lunedì 22 marzo 2010

La svolta storica di Obama: sanità garantita a 32 milioni di Americani

Obama saluta lo storico voto della Camera sulla riforma sanitaria
"L'America aveva aspettato per cento anni questo momento"

"Siamo ancora un popolo capace di grandi cose"

WASHINGTON - "Questa notte abbiamo dimostrato al mondo che siamo un popolo ancora capace di grandi cose". Consapevole e orgoglioso, così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha commentato a caldo l passaggio della riforma sanitaria alla Camera dei rappresentanti. "Il cambiamento - ha detto - non scende dall'alto ma sale dal basso".

Obama, che aveva seguito le fasi del voto alla Casa Bianca insieme ad un gruppo di medici, piccoli imprenditori e sostenitori della riforma da lui proposta, ha a lungo applaudito nel momento in cui la Camera ha raggiunto la quota dei 216 voti necessaria per il passaggio della riforma. Poi, accompagnato dal vicepresidente Joe Biden, in una breve dichiarazione nella East Room della Casa Bianca ha pubblicamente ringraziato la speaker della Camera, Nancy Pelosi, vera artefice del successo, e tutti i deputati impegnati nel voto. "So che non era un voto facile - ha detto - ma sappiate che avete espresso un voto giusto". "Questa notte - ha aggiunto - abbiamo reso possibile ciò che gli scettici dicevano non fosse possibile".


Obama, che ha riservato un ringraziamento speciale a Nancy Pelosi, rivolgendosi ai parlamentari che hanno reso possibile "questo momento storico", ha quindi aggiunto: "Questa non è una riforma radicale, ma è una riforma importante. Questa legge non aggiusta tutto ciò che non funziona nel nostro sistema sanitario, Ma ci muove nella direzione giusta". "Per la prima volta nella storia della nostra Nazione il Congresso ha approvato una riforma complessiva del sistema sanitario. L'America aveva aspettato per cento anni questo momento. Questa notte, grazie a voi, lo abbiamo finalmente raggiunto" ha detto Obama, secondo il quale è questo il vero valore aggiunto del voto di questa notte. "Ciò che ha maggior valore è che la vittoria di questa notte va molto al di là delle leggi e dei numeri" ha detto Obama, ricordando che la riforma avrà effetti diretti su ogni famiglia americana. "E' questo - ha concluso - ciò che intendo per cambiamento".






Sanità Usa, una vittoria all’ultimo respiro

di Marco d'Eramo, il manifesto, 23 marzo 2010

Una straordinaria vittoria. Un incredibile sospiro di sollievo. Un paradosso politico. Con questi tre esiti si è concluso per Barack Obama il violentissimo corpo a corpo, durato più di un anno, sulla riforma sanitaria.

Straordinaria la vittoria lo è di sicuro: è riuscito dove avevano fallito tutti i presidenti, da più di 60 anni. L'unico paragone possibile nel secondo dopoguerra è con Lyndon Johnson che nel 1965 riuscì a imporre Medicare, cioè un sistema sanitario universale sopra i 65 anni. Certo, si dirà che la riforma è un vero pasticciaccio: il testo supera le 2.000 pagine; che lobbies farmaceutiche e ospedali si stropicciano le mani: Big Pharma a American Medical Association hanno sostenuto questa legge mentre si erano opposte con violenza a quella di Hillary Clinton nel 1993; che anche domani 19 milioni di americani resteranno ancora privi di copertura sanitaria. Vi sarà tempo di parlarne.

Quel che conta oggi è che è stato sfatato un tabù ideologico su cui i repubblicani avevano puntato tutte le loro carte. Il tabù che vede gli americani contrari sempre e comunque a ogni intervento pubblico. Che questo tabù fosse un mito, lo si sapeva da tempo: basti pensare a quanto sono popolari Social Security e, appunto, Medicare, che neanche Bush è mai riuscito a smantellare. Ma era un mito che aveva fatto vincere tante elezioni ai repubblicani, a partire da Reagan, con il suo slogan «rendere lo stato così piccolo da poterlo gettare nel cesso», un mito al cui credo si era convertita una maggioranza di deputati e senatori democratici.

Ora, per quanto escluda il benché minimo accenno a una public option, questa legge dimostra però che è possibile far approvare dal Congresso un'estensione, pur timida, dell'intervento pubblico. Inimmaginabile è poi il sollievo per un presidente che su questa legge si è giocato tutto il futuro politico e che sembrava sul punto di affondare insieme alla riforma, quando a gennaio ha perso in Massachusetts lo storico seggio senatoriale dei Kennedy.

Per vincere, Obama ha dovuto impegnarsi in prima persona, quel che non aveva fatto (forse a torto) nei primi dieci mesi di discussione, rinviare viaggi all'estero, corteggiare uno per uno i peones della Camera, attaccare (anche qui per la prima volta) le assicurazioni. Stava per colare a picco Obama, insieme all'obamismo. E invece ha vinto. Contro una parte del partito democratico: ancora domenica 34 suoi deputati gli hanno votato contro.

Ma Obama ha vinto la riforma sanitaria anche contro se stesso: e qui sta il paradosso politico. L'ha vinta contro lo spirito bipartisan di cui si era proclamato alfiere: non un solo deputato repubblicano, su 176, ha votato per la riforma. Mai si era vista un tale muro contro muro. Il paradosso è quindi che Obama ha conseguito il suo obiettivo politico rinunciando alla propria impostazione politica. Sulla propria pelle, Obama sta imparando che nessuna riforma seria è bipartisan, tanto meno le tre che lo aspettano al varco: quelle dei controlli sulla grande finanza, sugli immigrati e sul mercato del lavoro.

(23 marzo 2010)

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