domenica 17 febbraio 2013

La condanna del "governissimo".

Elezioni: Berlusconi deve perdere. M5S fortissimo. Governo impossibile. Si rivota a giugno Si prepara lo scenario del "governissimo". Dopo la raffica di inchieste e arresti, tutto si legge come un antipasto della «Grossa coalizione» (guidata da Mario Monti). Il Cavaliere deve andare a casa altrimenti la finanza globale massacra l'Italia: crollo Btp e spread a 700. Grillo verso il 25-30%. Elezioni in stile Grecia: due tornate nel giro di tre mesi. Berlusconi Jocker. La finanza internazionale, da New York a Tokyo, lo vede cosi'. NEW YORK (WSI) - La massima preoccupazione (o obiettivo) della finanza internazionale - a New York come a Londra o a Tokyo - e' che nelle elezioni politiche del 24-25 febbraio l'ex premier Silvio Berlusconi prenda pochi voti e sia quindi messo, per sempre, in un angolo. Silvio e' impresentabile - sentiamo dire a Manhattan (e negli ambienti della Casa Bianca dove Napolitano ieri ha ascoltato da Obama lo stesso ritornello); ma non solo: il miliardario italiano dei media e' un disco rotto (ha riesumato il solito Ponte sullo Stretto!), il suo serbatoio voti esiste per la sua personale abilita' di 'comunicatore' ma l'uomo ormai, non puo' offrire null'altro all'Italia e all'Ue. Anzi, Berlusconi e' un rischio in stile Lehman Brothers. Manipolare masse teleguidate di bassa cultura e basso quoziente intellettuale (oltre ai furbi evasori) non e' utile quando si governa un mondo complesso e ingolfato dai debiti. That's it, dicono gli americani! Insomma: il Cavaliere deve andare a casa altrimenti la finanza globale e gli hedge funds il 26 febbraio, a cominciare dai mercati asiatici, massacreranno l'Italia, come e' accaduto a partire dall'agosto 2011 e nei convulsi mesi successivi che portarono alla caduta del governo Berlusconi/Bossi. Le banche d'affari faranno di nuovo crollare il prezzo dei Btp mentre i tassi schizzeranno sopra la "zona Grecia" del 7,0%, con lo spread in area 700, il che costera' 120 miliardi all'anno di tassi d'interesse da pagare sul debito pubblico dell'Italia da oltre $2,6 trilioni di dollari. Nel frattempo, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, alimentato dal malcontento, dallo schifo generale e da una recessione senza fine che fiacca anche i piu' forti e ottimisti, secondo sondaggi non pubblicabili sta andando sicuro verso un'affermazione nelle urne del 25-30%. Il M5S potrebbe quindi essere il secondo, e forse anche il primo partito italiano. Il Pd soffre di una continua emorragia di voti. Se il M5S fosse il primo partito scatterebbe il premio di maggioranza previsto dalla "legge elettorale porcata". In ogni caso 120 grillini in parlamento sarebbero una vera rivoluzione. L'obiettivo, da parte di milioni di ex elettori Pd, PdL (radicali, socialisti e perfino di "area tecnica") stanchi dello status quo, e' di "scardinare" dall'interno il sistema mandando a casa le vecchie cariatidi. E' un'occasione che non si presentava da decenni (la Lega fu un movimento esclusivamente del Nord e di stampo razzista). Per il dopo, si vedra'. Grillo - che comunque e' arcistufo del suo ruolo - con il guru Casaleggio, si inventera' qualcosa, sull'onda del sicuro successo. Insomma, si prepara uno scenario da "governissimo". Dopo la raffica di inchieste, arresti e sentenze di questi giorni nell'universo dei "gioielli di famiglia" italiani (Eni, Finmeccanica, Saipem, Enel: oltre ad essere buone aziende sono stati per decenni i bancomat di caste e lobby dei "poteri forti") cio' che accade si legge come un antipasto della «Grossa coalizione» (formerly known as ABC, without Angelino). Sara' Mario Monti a guidarla, anche se uscira' sconfitto dalle urne, il grigio e a carisma-zero ex premier tecnico avra' il ruolo di 'ago della bilancia', un po' come il Craxi nello storico CAF. Intanto diventa sempre piu' probabile l'ipotesi di una seconda tornata elettorale in 'stile Grecia', cioe' due elezioni nel giro di pochi mesi. 'Stile Grecia' le elezioni, 'stile Grecia' il rischio collasso. (wsi) ________________________________ ROMA (WSI) - Un politico di lungo corso come Pier Ferdinando Casini l'ha buttata lì: «Non escludo niente, nemmeno che si possa tornare a votare fra sei mesi. Ovviamente, sarebbe una ipotesi nefasta per il Paese». Certo, tornare a votare a giugno è uno scenario paradossale e infatti un politico come Casini lo agita ad arte, come uno spauracchio per inquietare i tanti elettori che sperano sia tutto finito fra dieci giorni, la sera del 25 febbraio. Eppure, se elezioni-bis fra tre mesi appaiono improbabili, è altrettanto vero che lo scenario italiano rischia di essere destabilizzato anche dalla originale convergenza di vicende giudiziarie imponenti: quelle che hanno colpito due giganti della «mano pubblica» come Eni e Finmeccanica, la terza banca del Paese, un numero crescente di imprenditori. E comunque una legislatura della durata di uno-due anni annovera tifosi occulti, nemici sfegatati ma anche sostenitori espliciti. Tifosi ben camuffati sono tutti quelli che sono stati costretti a restare ai «box» in questa campagna elettorale, i quaranta-cinquantenni del Pdl ma anche del Pd, in primis Matteo Renzi. Lui non lo confesserebbe in pubblico nemmeno sotto tortura, ma nelle chiacchierate con i suoi amici lo ripete : «Questa è una legislatura che dura al massimo due anni...». Tra i nemici dichiarati di una legislatura breve ci sono tutti i politici largamente «sospettati» di essere all'ultimo giro: Berlusconi, D'Alema, Veltroni, Casini, Fini, mentre l'unico fan dichiarato è Beppe Grillo: «È solo una questione di tempo: se non facciamo il botto subito, lo facciamo in autunno. Restando così la situazione, torniamo alle urne fra sei mesi». Ovviamente tutto dipende dai numeri che usciranno dalle elezioni. Quelli indicati dagli ultimi sondaggi «legali» suggerivano equilibri incerti, non tanto alla Camera (vittoria quasi certa del Pd), quanto al Senato, dove una discreta tenuta del centrodestra e un mancato decollo dell'area Monti potrebbero aprire la strada o ad un governo di sinistra-centro Bersani-Monti, ma anche ad una Grande Coalizione. E proprio lo scenario del governissimo, che per il momento viene riproposto nella chiacchiera mediatica come folcloristica replica della maggioranza «Abc», in realtà vanta un «retroterra» più forte di quel che si potrebbe immaginare. Il suo fan più convinto (anche se per ora si tiene sulle sue) è Mario Monti e dietro di lui le diplomazie di mezzo mondo. E dopo la raffica di inchieste, arresti e sentenze che si stanno condensando in questi giorni, c'è qualcuno che legge tutto questo proprio come un antipasto della «Grossa coalizione». Sostiene un uomo di punta dell'ultima fase della Prima Repubblica e oggi accreditato dietrologo come Paolo Cirino Pomicino: «Mettiamo assieme tante coincidenze: inchieste su aziende e banche che durano da tempo ed esplodono tutte assieme proprio ora, il console Usa che denuncia i pericoli di Milano, il presidente del Consiglio che arruola un guru americano, le elezioni che non daranno un vincitore netto: tutto questo cospira verso una grande coalizione che non potrà che essere guidata da Mario Monti...». Ma alla fine il rischio che le prossime elezioni non possano essere risolutive, in via informale è condiviso da quasi tutti i leader della politica, anche se soltanto chi si è tirato fuori può spiegarlo meglio: «Sia che vincano i progressisti sia che vinca Berlusconi dice Arturo Parisi - la coalizione vittoriosa potrà contare su poco più del 30 per cento dei consensi popolari e dunque c'è da immaginare che paradossalmente nessuno dei due mini-poli si auguri di governare da solo. Quanto all'esecutivo che verrà fuori, potrà durare poco o anche tutta la legislatura, ma sappiamo già che sarà un esecutivo debole, frutto naturale della grande frammentazione che si sta esprimendo in queste elezioni». (Fabio Martini) Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © La Stampa. All rights reserved

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