mercoledì 31 marzo 2010

CAPIRE IL VOTO PIEMONTESE


Nel post-voto piemontese il main stream è considerare Grillo il nemico ed il colpevole. Siccome son sempre dalla parte del torto, non sono d'accordo...







Se il PDL dello psiconano raccoglie il 29,6% dei voti alle elezioni regionali 2010, quanti voti ha al netto? Si detrae il 12% di AN (il minimo sindacale) confluita nel PDL che però sconfluirà a breve insieme a Fini. Si arriva così al 17,6% (29,6-12). Il 17,6% si applica solo al 64,2% dei votanti, gli altri sono schede bianche, nulle, ecc. Si raggiunge così l'11,30% della popolazione elettorale italiana che vota Forza Italia, un partito minore del peso del vecchio PSI di Craxi. Un risultato raggiunto però attraverso uno sforzo disumano, con il controllo di 6 televisioni nazionali su 7, una quarantina di giornali e la peggiore opposizione d'Europa. Non male per il più amato dalla minoranza assoluta degli italiani.
Leggi e commenta il post su www.beppegrillo.it



Quei grillini dei No Tav
Di Sara Menafra, Mauro Ravarino dal manifesto 31/03/2010


E a chi le chiede come ha potuto non accorgersi del fatto che il movimento di Beppe Grillo stava rosicchiando tanti consensi al centrosinistra, la governatrice uscente del Piemonte Mercedes Bresso risponde sconsolata: «Non c'erano segnali, i sondaggi non lo dicevano. È stato fuoco amico».
È andata proprio così. Il giovane medico di base Davide Bono, portavoce dei grillini a cinque stelle, col suo modo di fare neppure troppo aggressivo si prende due consiglieri e quasi il quattro per cento dei consensi. Punti decisivi per assegnare la vittoria al leghista Roberto Cota, passato col 47,32% e 1.043.318 voti, su Mercedes Bresso e il suo 46,90%, ovvero 1.033.946 suffragi. Bono ha preso 90.086 voti, cioè il 4,08%. Nulla di paragonabile all'1,43% di Sel, al 2,64% della Federazione della sinistra, per non dire dei Verdi fermi allo 0,74%. Un grimaldello decisivo per scardinare l'incerta tenuta della sinistra nella provincia di Torino e sicuramente più importante delle tante schede nulle, tirate fuori lunedì sera dalla Bresso ma già dimenticate (ma il ricorso si farà). Visto, poi, che nel 2005 Ghigo era esattamente dov'è il centrodestra ora - con meno Lega, ma questa sarebbe un'altra storia - e che al Pd mancano giusto quattro punti per la vittoria, il centrosinistra sa già contro chi puntare il dito.
Val Susa, provincia di Torino, qui il candidato del movimento 5 stelle ha incassato cifre da record: il 28,7% a Bussoleno, il 29,8% a Venaus e il 26,5% a San Giorgio (uno dei rari comuni della valle in cui la Bresso ha superato Cota, 37,2% contro 31,5%). Numeri che all'ex zarina fanno accapponare la pelle. Ma lo stupore per questo boom scema appena ci si allontana dal capoluogo, si va verso Avigliana e le montagne. In Val Susa se l'aspettavano. Prendete la folla in piazza Castello davanti al Beppe, il 14 marzo scorso. Ecco. Proprio quel giorno Alberto Perino, storico leader No Tav, fece la sua dichiarazione di voto: Davide Bono. E, ieri, la sua risposta alla domanda sul perché del risultato grillino è stata caustica, come sempre. «È chiaro: gli altri due erano per la Tav. Prima avevamo votato Rifondazione e Verdi. Poi, loro hanno tradito. I 5 stelle, invece, ragionano sulle cose concrete, come noi». E al Pd che li accusa di aver liberato il campo alla Lega? «Che dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Bono, barba e occhialini, era convinto del successo: «Conoscevamo la nostra potenzialità, in valle abbiamo avuto il sostegno dei tanti che alle amministrative hanno appoggiato le Liste civiche». Respinge le accuse del centrosinistra che lo vuole responsabile della sconfitta: «I nostri voti sono principalmente sottratti all'astensionismo e alla delusione». Gli dà ragione Giorgio Vair, vicesindaco a San Didero, 15 chilometri da Susa. Amministratore dall'85, si definisce «indipendente di sinistra». L'ultima volta è stato eletto in una delle Liste civiche che si oppongono all'alta velocità (120 consiglieri comunali sui 600 in valle): «Il voto al movimento 5 stelle è di protesta contro i poteri forti e di contenuto. È stato l'unico a parlare di un diverso modello di sviluppo».
Rifondazione a Bussoleno è passata dal 12% del 2005 al 4%. Juri Bossuto è consigliere regionale uscente del Prc, da sempre impegnato nelle lotta No Tav. «Siamo dal 1992 nel movimento, senza volerlo cavalcare. Purtroppo il nostro accordo tecnico è stato interpretato come una resa. Non era così, si trattava di opporsi a una destra razzista. Il movimento No Tav ha fatto un grave errore, i grillini non andranno mai davanti alle fabbriche». Che la responsabilità sia anche della sinistra lo ammette Sandro Plano, il presidente della Comunità montana, nel Pd ma sempre a rischio espulsione: «La colpa - lo dice con amarezza - è nostra, bisogna ritrovare lo spirito dell'Ulivo».
Le cinque stelle prendono molto persino nelle roccaforti rosse della provincia torinese. Come Collegno, dove il Pd si «ferma» al sessanta per cento dei consensi: «Lasciando da parte il 75% delle regionali 2005, siamo calati di cinque punti dalle europee dello scorso anno. C'è un calo ma non parlerei di crisi visto che il partito resta su percentuali altissime», spiega il segretario Francesco Casciano. Anche da queste parti Bono ha rosicchiato un po'. Giusto cinque punti: «Ma la Tav non c'entra, il problema è l'antipolitica. Anche perché la crisi è fortissima. E quando a settembre finiranno gli ammortizzatori sociali, qui, in quella che era la seconda zona industriale d'Europa, la situazione si farà davvero dura».


Almeno un sussulto

Valentino Parlato dal manifesto 31/03/2010

Tutto il nord dell'Italia e buona parte del sud è in mano alla destra e consolarsi con possibili eventuali conflitti tra la Lega e il Pdl è del tutto illusorio: il territorio e la televisione marciano insieme.
Queste elezioni provano che non si batte Berlusconi con gli scandali e i processi. Il paese è cambiato, viviamo in una società largamente berlusconizzata, privatizzata, e senza più fiducia nella politica, come prova la forte crescita dell'astensionismo: a destra e anche a sinistra.
Ai tempi della mia giovinezza, quando c'era il Pci si facevano convegni e aspre discussioni sullo stato del capitalismo nel paese, sui suoi mutamenti. Oggi il Pd è un partito separato dal territorio (con i lavoratori ha più contatti la Lega di Bossi), con poche e incerte idee sulla società italiana e sulla crisi che la investe, molto dura, anche per chi ha la casa di proprietà o la pensione. La popolazione giovanile è diminuita in seguito alla denatalità, e la denatalità ha a che fare con questioni molto concrete, materialissime come l'impossibilità di progettare un futuro e dunque dei figli.
Il guaio è che il Pd oggi fa politica (o crede di far politica) senza sapere dove sta. Una volta la stampa del Pci faceva inchiesta sui territori di nuova industrializzazione (ricordo di averci lavorato con Luca Pavolini), oggi si fa più attenzione alle intercettazioni telefoniche. Qualcuno, giustamente, finisce in galera, ma nulla si mette in movimento nella società. E ancora, il Pd non è neppure un partito, ma una sommatoria eteroclita di pubblici incarichi. La Lega - va detto - è oggi l'unico vero partito che ci sia in Italia.
Ma allora che fare per non lasciare che il Belpaese si avviti in questa melma, mettendo in gioco anche l'unità nazionale, proprio alla vigilia dei festeggiamenti per il suo centocinquantenario?
Dal Partito democratico ci si aspetta una mossa, un sussulto di presa di coscienza della gravità della situazione e dei pericoli che sono davanti a noi. O si pensa di cavarsela prendendosela con Grillo o accusando i NoTav della Val di Susa che l'hanno votato di aver consegnato il Piemonte alla Lega? Ma non si tratta solo del Pd (dal quale, devo dirlo, c'è poco da aspettarsi) ma anche di tutti i soggetti democratici che ancora ci sono e, aggiungerei, anche di questo nostro manifesto, che è nato da un preveggente scontro con il Partito comunista e che da quasi quarant'anni sostiene che questa società si deve e si può cambiare.
E poi, non per consolarci, in questi mesi abbiamo visto piazza piene e animate, di lavoratori in sciopero, o per denunciare il cappio sul collo dell'informazione, o per difendere l'acqua pubblica e i beni comuni. Anche la sfida di Michele Santoro ha avuto successo. Insomma, questo paese non sta tanto bene, ma è ancora vivo. Forse più di quella politica che dovrebbe rappresentarlo.

martedì 30 marzo 2010

Cronaca spicciola di una ex candidata al Consiglio Regionale del Piemonte





Cara Mercedes Bresso,

questa è la foto in cui "La Stampa" dice di ritrarti mentre piangi in seguito ai risultati del voto in Piemonte.Io non sono nessuno, sono al massimo una ex candidata al tuo nuovo Consiglio Regionale per Sinistra Ecologia Libertà, il Consiglio che non formerai perchè le elezioni le hai perse,le abbiamo perse insieme visto che eravamo anche noi di SEL nella tua coalizione.
Vorrei però dirti una cosa, per cercare di rendere un po' utile anche questa sconfitta. Mercoledì sera sei venuta ad Acqui Terme a chiudere la campagna elettorale, perchè la provincia di Alessandria è la seconda per importanza dopo Torino nel tuo Piemonte. La bella sala del'Hotel Nuove Terme era piena dell'apparato del PD, a naso più dell'apparato dei DS ossia dell'ex PCI, vista l'età media e l'aria da orgogliosi professionisti della politica ancora un po' leninisti che si respirava. Tutti ti si acclamava, dicevano che eri la migliore, che perciò dovevi vincere, si alzavano le braccia festose, ci si complimentava con noi stessi. Quando hai preso la parola non hai detto nulla su Acqui Terme che ti ospitava, sulla sua crisi, sul tramonto qui della sinistra ormai ventennale, sulla crisi delle Terme, sull'autostrada demenziale e criminale che vorrebbe distruggere l'idrogeologia della valle dell'Erro per favorire gli affari delle Imprese Gavio a Savona. Io ti ascoltavo e mi sentivo anche vicina a te, perchè il giorno prima quel mascalzone di Berlusconi ti aveva insultato nella sua maniera greve. Ma poi hai detto che avresti denunciato non Berlusconi, ma Cota perchè aveva dichiarato che non eri una convinta sostenitrice della TAV: tu invece "è dal 1993, ancora da assessore, che sostengo la TAV!", così hai detto cara Bresso. Senza una parola per le popolazioni della Val Susa che stanno lottando per difendere la loro terra dalla TAV, per quella donna a cui i poliziotti torturatori di Genova-Bolzaneto hanno spaccato le ossa del volto,per quell'uomo che è finito con il cranio rotto in terapia intensiva. Sono queste le cose importanti che fanno guadagnare il 4% alla lista di Beppe Grillo e ci regalano tanta astensione al voto, cara Mercedes: il senso di una classe politica autoreferenziale, che pensa solo agli affari e che nel centro sinistra non sembra poi differire ormai tanto dalle truppe berlusconiane.Speriamo che il tuo partito voglia imparare questa lezione che il voto vuole impartire, speriamo che decodifichi anche il senso della vittoria in Puglia di Nichi Vendola, che ha osato addirittura sfidare il Moloch tronfio D'Alema, il freddo campione di cinismo ben definito da Umberto Eco recentemente, imponendogli prima le primarie e poi una vittoria che non ci sarebbe mai stata altrimenti. Speriamo che voi grandi leader del PD vogliate capire qualcosa.Prima che sia troppo tardi per tutti noi in Italia.Prima che anche le tue lacrime non servano davvero più a nulla.

lunedì 29 marzo 2010

Osare la speranza?






Il titolo di questo blog diventa un ossimoro e non ho idea, al momento, se il blog vivrà. Quanto all'Italia, penso che possa oscillare fra un futuro stile Colombia oppure balcanizzarsi...in entrambi i casi almeno l'industria delle armi ne fruirà e magari anche il PIL.

domenica 28 marzo 2010

LA LEZIONE DI NICHI



http://vimeo.com/10490481

Il padre più nobile della sinistra italiana vota Vendola

Sono davvero emozionata di leggere che Pietro Ingrao è con noi.





“Voterò il partito di Vendola”
- di Riccardo Barenghi -

Cento meno cinque.

Fa una certa impressione pensare che Pietro Ingrao sia nato mentre era appena scoppiata la guerra mondiale, la prima, nel 1915 appunto. Martedì prossimo il vecchio leader della sinistra comunista compirà novantacinque anni, la sera dopo verrà festeggiato all’Auditorium di Roma: “Da bambino mi chiamavano Pietrucciu, in stretto dialetto di Lenola, il mio paese natio sulle colline sopra Fondi”. Pietrucciu non ha ancora preso il caffè, è di cattivo umore: “diciamo pure che è incazzato con noi, dice che lo schiavizziamo”, spiega Silvia che tutte le mattine gli fa da segretaria. Ma una volta fatta colazione, Ingrao si rilassa, si siede in poltrona e cominciamo una chiacchierata che parte da Lenin, passa per Stalin e finisce con Berlusconi.
A proposito di Berlusconi, per chi voterà domenica Ingrao?

“Voterò per Emma Bonino naturalmente”

Darà anche un voto di lista?

“Stavolta penso che voterò per il partito di Nichi Vendola, per due ragioni. La prima è che ha fatto una bella politica in Puglia, la seconda perché è gay”

Già che siamo nell’attualità, lei cosa pensa di Berlusconi?

“Penso che è un reazionario di bassa lega. Quindi se non viene liberato il campo dalla sua presenza non vedo facili riscosse. L’impiccio è pesante ma il soggetto che può fare pulizia è ancora tutto da costruire”.

Moriremo berlusconiani, allora?

“Nella mia lunga vita ho vissuto tempi in cui l’Europa era dominata da nazisti in forme impensabili e inaudite, penso ad Auschwitz, eppure da quegli anni cupi e bui è nato quell’evento straordinario che fu la Resistenza. La storia insegna che non ci sono partite chiuse e Berlusconi è assai più debole dei reazionari che sconfiggemmo nel secolo scorso”.

Ma lei vede in campo un avversario in grado di batterlo?

“Sinceramente no, almeno dal mio punto di vista. Io sarò pure antico ma penso ancora che ci vorrebbe un soggetto di classe, l’analisi di Marx per me è ancora valida, il punto chiave è sempre lo stesso: la questione di classe”.

Ma nella sinistra italiana non ne parla quasi più nessuno, lei vede D’Alema o Bersani concentrati sulla questione di classe?

“Ma loro sono dei centristi. Proprio per questo qualche anno fa mi iscrissi a Rifondazione, speravo nella ricostruzione di un soggetto di classe. Purtroppo vedo che la sinistra più di sinistra fa una grande fatica, tutti spezzettati e dunque deboli”.

Continuiamo nella nostra retromarcia, sono sedici anni che Berlusconi è in campo e spesso al governo: come spiega questo fenomeno?

“Lo spiego con la nostra sconfitta, con la fine dell’Urss e del comunismo mondiale e anche del Pci. Di tutto quello che si chiama Movimento operaio e che ha segnato la vita del secolo scorso. Crollato quel mondo, direi quell’argine, tutto è stato possibile. Anche l’emersione di un personaggio come Berlusconi”.

Come definirebbe il suo secolo di vita?

“Il secolo di Hitler, una cosa di quelle dimensioni e violenza non si era mai vista né prima né dopo. Ma anche il secolo di milioni di persone che sono state spinte a scendere in campo e a vincere prove straordinarie. La Resistenza, l’ingresso dei sovietici a Berlino, la bandiera rossa sulla cima del Reichstag. Ecco, per uno come me che era rosso e comunista lo splendore di quell’immagine, di quella vittoria è stata l’emozione più intensa della mia vita. Anche perché si è mischiata col suicidio di quel cane ringhioso che si chiamava Hitler”.

Lei si considera ancora comunista?

“Certo, il mio colore è sempre il rosso”.

Però nella sua vita diverse volte ha criticato aspramente il comunismo realizzato, l’Unione Sovietica?

“Soprattutto dopo il rapporto segreto di Krusciov, quello del ’56 sui crimini si Stalin. Lì ho capito gli errori e gli orrori dello stalinismo, che ha umiliato ed offeso la libertà dei sovietici. Ma ricordo benissimo che molti trai i dirigenti del PCI e tra i militanti non erano affatto convinti della verità di quelle rivelazioni, a cominciare da Palmiro Togliatti. Invece avremmo dovuto essere molto più critici ed audaci nell’innovazione politica. Devo dire che in questo senso si distinsero Giorgio Amendola e Giancarlo Pajetta, i più duri contro Stalin. Peccato però che nel dibattito interno al PCI, sulla questione della libertà di dissenso, fossero i più stalinisti…”

C’è una cosa di cui si è pentito?

“Una su tante: la prima pagina dell’Unità, di cui ero direttore, dedicata alla morte di Stalin nel ’53. Una pagina terribilmente agiografica”.

Riccardo Barenghi

La Stampa

sabato 27 marzo 2010

APPELLO AL VOTO di Nichi Vendola





APPELLO AL VOTO di NICHI VENDOLA


Due anni fa una notte profonda è calata sul nostro paese. Convinta di aver conquistato, grazie a una seduzione bugiarda, il potere assoluto, la destra di Silvio Berlusconi ha creduto di potersi permettere tutto. E tutto si è permessa. Ha mentito e ingannato. Ha ignorato la realtà e le sue esigenze per sostituirla con uno zuccheroso fondale di cartapesta. Ha fatto dell’esercizio del potere una pratica quotidiana di licenza e abuso. Ha reclamato con fragorosa arroganza il diritto feudale all’impunità. Ha stracciato diritti, umiliato il lavoro, seminato intolleranza, coltivato egoismi, beffeggiato come ciarpame e impaccio ogni solidarietà.
Queste tenebre da cui siamo oggi circondati non sono il frutto di un’eclisse improvvisa e imprevedibile. Sono il prodotto di una lunga controrivoluzione culturale a cui moltissimi hanno messo mano. Si sono addensate nel corso di un quasi vent’anni, mentre giorno dopo giorno veniva circoscritto e infine cancellato ogni spazio pubblico, denunciato come intollerabile ciarpame ogni diritto, smantellata la centralità del lavoro, sequestrato e poi dissezionate in vacue pillole pubblicitarie quel bene comune essenziale che era e deve tornare a essere la politica.

L’illusione di invulnerabilità e impunità politica che ha alimentato in questi due anni l’orgia del potere berlusconiano è infondata. Scricchiolii sempre più numerosi e sempre più stridenti rivelano che lo scintillante castello del berlusconismo, fondato com’è sulle sabbie mobili di un colossale inganno, si avvia verso un rovinoso crollo. Ma uscire da questa ombra non sarà possibile senza restituire alle parole svuotate il loro spessore e il loro senso: senza riprendere possesso della politica e riportare la democrazia al suo significato di reale potere del popolo.

Queste elezioni possono segnare l’inizio della fine per chi, in nome del popolo, ha sottratto al popolo il diritto di decidere sulle proprie sorti e ha ridotto la libertà a sterile facoltà di scegliere tra vuoti prodotti di consumo politico.

E’ ora che quelle parole, popolo e libertà, si spoglino del carattere sinistramente ironico di cui li ha ammantati la destra e tornino alle loro origini, al loro eterno valore, al loro vero e profondo significato.

Nichi Vendola

venerdì 26 marzo 2010




FERMIAMO BERLUSCONI




Uno stop a Berlusconi
- di Edmondo Berselli -

Le elezioni regionali sono un'occasione da non perdere. C'è in gioco il futuro del Nord e anche della sinistra europea dopo il successo dei socialisti in Francia




Roma, piazza san Giovanni. Un Silvio Berlusconi davvero scatenato si rivolge alla sua folla dicendo: "In tre anni debelleremo il cancro". Ostrega. Non si sa se è una sparata in puro berlusconian style oppure una delle trovate inarrestabili del capo del governo, uno dei suoi exploit da ganassa. Di sicuro è la dimostrazione che il settantatreenne Berlusconi è convinto di essere immortale, forse grazie anche ai miracoli di don Verzè.

Ma in piazza san Giovanni, in una domenica di marzo, si sta verificando anche qualche cos'altro: l'unione mistica fra il capo e il popolo, fra il monarca assoluto e la sua gente. Le elezioni regionali vengono molto dopo. Come il Sovrano ha dichiarato, non si tratta di elezioni parziali, locali o regionali, ma l'ennesima prova di forza tra Silvio Berlusconi e tutti gli altri. Fra chi accetta il 'governo del fare', dei Bertolaso, del pronto intervento, dell'emergenza, e chi invece dice sempre di no.

Il film è già visto e stravisto. Tuttavia questa volta la posta in gioco è più alta del solito. C'è in gioco quasi tutto il Nord, e una egemonia che può manifestarsi su almeno quattro regioni fra le più importanti del paese. E in fondo Berlusconi ha ragione: la sua azione politica può diventare egemonica sulle aree più significative dell'Italia contemporanea, lasciando alle regioni rosse il ruolo di 'Lega centro', con una funzione politica poco più che residuale, nell'attesa che il modello emiliano spenda le ultime risorse.

Debellare malattie incurabili può appartenere all'Ego sovrano di Berlusconi, ma anche alla sua forza inesorabile. Nelle ultime settimane è riuscito ad attaccare i magistrati, convincendo forse del tutto gli italiani che il sistema della giustizia è decisamente malato, e occorre intervenire in profondità per 'debellare' il morbo che ha attaccato le radici stesse del sistema giudiziario. Probabilmente non ha convinto tutti, perché c'è ancora chi sostiene l'autonomia della magistratura, ma a poco a poco è riuscito a convincere una parte dell'opinione pubblica che i magistrati stiano conducendo una guerra mortale contro di lui, trasformando la politica in una battaglia giudiziaria senza quartiere.


Intanto, si sta sviluppando una partita senza quartiere in alcune regioni assai importanti, a cominciare dal Piemonte, dove la candidatura di Mercedes Bresso è a rischio, sotto la forte spinta del leghista Cota. Il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani sembra guardare con ottimismo al risultato piemontese, con lo sguardo accompagnato da quello prestigioso del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, ma non deve trascurare gli aspetti 'ideologici' della candidatura della Bresso: anche all'interno della Cei si è discusso a fondo degli aspetti 'abortisti' e laicisti della figura della candidata del Pd, giungendo a un giudizio sostanzialmente negativo che potrebbe avere effetti nefasti sul risultato finale.

I membri più avvertiti della Conferenza episcopale infatti hanno messo in luce che una sconfitta del centrosinistra in Piemonte avrebbe come effetto la consegna di quasi tutto il Nord alla Lega di Bossi, con esiti praticamente secessionisti. In queste condizioni, e in seguito alla grave crisi economica in cui il Settentrione si trova (una ricerca della Banca d'Italia ha mostrato che la produzione industriale è in arretrato di cento trimestri), sarebbero prevedibili risultati sociali fortemente conflittuali. Per ora sul piano della produzione sembra tenere soltanto il Veneto, mentre il tessuto industriale di piccola e media impresa emiliano sta flettendo anch'esso, con esiti molto negativi dal punto di vista dell'occupazione.

Insomma si stanno incrociando fenomeni di carattere assai diverso: da un lato il problema economico, dall'altro la questione ideologica. Nel Lazio, per esempio, la candidatura di Emma Bonino sta diventando conflittuale, specialmente verso la Roma tradizionale, quella clericale in particolare. Negli ultimi tempi esplosiva: per ora sembra che la candidatura della Bonino risulti ancora competitiva, anche se in condizioni limite; ma alla lunga si teme che il Pd possa essere penalizzato da una candidatura esterna, inventata lì per lì e staccata dal popolo.

Non parliamo poi delle competizioni nelle regioni meridionali, in cui la partita sembra spaventosamente in perdita. Con ogni probabilità la campagna di Emma Bonino risulterà la più emblematica politicamente, in parte perché coinvolge la capitale, e in parte perché investe la strategia complessiva dei democratici: il tentativo di cooptare una figura esterna come quella di 'Emma' costituisce un esempio tutt'altro che facile dal punto di vista politico. Nello stesso tempo la Bonino rappresenta un personaggio stimato quanto nello stesso tempo controverso, specialmente rispetto alla Roma più tradizionale.

Negli ultimi tempi si è lentamente formata l'idea che il Pd sia in recupero: ancor prima che sui numeri elettorali, sulle regioni conquistabili. Può darsi: ma un risultato 'tecnico' non convincerebbe l'opinione pubblica e soprattutto non sarebbe in grado di rilanciare il centrosinistra. Il quale ha bisogno di trovare un risultato importante anche sul piano numerico, per dimostrare di esistere. Per il centrosinistra italiano l'appuntamento di fine marzo è uno dei più cruciali fra le ultime tornate elettorali. Il Pd ci arriva in condizioni particolari, senza essere riuscito a creare il giusto amalgama fra la componente ex socialista e la parte cattolica e liberal-riformista del partito. Nello stesso tempo, c'è netta la sensazione che questo appuntamento non ha utili vie d'uscita. Non soltanto per Bersani, ma per tutto il gruppo dirigente del partito. E, in fondo, per tutta la prospettiva della sinistra europea.

Si aprono vie nuove per le sinistre, dopo la vittoria antisarkozista alle regionali in Francia; forse ci sono ancora opportunità per una politica progressista nei principali paesi europei. Perdere un'occasione come questa sarebbe perdere malamente una partita decisiva per il progressismo europeo.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2123799

TERRA MADRE


Il miglio rosa: donne e diritto alla terra



Fonte: www.kila.it

Un rapporto di Action Aid e la campagna mondiale Hunger Free Women ribadiscono che l'empowerment femminile è l'unica strada per sconfiggere la fame. Nel mondo una persona su sette soffre la fame, e di queste i due terzi sono donne e bambini. ActionAid, organizzazione della cooperazione internazionale attiva da oltre venti anni, ritiene che fame e malnutrizione non siano un ineluttabile fatto naturale, ma il risultato di scelte precise e di disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra uomini e donne. Proprio alla centralità della questione di genere nella lotta alla povertà è dedicato il rapporto Il Miglio Rosa pubblicato in occasione dell'8 marzo, in cui si fa il punto della campagna internazionale Hunger Free Women a due anni dal suo avvio.
Il rapporto descrive il paradosso della povertà femminile nei paesi in via di sviluppo: sono le donne a produrre tra il 60 e l'80% del cibo ma al tempo stesso a soffrono la fame in misura doppia rispetto agli uomini.
La madre di tutte le discriminazioni è l'esclusione dal diritto a possedere ed ereditare la terra, sancita dalle tradizioni e dalle legislazioni di molti paesi. Generalmente le contadine gestiscono appezzamenti di terra scarsi e con bassa qualità del suolo. Le donne sono più colpite dal cambiamento climatico e da catastrofi naturali, anche se sono proprio le donne a rispondere meglio alle emergenze attuando strategie legate alle realtà locali, sostenibili e condivise a livello comunitario. Inoltre, la popolazione rurale femminile è penalizzata nell'accesso al credito e ai servizi tecnici di supporto alle attività agricole. La scarsa presenza delle donne a livello locale e nazionale nelle istituzioni che sviluppano programmi rurali fa sì che il loro lavoro e le loro esigenze siano sottorappresentati.
Da sempre la terra è potere economico, politico e sociale, fattore di ricchezza e premessa per avere un alloggio, svolgere attività economiche, crearsi opportunità lavorative. La terra, come altre risorse esauribili, sta diventando scarsa e dunque ancora più preziosa. Dove la terra è distribuita e gestita con maggiore eguaglianza tra uomini e donne, si assiste a circoli virtuosi in termini di sviluppo economico locale, salute materna e infantile, istruzione. Ma i diritti delle donne alla terra e alle risorse naturali sono l'anello mancante nell'analisi della crisi alimentare; l'empowerment delle donne è il fattore su cui meno hanno scommesso i donatori nella risposta all'aumento del numero di persone affamate e malnutrite. Invece, salvaguardare la sicurezza alimentare per le donne e sviluppare le loro capacità nel settore agricolo è una condizione imprescindibile per il raggiungimento del primo Obiettivo di Sviluppo del Millennio, che prevede di dimezzare la proporzione di coloro che soffrono la fame nel mondo entro il 2015.
Con la campagna Hunger Free Women, ActionAid ha agito controcorrente, mettendo al centro della lotta alla fame le donne e chiedendo che il riconoscimento del loro diritto a possedere ed ereditare la terra diventasse una priorità politica in tutti i Paesi. Per raggiungere questo obiettivo ha sostenuto i gruppi e le associazioni rurali femminili nel Sud del mondo, dando priorità al consolidamento della leadership e della partecipazione delle donne. A partire dal 15 ottobre 2008, prima Giornata Mondiale della donna contadina, circa 80.000 donne in più di 20 paesi hanno organizzato marce e manifestazioni per reclamare il loro diritto di proprietà alla terra.
La mobilitazione delle contadine, incluse le più povere ed emarginate, ha ottenuto importanti risultati in tutti i paesi coinvolti, dal Bangladesh al Gambia, dall'India al Brasile, ma le scelte determinanti competono alle istituzioni internazionali e ai potenti della terra.
Per questo Action Aid conclude il suo report con una serie di raccomandazioni rivolte soprattutto ai paesi ricchi, inclusa l'Italia: tra queste, finanziare adeguatamente il settore agricolo e lo sviluppo rurale attraverso l'aiuto pubblico bilaterale e multilaterale, garantire che i finanziamenti siano rivolti all'uguaglianza di genere e all'empowerment delle donne, adottare una moratoria sull'ulteriore espansione della produzione di agrocarburanti che soffocano la produzione alimentare, limitare le emissioni di anidride carbonica e incrementare i fondi per l'adattamento e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico.
L'esperienza di questi anni dimostra che l'ultimo miglio da percorrere per consegnare la fame alla storia è il miglio rosa che vede le donne protagoniste, con gli stessi diritti degli uomini nella gestione delle risorse naturali e nello sviluppo rurale.

APPELLO AL VOTO



APPELLO AL VOTO di Nichi Vendola

venerdì 26 marzo 2010


Due anni fa una notte profonda è calata sul nostro paese. Convinta di aver conquistato, grazie a una seduzione bugiarda, il potere assoluto, la destra di Silvio Berlusconi ha creduto di potersi permettere tutto. E tutto si è permessa. Ha mentito e ingannato. Ha ignorato la realtà e le sue esigenze per sostituirla con uno zuccheroso fondale di cartapesta. Ha fatto dell’esercizio del potere una pratica quotidiana di licenza e abuso. Ha reclamato con fragorosa arroganza il diritto feudale all’impunità. Ha stracciato diritti, umiliato il lavoro, seminato intolleranza, coltivato egoismi, beffeggiato come ciarpame e impaccio ogni solidarietà.
Queste tenebre da cui siamo oggi circondati non sono il frutto di un’eclisse improvvisa e imprevedibile. Sono il prodotto di una lunga controrivoluzione culturale a cui moltissimi hanno messo mano. Si sono addensate nel corso di un quasi vent’anni, mentre giorno dopo giorno veniva circoscritto e infine cancellato ogni spazio pubblico, denunciato come intollerabile ciarpame ogni diritto, smantellata la centralità del lavoro, sequestrato e poi dissezionate in vacue pillole pubblicitarie quel bene comune essenziale che era e deve tornare a essere la politica.

L’illusione di invulnerabilità e impunità politica che ha alimentato in questi due anni l’orgia del potere berlusconiano è infondata. Scricchiolii sempre più numerosi e sempre più stridenti rivelano che lo scintillante castello del berlusconismo, fondato com’è sulle sabbie mobili di un colossale inganno, si avvia verso un rovinoso crollo. Ma uscire da questa ombra non sarà possibile senza restituire alle parole svuotate il loro spessore e il loro senso: senza riprendere possesso della politica e riportare la democrazia al suo significato di reale potere del popolo.

Queste elezioni possono segnare l’inizio della fine per chi, in nome del popolo, ha sottratto al popolo il diritto di decidere sulle proprie sorti e ha ridotto la libertà a sterile facoltà di scegliere tra vuoti prodotti di consumo politico.

E’ ora che quelle parole, popolo e libertà, si spoglino del carattere sinistramente ironico di cui li ha ammantati la destra e tornino alle loro origini, al loro eterno valore, al loro vero e profondo significato.

Nichi Vendola

GESU'SCONI IN 3 ANNI SCONFIGGE IL CANCRO

giovedì 25 marzo 2010

GRAZIE DI ESISTERE




E' ORA DI SVEGLIARSI!

Contro il ponte per la mafia

Un ponte per la mafia


“Un’alleanza ancor più stretta tra Cosa Nostra e ’ndrangheta in vista della possibile costruzione dell’infrastruttura, per cui la crisi delle organizzazioni locali potrebbe semplicemente aprire la strada a un’invasione da parte delle organizzazioni mafiose esogene”

Le prospettive per la costruzione del Ponte sullo Stretto, secondo l’ex procuratore capo di Messina, Luigi Croce. Dal libro di Antonio Mazzeo “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina”, Edizioni Alegre, Roma.

Salutiamo il padre italiano dell'omeopatia

Muore a 102 anni Antonio Negro, il padre dell’omeopatia italiana
Classe 1908, Negro è stato assistente del clinico Nicola Pende alla facoltà di Medicina della Sapienza a Roma. E' considerato uno dei pionieri della medicina omeopatica
Si è curato per tutta la vita con l'omeopatia, la disciplina di cui è stato pioniere in Italia. E' morto questa mattina il professor Antonio Negro, padre dell'omeopatia italiana. Ne ha dato notizia il figlio Francesco Eugenio, anche lui omeopata. Classe 1908, Negro è stato assistente del clinico Nicola Pende alla facoltà di Medicina della Sapienza a Roma e fino a poco tempo fa continuava a visitare in ambulatorio tutti i giorni. Negro nel 1950 ha fondato il Centro Ippocratico ispirato al padre dell'omeopatia Hahnemann; nel 1953 ha aperto l'Accademia di Medicina Omeopatica Hahnemanniana; poi la Scuola, la Simoh, di cui era presidente.

"Non solo omeopatia ma anche la fede ha contribuito a mantenerlo in salute per oltre un secolo". Francesco Eugenio Negro spiega così il segreto di longevità e l'assenza di acciacchi del padre Antonio, morto oggi a Roma all'età di 101 anni (ne avrebbe compiuti 102 in giugno), il medico endocrinologo diventato punto di riferimento nel nostro Paese della disciplina fondata da Samuel Hahnemann.

Antonio Negro "mangiava molto poco, faceva molto movimento ed era molto credente", dichiara Francesco Eugenio, anche lui medico omeopata. "Tre elementi - aggiunge - che hanno contribuito sicuramente alla sua lunga vita". Oltre un secolo e nessuna malattia cronica. "Si è spento per i suoi anni - assicura il figlio - Non aveva patologie, ma solo il cuore stanco di chi ha vissuto così a lungo". Un'esistenza basata su binomio "scienza e fede" . E' stata sicuramente "una vita fortunata e serena - conclude - Una serenità che riusciva a trasmettere ai suoi pazienti, per i quali era medico e psicologo. Perchè non curava solo il corpo, ma anche lo spirito di chi si affidava a lui".
(Marzo 25, 2010)

Marx ed il Caimano




Quel che Marx ci dice del Caimano

Leggo i giornali, ascolto la radio, sbircio, tra una cosa e l’altra, qualche frammento video sulla rete, evitando sistematicamente la tv, per non sentirmi peggio di quanto non mi senta. Ovunque imperversa lui, il Silvio Magno, come l’ha chiamato qualcuno. Il neoduce. Il cavaliere con macchia e, direi, sempre più, con paura. Più ha paura, più si agita; più teme di essere disarcionato, magari dalla classica congiura di palazzo, e più mostra i denti, e arma i pretoriani; eppure qualcuno dovrebbe spiegargli che proprio tra i pretoriani si sono sovente annidati i tirannicidi; e che per ogni Cesare, v’è un Bruto in agguato. Ma no, lui non arretra. “Lui è un combattente”, dicono i suoi fedelissimi. “Lo hanno dato per spacciato decine di volte e lui si è sempre rialzato e ha piegato gli avversari”: quelli esterni e quelli interni, persino oggi forse più pericolosi. E ancora: più paventa la fine biologica, e più si copre di belletto; più è senza argomenti, e più alza la voce; più è disperato, e più allarga la forbice del suo falso sorriso, che diventa sempre più un ghigno inquietante.

Lui, ossia il Signor Denaro. Se c’è una fisicizzazione del Dio Denaro, essa si incarna per l’appunto in Silvio Berlusconi. Il denaro. Ieri, leggevo a lezione (tengo un corso su Marx politico, quest’anno), brani dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, un testo di eccezionale densità teorica, ma anche di rara bellezza. Si tratta del Marx definito “umanista”, il Marx che propone un affascinante “comunismo critico”, e che si intrattiene, in poche pagine di sconvolgente capacità evocativa, sugli aspetti essenziali della società capitalistica. E mentre le leggevo agli studenti in aula, commentandole, mentre da un lato eravamo tutti suggestionati dalla forza di quelle analisi, e dalla pienezza di quel pensiero, dall’altro, inevitabilmente sorridendo, abbiamo visto in controluce qualcosa e qualcuno che è il nostro schifoso presente.

Che scriveva dunque un Karl Marx ventiseienne? Coglieva nel denaro e nella proprietà privata gli elementi corruttori della società capitalistica, i suoi peccati originali, le sue malattie organiche, alla lunga mortali. La proprietà privata “ci ha reso così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo, e quindi quando esso esiste per noi come capitale o è da noi immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato, ecc., in breve quando viene da noi usato”. Basterebbe già questa folgorante proposizione a darci un’idea di come si ponesse quel giovane davanti alla realtà della sua epoca, che, a ben vedere, per tanti aspetti, certo per questi, non è diversa dalla nostra.

Veniamo al denaro. Nella società capitalistica esso fa e può tutto: può anche l’impossibile, può rovesciare i naturali rapporti tra le cose. Esso trasmette il suo potere dirompente a chi lo possiede, quasi in un processo di osmosi, in una perenne metonimia. “Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere”. Ciò che il denaro è, si trasfonde nel suo possessore. Il quale così pensa secondo Marx: “Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio”. E, in un crescendo formidabile, ecco la presentazione di dinamiche e figure che allora come oggi, sono centrali, ben note, nel panorama in cui ci è dato vivere. “Io sono un uomo malvagio, disonesto, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi la possiede?”. E Marx argomenta, aggiungendo, a noi che lo leggiamo oggi, sale sulle nostre ferite: “costui [lo stupido ricco] potrà sempre comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?”.

Insomma, il denaro ha un potere miracoloso: trasforma ogni umana deficienza nel suo esatto contrario. Gli stupidi diventano intelligenti; i brutti, bellissimi; i malvagi, buoni; i disonesti, individui di specchiata onestà. Esso, il denaro, è dunque una potenza, ma una “potenza sovvertitrice”. Esso fa studiare il giovane che è ricco anche se non ha passione; consente di viaggiare al borghese che non ne ha bisogno o desiderio; consente al vile di diventare coraggioso “comprando” il coraggio…
Insomma, esso trasforma la rappresentazione in realtà e viceversa. Sovverte i valori, rovescia la realtà, aliena l’umanità; “confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l’inversione di tutte le qualità naturali ed umane”. E precisa ancora: “Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l’intelligenza in stupidità”.

Come non pensare al cavalier Berlusconi Silvio, e alla sua arroganza che ritiene di potere tutto comprare? Come non rivedere l’esercito di figuranti da lui assoldato, ossia comprato grazie al potere del denaro, nella magica piazza prestabilita da “un milione” di persone del 20 marzo a Roma? Come non rivedere come in un crudele piano-sequenza filmico i volti degli “avvocati del premier”, come vengono chiamati: da Previti a Pecorella, fino all’ormai mitico Ghedini, che pare uscito da una riedizione dell’altrettanto mitica pellicola cinematografica Frankestein junior? Come non pensare alle otto ville sarde? Alle dimore caraibiche? Agli appartamenti romani e milanesi? Ai casali toscani? Alla dimora-base di Arcore?

Come non avvertire in ogni gesto di quest’uomo la potenza devastatrice, la forza corrompitrice, il potere sovvertitore del denaro? E come non avvertire che questa potenza sta facendo il suo corso, e che in tanti anche senza bisogno di confessarlo, sentono che il denaro è la via più facile per ottenere la bellezza, l’intelligenza, l’onestà…? In fondo, il guasto maggiore del berlusconismo risiede in un dato; nel suo incarnare perfettamente l’essenza del capitalismo, e ora di un capitalismo particolarmente predatorio e cialtronesco.

Dietro la maschera grottesca dell’homme qui rit, si rivela oggi sempre più nitidamente il cupo ondeggiare del caimano, che apre le fauci, sbatte la grossa coda, minaccia, muggisce. Non a lui, che certo non segue i blog di Micromega, e temo non legga le nostre parole, ma ai suoi tanti “collaboratori”, mi permetto di ricordare che seguendo la teoria marxiana del rovesciamento del rovesciamento, anche il potere sovvertitore del denaro può essere sovvertito e ribaltato. E che si può pensare, e magari realizzare, un mondo in cui si presupponga il rapporto dell’uomo con l’uomo, e con il resto dell’umanità, e la natura; un mondo in cui, cito ancora Marx, si potrà “scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia”. E così via. Un mondo nel quale essere se stessi, e non quello che il denaro ci consente di essere, camuffando, rovesciando, mistificando la verità effettuale delle cose.

In quel mondo, Gasparri forse troverebbe un ruolo come usciere delle Poste; Capezzone, garzone del barbiere; Bondi, apriporta di albergo; Cicchitto, guardiamacchine (ma con qualcuno che lo controlli; io l’auto, a uno così, non gliela lascerei); Maroni e Calderoli, lavavetri; La Russa, guardiano di notte (disarmato). Ora, nel mondo rovesciato dalla potenza sovvertitrice del denaro, sono esponenti “autorevoli” del ceto politico governativo. Il loro padrone, capo del governo; uomo che semina odio e parla d’amore; che blatera di riforme, ma pensa a controriforme; che teorizza la modernizzazione del Paese, ma pensa ai suoi affari privati… E così via. Sì. Il denaro sovverte l’ordine naturale delle cose, mistifica la realtà, rovescia i valori. Marx ha assolutamente ragione.

Angelo d’Orsi


da Micromega online, 23 marzo 2010

mercoledì 24 marzo 2010

PICCOLI DUCETTI CRESCONO

IN TUTTA ITALIA SANTORO ONLINE MALGRADO LA CENSURA RAI





LA SFACCIATAGGINE DELL'IMPUNITA'


Intervista shock al "Fatto Quotidiano"

Dell'Utri: "Sono in politica per sfuggire all'arresto"

di: Antonio Rispoli


Intervista estremamente particolare, quella presente oggi sul "Fatto Quotidiano", a firma Beatrice Borromeo. L'intervistato non è una persona qualunque, ma Marcello Dell'Utri, incontrato sul treno. All'interno dell'intervista - abbastanza surreale da sembrare ai limiti della realtà, in un altro Paese - ci sono alcune risposte del senatore siciliano abbastanza sconvolgenti. Per esempio quando la Borromeo gli chiede se non senta una responsabilità politica, per il processo di appello di Palermo. E la risposta di Dell'Utri è netta: "Io sono politico per legittima difesa. A me delle politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto". E alla successiva domanda: "Perchè non si difende solo fuori dal Parlamento?", la risposta è stata: "Mi difendo anche fuori, ma non sono mica cretino. Quelli mi arrestano".
Queste poche dichiarazioni - l'intervista è molto più lunga, e riguarda anche Massimo CIancimino, definito "il figlio scemo della famiglia Ciancimino" - rende chiaramente l'idea di come certe persone intendono il posto in Parlamento. Non un compito da svolgere per i cittadini, come è previsto nella Costituzione ma semplicemente un mezzo per non dover scontare la giusta punizione per i reati commessi.
Ricordiamo che Marcello Dell'Utri ha già una condanna passata in giudicato a 2 anni e 3 mesi per false fatturazioni con Pubblitalia, del 1999; una sentenza del 2009 di assoluzione per insufficienza di prove (tecnicamente per il secondo comma dell'articolo 530 del Codice di Procedura Penale) per l'accusa di calunnia pluriaggravata insieme ad alcuni falsi pentiti; ed una sentenza di secondo grado di prescrizione per l'accusa di estorsione, poi derubricata in "minaccia grave", insieme al boss mafioso Vincenzo Virga. Infine è in corso il processo di appello per associazione a delinquere di stampo mafioso, dove in primo anno Dell'Utri è stato condannato a 9 anni di reclusione.

Vendola: la sinistra faccia pulizia


Vendola: “Questione morale?La sinistra sa fare pulizia”


martedì 23 marzo 2010 21:03 - di Francesco Bonazzi

Bari. A una settimana dal voto Nichi vendola, Presidente della Puglia, ha l’aria stremata, ma ha ancora voglia di scherzare:”dopo le elzioni quasi quasi mi faccio un lifting come Berlusconi”.
Dopo l’arresto di Sandro Frisullo, ex vicepresidente della sua giunta, l’aria sulla campagna elettorale è pesante. E’ una bomba ad orologeria sul voto di domenica?

“Assolutamente no. Io non ragiono come Berlusconi. Ho la massima stima nella magistratura e penso che vada sempre lasciata lavorare in pace. Rifiuto anche solo l’idea di una qualche presunta volontà di segnare un qualche “pareggio” con l’inchiesta di Trani che vede indagato il Presidente del Consiglio”.

Frisullo lei l’ha costretto a dimettersi nove mesi fa.

“Lo ripeto, non ho alcun dubbio sulla buona fede dei magistrati neppure sulla tempistica delle inchieste. Io oggi posso solo dire con orgoglio che non ho avuto bisogno di loro per far pulizia. Nel centrodestra non mi pare abbiamo altrettanto coraggio”.

C’è un problema di onestà anche dalle vostre parti?

“Vede, se volessi usare il bilancino, potrei dire che loro hanno una trave nell’occhio e noi una pagliuzza. Ma non sarebbe coerente con i nostri valori, perché a sinistra abbiamo il dovere di essere irreprensibili ed intransigenti. Io non ho aspettato neppure un’avviso di garanzia per azzerare la mia giunta. E oggi per me l’inchiesta non è un problema politico”.

Sta scaricando Frisullo come Massimo D’Alema?

“Assolutamente no. Quando una persona affronta il carcere io rovo una grande tristezza per lei e questo vale anche per Frisullo. Quando venne fuori la storia di Tarantini e delle ragazze io gli chiesi di dimettersi anche se lui non capiva e diceva che se a uno piacciono le donne…”

A leggere i verbali, siamo di fronte alla prostituzione, o allo sfruttamento di essa, per conquistare i favori di un pubblico amministratore. Non è diverso dai semplici gusti sessuali?

“Allora, mettiamola così: da mesi viene fuori, da varie inchieste e su vari fronti, la gravità di una questione morale che non è più solo il prendere o meno mazzette, ma l’uso del corpo della donna come merce di scambio. Anche il linguaggio e certe battute tipicamente berlusconiane riferite alle donne sono il segno del degrado morale della politica”.

Che effetto le ha fatto vedere il governo in piazza?

“Mi sembra la surreale deriva di un uomo, Silvio Berlusconi, e di una maggioranza ormai in agonia, che prova ad occultare così la guerra per bande che lo sta squassando”.

Berlusconi sarà anche in difficoltà, ma a differenza del centrosinistra ha un blocco sociale ben definito.

“Dietro di lui vedo più che altro un blocco di potere e un linguaggio ormai dominante fondato sulla comunicazione pubblicitaria. Questo è il governo della fiction e del reality. Dove si dipinge un’Italia che non c’è e con un ottimismo di regime. Un Paese che il leader più populista del mondo vede da Villa Certosa e con un binocolo rovesciato”.

L’opposizione però non sembra neppure sapere quale sia esattamente il suo popolo.

“Io non credo che sia così. Dalla nostra parte ci siano dei valori ben precisi: la lotta alla precarizzazione del lavoro, il rispetto delle regole e dell’onestà fiscale, la tutela dell’ambiente e la scommessa sulle energie rinnovabili”.

Da “Il secolo XIX di Francesco Bonazzi

martedì 23 marzo 2010

VIGLIACCHI, GIU' LE MANI DAI BAMBINI



A Montecchio Maggiore, provincia della ricca Vicenza, hanno lasciato in una scuola primaria ed elementare nove bambini, sia stranieri che italiani, a pane ed acqua perchè i genitori non avevano potuto pagare la retta della mensa. Ho visto io un genitore in TV che dichiarava di essere d'accordo con questa misura.Ci chiediamo fino a quando questo paese continuerà a sprofondare nel più abietto abisso morale.Scriviamo, telefoniamo al sindaco,protestiamo contro questa ennesima vergogna del Nord ricco, sempre più razzista ed intollerante.

Bambini a pane e acqua

Se pensiamo di aver toccato il fondo siamo degli ottimisti. A Montecchio Maggiore, sindaco Milena Cecchetto, nella ricca provincia di Vicenza, nove bambini sono stati messi a pane e acqua nelle scuole comunali perché i genitori non hanno pagato la retta. I loro compagni hanno mangiato pasta alla zucca, hamburger, insalata e frutta. L'umiliazione di questi bambini è una cosa che fa veramente schifo!
"Vi prego fate tutti quello che ho appena fatto anche io pochi minuti fa:
TELEFONATE AL COMUNE DI MONTECCHIO (VI) E PROTESTATE!!! NON SI POSSONO UMILIARE IN QUESTO MODO DEI BAMBINI CHE NON C'ENTRANO NULLA!!!!! NUMERO DI TELEFONO: 0444-705718.
MAIL: sindaco@comune.montecchio-maggiore.vi.it

Io mi sono anche offerto di offrire a mie spese un pasto caldo per almeno un mese a quei bambini indifesi!! Vorrei sapere questi pezzenti di politici dove hanno speso i soldi per non potersi permettere neanche un piatto di pasta al pomodoro per quei bambini umiliati....." Michele D., Como

Leggi e commenta il post su www.beppegrillo.it


Pane e acqua
(dal blog di Concita De Gregorio)



Qualche volta mi è capitato di dimenticare le rette scolastiche. La mensa, soprattutto. Quando i figli sono tutti piccoli, bollettini diversi scadenze diverse: le portano a casa negli zaini dicono mamma tieni, uno appoggia distratto il pezzo di carta sulla mensola, poi magari non si trova più, si perde in mezzo ad altre carte. Si paga in ritardo, con la penale, senza decreti ovviamente, e finisce lì.

La prossima volta si sta più attenti. Non si pensa mai - e questo dipende dal fatto, credo, che siamo cresciuti, la mia generazione è cresciuta in un Paese dove la scuola pubblica specie quella elementare era fantastica, la cura dei bambini un bene superiore condiviso - che le colpe dei padri possano ricadere sui figli. C'entrano anche certi insegnamenti primari, certo, tipo questo. Perciò non succede niente, se un padre dimentica di pagare una retta di certo la scuola farà in modo che il bambino non sia neppure sfiorato da un pensiero che non saprebbe concepire.

Se - più grave, più triste - i genitori non possono, invece, pagarla, la scuola - il comune, l'ente pubblico, lo Stato - si fa carico della debolezza dei grandi e protegge i piccoli. È ovvio che quando i bambini si siedono a tavola, a mensa, devono avere nei piatti tutti la stessa pasta al sugo. Non c'è nemmeno bisogno di spiegare perché. Perciò ci saranno cose più gravi ma mi dispiace, non riesco a pensare ad altro che a quei nove bambini che lunedì si sono seduti ai piccoli tavoli spostando le piccole sedie, hanno aspettato che arrivasse come ogni giorno la signora con carrello e hanno visto la pasta nei piatti degli altri, il pane nel loro. Scuola elementare di Montecchio Maggiore, provincia di Vicenza. Il comune (Lega, Pdl) aveva avvisato: questa la spiegazione. Sette bimbi stranieri, due italiani: pane e acqua. Riuscite a immaginarvi di avere sei anni, sedervi a tavola coi compagni, vedervi porgere un pezzo di pane, la pasta nei piatti degli altri e i loro sguardi su di voi? Sentire il compagno che chiede «perché tu mangi il pane», e non sapere cosa rispondere? Provate ad andare a ritroso negli anni, a mettervi in quelle scarpe e quei grembiuli: che cosa fareste? Piangereste, restereste in silenzio, mangereste il panino, dareste una spinta al compagno rovesciando il piatto? Ma che paese siamo diventati? Ma cosa ci è successo? Ma come è possibile che abbiamo smarrito persino l'istinto a tutelare l'innocenza, la cura dello sguardo di un bimbo, il suo valore? Cosa ci stiamo a fare, di cosa parliamo se non sappiamo sentire e insegnare questo? Da dove possiamo ripartire se non da qui?

Il resto, tutto il resto, ne consegue. Mille posti in meno alla Fiat, altre mille famiglie che presto non potranno pagare le rette. Andate a cercare la notizia nei giornali, nei tg. Cercate bene, poi fateci sapere. A qualcuno interessa se da domani ci saranno mille posti di lavoro in meno? Non tocca mai a noi, non è vero? Sono storie di poveri, una minoranza. E se nostro figlio è compagno di banco e di classe dei nove a pane e acqua alla fine sarà meglio cambiargli scuola, che magari poi fa domande a cui non sappiamo rispondere. È così imbarazzante sentire i bambini che domandano perché. Diamogli la play station, così stanno zitti.

(dal blog di Concita De Gregorio)

BASTA SENI RIFATTI

Fonte: www.progettoarianna.info

Roma - Basta seni rifatti ed esagerati. Questo è in sintesi, uno dei requisiti fondamentali per poter partecipare alle selezioni del quarto episodio del film Disney "Pirati dei Caraibi". Stanca di finti decolteè, che l'occhio del pubblico ha imparato a riconoscere molto bene, la società di produzione ha diffuso un bando che richiede caratteristiche fisiche ben precise: 'Cercasi attrice di bella presenza, un metro e 70 di altezza, taglia 38 o 40, non più grande e non più piccola, età 18/25 anni. Corpo snello da ballerina e soprattutto seni veri: astenersi signore con impianti'. La presa di posizione della Disney, non è finea sé stessa, ma riflette il cambio di rotta che si sta verificando all'interno della società statunitense. Secondo l'American Society di Aesthatic infatti, le operazioni di chirurgia estetica sono diminuite da 2.1 a 1.9 milioni. Segno che forse un corpo naturale è più apprezzato di uno troppo costruito. "Rammaricata" dalla vicenda, sarà sicuramente la ex protagonista del film Keira Knightley, che dopo corpetti stretti e ritocchi al photoshop per apparire più prosperosa, sarà sostuita in questo episodio della saga, da Penelope Cruz.

Addio a Emanuele Pirella

Addio a Emanuele Pirella

Una vita tra satira e pubblicità
Fu autore di celebri campagne, dal "10 e Lode" della banana Chiquita a "Nuovo? No! Lavato con Perlana". Insieme a Tullio Pericoli, ideò "Tutti da Fulvia il sabato sera", la strip de La Repubblica del sabato. Fondò una scuola per giovani talenti


Emanuele Pirella


ROMA - E' morto a Milano Emanuele Pirella, veterano della pubblicità italiana e guru della creatività, fondatore e presidente dell'agenzia pubblicitaria Lowe Pirella Fronzoni e della "Scuola di Emanuele Pirella". Originario di Reggio Emilia, dove nacque nel 1940, Pirella era malato da oltre un anno. E' stato grande pubblicitario, giornalista e autore di satira, in coppia con il disegnatore Tullio Pericoli. In campo pubblicitario fu autore di celebri campagne, come quella per la banana Chiquita il cui slogan, "Dieci e lode", entrò nella storia della pubblicità italiana. Suo anche il lancio del quotidiano La Repubblica, per il quale creò, sempre insieme a Pericoli, la strip del sabato: "Tutti da Fulvia sabato sera".

I suoi progetti per il 2010, dedicarsi completamente alla "sua" scuola: non semplicemente un'agenzia, ma anche un laboratorio-incubatrice di nuovi talenti. Il suo, di talento, non ci mise molto a venir fuori. Dopo aver studiato alla facoltà di Lettere Moderne a Bologna, ancora giovanissimo Pirella si trasferì a Milano con la speranza di intrufolarsi in una casa editrice o in un'agenzia di pubblicità. E così avvenne: nel 1965 entrò nell'agenzia CPV, poi fu la volta della Young&Rubicam.

E la sua scuola ora gli rende omaggio con un lungo e commosso ricordo. "Per chi l'ha conosciuto, per chi ci ha lavorato a stretto contatto per anni o anche solo per un breve periodo della sua vita, Emanuele Pirella resterà un punto fermo. Come il famoso 'punto Pirella', che doveva chiudere per forza anche il più breve dei titoli creati dall'agenzia. Altrimenti, raramente, si arrabbiava. Ciao, Emanuele".

"La parola 'pubblicitario' - si legge nel ricordo della Scuola - è qualcosa di estremamente riduttivo per definire Emanuele Pirella: lui ha certamente creato campagne di successo, diventate veri e propri fenomeni di costume. Il suo tratto più evidente è stato però quello di aver saputo mescolare in modo originale professione e cultura, portando nella pubblicità uno sguardo ironico e intelligente e rendendo così questo mestiere più amato e anche molto più rispettato da tutti".

'''Vado a lavorare da Pirellà è stata negli anni una frase che giovani pubblicitari - continua la lettera-ricordo - hanno più volte detto con orgoglio ai propri colleghi, come il rivendicare il privilegio di far parte di un gruppo scelto. Questi giovani, diventati con il tempo un pò meno giovani, hanno poi portato in altre agenzie uno stile riconoscibile, asciutto e insieme sorridente come era Emanuele".

Come direttore creativo dell'Agenzia Italia/BBDO, fondata nel 1971 con Michele Göttsche e Gianni Muccini, Pirella ideò alcune delle campagne più note e aggressive degli anni Settanta, dai "Jesus Jeans" ("Non avrai altro jeans all'infuori di me. Chi mi ama mi segua") al tormentone di "Nuovo? No! Lavato con Perlana". Nel 1981 fondò, sempre con Michele Göttsche, la Pirella Göttsche, diventata poi Lowe Pirella Fronzoni. Si devono a lui, tra le molte idee, il celebre slogan "O così o Pomì" e campagne innovative come quella con il veterinario dell'amaro Montenegro e dei tortellini sponsorizzati da Giovanni Rana in persona: il padrone dell'azienda che diventa protagonista dello spot veicolando con il suo volto un forte messaggio di fiducia e vicinanza al marchio.

Con la sua agenzia ha ricevuto numerosi "Leoni" al Festival di Cannes: di Bronzo nel 1997, d'Oro nel 1998, poi Bronzo nel 1999, Argento nel 2000 e ancora Bronzo nel 2002. Come autore di satira, in collaborazione con Tullio Pericoli, ha lavorato, oltre che per La Repubblica, per L'Espresso, Linus e il Corriere della sera. Si occupò anche di una campagna per Panorama: un'idea che lui stesso definì "open", in cui si lasciava che i viaggiatori completassero dei manifesti affissi in metropolitana. Per L'Espresso, ha curato la rubrica di recensioni televisive vincendo nel 2000 il Premio Flaiano.

Gli "eroi" ai tempi di Al Tappone


L'inchiesta. La lista delle società di fiducia della Protezione civile
E il progetto Case dell'Aquila lievita del 40 per cento


Bertolaso, consulenze record 9 milioni per gettoni e assegni
di PAOLO BERIZZI


ROMA - Di beffe i terremotati dell'Aquila ne hanno subite abbastanza. Comprese le risate sciacalle della "cricca". Ce n'è una, però, che non conoscono ancora. Va iscritta in quel generoso consulentificio che è la Protezione civile al tempo di Guido Bertolaso. È il 15 aprile 2009. Ad appena nove giorni dal sisma che ha violentato l'Abruzzo provocando la morte di 308 aquilani, ferendone altri 1.600 e lesionando centinaia di edifici, l'ennesimo contributo, 300 mila euro, finisce - con la solita ordinanza ad hoc - nelle casse di una fondazione. Che ha come scopo la prevenzione del rischio sismico. Già materializzatosi 216 ore prima. La fondazione si chiama Eucentre e fa parte della short list (commesse, consulenze, convenzioni) del dipartimento di Protezione civile. Fondata nel 2003, tra gli altri, dalla stessa Protezione, Eucentre è il professor Gian Michele Calvi. Che è pure direttore - con il Consorzio For Case di cui è presidente - del progetto C. A. S. E.. La ricostruzione all'Aquila di 183 edifici, 4.600 appartamenti con appalti per 800 milioni. Calvi insegna meccanica strutturale all'ateneo di Pavia, la sua città. Lo considerano un braccio destro di Bertolaso. Dopo l'estate del 2008 il sottosegretario lo spedisce alla Maddalena come "soggetto attuatore" del G8 al posto dello spendaccione Fabio De Santis (ora in carcere), "allontanato" perché stava appaltando a 600 milioni opere che dovevano costarne 300. Peccato che l'ingegner Calvi, figlio d'arte, studio da 30 dipendenti, famiglia vicina all'Opus Dei, un fratello, Gian Luca, che l'anno scorso rileva per 300mila euro la Tecno Hospital di Gianpaolo Tarantini, all'Aquila abbia splafonato e non di poco proprio nella costruzione delle new town. In 11 mesi, dall'aprile del 2009, con la sua task force di 119 tecnici è riuscito a far lievitare i costi del 40%: dai 570 milioni preventivati a 800. Non male per un'emergenza costata finora la cifra record di 1 miliardo e 431 milioni. "Alla fine sarà il terremoto più caro di sempre", dice Teresa Crespellani, già docente di ingegneria geotecnica sismica all'ateneo di Firenze. Dal pozzo di via Ulpiano, a favore di Eucentre, sono usciti 700 mila euro solo per la valutazione di agibilità delle case. Un compito che nell'era pre-Bertolaso era appannaggio dei tecnici del dipartimento. Con un bel risparmio.

All'Aquila tra gli edifici dichiarati inagibili c'è la vecchia sede dell'Anas. Danni modesti, nemmeno puntellata ma si è deciso, d'urgenza, di tirarne su una nuova. Costo: 14,5 milioni di euro (cordata Maltauro di Vicenza, consegna 27 aprile prossimo). A distanza di un anno nessuna costruzione: solo un cratere. "Prima si valorizzavano le risorse interne, oggi è un continuo e oneroso ricorso a soggetti esterni", ragiona Roberto De Marco, fino al 2002 direttore del defunto servizio sismico nazionale. In effetti in Protezione civile, quando si parla di consulenze, i cordoni della borsa si aprono senza problemi. Nel 2007 ne sono state assegnate per 2 milioni e 436 mila euro, record di spesa con 80 consulenti.

I collaboratori. Bertolaso i suoi se li tiene stretti. A Giovanni Bastianini, "consulente per informazione, immagine e divulgazione della cultura di protezione civile", vanno 104mila euro. La cura delle "attività di comunicazione visiva" è affidata a Maurizio Silvestri, e costa 74 mila euro. Prende 6 mila euro in più l'avvocato di Stato Ettore Figliolia, un tempo consigliere giuridico, oggi superconsulente. E' lui, già capo gabinetto di Rutelli vicepremier, la "mente" creativa delle ordinanze di Protezione civile.

Quanto ci costano i nostri protettori civili e i loro "aggiunti"? Nel bilancio 2009 (2 miliardi e 72milioni) figura la voce "emolumenti accessori al personale interno e distaccato, per gettoni di presenza, stipendi e assegni per il personale assunto con contratti "privati"". In tutto fanno oltre 9 milioni. Normale per un dipartimento che ha quadruplicato le dimensioni della sua struttura (una tendenza inversa ai drastici tagli di tutto l'apparato pubblico centrale). Con un ufficio stampa-comunicazione formato da un esercito di 28 persone (con Franco Barberi erano 8). Persino poca roba se paragonata alle commesse e agli incarichi extra. Tra i "partner" più fedeli c'è Finmeccanica. Specializzata nel settore militare ma alla quale è affidata l'infrastruttura informatica (appalto secretato). Sono targati Selex (società di Finmeccanica) anche i 20 nuovi meteo-radar acquistati nel 2007 per 20 milioni (2,8 milioni a pezzo). Restiamo nei cieli. La flotta delle emergenze, e dei grandi eventi, è tanto fornita quanto costosa: nel 2008 per mantenere i 19 Canadair CL 415, i due aerei Piaggio C 180, i tre elicotteri Agusta e i 6 elicotteri Erickson S63 in appalto, ci sono voluti 158 milioni. Per la sola gestione dei Canadair 43 milioni sono andati alla Sorem: un partner resistente a tutto. Anche alle indagini giudiziarie e a quelle dell'Enav, che nel 2002 denuncia "carenze addestrative e operative". Tra il 2003 e il 2007 si verificano una serie di incidenti, alcuni mortali. Bertolaso ammette "un errore" nella programmazione degli orari di volo, ma Sorem è confermatissima. Come l'Ingv (istituto nazionale geofisica e vulcanologia) di Enzo Boschi. L'ultimo assegno staccato è di 63 milioni, convenzione del 2004. Altri si "accontentano". Legambiente, "protagonista nell'organizzazione di grandi eventi", nel 2006 incassa 694 mila euro. Più del doppio di quanto sono costati (335 mila) i distintivi e le medaglie 2009 della Protezione civile (ma i pompieri che hanno scavato all'Aquila hanno dovuto pagarsele). Meno di un terzo di quanto costa (3,5 milioni all'anno per 9 anni) la sede operativa scelta da Bertolaso nel 2004. Sorge in via Vitorchiano, sulle sponde del Tevere. In una zona che l'autorità di bacino del fiume ha definito "R4". Il massimo livello di rischio idrogeologico.
p.berizzi@repubblica.it
(2 - continua)

lunedì 22 marzo 2010

ORA E SEMPRE RESISTENZA

MUSEO STORICO DELLA LIBERAZIONE
00185 ROMA – Via Tasso 145
www.viatasso.eu; info@viatasso.eu
tel. 067003866, fax 0677203514

GIORNO DELLA MEMORIA
27 gennaio 2010

La presidenza e il comitato direttivo del Museo storico della Liberazione restano fermi nella convinzione che il periodo 1943-1945 e, più in generale, della seconda guerra mondiale, rappresenta una fase tragica ed oscura della storia dell’ Europa, dell’Italia e di Roma perché cartterizzato non solo dalla guerra combattuta dagli eserciti, scatenata dall’aggressione nazista all’Europa, ma anche dalla Shoah e – in Italia - dalle leggi razziali e dalla persecuzione fascista dei cittadini ebrei, che pure costituiscono il massimo della violenza distruttrice del totalitarismo nazista contro l’umanità. La caratteristica dell’aggressione nazista come guerra totale, guerra programmaticamente estesa a colpire popolazioni civili a alla costruzione del Nuovo ordine europeo, destinato a mutare i rapporti storici fra i popoli d’Europa e i loro connotati culturali e civili, le loro identità più profonde, e stabilire tra essi gerarchie etnicamente fondate e sostenute dall’organizzazione totalitaria del potere, colpì anche gli italiani e le italiane e molti e molte fra essi hanno dovuto subìre la deportazione, l’internamento militare, la prigionia, la morte, le stragi e le persecuzioni politiche e razziali. Era una politica dello sterminio e della schiavizzazione che colpì con durezza, in maniera cinicamente stratificata, ogni popolazione che con la macchina nazista venne a contatto, con la destinazione di alcuni alla disumanizzazione e di altri alle eliminazione fisica. Ma, in Italia come in Europa, donne e uomini di ogni nazione e credo, con le armi o senza le armi, a fianco degli eserciti combattenti, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In tal modo, hanno contribuito a garantire ai popoli d’Europa e al popolo italiano la salvezza e la sopravvivenza ed a creare le condizioni della loro libertà e della loro democrazia.
Per queste ragioni, la presidenza e il comitato direttivo del Museo storico della Liberazione ci tengono a riaffermare che – in armonia con le finalità previste dalla legge istitutiva 14 aprile 1957 n, 277 – il compito di narrare i fatti e di promuovere la riflessione sulla storia del nazismo e del fascismo suo alleato – indicati dalla legge istitutiva del Giorno della memoria 20 luglio 2000, n. 211 – non può limitarsi alla pur meritoria attività di cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di un solo giorno ma, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, per fruttificare deve consolidarsi in attività didattica e formativa continua e multidisciplinare, suscettibile di far comprendere come la minaccia totalitaria e razzista avesse minacciato l’umanità stessa dei popoli d’Europa, aggredendo la dignità della persona umana in ogni dimensione dell’esistenza. Ma, nello stesso tempo, capace di spiegare come in ogni strato e gruppo sociale, in ogni comunità religiosa, in ogni ramo della scienza, dell’arte e della letteratura, in ogni attività della produzione e del lavoro, la resistenza della sopravvivenza abbia creato le basi della resistenza per la liberazione. Allora, il Museo, fedele al suo compito istituzionale di assicurare al patrimonio storico nazionale la più completa ed ordinata documentazione di quel periodo e di quegli evanti, ha la piena coscienza che – come testimonia la frequente presenza di visitatori di ogni paese d’Europa e di fuori Europa - riferendosi alla popolazione di Roma, ne rappresenta la lotta che costituisce uno specifico modo di esprimere una lotta comune ai popoli che vivevano nel continente e un momento di una lotta per l’affermazione – anche nel presente e nel futuro – dei diritti di tutti gli uomini, di tutte le donne e di tutti i popoli. Così il dare testimonianza delle persone, dei gruppi sociali, dei movimenti politici e di tutte le vittime di quelle oppressioni e di tutti i partecipi di quelle lotte, non serve solo a diffondere di esse una conoscenza cristallizzata nel tempo, ma a scoprire in essa i semi e le radici da trapiantare e far fruttare nel nostro tempo, nei nostri gruppi e nelle nostre associazioni, nei nostri movimenti, nelle nostre aggregaziuoni sociali e civili, nelle nostre istituzioni.
Non aver perduto la speranza della possibilità di un mondo e di un’umanità migliori fu quello che sorresse nell’abominio dei lager i deportati, di fronte ai fucili spianati i condannati a morte, nella solitudine e nel gelo delle notti d‘inverno i partigiani in montagna e nel chiuso di soffitte e cantine quelli di città, nelle case di campagna le donne che coraggiosamente ospitavano i fuggiaschi, nei monasteri le suore che salvavano bambini ebrei. Questo oggi, domani e sempre vogliamo ricordare e trasmettere.


INIZIATIVE 2010

Poiché dal 2001 gli ultimi giorni di gennaio ed i primi di febbraio sono diventati un periodo in cui la riflessione sugli eventi ricordati viene promossa con varie iniziative culturali ed educative, anche il Museo – in collaborazione con altri soggetti – mette a disposizione del suo pubblico e dei suoi amici una serie di iniziative differenziate e dirette a riflettere insieme e aproporre la riflessione alle più giovani ed ai più giovani.

23 gennaio: PARMA, Centro studi Movimenti (via Testi 4), ore 10,30-17. il Giorno della Memoria al Corso di perfezionamento “Fonti orali e metodi della ricerca per la comunicazione audiovisiva”. Michele Guerra, “Non vedere l’Olocausto: “Shoah” di Claude Lanzmann” (con proiezioni); Primarosa Pia, “Trascrivere, ascoltare, interpretare [le testimonianze di deportati e deportate]: ragione ed emozione; “Nata due volte. Storia di Settimia Spizzichino ebrea romana” (Italia 2005, 60’), video documentario di Giandomenico Curi, discussione con l’autore

23 gennaio – 13 febbraio: SCHIAVE DUE VOLTE. Storie di prostitute forzate nei Lager nazisti
A - Mostra storico-documentaria “Sex-Zwangsarbeit in NS-Konzentrationslagern” (Prostituzione forzata nei campi di concentramento nazisti)” promosssa da “BE FREE. Cooperativa sociale di donne per la lotta contro tratta, violenze e discriminazioni”, con la collaborazione del gruppo “Die Aussteller” di Vienna e dal gruppo della Universität der Künste Berlin. Prima esposizione assoluta in Italia.
B – 27 gennaio e 12 febbraio: eventi di approfondimento con studiose, operatrici sociali, esponenti di cultura e politica

24 gennaio: “Pedalando nella memoria”. Il VI Memorial ciclistico dedicato a Settimia Spizzichino (unica abrea romana superstite dalla deportazione), promosso dalla Provincia di Roma, dal Comune, dai Municipi I, IX e XI, e con l'adesione dell'Uisp, (Unione italiana sport per tutti), farà la consueta tappa al Museo, dove Giuseppe Mogavero e Antonio Parisella ricorderanno la figura di Elvira Sabbatini Paladini, vicepresidente e direttrice del Museo, di recente scomparsa

26-28 gennaio: Günter Demmig, “Memorie d’inciampo a Roma”, a cura di Adachiara Zevi, in collaborazione con ANED (Associazione Nazionale ex Deportati); ANEI (Associazione Nazionale ex Internati); CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea); Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane Italiane e i Municipi I, II ,VI, IX, XVI, XVII. Patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Roma, alto patronato del Presidente della Repubblica.
Come in altre città d’Europa, sui marcia piedi delle loro ex residenze l’artista posizionerà 30 Stolpersteine (pietre d’inciampo) che ricordano deportati razziali, politici e militari. (prima realizzazione in Italia).
A - martedì 26 gennaio, ore 11.00, Casa della Memoria e della Storia, via San Francesco di Sales 5: presentazione alla stampa.
B - giovedì 28 gennaio, ore 9.30: via della Reginella 2: inaugurazione.

26 gennaio, ore 9,30-12,30: il dr. Alessio D’Amato, consigliere della Regione Lazio, consegna in omaggio copie di Anne Frank, Diario, (Einaudi, Torino) alle scuole prenotate per le visita al Museo; gli omaggi verranno ripetuti alle classi in visita per tutta la settimana.

31 gennaio, ore 17,30: LA DEPORTAZIONE DIMENTICATA. “Giacere sul fondo: dramma di siciliani deportati nei campi di concentramento, rappresentazione messa in scena da Paola Roccoli, in coillaborazione con TEATRARTE, teatro e arti visive (Palermo) (da confermare)

DATA DA DEFINIRE: Auditorium dell’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi (Palazzo Antici Mattei, Via Michelangelo Caetani): “I Lagerlieder di Carlo Marinuzzi, concerto. Esecuzione pianistica a quattro mani di Cinzia Facchini e Rossella Rubini della composizione realizzata dall’autore combinando i canti (soprattutto russi e dell’Europa Orientale) appresi nel campo d’internamento e trascritti con materiali di fortuna, con interventi di Annamaria Marinuzzi, Massimo Pistacchi e Antonio Parisella, in collaborazione con Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi. (prima esecuzione pubblica) QUESTO APPUNTAMENTO E' IN CORSO DI REALIZZAZIONE

28 febbraio, ore 10,30, Museo storico della Liberazione, UN PARTIGIANO COME PRESIDENTE. SANDRO PERTINI E LA RESISTENZA. Incontro con Gianno Bisiach per vedere i suoi documentari intervista e parlare del suo libro sul "compagno Pertini"

DOMANI, MARTEDì 23 MARZO, ORE 15, AL MUSEO VERRANNO IN VISITA STUDENTI DELLE SCUOLE DI OSTUNI (BR) CON DUE INSEGNANTI FIGLIE DEL MAGG. ANTONIO AYROLDI, CADUTO DELLE ARDEATINE MOVM, CHE DONERANNO AL MUSEO OGGETTI E DOCUMENTI DI LUI. LA COSA CI GRATIFICA E COMMUOVE AD UN TEMPO

Cosparso di benzina, sale su una gru

Cosparso di benzina, sale su una gru

La disperazione di operaio senza stipendio

La protesta a Stezzano (Bergamo) coinvolge anche altri due dipendenti di un'impresa edile.

Per incassare quattro mesi di stipendi arretrati hanno dovuto minacciare il suicidio di gruppo. Loro alla fine i soldi (in contanti) li hanno incassati, ma dieci loro colleghi hanno scoperto ora che gli assegni ricevuti nei giorni scorsi erano scoperti. Risolta solo in parte la contestazione inscenata stamattina alle 8 nel cantiere di Stezzano, in provincia di Bergamo, dove è in corso la costruzione di 97 appartamenti in villa della Ferretti Casa.

Tre fratelli muratori egiziani, che da quattro mesi non ricevono stipendio, hanno deciso di protestare: due di loro cospargendosi di benzina, il terzo salendo sulla gru e minacciando di buttarsi sotto. Dopo quattro ore di trattative i carabinieri hanno convinto i primi due a tornare sui propri passi e sono stati fatti cambiare d'abito per buttare i vestiti impregnati di benzina. Per far scendere il terzo è dovuto arrivare il titolare dell'impresa, invece, con 5mila euro in contanti. I fratelli sono stati quindi portati in caserma per accertamenti. Prosegue intanto la protesta di dieci loro colleghi marocchini, che manifestano agitando gli assegni con cui sarebbero stati pagati nei giorni scorsi e che sarebbero risultati scoperti.

Le mafie si preparano al voto

Le cosche puntano a crearsi aministratori ad hoc
La Procura di Napoli ha acquisito gli elenchi dei candidati
Sud e liste "inquinate"
le mafie si preparano al voto
L'obiettivo sono gli affari gestiti dalle Regioni
in particolare gli appalti di ospedali e le Asl


di GIULIANO FOSCHINI e CONCHITA SANNINO da Repubblica.it

ROMA - A Napoli i magistrati della Procura antimafia hanno già acquisito le liste con tutti i candidati al consiglio regionale della Campania. E hanno cominciato a studiarle. Anche la commissione parlamentare Antimafia, dopo che il presidente Beppe Pisanu ha imposto ai partiti di sottoscrivere un codice etico, si è mossa: e in attesa che le prefetture comunichino ufficialmente le candidature non in regola con quel codice, ha raccolto un centinaio tra informative e segnalazioni di candidati considerati "a rischio". Le elezioni 2010 in quattro regioni del Sud possono essere condizionate (inquinate o controllate) dalla criminalità organizzata. Che oggi non si limita a fornire pacchetti di voti ai partiti ma scende in campo con candidati propri, politici-affaristi che poi saranno a tempo pieno al servizio delle cosche. È il modello Di Girolamo che può ripetersi all'infinito. L'obiettivo è mettere le mani su parte dei 169 miliardi all'anno gestiti dalle Regioni. Soprattutto appalti di ospedali e Asl, convenzioni esterne e consulenze della sanità, fondi per la formazione. Ma dove vogliono arrivare i clan della camorra e della 'ndrangheta? Di quanti voti dispongono? Quanti e quali candidati stanno mettendo in pista?

Un seggio in vendita
Il "tariffario" per il seggio non è omogeneo. Le istruttorie e le sentenze giudiziarie più recenti raccontano che ci sono angoli del Paese in cui l'elezione in Regione può costare la contenuta cifra di 15 mila euro, come per le 'ndrine calabresi. E ci sono metropoli dagli intrecci malavitosi, come Napoli, dove la stessa carica si acquista con 60 mila euro, oltre alla promessa di lavori pubblici e forniture per i clan. Poi ci sono padrini che non hanno bisogno né di compravendite né di appalti: sono i livelli decisionali del potere criminale che, dalla Sicilia alla Lombardia, puntano a legarsi direttamente con la finanza e le grandi imprese. Accade nel Paese dei 30 mila affiliati organici alle cosche e dei centomila galoppini del voto inquinato. Dove, solo negli ultimi tre anni, le forze di polizia hanno denunciato per associazione mafiosa oltre 7 mila persone. Spiega il procuratore antimafia di Napoli, Giandomenico Lepore: "Il controllo sulle liste è uno screening di rito. Non siamo un ufficio elettorale, dobbiamo solo verificare se siano commessi reati di compravendita del voto". Ma intanto il 10% dei candidati "segnalati" all'Antimafia ha già alle spalle una condanna, o un rinvio a giudizio, o un'indagine per voto di scambio con i clan.

Le mani della camorra
Il caso più clamoroso è a Napoli. Roberto Conte, 43 anni, espulso dai Verdi e dal Pd, torna in una lista che sostiene il candidato presidente del Pdl, Stefano Caldoro. L'ex consigliere regionale è stato condannato in primo grado, otto mesi fa, per concorso esterno in associazione mafiosa, con l'accusa di avere "acquistato" dalla camorra la sua elezione alle regionali del 2000. Ora ha scelto la lista Alleanza di popolo. Conte è anche l'unico degli impresentabili per il quale un padrino pentito, Giuseppe Misso, abbia confermato la costituzione del patto politico-mafioso. Ma qual è la sua storia? Per tre volte, racconta la sentenza, Roberto Conte incontrò il boss Misso. Il padrino lo riceveva nel centro storico di Napoli. Secondo il giudice, a fine corsa, il neo-eletto Conte tornò in quell'appartamento blindato a ringraziare il boss. Lo stesso Misso, due anni fa, ha rivelato le ragioni di quell'accordo: "Ho incontrato il candidato Conte almeno in tre circostanze, sempre a casa mia (...). Quando parlo di un mio proposito di guadagnare molto da questo rapporto, mi riferisco ai discorsi che avvenivano frequentemente tra me e il Conte, al fatto che la sua elezione avrebbe permesso al gruppo Misso di aprire un ciclo delle vacche grasse, gare dei lavori pubblici, forniture di servizi a enti pubblici". Il boss del quartiere Sanità aggiunge: "Avevo iniziato a sostenere molte spese per mandare in giro i galoppini. Così un giorno Sasà Mirante (un affiliato, ndr) ricevette direttamente dalle mani di Conte una somma di 120 milioni, ovviamente tutta in contanti, poi portata a me, a casa mia". Dalla storia di Conte ha preso le distanze, ufficialmente, persino un supergarantista come Nicola Cosentino, il coordinatore campano del Pdl per il quale il Gip di Napoli ha chiesto l'arresto per concorso in associazione mafiosa. I sospetti ovviamente toccano anche le elezioni comunali e provinciali. A Caserta, per esempio, per la Provincia l'Udc mette in lista Luigi Cassandra che, in campagna elettorale, riceve una diffida dei carabinieri a non frequentare più personaggi in odore di camorra. Il partito lo invita a ritirarsi. Ma lui rifiuta, e annuncia addirittura un ricorso.

Pacchetti di controllo
Un business che cambia modalità, quello del traffico di voti. Ma non al punto da non lasciar tracce, come spiega Franco Padrut, storico segretario della Camera del Lavoro a Palermo, uno dei maggiori esperti italiani di flussi elettorali. "Sono rimaste intatte negli anni alcune caratteristiche del controllo del voto, come l'espressione della preferenza, meglio se multipla. Un esempio lampante arriva proprio dal ciclo delle elezioni regionali 2005-2008 dove, al Sud, è stato registrato un tasso di preferenze molto più alto rispetto alla media nazionale: l'89,6% in Basilicata, l'86 in Sicilia, il 78 in Puglia e Abruzzo, il 76 in Campania mentre la media italiana è del 51". Ma qual è l'incidenza del consenso mafioso nella formazione della rappresentanza? Si calcolava un volume di 4 milioni di voti, fino a qualche lustro fa. Aggiunge Padrut: "L'incidenza oggi è meno vistosa, ma profonda. Il condizionamento la criminalità organizzata tende a esercitarlo su altri livelli: il controllo della spesa pubblica, gli apparati amministrativi. E con l'entrata in vigore del Porcellum il condizionamento delle mafie si è spostato sulla compilazione delle liste più ancora che sul voto". Ancora una volta il Sud è il banco di prova di questo nuovo modello di infiltrazione nello Stato. Dice Antonio Laudati, ex pm a Napoli e oggi procuratore capo di Bari: "Le mafie non scelgono "il" partito. Lavorano sul multitasking, condizionano da una parte all'altra e oggi più che il controllo del territorio seguono il denaro e la capacità d'acquisirlo. Puntano a inquinare le decisioni su questioni economiche o finanziarie". Per i magistrati campani Paolo Mancuso e Giovanni Melillo "oggi la camorra ha minori capacità strategiche, ma ha rinsaldato i legami con gli affari, e la politica appare subordinata. Il codice di autoregolamentazione per la selezione dei candidati, approvato all'inizio degli anni Novanta dalla commissione parlamentare antimafia, è rimasto lettera morta".
Mafia-politica Spa
In Puglia corre Mario Cito, tarantino, numero uno della lista civica che sostiene il candidato presidente del Pdl Rocco Palese a Taranto, figlio di quel Giancarlo condannato fino in Cassazione per associazione mafiosa. Lui, il figlio, non ha accuse a carico. Anzi, una sì: quella di aver messo sui suoi manifesti elettorali la foto di papà invece della propria. In Basilicata tra i candidati al consiglio regionale rispunta l'uscente Luigi Scaglione, capolista per la lista Popolari uniti che appoggia il candidato presidente di centrosinistra, Vito De Filippo. Scaglione è indagato della procura di Potenza per concorso esterno in associazione mafiosa: è accusato di essere stato alla Regione l'uomo di riferimento del clan camorristico guidato dal boss Antonio Cossidente, ora in cella. Non era una questione di amicizia. Ma di affari. Quali affari? Con quali meccanismi viene cementato il patto tra politici e mafiosi? Scaglione, sostiene la Procura, "avrebbe offerto il personale contributo politico e il sostegno del suo partito per la realizzazione del nuovo stadio sportivo di Potenza che l'organizzazione criminale voleva costruire". In cambio "avrebbe ottenuto l'appoggio elettorale dagli associati in occasione delle elezioni politiche del 2008", dove era candidato un amico di Scaglione. Alla base dell'indagine ci sono centinaia di pagine di intercettazioni telefoniche che testimoniano i rapporti esistenti tra il candidato Scaglione e il boss Cossidente.

È il 29 ottobre del 2007, per esempio, quando nello studio di un professionista di Potenza i due si incontrano. "Ti ho chiesto - dice il boss al politico - uno sforzo, perché noi siamo propensi ad aprire, a intavolare una trattativa. Tu che cose vorresti (...) garantisci tu per le persone". "L'unica condizione - gli risponde Scaglione - è creare un'opportunità di investimento per il quale qualcuno si senta coinvolto (...) Troviamo per esempio una forma di investimento... Una società costituita apposta che sia propensa a costruire un nuovo stadio". Effettivamente la società la fonderanno: la Immobiliare Gemelli Sr, gestita da un prestanome. Ma Scaglione sembra pensare a tutto: "Io posso creare le condizioni per presentare un progetto finale, dove riusciamo a ottenere finanziamenti dall'esterno. (...) Però poi qualcosa la devi mettere tu nero su bianco, cioè i rapporti sono più tuoi (...) è chiaro che va costituita la società, ci sono i fondi europei per queste cose... Sai, io aspiro a parlarne nel consiglio regionale". Il boss apprezza il discorso. È contento, e ringrazia il politico: "Così - dice Cossidente - non cacciamo nemmeno i soldi alla fine (...) Luigi, tu sei secondo me il miglior tramite, il miglior rappresentante, la migliore persona di fiducia". Scaglione, sostengono i carabinieri della procura di Potenza nelle mille pagine di informativa depositate, sapeva con chi aveva a che fare. Per la cronaca, il candidato senatore amico di Scaglione e dei clan non fu eletto. Ora però Gigi ci riprova.

La profezia di Seminara
In Calabria con 15 mila euro si compra il voto di un'intera cittadina. Cassano Jonico nello specifico. In pratica si acquista un seggio. Lo ha fatto nel 2005 Franco La Rupa, ex consigliere regionale dell'Udeur. "Fu lui - scrivono i pm di Reggio - a stringere attraverso l'intermediazione di Luigi Garofalo un accordo con Antonio Forastefano, boss della 'ndrangheta, in forza del quale si impegnava a corrispondere denaro in cambio di voti". Quindicimila euro, appunto. La Rupa ora non ci riprova. Non lui direttamente, per lo meno. In lizza con la lista Noi Sud, che appoggia il candidato presidente del Pdl, Giuseppe Scoppelliti, c'è suo figlio Antonio. "Vergogna", ha gridato in commissione Antimafia Angela Napoli, deputata del Pdl che contro "queste candidature in odore di 'ndrangheta" ha annunciato che alle prossime elezioni non andrà a votare. In Calabria, secondo i dati arrivati all'Antimafia, i candidati a rischio sono 21: 16 sostengono la candidatura di Scopellitti, cinque quella di Loiero. Il procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, spiega: "La 'ndrangheta si muove sempre quando ci sono interessi in ballo, succede nell'economia e anche nella politica, l'esperienza ci dice che ha sempre votato e fatto votare. È quindi ipotizzabile che succeda anche per le prossime elezioni". Ma a favore di chi? Il procuratore non fa nomi. La Napoli sì: il primo è quello di Tommaso Signorelli (Socialisti uniti), anche lui con Scopellitti presidente. Il candidato fu arrestato nel dicembre del 2007 nell'inchiesta della Dda di Catanzaro che portò allo scioglimento, per infiltrazioni mafiose, del Comune di Amantea. Era lui - dice la procura antimafia - "il politico di riferimento del clan" che per tre anni almeno (dal 2004 al 2007) avrebbe favorito i Gentile-Africano nell'acquisizione degli appalti e dei servizi nel porto di Amantea. Capolista dell'Udc (che qui corre con il Pdl) è Pasquale Tripodi, ex assessore regionale Udeur. Di lui parla il pentito Cosimo Virgiglio, e dei suoi rapporti con il boss Rocco Molé, poi fatto fuori dai cugini Piromalli nel febbraio de 2008.

In Calabria ci sono poi quelli che non ci saranno. Domenico Crea, consigliere regionale uscente, è in carcere da due anni per concorso esterno in associazione mafiosa con i clan della Locride. Nel 2009 è stato condannato anche Pasquale Inzitari, astro nascente dell'Udc reggino, consigliere provinciale. I boss si sono vendicati del suo tradimento facendo saltare in aria ad aprile del 2008, con un'autobomba, il cognato Nino Princi. E, due mesi fa, gli hanno ammazzato il figlio Francesco. Nel mirino dei magistrati anche Mariano Battaglia, candidato alle scorse regionali. È stato arrestato per l'operazione Topa, che si occupò delle infiltrazioni mafiose nel comune di Seminara. Seminara è un paesino dell'Aspromonte nel quale i clan sono in grado di controllare i voti uno per uno. Nel fascicolo del pm Roberto Di Palma c'è un'intercettazione nella quale i boss dicono che, alle comunali, la lista da loro sostenuta prenderà 1050 voti. A spoglio terminato i magistrati ne conteranno 1056.