giovedì 28 febbraio 2013

Ida Magli spiega ai non udenti.

IDA MAGLI. A queste elezioni è stato presente un Convitato di pietra, un convitato che ha subìto, in silenzio, una grave sconfitta: l'Europa. Nessuno ne ha parlato, ma il risultato della lista Monti lo grida a gran voce. Monti è il fiduciario dell'Ue, è stato mandato (o chiamato, come si preferisce dire) esplicitamente a mettere in riga l'Italia, in apparenza per la questione del bilancio, ma in realtà perché l'Europa è diventata, con la crisi dell'euro, sempre più dubbiosa sulla fattibilità dell'unificazione e teme che da un giorno all'altro qualcuno degli Stati in difficoltà possa abbandonarla. L'Italia è uno Stato cardine dell'Unione, tanto sul piano concreto quanto su quello simbolico: nessuna Europa unita è possibile senza l'Italia. Tutta l'area del Mediterraneo sarebbe messa in forse da un'eventuale uscita dell'Italia e sicuramente molti Stati a quel punto ne seguirebbero l'esempio. Tutti discorsi ovvi, è chiaro, ma il problema è che nessuno, né politici né giornalisti, come sempre per quanto riguarda l'Europa, ha affrontato e affronta il discorso. Le analisi sui risultati delle elezioni mancano perciò di una riflessione determinante e in definitiva risultano false. Sicuramente molti dei voti che Bersani si aspettava e che sono mancati all'appello, sono andati per quest'unico motivo al movimento di Grillo. L'appoggio incondizionato del Pd a Monti ha convinto i suoi elettori che il partito era schiacciato sull'Europa e che anche se fosse andato al governo, non sarebbe stato libero di prendere nessuna iniziativa. D'altra parte è chiaro che non si può rappresentare il partito dei lavoratori, degli operai, e affiancarsi alla grande finanza che governa l'Europa. Il partito che oggi si chiama Pd ha una lunga storia alle spalle durante la quale i suoi elettori sono stati sempre fedelissimi, e molti avevano sopportato perfino il terribile 2012 del governo Monti, con i suoi quarantacinque suicidi di piccoli imprenditori e le centinaia di migliaia di disoccupati messi in cassa integrazione o del tutto sul lastrico, ritenendo che si trattasse di stringere i denti in un momento di crisi. La creazione della lista Monti ha fatto capire a tutti (e non soltanto agli elettori del Pd) che erano stati ingannati, che il potere europeo si era installato definitivamente in Italia e che non avrebbe più lasciato la presa. Non parlare chiaramente del rapporto con l'Ue è stato anche il più grave errore di Berlusconi. Molti dei silenziosi antieuropeisti che bivaccavano nel Pdl se ne sono andati qua e là nelle piccole liste createsi durante il periodo di disintegrazione del partito, ma sarebbero tornati a votare per il Pdl se Berlusconi avesse fatto chiaramente una scelta antieuropeista. L'annullamento del partito di Fini, con la sua scomparsa dal parlamento, la scomparsa dei radicali con la fuoriuscita perfino di Pannella e di Bonino, il quasi annullamento del partito di Casini, sono tutti dovuti al loro dichiarato europeismo e all'abbraccio montiano. La situazione della Lega è più complessa perché le cause che hanno provocato il suo declino sono molteplici, dall'oscuramento della figura di Bossi agli scandali finanziari, ma è indubbio che il vecchio slogan della secessione è diventato con il passare del tempo sempre più logoro perché la presenza dell'Europa ha spinto tutti i cittadini, compresi quelli del nord, a riscoprire l'amore per l'Italia, o perlomeno a preferire lo stato italiano piuttosto che l'annullamento dell'identità e dell'indipendenza nell'immenso buco nero dell'Europa. Tutti hanno capito ormai, non soltanto gli italiani, che nell'Ue gli Stati devono annullarsi e che i governi nazionali diventerebbero, nel momento in cui l'unione europea riuscisse a formare una vera unione politica, puri fantocci agli ordini di Bruxelles e dell'alta finanza europea e mondiale.

Stiglitz e Soros contro i fondamentalisti dell'euro

Crisi Europa, Stiglitz: "E' un disastro creato dall'euro" di: EUROPA Pubblicato il 28 febbraio 2013| Ora 10:29 Per il Premio Nobel, i problemi dell'Europa sono stati provocati dalla moneta unica. "Ha creato disparità". Adesso serve solidarietà, altrimenti ristrutturazione Ue. George Soros: caos politicamente inaccettabile. Nella foto l'economista Joseph Stiglitz. Roma (WSI) - La crisi dell'euro è colpa dell'euro. Per il professore della Columbia University, Joseph Stiglitz, i problemi economici dell'Europa sono tutti racchiusi lì: nella moneta unica. L'agonia che alcuni Paesi continentali più di altri stanno vivendo è "un disastro provocato dall'uomo e soprattutto dall'euro", ha denunciato il premio Nobel. Ma forse "abbiamo abbastanza solidarietà per cercare di dare vita davvero al progetto dell'euro." La soluzione che suggerisce è quella di sacrificare l'euro e riformare il "quadro europeo". Una tesi basata sulla realtà dei fatti. L'analisi di Stiglitz parte infatti riconoscendo lo stato di recessione in cui si trovano oggi molti paesi europei. Stiglitz definisce questa situazione una depressione, che sta comportando una perdita enorme di capitale umano. Mentre in questi anni è stato cavalcata la politica dell'austerity come strategia di crescita, adesso sarebbe più opportuno valutare una completa ristrutturazione dell'Unione europea, piuttosto che degli Stati che la compongono. Una tesi condivisa dal guru di Wall Street, George Soros, convinto che "l'euro abbia fatto nascere a una situazione viziata fin dall'inizio". Per l'esperto di investimenti è palese che la moneta unica abbia fatto emergere divisioni fra i Paesi europei che sono diventati col passare del tempo sempre più evidenti a causa di Paesi in surplus e in deficit. Una situazione a suo avviso politicamente inaccettabile.

lunedì 25 febbraio 2013

VIVA IDA MAGLI!

"Tutti i giornali sono d’accordo: Grillo ha riempito con i suoi ragazzi la fatidica Piazza San Giovanni. Sono giovani, sono inesperti, sono entusiasti: si torna a vivere. E’ questa l’umanità che ha fatto la storia: quella che si è lanciata nella vita ingenuamente, forte soltanto del proprio entusiasmo, della sicurezza che essere uomini significhi sognare, sperare, amare, godere, gioire, e credere di riuscirci lavorando strenuamente per realizzare il sogno. Siamo usciti, con questi sognatori, dall’incubo peggiore che gli Italiani si siano mai trovati a sperimentare, malgrado il loro lungo passato pieno di catastrofi: non avere un futuro. Non avere ciò che sostanzia, per ogni uomo, l’idea di futuro: che sarà bello, gioioso, nuovo, diverso, ricco di vita. Può forse il pareggio di bilancio, per quanto lo si prospetti come indispensabile, costituire “Il Futuro”? Può forse la Banca Centrale Europea, per quanti bond italiani sia disposta ad acquistare, vestire i panni della Fata Turchina? Basta, sì basta! Abbiamo assoluto bisogno di tornare a vivere la vita vera, quella che ha sempre reso ricchissimi gli Italiani anche quando erano poveri: la capacità di credere nel futuro, di lavorare per il futuro, nella bellezza della propria terra, nella fiducia del suo “stellone” gioioso e fortunato. Tutto questo è stato deliberatamente ucciso, seppellito nel mondo lugubre dei sacerdoti del denaro, sordi e ciechi di fronte a qualsiasi cosa che non sia l’accumulo delle proprie monete. Economisti e banchieri si sono impadroniti dell’Europa e hanno scelto l’Italia come centro sperimentale del proprio potere, dove cominciare a sostituirsi ai politici, ormai del tutto succubi e corrotti. Ci sono riusciti con tanta facilità da rimanerne stupiti essi stessi. Forse non avevano immaginato, pur nella loro immensa presunzione, che sarebbe bastato il tintinnio delle monete a farsi addirittura chiamare da politici e capi di stato per governare al loro posto. Nel giro di un anno hanno costretto al suicidio 45 imprenditori. Un risultato davvero di tutto rispetto! L’Italia non è mai stato un paese da suicidio, neanche in tempo di guerra. I membri del governo, però, sono rimasti impassibili. Sono dei “fannulloni” questi italiani, purtroppo: sanno soltanto lamentarsi. Il giorno successivo al suicidio di un imprenditore Mario Monti è andato a consolare, non la famiglia disperata, ma i funzionari di Equitalia: quelli sì che sono dei solerti lavoratori! La verità è che con la tirannide dei banchieri-politici si è diffusa nell’aria la certezza della loro incancrenita disumanità. L’arido deserto della loro anima è incompatibile con la vita. Hanno ingoiato, distruggendoli, tutti i sentimenti, gli affetti, i valori nei quali gli Italiani hanno creduto, e per i quali hanno lavorato e combattuto fin dall’inizio della loro storia. Tutto è stato azzerato, in nome del bilancio, in nome di una moneta. Perfino la Chiesa si è azzittita. Dopo aver sempre proclamato il primato dello spirito sulla materia, non ha avuto la forza di ribellarsi al primato del dio euro. C’è stato, a Sanremo, il “segno” della morte dell’italianità, un segno che soltanto il pensiero italiano poteva inventare: la deliberata, consapevole cacofonia della canzone Mononota. Adesso, però, i giovani di Grillo hanno lanciato il grido della speranza: “politici, andate a casa!”. Per prima cosa, dunque, un Presidente della Repubblica che non appartenga ai partiti, che non sia né un economista né un banchiere, che non piaccia ai politici e non sia un fiancheggiatore dei politici, ma che rappresenti davvero gli Italiani, quello per cui tutto il mondo ha sempre apprezzato gli Italiani: l’arte, la poesia, la musica." Ida Magli

domenica 17 febbraio 2013

Compagni e fratelli d'Italia.

Il Monte dei Paschi di Bersani.di Beppe Grillo. | | Il Monte dei Paschi di Siena sarebbe quasi sicuramente fallito senza il prestito di Rigor Montis di 3,9 miliardi di euro, cifra pari all'IMU versato dalle famiglie italiane. Il MPS ha avuto un crollo di Borsa vertiginoso negli ultimi anni, gli azionisti hanno perso quasi tutto il loro investimento. Il MPS ha avuto un deprezzamento di valore su cui sta indagando la procura di Siena, una voragine da far impallidire Parmalat. Si tratta di 21 miliardi così ripartiti: 7 miliardi di sovrapprezzo per l'acquisto della Banca Antonveneta, 7 miliardi di debiti acquisiti dalla Banca Antonveneta, 7 miliardi di versamenti su banche estere con causali da accertare. Il MPS è stato privatizzato nel 1995 e da allora è controllato da una Fondazione. Il 55% della Fondazione è stato detenuto fino a pochi mesi fa da membri nominati da Regione Toscana, Provincia di Siena, Comune di Siena tutti enti controllati dal PD. E' impensabile che le segreterie del PD che si sono succedute dal 1995 fossero all'oscuro dell'operazione Antoveneta oltre che della vendita di ingenti cespiti mobiliari e immobiliari del MPS che hanno permesso la distribuzione di ricchi dividendi. Se i vari Bersani, D'Alema, Veltroni, Franceschini, Fassino non si sono mai accorti di questo immane disastro finanziario come può il PD pretendere di governare il Paese? Va ricordato che nell'ultimo ventennio il PD ha governato per circa 10 anni, ha fatto a metà con Berlusconi. Un decennio a testa per fare la festa all'Italia. Napolitano, ex PD, ha invocato la privacy sulle inchieste in corso della Procura di Siena, invece di battere i pugni sul tavolo come avrebbe fatto Pertini gridando "Fuori i nomi dei responsabili". Lo Scudo Fiscale è stato usato per fare rientrare in Italia patrimoni illeciti con il solo 5% di tassazione. E' stato approvato grazie all'assenza in aula di numerosi parlamentari del PD. Perchè? E' lecito avere l'elenco completo dei patrimoni scudati per verificare se sono associati alla razzia del MPS? Oppure è un segreto di Stato? Bersani non replica mai nel merito delle responsabilità sue e del suo partito, ma le spara sempre più grosse: "Si vede la voglia di mandare in galera, come facevano i fascisti. Attenzione, che noi non ci impressioniamo...". Il M5S non manda in galera nessuno, questo compito appartiene ai giudici. Forse è a loro che Gargamella si sta rivolgendo. Craxi aveva più stile.

La condanna del "governissimo".

Elezioni: Berlusconi deve perdere. M5S fortissimo. Governo impossibile. Si rivota a giugno Si prepara lo scenario del "governissimo". Dopo la raffica di inchieste e arresti, tutto si legge come un antipasto della «Grossa coalizione» (guidata da Mario Monti). Il Cavaliere deve andare a casa altrimenti la finanza globale massacra l'Italia: crollo Btp e spread a 700. Grillo verso il 25-30%. Elezioni in stile Grecia: due tornate nel giro di tre mesi. Berlusconi Jocker. La finanza internazionale, da New York a Tokyo, lo vede cosi'. NEW YORK (WSI) - La massima preoccupazione (o obiettivo) della finanza internazionale - a New York come a Londra o a Tokyo - e' che nelle elezioni politiche del 24-25 febbraio l'ex premier Silvio Berlusconi prenda pochi voti e sia quindi messo, per sempre, in un angolo. Silvio e' impresentabile - sentiamo dire a Manhattan (e negli ambienti della Casa Bianca dove Napolitano ieri ha ascoltato da Obama lo stesso ritornello); ma non solo: il miliardario italiano dei media e' un disco rotto (ha riesumato il solito Ponte sullo Stretto!), il suo serbatoio voti esiste per la sua personale abilita' di 'comunicatore' ma l'uomo ormai, non puo' offrire null'altro all'Italia e all'Ue. Anzi, Berlusconi e' un rischio in stile Lehman Brothers. Manipolare masse teleguidate di bassa cultura e basso quoziente intellettuale (oltre ai furbi evasori) non e' utile quando si governa un mondo complesso e ingolfato dai debiti. That's it, dicono gli americani! Insomma: il Cavaliere deve andare a casa altrimenti la finanza globale e gli hedge funds il 26 febbraio, a cominciare dai mercati asiatici, massacreranno l'Italia, come e' accaduto a partire dall'agosto 2011 e nei convulsi mesi successivi che portarono alla caduta del governo Berlusconi/Bossi. Le banche d'affari faranno di nuovo crollare il prezzo dei Btp mentre i tassi schizzeranno sopra la "zona Grecia" del 7,0%, con lo spread in area 700, il che costera' 120 miliardi all'anno di tassi d'interesse da pagare sul debito pubblico dell'Italia da oltre $2,6 trilioni di dollari. Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, alimentato dal malcontento, dallo schifo generale e da una recessione senza fine che fiacca anche i piu' forti e ottimisti, secondo sondaggi non pubblicabili sta andando sicuro verso un'affermazione nelle urne del 25-30%. Il M5S potrebbe quindi essere il secondo, e forse anche il primo partito italiano. Il Pd soffre di una continua emorragia di voti. Se il M5S fosse il primo partito scatterebbe il premio di maggioranza previsto dalla "legge elettorale porcata". In ogni caso 120 grillini in parlamento sarebbero una vera rivoluzione. L'obiettivo, da parte di milioni di ex elettori Pd, PdL (radicali, socialisti e perfino di "area tecnica") stanchi dello status quo, e' di "scardinare" dall'interno il sistema mandando a casa le vecchie cariatidi. E' un'occasione che non si presentava da decenni (la Lega fu un movimento esclusivamente del Nord e di stampo razzista). Per il dopo, si vedra'. Grillo - che comunque e' arcistufo del suo ruolo - con il guru Casaleggio, si inventera' qualcosa, sull'onda del sicuro successo. Insomma, si prepara uno scenario da "governissimo". Dopo la raffica di inchieste, arresti e sentenze di questi giorni nell'universo dei "gioielli di famiglia" italiani (Eni, Finmeccanica, Saipem, Enel: oltre ad essere buone aziende sono stati per decenni i bancomat di caste e lobby dei "poteri forti") cio' che accade si legge come un antipasto della «Grossa coalizione» (formerly known as ABC, without Angelino). Sara' Mario Monti a guidarla, anche se uscira' sconfitto dalle urne, il grigio e a carisma-zero ex premier tecnico avra' il ruolo di 'ago della bilancia', un po' come il Craxi nello storico CAF. Intanto diventa sempre piu' probabile l'ipotesi di una seconda tornata elettorale in 'stile Grecia', cioe' due elezioni nel giro di pochi mesi. 'Stile Grecia' le elezioni, 'stile Grecia' il rischio collasso. (wsi) ________________________________ ROMA (WSI) - Un politico di lungo corso come Pier Ferdinando Casini l'ha buttata lì: «Non escludo niente, nemmeno che si possa tornare a votare fra sei mesi. Ovviamente, sarebbe una ipotesi nefasta per il Paese». Certo, tornare a votare a giugno è uno scenario paradossale e infatti un politico come Casini lo agita ad arte, come uno spauracchio per inquietare i tanti elettori che sperano sia tutto finito fra dieci giorni, la sera del 25 febbraio. Eppure, se elezioni-bis fra tre mesi appaiono improbabili, è altrettanto vero che lo scenario italiano rischia di essere destabilizzato anche dalla originale convergenza di vicende giudiziarie imponenti: quelle che hanno colpito due giganti della «mano pubblica» come Eni e Finmeccanica, la terza banca del Paese, un numero crescente di imprenditori. E comunque una legislatura della durata di uno-due anni annovera tifosi occulti, nemici sfegatati ma anche sostenitori espliciti. Tifosi ben camuffati sono tutti quelli che sono stati costretti a restare ai «box» in questa campagna elettorale, i quaranta-cinquantenni del Pdl ma anche del Pd, in primis Matteo Renzi. Lui non lo confesserebbe in pubblico nemmeno sotto tortura, ma nelle chiacchierate con i suoi amici lo ripete : «Questa è una legislatura che dura al massimo due anni...». Tra i nemici dichiarati di una legislatura breve ci sono tutti i politici largamente «sospettati» di essere all'ultimo giro: Berlusconi, D'Alema, Veltroni, Casini, Fini, mentre l'unico fan dichiarato è Beppe Grillo: «È solo una questione di tempo: se non facciamo il botto subito, lo facciamo in autunno. Restando così la situazione, torniamo alle urne fra sei mesi». Ovviamente tutto dipende dai numeri che usciranno dalle elezioni. Quelli indicati dagli ultimi sondaggi «legali» suggerivano equilibri incerti, non tanto alla Camera (vittoria quasi certa del Pd), quanto al Senato, dove una discreta tenuta del centrodestra e un mancato decollo dell'area Monti potrebbero aprire la strada o ad un governo di sinistra-centro Bersani-Monti, ma anche ad una Grande Coalizione. E proprio lo scenario del governissimo, che per il momento viene riproposto nella chiacchiera mediatica come folcloristica replica della maggioranza «Abc», in realtà vanta un «retroterra» più forte di quel che si potrebbe immaginare. Il suo fan più convinto (anche se per ora si tiene sulle sue) è Mario Monti e dietro di lui le diplomazie di mezzo mondo. E dopo la raffica di inchieste, arresti e sentenze che si stanno condensando in questi giorni, c'è qualcuno che legge tutto questo proprio come un antipasto della «Grossa coalizione». Sostiene un uomo di punta dell'ultima fase della Prima Repubblica e oggi accreditato dietrologo come Paolo Cirino Pomicino: «Mettiamo assieme tante coincidenze: inchieste su aziende e banche che durano da tempo ed esplodono tutte assieme proprio ora, il console Usa che denuncia i pericoli di Milano, il presidente del Consiglio che arruola un guru americano, le elezioni che non daranno un vincitore netto: tutto questo cospira verso una grande coalizione che non potrà che essere guidata da Mario Monti...». Ma alla fine il rischio che le prossime elezioni non possano essere risolutive, in via informale è condiviso da quasi tutti i leader della politica, anche se soltanto chi si è tirato fuori può spiegarlo meglio: «Sia che vincano i progressisti sia che vinca Berlusconi dice Arturo Parisi - la coalizione vittoriosa potrà contare su poco più del 30 per cento dei consensi popolari e dunque c'è da immaginare che paradossalmente nessuno dei due mini-poli si auguri di governare da solo. Quanto all'esecutivo che verrà fuori, potrà durare poco o anche tutta la legislatura, ma sappiamo già che sarà un esecutivo debole, frutto naturale della grande frammentazione che si sta esprimendo in queste elezioni». (Fabio Martini) Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © La Stampa. All rights reserved

mercoledì 13 febbraio 2013

Il popolo bue deve solo tacere.

Rita Pennarola per La Voce delle Voci. Non solo Bilderberg. O la Trilateral. Non bastavano nemmeno gli Illuminati alla collezione di Mario Monti, fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi rimbalzato quotidianamente sul web per le sue conclamate appartenenze a logge supermassoniche mondiali. Lui, il premier, fin dal 2004 aveva fondato in Europa una compagine tutta sua. Si tratta di Bruegel, un nome che fa discutere fin dal suo primo apparire. Per Monti e i suoi, si tratta di un semplice acronimo (Brussels European and Global Economic Laboratory). Per i piu' sospettosi, evocare il grande artista fiammingo del 500, noto per la rappresentazione dei ciechi, e' l'implicito riferimento a quel panorama occulto della finanza mondiale che i cittadini non possono - e non devono mai - vedere. Ma chi e' e cosa fa Bruegel? Loro si definiscono naturalmente e senza alcun imbarazzo i filantropi dell'economia europea. Nel senso che solo grazie al loro insegnamento potremo avere nel vecchio continente i grandi economisti di domani. E giu' finanziamenti miliardari (in prima fila big pharma, con colossi come Novartis e Pfizer, poi banche come Unicredit ed UBS), economic schools in mezzo mondo, tutor prelevati dalle accademie piu' conservatrici del pianeta (anche quando la conservazione e' "di sinistra"). Tra i generosi elargitori di fondi non ci sono solo i privati, bensi' i governi di Stati come Italia, Francia, Belgio, Olanda e naturalmente la Germania. Passiamo al board. Quando Monti lascia la carica di presidente (rimanendo padre fondatore del sodalizio), gli subentra l'ex presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet. Fra gli italiani di prima fila ecco Vincenzo La Via, in Bruegel da lunga data ma assurto a notorieta' nazionale solo un anno fa quando Monti, diventato premier, lo chiama al suo fianco come direttore generale del Tesoro, carica che riveste tuttora. Chi e' davvero La Via? Nessun mistero, ma qualche sorpresa si', visto che si tratta di un numero uno alla Banca Mondiale, quello stesso organismo considerato artefice primo del pensiero unico e del temutissimo Nuovo Ordine Mondiale, di cui Mario Monti sarebbe tra i principali artefici, in Italia ed oltre. Ma a proposito di mondo, scorrendo la classifica 2012 dei think tank piu' influenti del pianeta resa annualmente da James G. McGann della Philadelphia University, Bruegel figura in ottava posizione su 40 compagini considerate, dietro giganti come Chatham House, che guida la lista, e ben prima di analoghe formazioni di Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. Fra i pochi italiani in Bruegel non poteva non esserci Vittorio Grilli, attuale ministro dell'Economia. Infine lei, la "principessa comunista" Letizia Reichlin, figlia dei marxisti d'altri tempi Luciana Castellina ed Alfredo Reichlin.

lunedì 11 febbraio 2013

FRECCERO ANALIZZA IL PAPA DIMISSIONARIO.

DAGO-INTERVISTA a Carlo Freccero, direttore di Rai4.
DAGOSPIA: Carlo Freccero, un'adolescenza in seminario, oggi critico del potere temporale della Chiesa, un'istituzione che conosce bene. Qual è la sua reazione alle dimissioni del Papa? Freccero: "Mi ha colpito molto la frase con cui il Papa ha annunciato le sue dimissioni: ‘Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo è necessario il vigore nel corpo e nell'animo. Devo riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il magistero'. Ratzinger, di fatto, getta la spugna". DAGOSPIA: Di fronte a cosa? Freccero: "Di fronte all'energia delle nuove religioni, spudoratamente irrazionali, magiche, integraliste. La Chiesa non sa più comunicare il suo messaggio, e non è in grado di fronteggiare l'attacco che viene dalle centinaia di chiese evangeliche, metodiste, integraliste, mormone, che proliferano in America e si stanno diffondendo nel resto del mondo, a scapito della tradizione cattolica". DAGOSPIA: Cosa avrebbe dovuto fare Ratzinger? Freccero: "Doveva scegliere. Se dare al cattolicesimo una svolta integralista pre-conciliare, o adottare una visione riformista. Benedetto XVI è sicuramente un conservatore, ma come il pontefice di Nanni Moretti in "Habemus Papam", ha scelto di non scegliere. Serviva un grande potere di comunicazione, uno scossone che rispondesse alla diffusione di culti irrazionali e "predatori", ma il pontefice si è chiuso nella sua ricerca teologica, confortato dall'idea di una chiesa immanente, di lunga durata. Invece il cattolicesimo - a differenza delle religioni rivelate - ha sempre cercato di interpretare lo spirito dei tempi, di evolvere insieme alla società". DAGOSPIA: C'entrano anche gli scandali dei preti pedofili, i ‘corvi' in Vaticano, la sensazione di una generale decadenza del magistero cattolico? Freccero: "Certo, questi fattori hanno contribuito a indebolire il potere temporale del papato. La Chiesa ha subìto in questi anni una grave perdita di prestigio, e il fatto che siano stati rubati dei documenti nel cuore stesso dell'istituzione, ha inferto un altro colpo durissimo". DAGOSPIA: Cosa cambia con le dimissioni del Papa? Freccero: "Tutto. Si rivoluziona la dottrina millenaria della Chiesa. Il Papa non è più il Vicario di Cristo, portatore di un ruolo di origine divina che si conclude con la morte. Il pontefice diventa un funzionario". POST SCRIPTUM - Freccero: "Dimissioni del papa, Sanremo, voto politico e regionale, elezione del Capo dello Stato, a giugno nuovo sindaco di Roma. Gli italiani dovrebbero pagare un biglietto per questo show continuo di eventi mediatici..."

Nessuno lo rimpiangerà.

ADIOS, RATZI.

Robe da massoni.

Monti e Draghi massoni? Lotte intestine tra fratelli
di: WSI Pubblicato il 11 febbraio 2013. Un caso senza precedenti, scatenato da Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente d'Italia Democratico (God). Intervistato da Il Fatto Quotidiano si e' risentito perche' il direttore Padellaro non ha pubblicato un paragrafo con queste parole: "Mario Draghi e Mario Monti sono entrambi massoni. Di più: appartengono all'aristocrazia massonica sovranazionale".
Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente d'Italia Democratico (God). ROMA (WSI) - Pubblichiamo questa testimonianza per dovere di cronaca. Sono indicate le fonti. I lettori che avranno tempo e voglia si faranno un'idea della rilevanza o meno dei temi trattati. Questa e' la versione integrale dell'intervista concessa al giornalista Fabrizio D'Esposito de Il Fatto Quotidiano da Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente d'Italia Democratico (God), sul cui sito e' apparso il testo. Lo scandalo Mps ha evocato di nuovo l'ombra di grembiuli e cappucci. Sul suo sito si ricorda la partecipazione di Mussari a un convegno del Goi del berlusconiano Raffi. A lei cosa risulta? Giuseppe Mussari è un massone. Non perché abbia partecipato ad uno o più convegni del GOI (vi partecipano anche profani di rilievo), ma perché è stato iniziato libero muratore diverso tempo fa, agli inizi della sua scalata al potere. Sul percorso massonico di Mussari e di altri personaggi dell'establishment italiano, mi soffermo analiticamente nel mio libro di imminente uscita, Massoni. Società a responsabilità illimitata, Chiarelettere Editore. A Siena l'intreccio massonico che riflesso ha sulle varie cordate? Si è parlato di Amato, Bassanini, Luigi Berlinguer, poi dei berlusconiani vicini alla banca come Verdini. Luigi Berlinguer, presidente della commissione di garanzia del PD (che risolse con equità, lungimiranza e saggezza il falso ed ipocrita problema della presenza dei massoni nel Partito Democratico nel 2010, dichiarandone la piena ammissibilità, come per altri cittadini aderenti a svariate associazioni filosofiche, culturali e religiose consentite dalla legge e rispettose della costituzione democratica e repubblicana) appartiene ad una famiglia di antica tradizione massonica. Luigi Berlinguer non mente quando dice di non essere stato mai affiliato formalmente ad alcuna loggia, ma occorre ricordare che il padre di suo cugino Enrico Berlinguer (segretario del PC dal 1972 al 1984), Mario Berlinguer (1891-1969), era un noto, convinto e benemerito massone democratico e libertario, antifascista della prima ora, aderente prima al Partito d'Azione e poi al PSI, per il quale fu eletto sia deputato che senatore. Nella famiglia Berlinguer (e il discorso vale anche per Luigi, aderente al para-massonico Gruppo Spinelli), con mille sfumature da un individuo all'altro, c'è sempre stata una consolidata vicinanza culturale e ideologica al milieu massonico progressista. Franco Bassanini, come ricordava lucidamente l'altro giorno anche Cirino Pomicino, è invece molto vicino a certi ambienti massonici francesi. Giuliano Amato gode di ottime relazioni e amicizie tanto nel mondo massonico anglo-sassone che in determinati ambienti massonici sovranazionali collegati alla finanza e al mondo bancario tedesco. Denis Verdini ha frequentazioni massoniche un pò più ruspanti e provinciali di Amato e Bassanini, ma comunque è ben inserito in un certo circuito sia interno che esterno alle principali comunioni massoniche italiane. Nel suo libro Confiteor, Geronzi sostiene che in tutte le vicende del risiko bancario degli ultimi decenni la massoneria c'entra sempre. In che senso? Lei parla spesso di varie anime di questo mondo. Quali sono? Geronzi dice il vero. Ma chiunque conosca un minimo i circuiti finanziari e bancari sovranazionali - che determinano quello che accade anche nella provincia italiana- sa bene che essi sono saldamente in mano di gruppi massonici e paramassonici. Nel mio libro di imminente uscita, Massoni. Società a responsabilità illimitata, sono elencati nomi, cognomi e biografie di svariati personaggi dell'establishment planetario libero-muratorio. Le diverse anime della Massoneria? Dal XVIII a circa metà del XX secolo ha sempre prevalso l'anima illuminista, progressista, libertaria e democratica, vittoriosa su tendenze massoniche elitario-gerarchiche e reazionarie, nonché creatrice della stessa società aperta "popperiana" in cui l'Occidente vive. Dopo aver toccato il culmine del suo prestigio con figure del calibro di John Maynard Keynes, Franklin Delano Roosevelt, Harry Truman, George Marshall (il segretario di stato americano che diede il nome allo European Recovery Program o Piano Marshall, grazie al quale l'Europa fu ricostruita sapientemente con politiche keynesiane), Albert Einstein ed Eleanor Roosevelt (fautrice e patrona della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948), la Massoneria, a partire dalla fine del Novecento ha visto prevalere, per la prima volta nella sua storia secolare, componenti conservatrici e reazionarie. Su di esse, in particolare, mi soffermo nelle parti finali del mio libro Massoni. Quando i poteri forti diventato marci accanto alla massoneria compare sempre l'Opus Dei, come due vasi comunicanti. Sugli intrecci fra Massoneria, Opus Dei e Vaticano mi sono soffermato di recente in un'intervista rilasciata a Ferruccio Pinotti e a Giacomo Galeazzi, per il loro libro di prossima uscita, Vaticano Massone. Lo stesso Geronzi però difende Gianni Letta e smentisce che sia lui l'incrocio tra "logge e cilicio", il burattinaio di tutto. In questo caso Geronzi mente quando nega che in Gianni Letta si incrocino relazioni massoniche e opusiane. D'altronde, non bisogna nemmeno sopravvalutare Letta. Ci sono ben altri gran burattinai, in giro per l'Europa e in grado di influire pesantemente sulle faccende italiane. Leggendo il suo sito, si apprende che il mondo del potere è zeppo di fratelli. Lasciando da parte P2, P3 e P4, lei chiama fratelli anche Draghi e Monti. Mario Draghi e Mario Monti sono entrambi massoni. Di più: appartengono all'aristocrazia massonica sovranazionale. Su ciò saranno peraltro prodotte importanti ed autorevoli testimonianze documentarie nel mio libro Massoni. Tra l'altro, occorre dire che troppo spesso, sulla questione MPS, ci si interroga sul livello italiano degli intrecci massonici. In realtà, se c'è un massone implicato fino al collo nella vicenda, quello è proprio il Venerabilissimo Maestro Mario Draghi, governatore di quella Banca d'Italia che tutto fece tranne che intervenire energicamente al tempo della strana acquisizione di Banca AntonVeneta da parte del Monte dei Paschi di Siena. A volte si può trattare solo di semplici consorterie senza tirare in ballo la massoneria? Quando c'è in ballo il potere: economico-finanziario, bancario, politico, diplomatico, ecclesiastico, etc. c'è sempre di mezzo la Massoneria. Non c'è da stupirsene: il mondo moderno e contemporaneo di matrice euro-atlantica è nato grazie all'azione di avanguardia ideologica svolta dai liberi muratori contro l'Ancien Regime. E' naturale che i creatori delle società moderne ne abbiano mantenuto il controllo. Da tempo lei ha annunciato l'uscita di un suo libro sul back office del potere, in Italia oggi chi sono i fratelli più potenti? Su questo, appunto, rimando i lettori del suo giornale all'attento studio del mio libro, il cui titolo completo è Massoni. Società a responsabilità illimitata. Il Back-Office del Potere come non è mai stato raccontato. Le radici profonde e le ragioni inconfessabili della crisi politico-economica del XXI secolo, Chiarelettere Editore (in uscita tra aprile-maggio 2013). C'è ancora una massoneria esclusivamente esoterica nel nostro Paese? La Massoneria, a qualsiasi latitudine, non è mai stata e mai sarà esclusivamente esoterica, cioè esclusivamente dedita a questioni spirituali e filosofiche. La Massoneria ha cambiato il mondo e continuerà a farlo. Lei ha fondato il God e da massone dichiarato combatte pubblicamente una battaglia dentro il suo mondo. E' la prima volta che accade: perché lo fa? Perché, dopo la parentesi - dagli anni 60-70 del Novecento ad oggi - in cui i massoni reazionari si sono impadroniti delle maggiori leve del potere a livello globale, è necessario tornare allo spirito di quei fratelli liberi muratori che guidarono la Rivoluzione Americana e quella Francese, che fecero il Risorgimento in Italia e ovunque lottarono per affermare istituzioni liberal-democratiche parlamentari, allargamento del suffragio, diritti civili e politici. Occorre tornare allo spirito di quei fratelli che sconfissero il nazi-fascismo (Roosevelt e Churchill su tutti) e che regalarono al mondo un paradigma economico calibrato sulla giustizia sociale e il diritto alla dignità e alla felicità per ogni essere umano (vedi ancora Keynes e Roosevelt). Il trinomio Libertà-Fratellanza-Uguaglianza è nato nelle logge e adorna ancora adesso i templi massonici, scolpito sotto la cattedra del Maestro Venerabile. _______________________________________________________________ Nota di WSI: Wall Street Italia ha ottimi rapporti con Il Fatto Quotidiano e con il direttore Antonio Padellaro, abbiamo molta stima per l'unico quotidiano d'Italia che si autofinanzia e non accetta sussidi pubblici (come fa WSI). Cio' non toglie che, per dovere di cronaca, registriamo qui sotto (in corsivo) anche quanto pubblicato sul sito del Grande Oriente d'Italia Democratico (www.grandeoriente-democratico.com): parole pesanti nei confronti di Padellaro, impossibili da condividere. _____________________________________________________ Dal sito del Grande Oriente d'Italia Democratico: Ecco. Si metta a confronto la versione censurata e manipolata da Antonio Padellaro, mandata anche in stampa senza il consenso dell’intervistato (che è stato avvisato delle censure e manipolazioni quando ormai il giornale era passato dal tipografo e pronto alla distribuzione) e ci si interroghi su quanto sia sporco talora il giornalismo italiano, anche quando si tratta di un quotidiano su cui lavorano persone oneste e professionalmente corrette, come Fabrizio D’Esposito, Marco Travaglio, Peter Gomez e tanti altri. Siamo certi che, ad esempio, Travaglio o Gomez, se fossero stati alla direzione del giornale al posto di Padellaro, non avrebbero mai censurato l’Intervista di Magaldi, né avrebbero avuto timore reverenziale nel citare la cifra massonica di Mario Monti e Mario Draghi, beneficiari principali della censura, come spiegato in Le ignobili e stolte censure e manipolazioni, in favore dei Massoni reazionari Mario Monti e Mario Draghi, operate da Antonio Padellaro- ipocrita e fasullo cantore della libertà di stampa- che farebbe meglio a dare le dimissioni come direttore de Il Fatto Quotidiano (clicca per leggere). Insomma, può mai sussistere la libertà di stampa, quando gli stessi giornalisti censurano le informazioni ritenute scomode o addirittura si impongono delle auto-censure? I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO [ Articolo del 3-6 febbraio 2013 ]

mercoledì 6 febbraio 2013

TUTTI COMPLICI DEL NAUFRAGIO MPS.

Luigi Zingales, per "l'Espresso".
"Una storia italiana dal 1472". Così recita il motto del Monte dei Paschi di Siena (Mps). Ed è vero. La storia torbida di Mps e il suo drammatico declino rappresentano la storia italiana, lo specchio di quello che sta succedendo al nostro Paese. Come all'epoca di Mani pulite, l'intero sistema cerca di scaricare la responsabilità su di un singolo "mariuolo" , in questo caso Giuseppe Mussari. Ma a differenza di Mario Chiesa, questo mariuolo non era un signore qualsiasi, era il presidente della Associazione bancaria italiana. «Qui assiste au crime assiste le crime» (chi assiste passivamente a un crimine, ne diventa complice), diceva Victor Hugo. In questo senso morale, anche se non necessariamente in quello giuridico, l'intera classe dirigente italiana è complice di questo disastro. E' moralmente complice innanzitutto il Pd di Bersani, che tramite il controllo di Regione, Provincia e Comune nomina 14 dei 16 consiglieri della Fondazione Mps. «Noi Mussari l'abbiamo cambiato un anno fa», si vanta Massimo D'Alema, non capendo che così si assume la responsabilità di aver nominato il mariuolo presidente della banca e di averlo tenuto lì per sei anni, durante i quali il valore della banca si è ridotto di 15 miliardi. E' moralmente complice la Banca d'Italia, che quell'istituto doveva vigilare. Se basta, come ha sostenuto il governatore Visco, un mariuolo per ingannare la Vigilanza, a cosa serve la Vigilanza? E' moralmente complice anche Mario Draghi, che in veste di governatore ha autorizzato il folle acquisto di Antonveneta da parte di Mps nel 2007, un acquisto fatto in fretta, violando i più basilari principi di buona corporate governance, senza una "due diligence", a un valore di 4 miliardi superiore al prezzo pagato dal Santander solo tre mesi prima. E' moralmente complice anche di non aver agito - a quanto risulta dai bollettini di vigilanza - dopo che i suoi ispettori nel 2010 avevano trovato «profili di rischio non adeguatamente controllati» in Mps, come evidenzia il rapporto interno Bankitalia rivelato da Linkiesta. E' moralmente complice Giulio Tremonti che come ministro del Tesoro avrebbe dovuto vigilare sulla solidità delle fondazioni e invece ha permesso alla Fondazione Montepaschi di indebitarsi per mantenere il controllo della banca. E' moralmente complice anche Berlusconi che da premier ha avallato le scelte di Tremonti, rifiutandosi di criticare «un'istituzione a cui vuole bene» perché grazie a essa potè costruire Milano 2 e Milano 3. E' moralmente complice Mario Monti che ha concesso 3,9 miliardi di aiuti senza chiedere prima una pulizia radicale della banca. Come è responsabile di aver accettato in lista Alfredo Monaci, consigliere di amministrazione di Mps durante la gestione Mussari e oppositore dell'operazione di pulizia promossa (molto tardivamente) dal sindaco di Siena. E' questa la società civile che Monti porta in politica? E' moralmente complice l'intero sistema bancario italiano. Mussari non solo è stato eletto presidente dell'Abi, ma è stato rieletto all'unanimità dopo che erano già trapelate le notizie di indagini sul suo conto. E Mussari non è stato un presidente qualsiasi: è stato la punta di sfondamento della lobby bancaria che ha chiesto a gran voce una causa legale contro il povero direttore della European banking association Andrea Enria, "colpevole" di voler imporre in maniera rigorosa gli standard europei di capitalizzazioni delle banche. E che ha tuonato lungamente per imporre una patrimoniale a difesa dei titoli di Stato, su cui il suo Montepaschi stava speculando per ripianare i buchi di bilancio. Se tutti sono complici, come possiamo evitare di diventare complici anche noi? Richiedendo come condizione del nostro voto che il partito di nostra fiducia si impegni a sostenere una commissione parlamentare di inchiesta, presieduta da una persona al di sopra di ogni sospetto, che indaghi a 360 gradi sull'affare Monte Paschi e le colpe in vigilando di tutti gli organi istituzionali. E se il nostro partito non lo fa, votiamone un altro. Il potere di cambiare è nostro, riprendiamocelo!

martedì 5 febbraio 2013

Le puttanate del puttaniere.

Imu, 60 miliardi di sciocchezze di Lavoce.info | 4 febbraio 2013
Quanto vale la proposta shock di Berlusconi? Probabilmente non meno di 60 miliardi di tasse in più sul lavoro, la proroga del blocco dei salari nel pubblico impiego e la rinuncia ad investimenti. Vediamo perché. L’Imu sulla prima casa vale circa 4 miliardi. Berlusconi propone di abolirla e di restituire agli italiani quanto raccolto con questa tassa nel 2012. Quindi si tratta di 4+4=8 miliardi di entrate in meno per lo Stato nel 2013. di Tito Boeri* (lavoce.info) L’Irap che Berlusconi vorrebbe abolire (lo aveva già promesso nel 2001 e aveva anche ottenuto una legge delega dal Parlamento per farlo nel 2003), vale circa 35 miliardi a regime. Supponendo che l’operazione venga distribuita uniformemente nell’arco della legislatura, saranno 7 miliardi nel 2013, 14 nel 2014, 21 nel 2015, 28 nel 2016 e 35 a fine legislatura. Oltre a queste risorse direttamente coinvolte dalle misure promesse da Berlusconi, bisogna tenere conto degli effetti sulla credibilità del nostro Paese. Lo spread tra Italia e Spagna (al netto, dunque degli interventi della Bce di cui hanno beneficiato entrambi i paesi) si è abbassato dall’apice della crisi di più di 200 punti (i rendimenti nei nostri btp decennali sono arrivati a costare fino a 140 punti di più dei bonos spagnoli; adesso costano circa 80 punti in meno). Le due misure chiave che hanno ridato credibilità all’Italia, secondo lo stesso Fondo Monetario Internazionale sono state la riforma delle pensioni e il ripristino della tassa sulla prima casa. La stessa Bce ha potuto intervenire a sostegno dei titoli di stato italiani e spagnoli grazie al fatto che il governo italiano aveva mostrato di saper prendere misure impopolari per rispettare gli impegni presi con l’Europa. Tornando ad essere l’unico paese dell’area Ocse che non tassa la prima casa, prevedibile che lo spread tornerebbe ad allargarsi. Difficile stabilire di quanto, ma supponiamo che almeno della metà della credibilità recuperata nei confronti della Spagna venga persa e ipotizziamo che non ci siano invece effetti sulle misure (e sulla credibilità) della Bce. Avremmo così 100 punti base in più di spesa per interessi. Dato che il nostro debito è superiore a 2.000 miliardi, un aumento di 100 punti dei rendimenti dei titoli che servono a finanziarlo significa 20 miliardi di spesa per interessi in più a regime, che cominceremmo a pagare man mano che titoli vecchi vanno in scadenza e ne emettiamo di nuovi. Dunque pagheremmo circa 3,5 miliardi in più nel primo anno, 7 nel secondo e così via (contando su di una durata media del debito di circa 6 anni). In sostanza l’annuncio shock potrebbe costarci 18 miliardi nel 2013 e, a regime, poco meno di 60 miliardi. Le coperture proposte da Berlusconi sono risibili. Il finanziamento pubblico ai partiti vale 400 milioni, lo 0,6 per cento di quanto sarebbe necessario. L’accordo con la Svizzera è pieno di insidie e non è affatto detto che porti ad entrate aggiuntive, almeno nei tempi che sarebbero richiesti per la “proposta shock”. Le risorse andranno quindi reperite aumentando altre tasse, presumibilmente in gran parte a carico del lavoro. Ovviamente tutto ciò impedirebbe di fare le altre cose che il Pdl ha scritto sul suo programma tra cui la detassazione delle assunzioni e la rinuncia all’aumento dell’Iva. E per rispettare i vincoli del fiscal compact bisognerà prorogare il blocco dei salari nel pubblico impiego, rinunciare a programmi di investimenti pubblici e non ci saranno fondi per riformare gli ammortizzatori sociali, per pagare la Cassa Integrazione. Insomma, sembra essere una promessa fatta da qualcuno che sa di perdere le elezioni e che quindi non si preoccupa minimamente della sua fattibilità. Vedremo come la giudicheranno i mercati. Speriamo non la prendano troppo sul serio. *Tito Boeri: Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Economia Bocconi, dove ha progettato e diretto il primo corso di laurea interamente in lingua inglese. E’ Direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it. Segui @Tboeri su Twitter

venerdì 1 febbraio 2013

Freccero commenta tv e consenso.

Stefania Rossini per "L'Espresso".
Trent'anni di televisione commerciale hanno formato il gusto medio del Paese, la sua ideologia politica, l'adesione e il consenso al berlusconismo», annuncia subito Carlo Freccero a chi prende in mano il suo nuovo libro, "Televisione", in uscita in questi giorni per le edizioni Bollati Boringhieri. Ma aggiunge: «Ora però è finita. Con l'avvento del digitale assistiamo all'agonia della tv generalista e alla nascita di qualcosa di nuovo». Chi ama la televisione, ma anche chi la detesta, si ritroverà nelle pagine scorrevoli e dense di questo trattatello che è insieme l'autobiografia intellettuale di un protagonista e l'analisi impietosa di un mezzo che ha dominato il nostro sentire per trent'anni, modificandoci nei comportamenti e nella percezione della realtà. Ma che ora, avviato al tramonto, ci lascia nelle braccia multiple, diversificate, specializzate, in sintesi più democratiche, dei nuovi media. Eppure, Freccero, mai come oggi c'è la corsa ad apparire in televisione. La campagna elettorale si svolge tutta lì. «È vero, ma questo accade perché nonostante la sua crisi e l'avvento di altri metodi di marketing politico, la televisione generalista resta il riferimento centrale, e spesso unico, per un pubblico anziano, culturalmente poco attrezzato e facilmente influenzabile. I sondaggi dicono che la tv può condizionare il 75 per cento dell'elettorato, dato che in Italia soltanto il 25 per cento si documenta altrove». È per questo che Berlusconi l'ha rioccupata in tutti i suoi spazi? «L'ha fatto in quel modo massiccio perché il suo spettacolo si era interrotto e lui doveva riannodarne il filo per riportare il discorso pubblico sul proprio terreno. È un attore formidabile. Con le sue apparizioni ha smontato lo scenario montiano di ogni sacralità. La politica è tornata spettacolo e tutti hanno dovuto inseguirlo». Persino Grillo. «Già, proprio il più accurato sostenitore di Internet chiuderà la campagna elettorale in televisione. E pensare che Casaleggio aveva dichiarato che attraverso la Rete il messaggio di Grillo si sarebbe diffuso come quello di Gesù. Ma sui media Grillo la sa lunga, tanto è vero che tutti i suoi uomini utilizzano a tempo pieno le tv locali». Messa così sembra però il trionfo della tv. «E invece la televisione come l'abbiamo conosciuta, cioè generalista e commerciale, è destinata comunque a soccombere. Glielo dice uno che per tutta la vita ci ha fatto un continuo corpo a corpo. Ho cominciato nel 1980 proprio nelle tv di Berlusconi, ho fatto televisione in Francia e ora dirigo Rai 4. Ho visto il passaggio dalla tv pedagogica a quella di intrattenimento, a quella dell'infotainment. So di che cosa parlo. È cambiato lo spirito del tempo». Come? «Lo vediamo ogni giorno. Il passaggio dall'analogico al digitale ha permesso l'interazione tra i vari media, ha fatto nascere televisioni tematiche destinate a pubblici individualizzati e competenti, ha dato vita a figure inedite come quella del reporter diffuso, cioè il cittadino pronto a filmare e a diffondere un evento di cui è spettatore. Questo pubblico attivo sta decretando la fine di quella dittatura della maggioranza da cui è stata pervasa la nostra vita collettiva». Eravamo in una dittatura? «Nel senso che spiego nel mio libro, sì. La televisione generalista ci ha fatto vivere in un clima culturale dove la qualità è stata soppiantata dalla quantità, e quest'ultima ha finito per costituire la verità. È il criterio quantitativo che stabilisce se un fatto è vero o no, e lo fa attraverso un sondaggio che dà anche l'illusione della democrazia diretta. Con la dittatura della maggioranza la norma ha coinciso con la media statistica. Berlusconi ha dominato per vent'anni perché ha applicato alla politica questa sua filosofia commerciale». Come mai la sinistra non ha saputo fermare questa deriva? «Perché la sinistra non ha mai capito niente di comunicazione. È ancora legata alla galassia Gutenberg e non ha neanche assimilato il messaggio di McLuhan. Continua a pensare che il condizionamento dell'elettorato riguardi, come nell'età moderna, i contenuti e non i medium stessi, il programma non le emozioni. Solo oggi comincia a capirci qualcosa e lo abbiamo visto con Renzi. Ma la beffa è stata che Renzi, che è poi una semplice imitazione di Berlusconi, arriva quando Berlusconi è alla fine della sua parabola. Un fallimento». Quindi la sinistra non ha scampo. «Può cavarsela se capisce che ora di nuovo tutto sta cambiando. Il computer, a differenza della tv, permette di coniugare la quantità con le scelte individuali. Oggi la quantità, cioè la massa, viene progressivamente sostituita dalla moltitudine come somma di differenze, un concetto che ho preso in prestito da Toni Negri. Dieci anni fa polemizzai con lui proprio su questo, ma oggi ammetto che aveva visto le cose in anticipo. Adesso penso che l'idea di moltitudine rifletta bene la gestione computerizzata del presente: dal mercato, all'informazione, alla politica. Ma chissà se la nostra sinistra se ne accorgerà!». Non sarà semplice se, come lei scrive, la tv ha cambiato addirittura la nostra organizzazione del pensiero. «Ogni medium che si affaccia rappresenta un'estensione della nostra sensibilità, ma la sua diffusione finisce per mutarci anche nel modo di ragionare. Come la stampa aveva creato l'uomo rinascimentale, legato alla scrittura, la tv ha disgregato quel mondo traghettandoci dal moderno al postmoderno. Con la televisione i fondamenti del discorso pubblico, esperienza, argomentazione, contraddittorio si sono mutati in intrattenimento. Le neuroscienze dovrebbero verificare quanto siamo cambiati. Forse avremmo delle sorprese». Lei sostiene che è mutata anche la nostra esperienza del tempo. «Certo. È la stessa condizione del postmoderno a farci vivere in un eterno presente e la televisione amplifica questa immobilità con la continua possibilità di recuperare il passato e di ripercorrerlo infinite volte, mischiandolo con l'attualità. In Italia non c'è neanche l'obbligo di mettere la scritta "Immagini d'archivio" sotto vecchi filmati per cui oggi si può ascoltare una dichiarazione di qualcuno con immagini dell'estate scorsa. Ma nessuno si meraviglia. Nell'archivio permanente rimandato dalla tv, la nostra giovinezza vive in eterno alimentando anche i miti delle generazioni successive. Per questo oggi manca quella benefica frattura che contraddistingueva il passaggio e lo scontro tra padri e figli. È tutto un unicum immobile». Ci dia almeno una via di fuga, Freccero. Quando siamo davanti allo schermo tradizionale, che cosa possiamo guardare per non soccombere? . «Telefilm americani, amica mia, come fanno del resto tutte le persone intelligenti ancora in circolazione. Mentre la Rai finanzia ancora sceneggiati alla Bernabei, tanto è vero che il più grande produttore di fiction è ancora lui, i nuovi telefilm dettano il linguaggio dei tempi e mettono al bando l'ascolto distratto tipico della televisione. Per essere capiti richiedono una concentrazione assoluta e anche visioni successive. Reggono moltissime repliche e non si consumano. Ma comunque non disperi, le nuove televisioni tematiche ci aiuteranno a tornare tutti intelligenti. Glielo dice uno che se ne intende».