma poi, santo Dio, consentitemi, a parte ogni discorso politico ed ecologico, dove sta il senso di sparare a un merlo, a un tordo, a un fringuello o a un camoscio? Eppure questa gente si diverte. Questa gente è malata…

Il più sano ha la rogna




Caso Tarantini, all’ombra di Berlusconi potere e affari dei dalemiani


Nelle carte dell'inchiesta di Bari spuntano i tentativi di Gianpi di favorire, grazie all'intervento del premier, gli affari di Roberto Intini, uomo legato a Massimo D'Alema, con cui l'imprenditore pugliese racconta di avere giocato a burraco durante una gita in barca a Ponza. Tra gli obiettivi c'era l'acquisizione di un appalto per un gasdotto tra Italia e Albania
“Non gli ho mai chiesto nulla … ma nulla nulla nulla – dice Gianpi - non gli ho mai interferito un cazzo … credo che me la fa senza nessun problema …. no, voglio dire, la presentazione del gruppo tuo così importante … non è che andiamo con un’aziendina di merda …”. È il 17 ottobre 2008 che Gianpi, dopo aver sedotto il premier con uno stuolo di donne accondiscendenti, esce allo scoperto con la sua prima richiesta d’affari: sta sponsorizzando un dalemiano. L’azienda che spinge nelle braccia del premier, e del connubio Finmeccanica-protezione Civile, è l’ “importante gruppo” di Roberto Intini. È a una “lobby” del centroninistra che Gianpi funge da cerniera, usando le donne come mezzo di scambio, per convincere il leader del centrodestra.

È una torbida riedizione del “compromesso storico”, quella operata da Gianpi, che porta il premier a favorire gli affaristi legati a Massimo D’Alema (nessuno di loro risulta indagato nell’inchiesta per prostituzione). Con l’esponente del Pd, durante una gita in barca a Ponza “giocammo a burraco”, racconta Tarantini in un verbale del novembre 2009. A consigliare le avvenenti ragazzine, da portare poi al premier, c’è l’avvocato Salvatore Castellaneta, amico di Roberto de Santis – soprannominato il “banchiere di D’Alema” – a sua volta intimo dell’imprenditore Roberto Intini. La “superiorità etica” dell’area dalemiana crolla dinanzi a questa catena, un abbraccio mortale, sotto il profilo politico – impreditoriale, dannoso quanto gli abbracci sensuali che stanno devastando la reputazione del premier. È agli imprenditori “dalemiani”, infatti, che il Berlusconi accecato dalle donne e da Gianpi, garantisce gli appuntamenti con il boss della Protezione Civile, Guido Bertolaso, e i contatti con il numero uno di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. È questa la sua prima richiesta al premier.

Tarantini e i suoi soci sono un vortice di iniziative: sognano di entrare in una società di Finmeccanica (la Sel Proc) e ottenere appalti per il G8 dell’Aquila. Immaginano di conquistare 12 appalti per la Protezione Civile (per 51 milioni), e poi gasdotti in Albania, contratti sulla tracciabilità del sangue con la Regione Lombardia. Poco, nonostante l’interessamento di Berlusconi e di alti dirigenti pubblici, è andato in porto. Tarantini scopre d’essere nel mirino della procura: gli affari svaniscono in un istante. Ma restano i tentativi: “Il progetto del comitato d’affari Intini-Tarantini – si legge negli atti – era entrare nel circuito delle grandi opere pubbliche. Il primo passo… era stato compiuto grazie alla mediazione di Berlusconi, che ad inizio novembre 2008 aveva messo in contatto Tarantini con il capo della Protezione Civile, al fine di sondare la possibilità di entrare a far parte, con società del Gruppo Intini, della short-list della struttura tecnica della Presidenza del Consiglio. Dopo i primi incontri, Bertolaso aveva “dirottato” il neonato comitato d’affari sul Gruppo Finmeccanica, con la prospettiva (iniziale) di entrare nel capitale di una società di progetto, allora in fase di costituzione, a cui sarebbero stati destinati 280 milioni”.

Chiariscono i pm: “I rapporti con la Presidenza di Finmeccanica venivano avviati e mantenuti grazie anche all’intervento del Presidente Berlusconi”. Che le ragazze appaiano merce di scambio, lo dimostrano le intercettazioni. Tarantini: “Venerdì probabilmente vado con lui a New York!”. Castellaneta: “Perfetto… ma stiamo quagliando o non stiamo quagliando un cazzo?”. Tarantini: “Stai zitto, che secondo me la settimana prossima prendiamo l’appuntamento!”. Castellaneta: “Per Enrico?”. Tarantini: “Sì… Ma ora chi dobbiamo portare? Non hai più niente tu?”. Castellaneta: “Ora te la trovo una, stai tranquillo…”. Tarantini: “…Ma la marocchina quella che dicesti tu una volta?”.

Nel frattempo Gianpi qualcosa intasca. Una consulenza pagata 150mila euro da Intini alla sua GC Consulting. E ancora: il 14 marzo 2009, annota la Finanza, Berardino Mastromarco (autista di Tarantini) racconta di aver ricevuto “da Intini una scatola di scarpe colma di “pacchettini da 100, da 500″ euro quale acconto – di 200 mila euro – per la mediazione svolta per l’affidamento di una prima trance di lavori da Finmeccanica a società del Gruppo Intini…”.

Il Cavaliere tranquillizza Gianpi: “Lui (Berlusconi, ndr) mi ha detto “stai tranquillo, te lo faccio veramente con il cuore, con piacere”, racconta Tarantini a Intini. Berlusconi lascia un depliant di Intini a Bertolaso. E Gianpi racconta: “Lui (il Premier, ndr) mi ha detto “informati perché io gli ho lasciato una brochure e ha detto che ti avrebbe chiamato”, io ho detto “senta faccia una cosa gli lasci proprio il mio numero”, ha detto “va bene”, ha detto che lui lo vede o lunedì o martedì di nuovo”, ma chiedi ad Enrico, non è che è stato chiamato qualcuno dell’azienda?”.

Nel novembre 2008 Berlusconi contatta Gianpi: “Senti sono in macchina con il sottosegretario Bertolaso… ecco te lo passerei così vi mettete d’accordo direttamente”. Bertolaso: “Eccoci buonasera”, Tarantini: “Dottore buonasera, lieto di conoscerla”, Bertolaso: “Piacere tutto mio… ma lei dove sta a Roma? (…) Ecco allora domani quando torna a Roma… a che ora vuole venire a trovarmi?”. A Berlusconi l’incontro tra Tarantini e Bertolaso sta a cuore. Il 14 novembre 2008 mentre sta per volare a Washington chiama Gianpi: “Quand’è allora che lo vedi?”. Tarantini: “Oggi alle 3”. Berlusconi: “Sii prudente sempre… ecco lui (Bertolaso, ndr), ha in mano i tuoi depliant…”.

Poi c’è il tassello che al duo Tarantini-Intini sta più a cuore: Finmeccanica. Il 10 dicembre 2008 Tarantini chiede: “Ha visto Pierfrancesco Guarguaglini (presidente di Finmeccanica, ndr)?”. Berlusconi: “L’ho visto e poi ti riferisco”.

La lista degli amici “dalemiani” di Tarantini è lunga. C’è anche il banchiere Vincenzo De Bustis. Ma soprattutto è De Santis che, dicono i pm, “lo ha guidato nei rapporti d’affari in contesti istituzionali”. Insieme si lanciano nel tentativo di realizzare un gasdotto sottomarino tra Albania e Puglia. E grazie “alla mediazione di Paolo Berlusconi”, scrivono i pm, presentano alla Regione Lombardia un servizio offerto dal Gruppo Intini sulla tracciabilità del sangue”.

di Antonio Massari e Ferruccio Sansa

da il Fatto quotidiano del 18 settembre 2011 – aggiornato dalla redazione web alle 12.00

domenica 18 settembre 2011

Sequestrati sul Titanic


Ci porta a fondo con lui

di Paolo Flores d'Arcais dal Fatto Quotidiano

“A tempo perso faccio il primo ministro”, confessa Berlusconi a una delle sue prezzolate. In qualsiasi altro paese vagamente civile, un primo ministro così verrebbe fatto interdire. Uno che considera governare tempo perso, ma non ne perde affatto quando si tratta di ingaglioffire le istituzioni a fini personali, una legge dopo l’altra e una nomina dopo l’altra, e una baldracca dopo l’altra in cambio di quelle nomine, o di lucrosissimi appalti con cui i suoi ruffiani e le sue cricche hanno spolpato il paese. Ma se da noi avanzi questa modestissima ovvietà troverai subito un Giuliano Ferrara o un Minzolini pronti a stracciarsi le vesti e accusare i “giustizialisti” – dalle tv totalitariamente occupate – di voler perseguitare Berlusconi con gli “ospedali psichiatrici” della Russia di Breznev.

Eppure qui non interessa l’evidente stato clinico già testimoniato anni fa dalla signora Berlusconi, ma le macerie cui il primo ministro “a tempo perso” ha ridotto l’Italia per potersi coltivare la sua privatissima patologia. Macerie che stanno riducendo in povertà milioni di cittadini, mentre arricchiscono a dismisura le schiere dei lanzichenecchi e dei lacchè di regime.

In qualsiasi altro paese vagamente civile, sarebbero i suoi ad averlo da tempo messo alla porta. I colleghi di partito di Helmut Köhl – con la signora Merkel in testa – fecero dimettere il Cancelliere della riunificazione (un’impresa storica) per una semplice indagine su una spesa elettorale non dichiarata. Eppure i politici tedeschi non sono santi né anacoreti. Non è però un caso se tale moralità minima, o la sua assenza (come in Italia) pesano anche sui mercati: il ministro Tremonti (auguri per Milanese, en passant) ci assicura che la nostra economia reale è in salute, dunque la differenza la fa solo la credibilità della Merkel rispetto a quella di Berlusconi. E quando le oscenità di quest’ultimo rispetto alla prima diventeranno conclamate (e non più mero segreto di Pulcinella) cosa succederà? Oggi l’unico leader europeo pronto ad abbracciare Berlusconi è l’ex capo del Kgb Vladimir Putin, gli altri se possono evitano perfino di stringergli la mano.

Ma Berlusconi per i suoi è inamovibile perché ha costruito un vero e proprio sistema di potere con aspetti criminali, ramificato in Parlamento, negli enti pubblici (che trattano affari miliardari con armamenti e petrolio), negli appalti, nelle tv e nella (dis)informazione. Migliaia di bocche insaziabili che occupano il Palazzo, e che con la caduta di Berlusconi rischiano povertà e galera. Complici.

Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2011

INDIGNATI ANCHE A WALL STREET











La dissolvenza di Obama


da un blog sul Manifesto

La mail naturalmente mi ha lusingato, un invito personale del leader del free world, non capita tutti i giorni – un sushi veloce piantonato dal secret service magari, o anche una pizza d’asporto nella West Wing con Michelle. Ma l’illusione e’ durata il tempo di leggere i dettagli della mail di massa: una donazione di $25 alla campagna di rielezione vale l’iscrizione ad un concorso per l’estrazione fra nove mesi di quattro vincitori. Piu’ che campagna virale siamo alla politica del telemarket, l’ultima patetica strategia per racimolare consenso di un presidente il cui glamour cosi’ carismatico due anni fa, ora emana odore inconfondibile della disperazione. Secondo la teoria di James Fallows (in quanto ex speech writer di Jimmy Carter automatica autorita’ su benintenzionate ma fallimentari amministrazioni democratiche), le calamita’ che di solito affossano un presidente possono addursi a quattro principali categorie: guerre, scandali, economia e piu’ generalmente la diffusa percezione di incompetenza. I problemi di Obama derivano naturalmente dalla terza causa ma sta diventando sempre piu’ diffusa anche la narrativa che lo vuole leader non all’altezza, incapace di reagire con efficacia alla crisi che non accena a finire e politicamente paralizzato. E’ la linea abilmente propugnata dai repubblicani il cui ostruzionismo ad oltranza si prepara a infliggere un ennesima sconfitta sul decreto per l’occupazione, rafforzando ovviamente a sua volta la percezione del presidente come incapace. Un circolo vizioso da cui Obama non sembra avere una exit strategy, a meno che quelle 4 cene…..

di luca celada
pubblicato il 18 settembre 2011



Obama lancia la «Buffet Rule» .Per tassare i ricchi
Il presidente Usa presenta il piano per ridurre il debito


fonte: La Stampa


MILANO - Un sistema di tassazione in base a cui i milionari dovranno pagare almeno la stessa percentuale di tasse che sborsano i contribuenti della classe media. Lo presenterà lunedì il presidente degli Stati Uniti Barack Obama nell'ambito del suo piano per la riduzione del debito. Lo riferisce un funzionario della Casa Bianca, parlando a condizione di rimanere anonimo. La proposta è stata denominata «Buffet rule», dal nome del miliardario Warren Buffet che spesso si è lamentato del fatto che i ricchi come lui pagano una quantità inferiore di tasse rispetto ai contribuenti della classe media. Proprio il mese scorso Buffett aveva scritto sul «New York Times» che lui e i suoi amici ricchi erano «stati viziati abbastanza a lungo da un Congresso amico dei miliardari».

IL PIANO - La proposta della «Buffet rule» andrà ad aggiungersi al piano da 447 miliardi di dollari di nuove entrate fiscali che il presidente Obama sta promuovendo per coprire le spese a breve termine. Il dibattito si annuncia acceso. La scorsa settimana lo speaker della Camera dei rappresentanti, John Boehner, ha annunciato che si opporrà all'aumento delle tasse per ridurre il deficit. Il cosiddetto supercomitato bipartisan per il deficit, intanto, ha tempo fino al 23 novembre per fare le sue raccomandazioni a proposito di modifiche di spesa e tasse federali. Per Boehner il comitato ha «una sola opzione: cioè tagli alla spesa e riforme dei diritti», riferimento quest'ultimo ai programmi federali come Social Security, Medicare e Medicaid (fonte Lapresse).

Meglio una santa morte



(immagine tratta dal sito Dagospia)

Che ci liberino dal vecchio porco!





Le vite parallele di Berlusconi tra politica e serate: “Ho due bambine piccole che è tanto che non vedo”

di GUIDO RUOTOLO,inviato a Bari da La Stampa

È più forte di lui, si sente un prigioniero politico, nel senso che quel vestito gli sta stretto. Sta parlando di seratine passate e di quelle da organizzare. Ea un certo punto sbotta con il suo compagno di feste e festini, Gianpi Tarantini: «Mi stanno veramente riempiendo di lavoro in una maniera indegna... mamma mia, pensa che faccio due, tre interventi al giorno, per cui bisogna prepararsi. È una cosa pazzesca». Gianpi: «Il siparietto con la Merkel l’altro giorno, è stato bellissimo, bellissimo veramente». «È quando fai un bilaterale, bisogna studiare due o tre ore almeno per prepararsi il tutto».

Il premier intercettato
Che fatica. Ma Silvio Berlusconi non può che essere soddisfatto del consenso da trascinatore... «Quando vado a Napoli, non ti dico che succede...Sono ormai santo veramente... C’ho tanti impegni internazionali, parto a destra.. adesso vado in America poi devo andare a Pechino... sono messo malissimo...poi Bruxelles ».Gianpi: «Va bene allora ci vediamo mercoledì 8 a Roma». Prigioniero, si sente incatenato Silvio Berlusconi. La sua ossessione di essere spiato, intercettato raggiunge livelli parossistici: «Io ho avuto un disastro con il telefono... un po’ di guasti... ho dovuto cambiare telefono perché al solito me l’avevano messo sotto controllo... ogni tanto mi succede... ce ne siamo accorti allora ho cambiato il numero». Chi intercetta il Presidente del Consiglio? Quando e a chi è stata presentata una denuncia?

Il numero rubato
Per avere quel numero di telefono, Gianpi aveva dovuto sudare e ingegnare un innocente inganno. Berlusconi aveva manifestato particolare interesse per Carolina Marconi: «Quello a un certo punto è impazzito per Carolina... e mi ha detto: “fammi avere il numero”... “in culo” ho detto io. Sono andato da lei, ho detto “dammi il numero”, quella subito ha preso il telefono se n’è andata in bagno ha memorizzato il numero e me l’ha dato: “non dire niente a nessuno assolutamente. Fammi chiamare dal lunedì al venerdì pomeriggio”. Sono andato da lui e gli ho detto: “Presidente ha detto volentieri quando vuole organizziamo un cena, ha detto però che non le posso dare il numero perché sta sempre con il fidanzato”... Ho detto: “le do il mio numero, e chiami me quando vuole”. Lui: “va bene scrivilo su un pezzettino di carta e dallo alla guardia quello dietro di me”».

«Sono messo malissimo»
Vogliamo mettere un gioioso presidente del Consiglio che canta, racconta le barzellette, si intrattiene con decine di belle ragazze e un iroso leader politico che impreca contro l’opposizione e la magistratura ogni piè sospinto? Gianpi: «Ci riusciamo a vedere nel pomeriggio, in serata, a cena? Silvio: «Stasera purtroppo mi hanno bloccato, anche domani e dopodomani sera, perché (incomprensibile) politica pazzesche e quindi sono messo malissimo purtroppo». Un’altra volta, sempre Silvio: «Sono un po’ stanco adesso... ho finito adesso a Napoli un mare di cose un mare di conferenze stampa, tutto... adesso vado a incontrare le venti regioni italiane... sono incazzate tutte perché gli sto tagliando i ticket... E domani sera dovremmo andare a cena con chi... potremmo essere?».
Gianpi: «Allora io ho sentito Carolina Marconi e lei ha detto che le farebbe tantissimo piacere perché rientrava oggi da Londra, poi ci sarebbe una mia amica di Pavia che è molto bella, giovanissima ventuno anni, e poi non lo so se Graziana (Capone, ndr)... come preferisce lei...».
Silvio: «Ma no, ma sai com’è.. che lì è meglio stare su una sola, no è che.. io sono messo un po’ male adesso, ti devo dire la verità, perché mi stanno caricando di un mare d’impegni e questa settimana è terribile.. perché poi tra l’altro sabato mattina ricevo il Papa al Quirinale insieme al Capo dello Stato, sabato pomeriggio sono io a Parigi con Sarkozy e la Merkel e Gordon Brown... domenica sera parlo a Milano, alla festa di quelli di Alleanza nazionale... sono messo malissimo... allora possiamo fare che domani sera giovedì no? Si...».
Giampaolo: «Si!».
Silvio: «È domani sera! Domani sera perché io ho anche la possibilità di chiamare la Francesca... Dunque metterne due insieme non va bene... sono da separare perché le due sono due obiettivi importanti».

Tutte son troppe
Si stanca Silvio Berlusconi. Diciamolo, non funziona più come prima. Va a fasi alterne. Una volta dice a Gianpi: «C’abbiamo un tavolo per ventiquattro... e quindi abbiamo fino a ventiquattro possibilità». Un’altra volta Silvio dice: «Forse tutte quelle son troppe... e per favore non pigliamole alte come fa quello di Milano... noi non siamo alti.., e al massimo averne due a testa, adesso voglio che anche tu abbia le tue... poi ce le prestiamo ... insomma la patonza deve girare... ». Gianpi: «...lei è dolcissima...».
Silvio: «Molto dolce... che poi non è tanto bella di faccia, ma è bellissima di corpo e poi è una brava bambina, birichina ma insomma è una bambina buona». Silvio: «Tutto bene? sono finito adesso a Palazzo Chigi... pensa un po’....».
E già, che ci fa Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi? «...omissis...». Gianpi «ride». «omissis» Silvio: «Perché le bambine poi le ho accudite.. ». Gianpi: «Me l’hanno detto, me l’hanno detto...».
Bambine. L’ossessione. Noemi e poi Ruby. Si confida con Gianpi, Silvio: «Io ho due bambine piccole che è tanto che non vedo, per cui una fa la giornalista in Rai... in Mediaset allo sport, è una napoletana molto simpatica, molto dolce e un’altra bambina di 21 anni, brasiliana che un po’ mi ha... che mi ha pianto al telefono dicendomi che l’avevo dimenticata e allora la faccio venire, ma insomma, senza peso».
Gianpi: «Amo’...mettiti una cazzata, stasera mettiti semplice un vestitino nero, corto, non ti mettere il reggicalze, quelle cose là».
Terry De Nicolò: «No, no».
Gianpi: «Senza calze, tacchi a spillo e un top. Basta!».
Terry: «No, ma, aspetta, con le calze..».
Gianpi: «Senza calze».
Terry: «Vestito lungo?».
Gianpi: «Uno nero, corto, aderente ».
Terry: «E poi? Cos’altro? A che ora si tornerebbe?».
Gianpi: «Domani mattina, tarda mattinata...». B
arbara Guerra: «Vengo con il taxi...».
Gianpi: «Amo’ però mettiti una minigonna inguinale».
Silvio Berlusconi: «Eccomi Giampaolo!».

«Silvio è anormale»
Gianpi: «Presidente buonasera.. l’ho chiamata perché la volevo ringraziare per la serata di ieri.. è stata bellissima.. veramente bellissima... tra l’altro ho sentito anche le ragazze tutte e hanno fatto i complimenti... ci tenevano che lei lo sapesse e hanno detto: “guarda quell’uomo è incredibile.... ha un’energia... una voce.. una... è anormale”... hanno detto».
«omissis».

Cronache dall' Italia sotto sequestro



B., una circonvenzione d’incapace

di Peter Gomez, da Il Fatto Quotidiano


Dimenticatevi Patrizia D’Addario. Scordatevi le 35 escort, le attricette abbindolate con la presenza alle cene ad Arcore di Carlo Rossella o Fabrizio Del Noce: “le persone importanti” che servivano al premier per dare alle ragazze l’illusione di una carriera in Rai o in Medusa.

Tralasciate i racconti boccacceschi, le storie di notti insonni e sudate.

Quello che riportano le 200 e passa pagine della relazione della Guardia di Finanza sulle mirabolanti avventure di Gianpi Tarantini e di Silvio Berlusconi, è altro. Non è né gossip, né voyeurismo. È invece la fotografia del disastro di un Paese: l’Italia.

Lì dentro, infatti, si narra di un presidente del Consiglio vecchio e senza amici, disposto a vendere la cosa pubblica in cambio di una (o più) scopate.

Per mesi e mesi Gianpi Taratantini, con sistematica metodicità, si è fatto vivo con il premier fornendogli donne su donne. Ha così conquistato la sua fiducia ed è stato ammesso nel gioco grande.

Berlusconi gli ha presentato il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso e i vertici di Finmeccanica. Ha spinto perché il suo “comitato d’affari”, composto da imprenditori pugliesi di stretta fede dalemiana, chiudesse contratti da centinaia di milioni di euro. Soldi sui quali Tarantini si aspettava una provvigione.

Solo l’esplosione dello scandalo D’Addario ha impedito che il progetto avesse successo. O forse il successo è arrivato e noi non lo sappiamo. Perché Tarantini finora dei suoi veri segreti non ha voluto parlare.

Ma ormai c’è poco da discutere. Non è più il tempo di analisi e ricostruzioni. È del tutto evidente che un premier così non può rimanere un minuto di più a Palazzo Chigi. E non per quello che ha fatto in privato, ma per quello che intendeva fare coi beni pubblici. Coi soldi dei contribuenti.

Certo, leggendo le intercettazioni e le carte degli investigatori, ci si rende conto che a Berlusconi almeno un’attenuante va concessa: l’incapacità d’intendere e di volere. Da oggi però restano senza alibi quegli esponenti della maggioranza ancora non coinvolti con le molte cricche che stazionano in Parlamento.

Per loro dare al presidente del Consiglio altro tempo vuol dire passare dalla categoria politica dei corresponsabili a quella dei complici. Vuol dire mandare il Paese a picco, avendo la certezza che non riuscirà più a rialzarsi.

Vuol dire rendere chiaro a tutti che i personaggi migliori di questa storia erano e resteranno per sempre le ragazze. Loro, almeno, vendevano solo le parti basse. Gli altri, quelli che ancora stanno accanto al premier, hanno venduto lo stomaco, il cuore e, soprattutto, il cervello.

sabato 17 settembre 2011

La carità cristiana di Don Gallo



Don Gallo: "Berlusconi è malato.Venga in comunità a farsi curare"

Davanti alle telecamere de La 7, il sacerdote lancia la sua provocazione: "Mi offro di prenderlo nella mia comunità, stia un po' con noi. Chissà che poi da li non possa ripartire"

"Berlusconi è malato. Gli offro un posto nella mia comunità". Usa le telecamere de La 7 per lanciare la sua provocazione don Andrea Gallo. Alla prima puntata di "In onda", trasmissione di politica ed economia, il sacerdote ha riconfermato la schietta ironia che lo contraddistingue, e non ha usato giri di parole per lanciare la sua frecciata, l'ennesima, contro il presidente del Consiglio: "Mi offro di prenderlo nella mia comunità, stia un po' con noi. Chissà che poi da li non possa ripartire".

Non è la prima volta che don Gallo punta l'indice contro il comportamento del premier ma dopo le ultime rivelazioni nell'indagine sulle escort a Palazzo Grazioli, il sacerdote è stato duro ed esplicito: "Coloro che sono più vicini a Berlusconi, parlamentari, ministri, la Chiesa, la Costituzione, non gli fanno capire che ci vuole un minimo di decoro. Quell'uomo è malato", ha sentenziato il fondatore della comunità di San Benedetto. "Mi offro di prenderlo nella mia comunità, stia un pò con noi. Chissà che poi da li non possa ripartire".

venerdì 16 settembre 2011

NON SOLO VIGNAIOLO, ANCHE NH



Il Nobil Uomo Max D’Alema

di Don Paolo Farinella, da Il Fatto Quotidiano

La settimana scorsa il Fatto Quotidiano pubblica una notizia: dopo innumerevoli episodi di stalking ad altrettanti monsignori della curia di Roma e in ultimo al segretario di Stato, tal Tarcisio Bertone, D’Alema, El Maximo, ha realizzato l’agognato sogno: diventare «NH» (sigla latina) di Sua Santità Benedetto XVI, il quale graziosamente gliel’ha concesso con chirografo autentico. «NH» significa «Nobil Uomo» e ha diritto al titolo di «Eccellenza» e di assistere il papa in determinate occasioni ufficiali. Il NH Massimo D’Alema ha sfoggiato il collare e la medaglia e il frak il giorno 20 novembre dell’Anno Domini 2006, ma la notizia è rimasta segreta forse per la vergogna di non potere spiegare le ragioni di cotanta nobiltà pervenuta.

Non c’è che dire, il papa si circonda di NH di eccezione: Gianni Letta, il portiere del bordello di Berlusconi in quanto sottosegretario alla presidenza del Consiglio; Angelo Balducci della cricca di Anemone, quelli che hanno speculato sul terremoto dell’Aquila e ora anche il Conte Max. Di questo passo il papa si iscriverà alla massoneria, se non lo hanno già iscritto di diritto. Per fare le cose serie, sarebbe buono che incontrando Max il Nobil Uomo di sua Santità per strada, magari lo si saluti più pudicamente con il titolo di «Monsignore», più adatto di «Eccellenza» a uno che porta i baffi liturgici.



D’Alema viceconte del Vaticano e i gay


di Luca Telese, da Il Fatto Quotidiano

Non si quanti di voi abbiano messo in relazione la recente nomina di Massimo D’Alema a viceconte pontificale, con tanto di fascia papalina e medaglia e le sue recenti dichiarazioni secondo cui il matrimonio fra omosessuali “offenderebbe il sentimento religioso di tanta gente”. Io si, l’ho fatto subito, perché – come dice Andreotti – a pensare male si commette peccato, peró non si sbaglia. Ci voleva quel genio di Zoro, da cui i politici del Pd si fanno intervistare perché sono stoltamente convinti che sia un comico, perché spesso fa ridere, e che basti una battuta per uscire d’impiccio con lui. Buffo: sarebbe come considerare loro attori drammatici, visto che ci fanno sempre piangere.

Conosco abbastanza D’Alema per sapere che solo venti anni fa avrebbe irriso un politico che avesse detto una castroneria così grande, e che dieci anni fa avrebbe taciuto pensandolo, visto l’opportunismo e l’autoimposto dogma moderato dei leader della sinistra italiana. Adesso D’Alema dice una cosa che é contro il buonsenso e anche contro la sua stessa biografica laica. Diventa più imprudente di Giovanardi. C’é in questo feticcio del presunto “sentimento religioso offeso”, il ribaltamento dell’idea di libertà a cui la sinistra dovrebbe aspirare: i diritti diventano una subordinata delle paure altrui, l’invadenza delle gerarchie clericali nella sfera privata un dato di fatto da cui non si può più prescindere. C’é bisogno di mandare a casa i leader della sinistra del 1989, perché – anche quando si autopresumono “maximi” – sono decisamente molto logori. Ho trovato ancora più grottesco che dopo aver fatto questo disastro D’Alema abbia detto di non essere stato capito bene, e che abbia aggiunto: “nel Pd C’é una commissione che ci sta lavorando”. Mi dispiace per lui. E mi dispiace soprattutto per noi. Visto che ormai esistono tre tipi di risposte a ogni domanda sensibile: sì, no, mettiamoci a lavorare una commissione del Pd. In questi casi a Oxford si dice: “Mecojoni”.

Una grande reputazione internazionale







Dekaimanizziamoci!



L'Italia merita qualcosa di meglio




MARIO CALABRESI, direttore de La Stampa

Ci sono giorni in cui il destino ti mette sotto gli occhi tutto quello che non vorresti vedere, da cui scappi, e lo fa con una chiarezza che non lascia scampo.

Ieri è stato uno di quei giorni per Silvio Berlusconi e per l’Italia. Una micidiale coincidenza ha messo in fila i nuovi guai giudiziari del nostro premier, la drammatica situazione economica con il crollo della nostra credibilità internazionale e l’assenza del nostro Paese dalla politica internazionale che conta. Partiamo da quest’ultima. Ieri a Tripoli il Presidente francese e il premier inglese sono stati ricevuti da una folla festante, accolti come liberatori, per Sarkozy perfino i fiori. Nessun italiano nelle immagini trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. Eppure alla guerra in sostegno dei ribelli contro Gheddafi abbiamo partecipato anche noi, ma ci siamo accodati malvolentieri e oggi abbiamo altro a cui pensare. Mentre francesi e inglesi costruiscono il loro futuro sulla sponda del Mediterraneo di fronte a casa nostra - compito che si è dato anche il premier turco Erdogan, pure lui in visita in Libia, dopo essere stato in Egitto.

Il nostro presidente del Consiglio invece ha passato la giornata in silenzio, chiuso con i suoi avvocati a studiare le carte e le grane giudiziarie che arrivano da Bari, Milano e Napoli.

Ieri la Banca d’Italia ha certificato la fuga degli investitori stranieri dai titoli di Stato italiani: nel solo mese di luglio ci sono state vendite dall’estero di titoli di debito italiani per 21 miliardi di euro. Gli stranieri vendono e a comprare, per non far saltare il Paese, sono le banche italiane e la Banca d’Italia. Ma a liberarsi del nostro debito - come spiega in queste pagine il professor Franco Bruni - non sono speculatori ma fondi pensione europei e americani, seri e rispettabili, che lasciano i titoli italiani perché non danno loro più fiducia. Non siamo credibili, ripetono ormai con micidiale costanza analisti e giornali di tutto il mondo. Difficile dare loro torto, se in contemporanea le agenzie italiane diffondevano l’elenco dettagliato delle ragazze «indotte all’attività di prostituzione in favore di Silvio Berlusconi», premurandosi di specificare anche le ville o i palazzi dove ognuna delle donne ha partecipato alle «serate galanti». A Milano nel frattempo si chiedeva di processare il premier per aver avuto un ruolo nella divulgazione dell’intercettazione della famosa telefonata tra Piero Fassino e l’assicuratore Giovanni Consorte in cui si parlava dell’acquisto da parte di Unipol della Bnl. A Napoli intanto i pubblici ministeri attendono di sapere se Berlusconi si farà interrogare nel procedimento che riguarda i ricatti da lui subiti dalla coppia Tarantini-Lavitola, a cui ha pagato diverse centinaia di migliaia di euro nell’ultimo anno.

Siamo immersi in una nuova bufera giudiziaria, il premier può accusare i magistrati di accanimento ma questa volta non può più giustificarsi sostenendo che si tratta di vecchie vicende, dei tempi in cui faceva l’imprenditore, perché tutte le indagini aperte riguardano gli ultimi due anni e sono figlie della sua vita spericolata.

Per molto tempo ci siamo permessi il lusso di essere guidati da un uomo che doveva dedicare molto tempo per difendersi nei processi o più spesso dai processi, siamo mancati come Paese sulla scena internazionale perché le priorità del premier erano altre, ora però il gioco è diventato troppo pericoloso e devastante per tutti. Avere un presidente del Consiglio che deve passare ore con i suoi avvocati per mettere in piedi strategie difensive è indubbiamente un danno per una nazione, quel tempo è inevitabilmente sottratto alle attività istituzionali, siano queste la politica estera o le finanze pubbliche. In passato però non c’era modo per quantificare con sicurezza quanto questo costasse alla collettività e ai cittadini italiani. Oggi purtroppo tutto ciò è immediatamente percepibile: sono il crollo drammatico dei valori delle azioni, l’innalzarsi degli interessi che dobbiamo pagare per riuscire a piazzare i nostri titoli di Stato e il conseguente aumento di tasse varie a cui siamo sottoposti in conseguenza. Non sto dicendo che la profonda crisi economica sia conseguenza diretta dei processi berlusconiani, anche se oggi la credibilità e la serietà sono le merci più apprezzate sui mercati, ma che in un momento così delicato abbiamo bisogno di una guida che pensi soltanto a come salvare il Paese, che metta l’interesse nazionale molto sopra al proprio. Che non pensi a come bloccare le intercettazioni ma a come partecipare alla ricostruzione della Libia e che sia pronto per il verdetto delle agenzie internazionali di rating che potrebbe esserci recapitato questa sera.

Sono passato alla Camera dei Deputati l’altro ieri pomeriggio, non ci andavo da parecchio tempo, e sono rimasto colpito dalla sensazione di lontananza dal Paese reale che si respira. Mentre fuori scoppiavano due bombe carta e gli elicotteri della polizia volteggiavano su Montecitorio, dentro il Palazzo non si avvertiva quell’urgenza e quell’emergenza che oggi ogni cittadino sente sulla sua pelle. Ho visto grandi conciliaboli per discutere come salvare dall’arresto Marco Milanese, l’ex braccio destro di Tremonti, ho visto il responsabile Scilipoti proporre allegramente nuovi condoni e un gruppo di ministri valutare l’opportunità di un decreto di urgenza per bloccare la pubblicazione sui giornali delle intercettazioni.

Alcuni pensano che non si possa andare avanti così, ma nessuno lo dice ad alta voce e la convinzione comune è che si continuerà navigare a vista, giorno dopo giorno. «Li vede - mi ha detto un ministro indicando la folla dei deputati che usciva dall’Aula - nessuno di loro vuole andare a casa, perché la gran parte dei parlamentari è convinta che non verrà mai più rieletta e allora resistono e garantiscono la maggioranza». Una maggioranza esiste, un governo anche, ma l’Italia sta affondando e diventa sempre più piccola. Ogni giorno ci sembra d’aver toccato il fondo ma con angoscia scopriamo che si può scendere ancora. Il Paese ha bisogno di essere governato, di avere una direzione e un po’ di speranza. Gli italiani non meritano di vivere in quest’angoscia.