venerdì 30 novembre 2012

La defunta democrazia italiana.

dal blog di Beppe Grillo.
In Italia è in atto un colpo di Stato progressivo. La fine della democrazia un passo alla volta, per abituare il cittadino al cambiamento. Dolce, soffice come lo shampoo di Gaber. Il primo passo fu la legge porcata Calderoli voluta e utilizzata da TUTTI i partiti nonostante le sceneggiate di facciata del pdmenoelle. I parlamentari sono diventati "di nomina", come i cavalieri antichi, di 5 segretari di partito. Non più preferenze da parte degli elettori, ma, con una liberalità assoluta, amici, amanti, mogli, compari, avvocati di fiducia, sodali a cui fare evitare la galera. Il secondo colpetto è avvenuto con la nomina di Rigor Montis (inserito a forza nel Parlamento come senatore a vita per meriti sconosciuti) a presidente del Consiglio senza che il precedente governo fosse sfiduciato dal Parlamento in aula. Un fatto mai successo prima. Un precedente inquietante. E ora il terzo colpetto di Stato, nessuno sa quando si voterà, se ci sarà l'election day, con quale legge elettorale, con che circoscrizioni, se ci saranno premi e premiolini e chi lo deciderà. Nulla di nulla a pochissimi mesi dalle elezioni, mentre Napolitano a fine mandato estende le sue prerogative di garanzia della Repubblica a sovraintendente della prossima legislatura. Il prossimo presidente deve essere Monti, nessuna coalizione deve vincere, nessun governo politico dovrà guidare la Nazione, la legge elettorale in gestazione con Calderoli in qualità di legislatore, estrema beffa e presa per il culo degli italiani, va disegnata per escludere ogni possibilità di vittoria del M5S e riproporre la minestra riscaldata della coalizione Pdl, pdmenoelle, udc con la new entry Sel. Un governissimo dei partiti in cui governa un altro, un cosiddetto "tecnico" (ma di che?) scelto dalla BCE. Un uomo di fiducia della finanza internazionale che sta facendo dell'economia italiana un deserto dei tartari. Va detto, gridato, anche in sedi internazionali, e lo farò, che l'Italia non è più una democrazia, ma una partitocrazia affiliata ai poteri economici internazionali. Chi ha portato allo sfascio il Paese si esibisce in televisione e concede interviste ai giornali proponendosi come il nuovo che avanza, senza pudore, senza vergogna invece di scomparire dalla circolazione! Ridono nei salotti, con il riso di Franti, i responsabili della disoccupazione, della svendita del Paese, della corruzione (mai una legge), della mafia (con cui lo Stato ha trattato), del conflitto di interessi (mai una legge), del debito pubblico con cui hanno rovinato l'Italia e riempito le tasche delle lobby, della distruzione delle imprese, di una pressione fiscale inumana e degli stipendi più bassi d'Europa. Non potete essere sia la malattia, sia la cura. Dove siete stati negli ultimi 20/30/40 anni? Con il culo al caldo grazie ai soldi degli italiani! E da lì non volete muovervi a qualunque costo, anche stravolgendo la legge elettorale sotto elezioni. Neppure Stalin o Mao hanno avuto la vostra faccia di bronzo, di cambiare le regole del gioco all'ultimo minuto dichiarando che è per la democrazia. Ci vediamo (comunque) in Parlamento. Sarà un piacere.

Viva lo Stato Palestinese!

Bene, ma non basta. di Giuliana Sgrena, da il manifesto.
Da oggi i palestinesi sono meno soli. L'Assemblea ha riconosciuto alla Palestina lo stato di osservatore delle Nazioni unite. È un fatto «storico», anche se molta strada resta da fare. È una vittoria dei palestinesi che rifiutano l'uso delle armi. Forse anche questo è un frutto della primavera araba, pur a fronte delle battute d'arresto o degli arretramenti che questa esperienza sta vivendo. Proprio quando sembrava che la Cisgiordania e l'Anp guidata da Abu Mazen fossero completamente fuori gioco, è arrivato il riscatto. Da oggi la Palestina non è solo la Gaza di Hamas, sotto il giogo del nuovo faraone egiziano Morsi sostenuto dagli Usa, che esulta per aver imposto a Israele una tregua. La richiesta all'Onu (pur ridimensionata rispetto a quella di Stato membro) ha superato persino la lacerazione tra palestinesi degli ultimi tempi ottenendo l'appoggio degli islamisti. Dunque i palestinesi, di Gaza e Cisgiordania, riacquistano unità e dignità sul piano internazionale. Nonostante la ferrea ostilità di Israele, l'opposizione degli Stati uniti e l'indifferenza (con un'astensione pilatesca) di una parte dell'Europa (Germania e Gran bretagna in testa), ha vinto il sì sostenuto da Russia e Cina, da molti paesi del sud del mondo e anche dall'Europa mediterranea (Francia, Spagna, Grecia e, alla fine, anche l'Italia). Dopo molti tentennamenti l'Italia infatti ha avuto uno scatto di responsabilità e ha deciso di appoggiare Abu Mazen. Bene. Soprattutto dopo la rinnovata collaborazione militare dell'Italia con Israele (sancita anche dalle recenti esercitazioni congiunte nel mare di Haifa) che lasciava temere il contrario. Ma Monti, prima del voto, ha voluto assicurarsi che Abu Mazen riprenderà il negoziato con Israele senza precondizioni palestinesi e non utilizzerà in modo retroattivo la possibilità di ricorso alla Corte penale internazionale. Perché forse uno dei possibili risultati del voto potrebbe essere la fine dell'impunità di Israele: il nuovo status della Palestina consente di ricorrere alle Corti internazionali per la condanna dei crimini commessi dai governi israeliani. Il secondo dato importante del voto all'Onu è l'affermazione dei confini del 1967 (compresa Gerusalemme est): una possibilità per la costruzione dello Stato palestinese, impensabile con l'occupazione e la divisione attuale dei territori palestinesi in bantustan e colonie sempre più estese. Al punto che si sono alimentate le ipotesi contrapposte di stato binazionale o di tre stati: Israele, Gaza e Cisgiordania. Ora il voto del Palazzo di Vetro non ha un valore solo simbolico, ma potrebbe avere effetti concreti - il condizionale è d'obbligo trattandosi di Israele e dei suoi sostenitori -, se il sì non resterà un fatto episodico, come rischia di essere il voto dell'Italia. Anche perché Israele eserciterà la sua rappresaglia per il voto sulla Palestina dei Territori che occupa militarmente attraverso il ricatto sui paesi che hanno detto sì al riconoscimento.

martedì 27 novembre 2012

Del Vecchio docet.

Il più grande imprenditore italiano attacca le banche e ne denuncia la speculazione.
di Sergio Di Cori Modigliani. E’ il nostro fiore all’occhiello. E’ forse l’unica grande azienda italiana, leader planetario nel suo specifico settore merceologico, ad essere virtuosa, solida, in espansione. Presente in 132 nazioni, ha 75.560 dipendenti, di cui 62.000 addetti che producono nel territorio della repubblica italiana. Non ha neppure un cassintegrato e non ne prevede. Il suo titolo quotato in borsa, soltanto nel 2012, è schizzato in avanti del 32%: unico titolo in positivo. Il suo fatturato si aggira intorno ai 7 miliardi di euro, superiore di un +13,1% rispetto all’anno precedente. L’azienda è nata nel 1961, ad Agordo, in provincia di Belluno, dentro un garage. La storia di questa fabbrica e del suo ideatore e fondatore è studiata oggi nel corso di management industriale all’università di Harvard come esempio pratico e vincente “del miracolo economico italiano che coniuga impresa, creatività, rischio, con una ricerca accurata del design, del gusto e del dettaglio che nasce dall’applicazione della tradizione artigiana locale”. L’azienda non ha mai visto uno sciopero, né uno scorporo, né proteste. Si chiama LUXOTTICA. Produce lenti per occhiali e li vende in tutto il mondo. Tra i suoi clienti più famosi la polizia stradale della California (i celeberrimi CHIPS) l’esercito cinese, tutta la linea occhiali di Christian Dior e Yves Saint Laurent. Produce in Italia e vende in Cina. Il suo proprietario e fondatore, Leonardo Del Vecchio, nato nel 1935 a Milano, è poco noto alla massa degli italiani. Ma il suo nome è un mito in Usa, Germania, Gran Bretagna, Cina. La sua frase più recente? “Non investiamo neppure un euro nella finanza, perché noi sappiamo come produrre, come inventare mercato, avendo come fine la ricchezza collettiva della comunità, altrimenti questo lavoro non avrebbe senso”. Alieno da conventicole, complotti, schieramenti politici di parte, corteggiato da sempre sia dalla destra che dalla sinistra (“no grazie, non mi piacciono i balli a corte” ha risposto all’ultima preghiera-convocazione alle elezioni politiche del 2008 sia al PD che al PDL che alla Lega Nord) è uscito allo scoperto per la prima volta nella sua esistenza, violando il suo codice personale fatto di discrezione, poche chiacchiere e molto lavoro intinto di creatività. “Basta con i manager mitomani finanzieri” ha detto al giornalista Daniele Manca in una esplosiva intervista pubblicata sul corriere della sera qualche giorno fa, non a caso, in Italia, volutamente passata sotto silenzio e rimasta priva del dibattito che avrebbe meritato. Ma non all’estero. Soprattutto in Usa e in Gran Bretagna dove la situazione italiana è seguita con estrema attenzione, perché Del Vecchio sta spiegando come funziona l’Italia, anzi….come non funziona l’Italia e perché, allertando il business internazionale che conta sulla situazione nel nostro paese. Vox clamantis in deserto, la sua opinione è fondamentale, soprattutto in questo momento, e per una ragione ben specifica: perché Del Vecchio è sceso in campo (non ama e non ha bisogno di visibilità) andando all’attacco del cuore della finanza italiana. Qualche notizia biografica su di lui tanto per capire che tipo sia. All’età di sette anni rimane orfano, insieme a quattro fratelli. Provenendo da famiglia disagiata, i fratelli vengono dati in affidamento. Lui, invece, finisce nei Martinitt, l’orfanotrofio milanese per poveri. All’età di 15 anni, con il diploma di scuola media, esce e va a lavorare come garzone di bottega in una fabbrica che stampa marchi di metallo. I proprietari del negozio lo aiutano e lo spingono a iscriversi ai corsi serali all’Accademia di Brera per studiare design e soprattutto incisione. A ventidue anni si trasferisce nel trentino dove trova lavoro come operaio in una fabbrica di incisioni metalliche e impara il mestiere. Dopo sei anni, all’età di 27 anni, riesce a ottenere gratis un enorme garage e capannone abbandonato nel comune di Belluno, di proprietà della regione, con la consegna di avviare un’attività per assumere personale proveniente dalle comunità montane più disagiate. E inizia, insieme a due collaboratori, a tirar su l’impresa: fabbricare occhiali all’italiana, con montature originali artigianali d’eccellenza, incise a mano, e lenti molate da lui personalmente. Vent’anni dopo è una florida azienda e va all’attacco del mercato statunitense che gli mette potenti sbarramenti. Li supera tutti. Stende la concorrenza più competitiva che si arrende. Acquista i tre più importanti marchi Usa e diventa la più potente multinazionale al mondo nel settore della produzione di occhiali. Dal 2002 è leader incontrastato. Oltre ad essere il maggior azionista di Luxottica è un importantissimo grande azionista di Unicredit e soprattutto le assicurazioni Generali. Data la sua posizione è sempre stato nel consiglio direttivo del colosso assicurativo. Tre giorni fa (ed ecco perché ne parliamo e lui ha deciso di parlarne al pubblico) si è dimesso, se n’è andato sbattendo via la porta, con un clamoroso atto d’accusa: “la mia è una protesta contro il management imprenditoriale di questo paese, composto da individui superficiali che non sanno nulla del loro lavoro, sono semplici contabili mitòmani. Mi sento davvero a disagio. Il vero problema è che quando da assicuratori si vuole diventare finanzieri comprando le più disparate partecipazioni senza comunicare nulla ai propri azionisti, non si fa un buon servizio né per l’azienda, né per gli azionisti, né per il paese. Mentre questo è un periodo in cui ciascuno dovrebbe fare il proprio dovere, ovverossia: fare ciò che sa fare. E chi crede che lo spread sia domato, si sbaglia di grosso. Basta un nulla per farlo schizzare a 600 e mandare la nazione a picco. E’ ciò che stanno facendo gli imprenditori italiani e le banche e i colossi assicurativi perché insistono nell’investire nella finanza: il rischio è alto ed estremo”. La considero una voce fondamentale da ascoltare, quella di Leonardo Del Vecchio. Sulla quale riflettere. Perché l’Italia ha bisogno di un incontro tra imprenditoria efficace, efficiente e virtuosa da una parte e mondo del lavoro dall’altro, uscendo fuori dalle consuete griglie di protesta che finiscono per coagulare dissenso e indignazione uscendo fuori dalla immediata necessità di emergenza di costruire alleanze solide tra le due parti sociali. Del Vecchio è sceso in campo. Nel modo giusto. Non scende in campo appoggiando un certo partito, né movimento. Non ama Monti e non lo odia. Non vuole entrare in politica come soggetto. Vuole dare uno scossone al mondo dell’imprenditoria. La sua voce è da diffondere. Perché il suo curriculum professionale ed esistenziale è il suo biglietto da visita. “Il problema dell’Italia nasce quando si vuole fare finanza. Quando, le aziende, usando i soldi degli investitori e soprattutto dei risparmiatori, comprano un pezzettino di Telecom, e un pezzetto di una banca russa; si mettono a repentaglio –come nel caso delle assicurazioni Generali- ben due miliardi di euro alleandosi con il finanziere ceko Kellner e ci si impegna con la Citylife in una percentuale che nessun immobiliarista al mondo avrebbe mai accettato, com’è avvenuto nel 2009 quando hanno investito 800 milioni in fondi di investimento greci. Miliardi di euro sono andati in fumo. Erano soldi di imprenditori italiani che avevano investito con l’idea di poter poi spostare i profitti nel mercato del lavoro per tirar su imprese e creare lavoro. I manager responsabili di questi atti perdenti sono stati tutti promossi e saldati con stipendi multi milionari. Non si va da nessuna parte, così”. E’ impietoso, Del Vecchio. Picchia duro. E se lo può permettere. E parlando al canale televisivo di Bloomberg, quando un giornalista americano gli ha fatto la domanda da 1 milione di dollari “Lei come si pone rispetto all’articolo 18 che in Italia è il punto dolente nello scontro tra imprenditori e lavoratori?” ne è uscito in maniera impeccabile. Ha risposto: “Un dibattito inutile, fuorviante. Personalmente, ripeto “personalmente” non mi riguarda. Su 65.000 lavoratori italiani che pago ogni mese, non c’è nessuno, neppure uno che rischia il licenziamento. Che ci sia l’art.18 così com’è, che venga abolito, modificato, cambiato, per me è irrilevante. La mia azienda funziona e ogni imprenditore -parlo di quelli veri- ha come sogno autentico quello di assumere e non di licenziare. Il paese si rialza assumendo non licenziando. E la colpa è delle banche”. E’ la prima volta che un grande imprenditore, un grande finanziere, un grande industriale, attacca frontalmente le banche italiane. E qui non si tratta dei bloggers che odiano Goldman Sachs o dei consueti slogan contro la finanza internazionale. Perché Del Vecchio attacca la gestione inconcludente delle banche, affidata a “personale e personalità poco affidabili”. Racconta la parabola di Alessandro Profumo che lui presenta come una favola con un brutto finale, senza fare pettegolezzi o scandali. “Finchè Unicredit e le Generali facevano le banche andava bene. Poi si sono buttati nella finanza e hanno perso la testa. Ho visto sotto i miei occhi trasformarsi Profumo. Partecipazioni, fusioni, investimenti a pioggia inutili e perdenti, con l’unico fine di agguantare soldi veloci e facili invece che produrre impresa con l’unico risultato di ottenere perdite colossali e bonus di uscita per diverse decine di milioni di euro. Le banche italiane hanno perso la testa. Ricordo il 1981. La mia azienda, dopo 20 anni, era diventata forte e solida. Avevo capito che la globalizzazione era alle porte e bisognava andare all’attacco del mercato americano. Ma non si cerca di entrare in Usa se non si è solidi finanziariamente. Abbiamo fatto le nostre ricerche e analisi e alla fine abbiamo calcolato che avevamo bisogno di una certa cifra molto alta. Mi rivolsi al Credito Italiano. Andai a parlare con Rondelli che la dirigeva. Gli dissi che volevo iniziare acquistando Avantgarde, un marchio americano che sarebbe stato il cavallo di Troia, ma non avevo i soldi. Presentai il progetto, il business plan, il programma, i rischi. Dieci giorni dopo mi convocò alla banca. Accettò. Mi presentai in Usa che mi ridevano in faccia. Dissero la cifra. Tirai fuori il libretto di assegni e firmai senza neppure chiedere lo sconto di un dollaro. Due ore dopo, l’amministratore delegato di Avantgarde mi confessò al bar penso di aver commesso il più grande errore professionale della mia vita e si ritirò dagli affari. Un anno dopo avevo restituito alla banca tutto il capitale con gli interessi composti, avevo aperto quattro nuovi stabilimenti e assunto 4.500 persone. Questo deve fare una banca. O in Italia lo capiscono e si danno una smossa, oppure si rimane alle chiacchiere e si affonda”. Del Vecchio spera e auspica che Monti intervenga molto presto nel settore che lui (e Corrado Passera) conoscono molto ma molto bene: banche e finanza italiane. E propone di far applicare un codice ferreo di regolamentazione comportamentale che imponga a tutti gli amministratori delegati di banche, fondazioni e aziende, di riferire come usano i soldi. “Alle Generali l’amministratore delegato poteva disporre investimenti fino a 300 milioni di euro senza comunicare niente a nessuno. Lo stesso a Unicredit, Intesa SanPaolo, Mps. La verità è che nessuno sa dove vanno a finire quei soldi, dove siano andati a finire i soldi. La mia azienda alla fine dell’anno si ritrova circa 700 milioni di euro da investire. Andrea Guerra che è il mio amministratore ogni volta che deve spendere cifre superiori a 1 milione di euro, informa ogni singolo membro del consiglio e manda copia a ogni importante azionista. Pretende di avere delle risposte e pretende che si discuta del suo investimento perché vuole sapere l’opinione di tutti, compreso il collegio sindacale interno e il rappresentante sindacale dei lavoratori dipendenti. Perché l’azienda è anche loro. Il loro posto dipende dalle scelte di chi dirige. Ogni decisione presa viene valutata collettivamente. Se si rischia, lo sanno tutti, l’hanno accettato. Non esistono mai sorprese. Questa è la strada. Non ne esistono altre. O si fa così, o si chiude tutti quanti, baracca e burattini”. Perché la classe politica italiana non si fa carico delle gravissime preoccupazioni di imprenditori come Del Vecchio e non interviene in proposito? Non stanno lì in parlamento ad appoggiare un gruppo di professori nel nome delle imprese e della ripresa economica? Se non ascoltano i leader che producono, che senso ha? Dov’è il Senso? Ho pensato che potesse essere interessante una voce insolita, diversa dai precari, dai disoccupati, dai licenziati, che vivono ogni giorno la propria tragedia esistenziale. Il nemico non sono le imprese. Il vero nemico è la sordità di governanti e politici che non ascoltano chi produce e conosce la verità del mercato. Quello è il vero nemico. Quella sordità è l’anti-politica. Che cosa c’entra Beppe Grillo?

ADDIO ROSSANDA E IL MANIFESTO MUORE.

1- ROSSANDA DICE ADDIO AL MANIFESTO Da "MicroMega" - http://temi.repubblica.it/micromega-online
Rossana Rossanda lascia il Manifesto. Una delle fondatrici della storica testata della sinistra italiana se ne va, con una lettera (che qui pubblichiamo) in cui accusa la direzione e la redazione di "indisponibilità al dialogo". Lettera che Rossanda ha inviato al giornale affinché venga pubblicata domani. E' solo l'ultimo degli addii "eccellenti" che il Manifesto ha subito nelle ultime settimane. Prima Vauro, poi Marco D'Eramo (la cui lettera di commiato è stata liquidata con poche sprezzanti righe dalla direzione, ragione per la quale è in corso tra i suoi amici e lettori una raccolta di firme per criticare duramente l'atteggiamento del giornale nei confronti di una delle figure storiche del Manifesto). E il giornale - fondato nel 1969, che versa in pessime acque finanziarie - continua a perdere pezzi. Dopo l'addio di D'Eramo, anche Joseph Halevi, uno tra i più noti collaboratori del Manifesto, ha deciso di lasciare, e in una lettera inviata al circolo del Manifesto di Bologna usa parole durissime nei confronti della direzione e della redazione: "Non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale".
Nella sua lettera d'addio Rossana Rossanda annuncia che un suo commento settimanale uscirà sul sito di Sbilanciamoci. LA LETTERA DI ROSSANDA. Preso atto della indisponibilità al dialogo della direzione e della redazione del manifesto, non solo con me ma con molti redattori che se ne sono doluti pubblicamente e con i circoli del manifesto che ne hanno sempre sostenuto il finanziamento, ho smesso di collaborare al giornale cui nel 1969 abbiamo dato vita. A partire da oggi (ieri per il giornale), un mio commento settimanale sarà pubblicato, generalmente il venerdì, in collaborazione con Sbilanciamoci e sul suo sito www.sbilanciamoci.info. REDAZIONE DEL MANIFESTO Rossana Rossanda LA LETTERA DI HALEVI Care compagne e cari compagni Non so se avete visto l'andazzo del manifesto nelle ultime settimane. E' peggiorato ulteriormente dopo il 4 novembre. Scandalose le linee di commiato a Marco D'Eramo, quelle della redazione non quelle di D'Eramo. Consiglierei di rompere, perché non si tratta più di un collettivo ma di un manipolo che per varie ragioni si è appropriato del giornale. Anch'io me ne vado, senza alcuna lettera. E' inutile. Un caro saluto, Joseph Halevi 2- IL FUTURO DEL MANIFESTO: L'ADDIO DI MARCO D'ERAMO E LA RISPOSTA DELLA REDAZIONE Da http://www.ilmanifestobologna.it/ di Marco D'Eramo.
Cari lettori, vi scrivo per prendere commiato da voi dopo una frequentazione di più di 32 anni e svariate migliaia di articoli. Come in ogni rapporto così lungo che si conclude, le cause della separazione risalgono lontano nel tempo e profondo nei sentimenti, anche se poi basta una quisquilia a rompere un equilibrio che già pendeva quanto la torre di Pisa. Per fare breve una vicenda lunga, la mia storia nel manifesto e col manifesto è conchiusa. Sento con dolore che questa esperienza umana e politica sta finendo male, come spesso accade in regime di scarsità e penuria: me lo provano la suicidaria rottamazione dei prepensionati, quasi tutti esclusi dalla progettazione del giornale, e me lo ha provato in modo definitivo il pessimo andamento dell'assemblea romana di domenica 4 novembre coi circoli (nonché il suo non rendiconto). Non ne faccio una colpa specifica alla direzione, sia perché in un giornale come era un tempo il nostro, le responsabilità sono sempre collettive, cioè del collettivo (redazione, grafici, tecnici e amministrativi e quindi anche mie), sia perché, come ho detto, alcuni dissidi sono carsici e rimontano nel tempo. Di proposito non entro in questioni personali che mi trascinerebbero in un ping-pong di recriminazioni e controaccuse: vi sono già stati troppi livori. Spero di sbagliarmi, e auguro ogni fortuna al collettivo, per quel che ne resta, e per il tempo che riuscirà a sopravvivere come tale. IL COMMENTO DELLA REDAZIONE È vero, le difficoltà materiali non aiutano. Ci dispiace per questo commiato, ma su una cosa siamo d'accordo: meglio evitare personalismi, «recriminazioni e controaccuse». Auguri di buona fortuna. RISPOSTA INVIATA PER MAIL A TUTTA LA REDAZIONE DA MARCO D'ERAMO Care compagne/i,vi ringrazio di cuore: la collocazione e la risposta che avete voluto dare al mio addio spiega le ragioni del mio commiato più di ogni mia parola. articolo da Repubblica: Il 31 dicembre si va alla liquidazione. Non ci sono imprenditori e cordate, sarà difficile mettere insieme una cooperativa nuova che per forza deve congedare decine di giornalisti e poligrafici. Gabriele Polo, già direttore, si chiama fuori, andrà in disoccupazione: «Per me la storia del manifesto finisce il mese prossimo. E l'addio di Rossana certifica la mutazione genetica del giornale». Rossanda se ne va senza sentimentalismi, parole come pietre. «Per il momento escludo che ci ripensi», assicura Parlato. Fausto Bertinotti è colpito, addolorato: «Se davvero è così è un disastro. Rossana e il manifesto sono la stessa cosa, Rossana è il manifesto, lei più di altri, anche di Pintor». La conclusione non è meno amara: «La sinistra del Novecento, così come l'abbiamo conosciuta noi, è finita».

lunedì 26 novembre 2012

I precari della gleba.

L’Italia si scopre in marcia verso il feudalesimo. di Giorgio Meletti. Una generazione cresciuta nell’attesa della rivoluzione rischia di invecchiare con l’incubo di uscire dal capitalismo marciando verso un nuovo feudalesimo. Non è uno scherzo, come non lo è l’accordo che le parti sociali hanno firmato mercoledì scorso a palazzo Chigi. Il punto 7 rimette indietro di 150 anni le lancette della storia: “Le parti ritengono necessario che la contrattazione collettiva si eserciti, con piena autonomia, su materie oggi regolate in maniera prevalente o esclusiva dalla legge”. I sindacati ottengono di vedersela con i padroni, liberamente, senza che la forza della legge intralci il libero dispiegarsi dei rapporti di forza su materie come l’orario di lavoro e il cosiddetto demansionamento, che oggi il codice civile semplicemente vieta. Lo scoop di Karl Marx Questa storia l’ha già raccontata centocinquant’anni fa un giornalista di moderato successo, Karl Marx. Nel 1848 in Gran Bretagna stava per entrare in vigore la legge che limitava a dieci ore la giornata di lavoro. L’Europa era in mezzo a una lunga crisi economica, e gli operai erano in difficoltà, tentati dall’idea di lavorare oltre le dieci ore per qualche penny in più. Gli industriali cercavano di convincerli a protestare insieme contro una legge che irrigidiva il mercato. “Riguardo alla mezza dozzina di petizioni nelle quali gli operai furono costretti a lamentarsi della ‘loro oppressione sotto quell’Atto’, gli stessi petitori dichiararono che le loro sottoscrizioni erano state estorte”, racconta Marx nella sua opera più nota, “Il Capitale”. Le analogie con il presente non mancano. La crisi, lo stato di bisogno dei lavoratori e la tentazione di subire il ricatto in nome del realismo. Gli ispettori del lavoro, che nella Londra del XIX secolo erano più attenti che nell’Italia del XXI, si interrogavano: “Si può ritenere illogico che abbia luogo un qualsiasi sovraccarico di lavoro in un momento nel quale il commercio va così male; ma proprio questa cattiva situazione sprona gente senza scrupoli a trasgressioni”. Per Marx quelle norme consolidavano un sistema capitalistico nel quale la classe operaia era sfruttata ma anche inclusa nella società (con identità e rapporti definiti con le altre classi) e garantita da leggi che governavano i rapporti di forza. Due libri usciti da poco ci aiutano a comprendere i rischi di ritorno al feudalesimo evocati l’accordo sulla produttività di palazzo Chigi. Il primo, “Manifesto capitalista” (Rizzoli), è di Luigi Zingales, economista padovano, docente alla Chicago University. Zingales è un liberista estremo che scrive per mettere in guardia i lettori. Il sogno americano (capitalismo, concorrenza, meritocrazia, opportunità per tutti) può svanire. L’America, scrive amaramente, rischia di diventare come l’Italia, un paese dove le carte del mercato sono truccate. Per Zingales l’Italia paga la sua storia: il clientelismo strutturale ce l’ha regalato la Chiesa medievale, con campioni come il papa Borgia e i suoi figli. I nostri poteri medievali I retaggi di quell’epoca ci assediano. Un papa tedesco, come nell’XI secolo, definisce atmosfere pre-luterane. La Chiesa è potente come non mai, incassa le sue decime (l’8 per mille più tutto il resto) e resta esente dall’Imu. Benedice il potere politico, che si inginocchia. La democrazia è un miraggio per i secoli venturi. Al Quirinale c’è un “re taumaturgo” con poteri miracolosi. Le sue massime più scontate vengono studiate da eserciti di teologi (i monaci costituzionalisti). Egli nomina il suo Richelieu e vassalli che portano il titolo di “ministro tecnico” . Le elezioni e le primarie che le propiziano sono riti di preghiera rivolti al sovrano che decide, affidando il governo a chi non si è candidato. Si coniano nuovi titoli nobiliari: “riserva della Repubblica”, “risorsa preziosa”. La disputa teologica sulla eleggibilità del senatore a vita riproduce la concretezza del concilio di Nicea (787 d. C.). Il popolo disorientato viene indirizzato a guaritori in grado di resuscitare aziende automobilistiche decotte. Il parlamento non è eletto ma nominato, come prima della rivoluzione industriale. L’idea di restituire al popolo quel potere estremo detto “preferenza” fa inorridire i feudatari che si difendono dall’orda dei parvenu, degli arricchiti, come Maria Antonietta nel 1789. Sventolando il tablet, siamo in marcia verso il feudalesimo, ma la classe dirigente ha una bomba sociale sotto le sue poltrone. Il terzo stato non c’è più: stranieri, plebe, servi della gleba tutt’al più, un popolo di esclusi che si allarga giorno per giorno a schiere di insegnanti, impiegati, laureati senza chance. Chi solleva dubbi è liquidato come peccatore, populista, demagogo. Eppure il liberista Zingales, defensor inesausto del capitalismo, ci racconta proprio di una bomba da disinnescare, e non solo in Italia, dove siamo più avanti verso il neo-feudalesimo, ma negli Stati Uniti. A partire dal 1973 (prima crisi petrolifera) produttività e salari hanno smesso negli Usa di andare a braccetto, e si è aperta la forbice: la produttività ha continuato a crescere impetuosamente (è più che raddoppiata in quarant’anni), i salari reali si sono fermati. Il lavoro prendeva il 40 per cento del prodotto dell’industria, adesso il 25 per cento. La distanza tra ricchi e poveri aumenta, il ceto medio, architrave del capitalismo, scompare. Quel che è peggio, si riduce la mobilità sociale. Per chi nasce “sfigato” aumentano le probabilità di restarlo. Gli americani, spiega Zingales, sono un popolo scappato dall’Europa in cerca di un’occasione, e le cose sono andate bene grazie alla comune fede nella regola base: se si gioca pulito c’è una chance per tutti. Oggi contro i bari (banchieri, manager strapagati, politici corrotti) sta esplodendo in America una reazione viscerale, scrive Zingales, quella di un popolo che non crede più a un gioco dove perde sempre. Il capitalismo, di corruzione, può anche morire. Il timore, per Zingales, è che il popolo americano semplicemente si ritiri dal gioco. L’ammutinamento silenzioso è una bomba sociale innescata, più insidiosa dei moti di piazza. I precari della gleba Il libro “Precari” (Il Mulino) l’ha scritto un economista del lavoro, l’inglese Guy Standing, ideologicamente di sinistra, agli antipodi di Zingales. Per Standing il precariato rappresenta ormai un quarto della popolazione occidentale, ma non è una classe sociale vera e propria, in quanto “frammentata”, composta “da persone che non intrattengono alcuna relazione che supponga una legittimazione reciproca né con il capitale né con lo Stato”. I precari hanno una vita segnata dall’insicurezza e senza speranze di carriera, sono dei non-cittadini, non hanno identità professionale, non riescono neppure a immaginare il futuro, soffrono di ansia e depressione. Questo capitalismo somiglia a un nuovo feudaleismo. Per Marx, in questo concorde con gli economisti classici, la dialettica capitale-lavoro è “diritto contro diritto, entrambi consacrati dalla legge dello scambio di merci”. Il capitalismo è una società conflittuale, ma anche compatta, organizzata, integrata, che dà al proletario identità, dignità, cultura. Adesso, invece, per Standing cresce nel ventre stesso dell’Occidente una “classe esplosiva”. Come gli americani di Zingales, i precari di Standing si allontano dal “capitalismo clientelare”, non fanno vita sindacale né politica. Vivono in un ignoto altrove politico-sociale. La società di Bloch, forse una profezia “La società feudale” fu scritto all’inizio del ‘900 dal grande storico francese Marc Bloch. Descrive un sistema che non crede nell’innovazione e non vi investe, dove girano pochissimi soldi e si fa ricorso, piuttosto, all’autoconsumo: “Grandi e miseri vivevano alla giornata, obbligati ad affidarsi alle risorse del momento e quasi costretti a consumarle subito”. “Alla giornata”, cioè senza futuro, cioè da precari. La società feudale nasce dalla ritirata dello Stato, il Sacro Romano Impero, che abbandona a se stesse relazioni economiche dominate da rapporti di lavoro servili. Un mondo bloccato, con poca industria, senza mobilità sociale, con deboli pilastri culturali. Scrive Standing: “Una lezione dell’Illuminismo è che l’essere umano dovrebbe essere in grado di guidare il proprio destino, evitando di demandarne il controllo a Dio o alle forze naturali. Al precario viene però detto che deve accogliere in tutto e per tutto le forze del mercato come propria guida”. Le leggi del mercato imposte come superstizione autoritaria ci guidano verso il futuro. Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2012

Banchieri e compari.

Il libro del commentatore finanziario del programma di Santoro, Servizio Pubblico, che spiega gli intrecci mortali (per i cittadini) fra banche e imprenditori italiani.
STRALCI DEL LIBRO DI GIANNI DRAGONI "BANCHIERI & COMPARI" (CHIARE LETTERE EDITORE)tratto da dagospia.
1. DOVE SONO FINITI? "Tra la fine del 2011 e il febbraio del 2012 la Bce ha elargito alle banche 1019 miliardi in totale. Le italiane sono quelle che hanno ottenuto di più: circa 270 miliardi. Dove sono finiti questi soldi?" 2. MONTE DEI PAZZI DI SIENA "L'errore maggiore non è stato comprare Antonveneta ma 27 miliardi di titoli di Stato che oggi ci mangiano cinque miliardi di capitale. Senza questi titoli non avremmo avuto bisogno di supporto pubblico." Alessandro Profumo, neopresidente del Monte dei Paschi, 28 agosto 2012. 3. LIGRESTI, QUANTI LICENZIAMENTI "Ligresti è indebitato per più di due miliardi verso le banche. Nonostante questo, Unicredit ha messo a sua disposizione 205 milioni. La stessa banca ha deciso di tagliare 5200 dipendenti entro il 2015. Ma la perdita causata dal salvataggio di Ligresti corrisponde al costo di mille dipendenti in un anno. E Intesa ha aumentato i tagli da 3000 a 5000 posti." 4. TESORO ALLA DERIVA-TI "Il 3 gennaio 2012 il Tesoro ha pagato due miliardi e 567 milioni di euro alla Morgan Stanley per estinguere alcuni contratti derivati stipulati nel 1994." 5. FISCO FA FIASCO CON LE BANCHE "Il fisco ha mosso contestazioni alle banche italiane per una somma tra i quattro e i cinque miliardi di euro di imposte non pagate e sanzioni. Ha recuperato solo un miliardo. E gli altri?" 6. BUSTE PAGA "Stipendi dei top manager delle banche: nel 2011 Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, ha ricevuto 2,93 milioni lordi; Pier Francesco Saviotti del Banco popolare 2,03 milioni; Federico Ghizzoni di Unicredit 2,01 milioni; Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, 1,62 milioni, e l'ex amministratore Corrado Passera 3,26 milioni." "Penso che il momento del rimorso e delle scuse da parte delle banche debba considerarsi finito." Bob Diamond, amministratore delegato della Barclays, al Parlamento inglese nel gennaio del 2011. Un anno e mezzo dopo si è scoperto che la banca manipolava sottobanco il Libor e l'Euribor, i tassi di riferimento del mondo finanziario. 7. UN TRENO IN MANO ALLE BANCHE «Abbiamo investito un miliardo» ha detto Montezemolo alla partenza di Italo per celebrare il nuovo miracolo italiano. E da dove arriva questo miliardo? Non dalle sue tasche, né da quelle di Della Valle, Punzo e Sciarrone. I quattro soci hanno fatto leva sull'incremento di valore di Ntv derivante dall'autorizzazione per l'alta velocità rilasciata dal governo Prodi. Poi hanno fatto entrare con aumenti di capitale altri azionisti, e ogni volta il valore di Ntv è lievitato. Nel giugno del 2008 è entrata Banca Intesa, che ha comprato il 20 per cento e lo ha pagato 60 milioni. La banca ha fatto anche il piano finanziario, quindi l'istituto all'epoca guidato da Passera è lo sponsor principale dell'iniziativa, come lo è per la Cai-Alitalia. Un passaggio mai raccontato di questa vicenda è che Montezemolo e Della Valle hanno proposto l'operazione anche ai Benetton e al costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, ma questi gruppi non sono entrati nella Ntv perché fanno già parte, con le Ferrovie dello Stato, della società Grandi stazioni. MORGAN STANLEY E hanno voluto evitare il rischio di aprire un conflitto con Moretti, il ruvido amministratore delle Fs. Nell'affare entrano invece le ferrovie statali francesi (Sncf ), nonostante siano anch'esse socie di Grandi stazioni. Il 23 ottobre 2008 Sncf ha comprato il 20 per cento di Ntv, pagandolo 84 milioni. Insomma, tra l'ingresso di Intesa in giugno e l'arrivo dei francesi in ottobre il valore della società si sarebbe incrementato del 40 per cento. FISCO Gli altri soci imbarcati su Italo sono l'imprenditore Alberto Bombassei (produttore di freni che vende anche alla Fiat e alla Ferrari, cioè a Montezemolo), le assicurazioni Generali e l'imprenditrice di Bologna Isabella Seragnoli. In ognuno di questi passaggi i soci fondatori hanno ceduto quote ai nuovi arrivati con i diritti di opzione per l'aumento di capitale. In questo modo la loro partecipazione si è ridotta: oggi i tre insieme possiedono il 33,5 per cento della Ntv, ma hanno già incamerato profitti complessivi per circa 25 milioni di euro al netto delle tasse. Questa somma corrisponde ai capitali impiegati dai tre amici-soci per Ntv.10 E il valore della società, secondo il bilancio delle ferrovie francesi, oggi è di 375 milioni. Un terzo del capitale appartiene ai tre moschettieri dell'alta velocità, Montezemolo, Della Valle e Punzo, quindi la loro porzione di Ntv avrebbe raggiunto il valore di 120 milioni prima ancora che il capotreno fischiasse la partenza di Italo. L'altro aspetto curioso della vicenda è che le quote di tutti i soci di Ntv sono in mano alle banche finanziatrici (Intesa, Monte dei Paschi, Bnl e altre), a garanzia dei crediti per i soldi prestati per gli investimenti. Infatti il grosso del miliardo di cui ha parlato Montezemolo, circa 700 milioni, arriva dai prestiti delle banche. I treni Alstom non sono stati comprati ma acquisiti con un contratto di leasing della durata di 144 mesi stipulato attraverso una società del gruppo Intesa, la Leasint. In conclusione, i capitali versati dai soci di Ntv ammontano a 264 milioni. Di questi, 244 milioni li hanno messi soprattutto le ferrovie francesi, banca Intesa, poi le Generali, Bombassei e Seragnoli. Le società personali di Montezemolo, Della Valle e Punzo hanno versato una ventina di milioni e li hanno già recuperati. Insomma, i soldi veri usciti dalle tasche dei privati che hanno lanciato Italo sono davvero pochi.

Concentrato di Golpe: the Group of 30.

DI PAOLO BARNARD.paolobarnard.info. Che venisse da un Vinci di Matrix, nulla di che. Ma anche da un Giannino, passi, quello è pagato per rovinarci. O dallo Scacciavillani del Fatto Quotidiano, che però ci crede secondo me, quindi è meglio di Oscar. O anche da uno dei tromboni del Corriere, stessa busta paga di Giannino, dei Rocca, Vaciago, Secchi ecc. Infatti, se a tutti questi si prova a dire che siamo sotto un Golpe Finanziario, all’unisono scrollano le spalle e col sorrisetto scuotono la testa. Fantasie da complotto, fine del dibattito, e sentenziano “Via! Siamo seri”. Ok, sappiamo chi sono, inutile insistere. Ma che un intellettuale e autorevole penalista come Alessandro Gamberini, cioè l’avvocato di Sofri per intenderci, uomo di consumata esperienza conoscitiva delle peggiori trame del potere, che uno come lui reagisca sostanzialmente allo stesso modo mi preoccupa. Perch� vuol dire che qui dobbiamo superare non una montagna per aprire gli occhi alla gente, ma proprio arrivare su Giove. E’ talmente incredibile, cioè proprio estraneo alle ipotesi peggiori anche di un cervello sofisticato, cioè così difficile da persino ipotizzare che sia accaduto questo immenso Golpe, che la sola menzione di esso causa anche a menti di solito brillanti come quella di Gamberini uno shut down istantaneo. Figuriamoci il pubblico. And this is bad news, brutte notizie miei cari 0,2%. E allora forse si deve somministrare la verità in pillole autorevoli ma molto concentrate, cioè un aculeo di verità talmente pungente da scioccare l’ascoltatore verso la consapevolezza. E cosa c’è di meglio del Group of 30? Il derivato dei Derivati, che sono astrusi prodotti finanziari del tutto comprensibili a non più di 200 individui nel mondo, è la crisi finanziaria 2007-2012. Non è un gioco di parole, perch� come ho già spiegato nei dettagli mesi fa, fu in particolare uno scherzetto di Derivati CDS fasulli della AIG di Joseph Cassano, ufficio di Londra, a far partire il collasso globale. Non che sia tutta colpa sua, perch� sui Derivati era nata la precedente bolla speculativa immobiliare americana dei subprime, dei criminali MERS, dei Servicers, e da cui poi altri e infiniti Derivati Frankenstein (definizione di Wall St.) sono nati infettando quasi tutte le maggiori banche del mondo, e a pioggia tutto il resto. La crisi finanziaria, poi, ci ha portato non solo un macello creditizio, aziendale, occupazionale e sociale da rasentare un 1929, ma ha anche fornito il grande pretesto per infliggerci la sciabolata del progetto di Spirale della Deflazione Economica Imposta (le Austerità) che i golpisti usano per depredare a sangue interi Stati europei, courtesy of the Eurozone. I Derivati sono armi di distruzione di massa, e massa è la parola giusta, visto che questi Frankenstein-assets vagano per il pianeta senza più controllo n� regolamentazione per una cifra di circa 650.000 miliardi di dollari. E’ dal 1994 che è suonato l’allarme su ste mine finanziarie, con Merrill Lynch che fece sparire 1,5 miliardi di dollari in assets da Orange County (USA), e si capisce chiaro che nessuno da allora ha voluto, n� potuto, regolamentarli, cioè frenarli, visto che sono arrivati anche in Italia dieci anni dopo in una frotta di Comuni e con danni terrificanti (es. Milano, 1,7 miliardi di Euro, con JP Morgan Securities). Ancora oggi i contratti OTC (Over the Counter, sempre Derivati) sono liberamente usati per distruggere, e lo stanno facendo gli Hedge Funds come quello del criminale John Paulson, che scommettono in queste ore contro l’Euro, giusto per sparare una bella raffica sulla croce rossa dell’Europa moribonda (che in effetti dovrebbe morire, ma non caoticamente e non per ingrassare i Mr Paulson). Ne Il Più Grande Crimine 2011 spiego in una serie di esempi come accada che usando i Derivati un pugno di speculatori possa affondare persino uno Stato sovrano del G8, possa ricattarlo, sospingerlo oltre il baratro del default, e questo con le conseguenze agghiaccianti che si chiamano disoccupazione, sottoccupazione, suicidi, morti anzitempo, abbruttimento sociale, svendita forzosa a truffa di patrimoni pubblici, usura sullo Stato, e soprattutto perdita di democrazia a favore non solo dei profitti indicibili dei sopraccitati speculatori, ma anche del fascismo finanziario alla UE che oggi fa gridare allo scandalo anche il Financial Times. Quel fascismo che ha imposto i micidiali Trattati UE mai votati da alcun cittadino, i quali hanno di fatto abolito la sovranità delle Costituzioni nazionali, abolite anche dal ricatto degli speculatori (si veda il Golpe in Italia dell’11/11/11), i quali aiutano i fascisti UE che aiutano gli speculatori e via daccapo. Insomma, ciò che si chiama il Colpo di Stato Finanziario nell’Eurozona. E, lo ripeto, i Derivati arrivano ai 650 mila miliardi di dollari, cioè 8 volte il PIL mondiale, non so se è chiaro. La domanda come sempre è: come si è arrivati a questo? E poi: Perch� non lo si è evitato? Risposta: Group of 30. Un complotto? Sì, Avvocato Gamberini. Ma non una fantasia (a meno che Mario Draghi non sia un DVD). Lo schema è ormai un clich�, e l’ho già spiegato allo sfinimento. Primo: si distrugge la capacità dello Stato di creare e controllare qualsiasi ricchezza finanziaria significativa (con la “superstizione o isteria del deficit/debito” P. Samuelson). A quel punto la creazione di ricchezza finanziaria significativa rimane unicamente nelle mani dei mercati di capitali, da cui gli stati finiscono per dipendere in toto. Secondo: i mercati di capitali, che ora spadroneggiano, incaricano lobbies di eccezionali tecnocrati di disegnargli leggi, regole, strumenti, e anche propaganda, per ottimizzare la loro rapina globale. Terzo, li impongono ai governi che, come già detto, sono privati della facoltà di creare ricchezza finanziaria significativa e sono del tutto dipendenti dal ricatto di chi la crea, i mercati appunto, quindi ingoiano qualsiasi aberrazione speculativa, come l’esistenza dei mostruosi Derivati OTC a briglia scolta. Dopo di ciò i Golpe Finanziari sono quasi uno scherzo. Ora tornate al secondo punto sopra, alle lobbies di eccezionali tecnocrati: il Group of 30, in primis. Nel 1978 il solito Rockefeller ci mette lo zampino (e te pareva se non c’entrava lui) e aiuta a creare il gruppo. Saranno 30 membri a rotazione, ma sempre 30 individui. E la cosa s’imposta fin da subito molto male: sono quasi tutti uomini che hanno lavorato con la mano destra nella speculazione finanziaria, e poi con la sinistra nella regolamentazione statale della stessa, o vice versa. No good. Ecco spiegato come accade che si crei un complotto, cari scettici. Non ci vuole un genio a capire che il poliziotto iscritto al club dei ladri che gli pagano laute prebende finisce col tradire il suo mandato nel più classico dei complotti per delinquere. Infatti, scrive Eleni Tsingou nel più devastante lavoro accademico sul Group of 30 (2003): “Questo Gruppo non solo ha legittimato il coinvolgimento del settore privato nelle politiche di Stato, ma ha anche permesso all’interesse privato di divenire il cuore delle decisioni di politica finanziaria. Questo perch� molti dei suoi membri sono proprio quei politici che il Gruppo mira a convincere”. E vi anticipo qui che fra un po’ vi porto a scorazzare in uno dei più paradossali balletti di conflitti d’interesse mai visti al mondo, roba confronto a cui il Cavaliere è un ladro di caramelle. Ma prima c’è da rompersi gli occhi ancora un po’ col ‘wonkish stuff’. Il Group of 30 dunque partì, vi lavoravano cervelli eccezionali, ed era stipato di miliardi come non immaginate. Prima clamorosa intuizione: ‘i Derivati iniziano a diventare interessanti, promettono molto bene, e se noi siamo i primi a capirci qualcosa e a scrivere il libretto delle istruzioni, tutti gli altri faranno riferimento a noi, visto che nessuno ci capisce un’ostia in sta roba.’ Nel 1993 il Gruppo pubblicò il primo studio completo sui Derivati OTC, il Derivatives: Practices and Principles. I controllori statali delle transazioni finanziarie americani ed europei erano nella nebbia assoluta su quei prodotti, e ovviamente accolsero lo studio del Gruppo con favore. L’ignoranza gli tolse ogni potere di contrastarne le conclusioni. E le conclusioni del Group of 30 erano sostanzialmente due: i Derivati OTC sono indispensabili perch� “rappresentano nuovi modi di capire, misurare e gestire il rischio finanziario” (sic! cioè gli strumenti più ‘rischiogeni’ della storia della finanza avrebbero secondo loro ridotto il rischio); e in secondo luogo, si sottolineava che “la chiave per l’uso dei Derivati è l’autoregolamentazione… le regole statali intrusive e basate sulla legge ne rovinerebbero l’elasticità e impedirebbero l’innovazione in finanza” (cioè, ci possiamo permettere di dirvi che le regole ce le facciamo in privato, tanto voi controllori non sapreste n� contraddirci n� quindi farle quelle regole). E cosa fecero i controllori? Per evitare di apparire ignoranti che brancolavano nel buio si aggrapparono alle raccomandazioni del Gruppo, sia in USA che in Europa, come si vedrà fra poco, sospinti in modo decisivo proprio dai loro colleghi Senior che erano membri di spicco di questa lobby. Ma nel succitato studio, il Group of 30 osò anche di più e scrisse che i controllori avrebbero dovuto “aiutare a rimuovere le incertezze legali dei regolamenti in vigore, e fornire un trattamento fiscale (tasse) favorevole ai Derivati”. L’intero lavoro così pubblicato, cari scettici sui complotti, era stato abbondantemente oliato con i fondi della mega banca speculativa JP Morgan. Ogni altro commento è superfluo. Nonostante la sfacciataggine di quelle righe, tre fra i maggiori organi di controllo del mondo, il Comitato di Basilea, il Congresso degli Stati Uniti e la Federal Reserve USA, trovarono l’idea dell’autoregolamentazione accettabile (in gergo è Best Practice), e di più: gettarono il loro peso contro i pochi controllori ed economisti che già allora suonavano le campane d’allarme (uno di questi fu il nostro glorioso William Black). A questo punto, due delle più potenti lobbies finanziarie anglosassoni, l’Institute for International Finance (IIF) di Washington e la Investment Banking Association di Londra (LIBA), buttarono sul tavolo della trattativa le loro proposte per l’autoregolamentazione della trasparenza sui Derivati, a pieno sostegno del Group of 30. Per dare l’idea agli scettici del complotto, la IIF è la lobby che poche settimane fa ha dato gli ordini nella trattativa suicida della povera Grecia verso la trappola del secondo bailout. Risultato di quanto sopra: l’occasione per capire e controllare la distruttività dei Derivati OTC si era presentata all’inizio degli anni novanta. Il Group of 30 fu il primario attore nell’annullamento di ogni tentativo di portare questi killer sotto il controllo pubblico, e le conseguenze sono quelle che sappiamo, cioè crimini globali. Se il mio amico Avvocato Gamberini avesse una conoscenza precisa di cosa questi mostri hanno fatto alla vita di centinaia di milioni di famiglie, a milioni di aziende, e alle democrazie dei maggiori Paesi occidentali, per non parlare degli orrori nel Terzo mondo e sull’ambiente (ambito commodities); se potesse capire che oggi viviamo tutti su un ordigno termonucleare finanziario fuori controllo che si chiama 650.000 miliardi di Frankenstein-Derivatives in grado di far fallire il pianeta; se infine capisse che nessuna democrazia ha un senso quando tutta la ricchezza è nelle mani di queste lobby senza pietà a cui TUTTI i politici devono rispondere a bacchetta, invece che ai propri elettori - il mio amico Gamberini intuirebbe non solo la verità del Golpe Finanziario, ma anche l’urgenza di chiedersi cosa ci fa un uomo pubblico come Mario Draghi dentro il club di coloro che hanno impedito al mondo di fermare la finanza criminale planetaria dei Derivati, e parlo del club Group of 30. Draghi è lì, lui, l’uomo che al timone della BCE dovrebbe vigilare proprio su coloro che condividono il suo club con intenti criminosi come quelli che si sono sopra descritti. E guardate (diamo il via alle danze): chi era il funzionario italiano che supervisionò da direttore generale del Tesoro lungo tutti gli anni ’90 la svendita del nostro Paese alle privatizzazioni selvagge che non hanno sanato di nulla il debito pubblico ma che hanno sanato di certo imprenditori falliti come De Benedetti e fatto incassare miliardi in parcelle alle investment banks? Chi era il funzionario italiano che non ha detto una parola contro la micidiale separazione fra Banca d’Italia e Tesoro che ingrassò le medesime banche? Era Draghi, uomo Group of 30, uomo Bilderberg, uomo Goldman Sachs, e anche ‘bugiardo-Sachs’ che ha sempre negato di essere stato in forza alla Goldman quando la banca di Wall Street organizzò la truffa per truccare i libri contabili greci in collusione col governo di Atene (e invece lui c’era eccome alla Goldman e ne dirigeva proprio gli affari europei). E allora, non è legittima la domanda del cittadino (facciamo finta che il cittadino si faccia domande, dai…) sull’imparzialità di un simile individuo nella gestione delle nostre vite? Quando ad esempio decide di inventarsi un trilione di Euro in piena agonia dell’Eurozona e di darli tutti, TUTTI, alle banche e senza condizioni (ad es. “riprendete a prestare alle aziende in percentuale X, o niente soldi”). Quando decide, come accaduto nei cruciali giorni del Golpe Finanziario in Italia, cioè dall’11 al 16 novembre 2011, di chiudere i rubinetti della BCE che avrebbero potuto salvare un governo eletto ma odiato dagli speculatori (che io detestavo, ma era un governo legittimo), e salvare l’Italia dal golpista Monti. Mario Draghi poteva fermare la loro mano semplicemente ordinando alla BCE di acquistare in massa i titoli di Stato italiani. Infatti tale acquisto avrebbe, per la legge basilare che li regola, abbassato drasticamente i tassi d’interesse di quei titoli, il cui schizzare in alto a livelli insostenibili stava portando l’Italia alla caduta nelle mani degli investitori/golpisti. I mercati si sarebbero fermati, resi inermi di fronte al fatto che la BCE poteva senza problemi mantenere a un livello basso costante i tassi sui nostri titoli di Stato. Ma Mario Draghi siede alla BCE e non fa nulla. Non siate ingannati dalla giustificazione standard offerta per questo rifiuto di acquistare titoli italiani da parte della BCE. Vi diranno che le è proibito per statuto, ma non è vero: infatti clausole come la SMP Bond Purchases lo permettono, e anche le regole sulla stabilità finanziaria del trattato d Maastricht. Draghi poteva agire, eccome. Ma l’uomo pubblico-membro del Group of 30 dimostrò che di pubblico ha solo l’aria che respira. Come tutti gli altri colossi del settore pubblico internazionale compromessi in questa lobby sciagurata dove mischiano, o hanno mischiato, la loro funzione statale con quella speculativa, a partire dallo storico Paul A. Volcker, il Presidente della Federal Reserve (banca centrale USA) ma anche uomo della Chase Manhattan Bank e Group of 30. Poi abbiamo Lord Richardson of Duntisbourne, Governatore della Banca Centrale d’Inghilterra, ma anche caro alla Lloyds Bank e Group of 30. Poi Jacob A. Frenkel, Governatore della Banca Centrale d’Israele, ma anche in Merrill Lynch International e Group of 30. Poi Geoffrey Bell, Ministero del Tesoro della Gran Bretagna, dirigente anche di Schroders e Group of 30. Poi Domingo Cavallo, che era Ministro dell’Economia in Argentina, padre di un disastro economico spaventoso sulla vita di milioni di poveracci, e diligente scolaretto del Group of 30. Poi Gerald Corrigan, Presidente della Federal Reserve Bank di New York, ma che attraversa la strada e si siede poi come Managing Director di Goldman Sachs, e anche Morgan Stanley, e Group of 30. Poi Guillermo de la Dehesa, Governatore della Banca Centrale di Spagna, Ministro della Finanza, ma anche banchiere del Banco Santander Central Hispanico e di Goldman Sachs, e Group of 30. Poi Arminio Fraga Neto Governor, Banca Centrale del Brasile, ma a busta paga di Solomon Brothers NY, Soros Management Fund, e Group of 30. Poi Toyoo Gyohten, Ministero delle Finanze del Giappone, ma dirigente della Banca di Tokyo e Group of 30. Poi Gerd Hausler, Governatore della Bundesbank (banca centrale tedesca), ma dentro alla Dresdner Bank, e Group of 30. … (amico scettico del complotto, non è finita, perch� li hanno cooptati proprio tutti quelli grossi, stai lì a leggere, ci sono un paio di chicche in serbo più sotto, e pensa) Poi Mervyn King, Governatore della Banca Cnetrale d’Inghilterra, e Group of 30. Poi Jacques de Larosière Conseiller, Governatore della Banca Centrale di Francia, ma direttore esecutivo di BNP Paribas, e Group of 30. Poi William McDonough, del Departmento di Stato USA, e a busta paga della First National Bank of Chicago, e Group of 30. Poi Tommaso Padoa-Schioppa, non ha bisogno di presentazioni, n� le necessita la sua ideologia Neoliberista spinta, n� i suoi ruoli in FIAT e Bilderberg, e Group of 30. Poi il colosso due americano, Lawrence Summers, Segretario del Tesoro USA, fedele del Bilderberg, e Group of 30. Poi Jean-Claude Trichet, il predecessore di Draghi alla BCE, ma anche Ministro delle Finanze francese, altro Bilderberg e Group of 30. Poi Axel A. Weber, Presidente della Bundesbank, ma anche membro della European Systemic Risk Board e della Financial Stability Board. Sarà poi super pagato presidente di UBS, e Group of 30. Ma questo è grottesco. Uno che lavora col Gruppo che ha scatenato il peggior rischio sistemico della storia della finanza mondiale, uno che lavora per i profitti del colosso speculativo UBS, poi siede anche fra i funzionari che valutano il rischio sistemico in Europa e fra quelli (FSB) che lavorano per “incentivare la stabilità finanziaria in un'ottica globale, adottare delle migliorie al sistema dei mercati e ridurre il rischio di crisi finanziarie per mezzo della condivisione di informazioni… inoltre, incentivare la cooperazione internazionale tra le autorità di vigilanza (sic)”. Poi Adair Turner, Presidente del Financial Services Authority della Gran Bretagna, che è l'istituto nazionale deputato a controllare l’industria dei servizi finanziari. Quindi un controllore, ok? Ma eccolo a busta paga della super banca speculativa Merrill Lynch Europe come vice-presidente, e in bella mostra al Group of 30 (questo bel signore fu anche capo delle commissioni per le pensioni e per i salari minimi, sic). Poi Gerd Häusler , che ha diligentemente lavorato al Global Financial Stability Report (stabilità finanziaria, si noti) e al Financial Stability Forum (stabilità finanziaria, si noti). Ma questo signore ce lo troviamo come direttore del Institute of International Finance di Washington, altro deregolamentatore dei Derivati, ce lo troviamo ovviamente al Group of 30, e soprattutto ce lo troviamo a Lazard. Lazard di New York è un’agguerrita azienda di consulenze specializzata in alta finanza, che nel caso delle sempre disperata Grecia della crisi faceva il doppio gioco come consulente sia degli investitori-strangolatori, che del governo di Papademos allo stesso tempo. No comment. Qui non si sta parlando di un miliardario con conflitti d’interessi. Qui parliamo dei padroni globali della finanza, di tutte le maggiori Banche Centrali del mondo, dei colossi bancari della speculazione planetaria, e dei massimi controllori della stessa, tutti invischiati in un’oscena amalgama di salotti condivisi, club condivisi, milioni di Dollari/Euro in consulenze condivise, dentro e fuori dalla funzione pubblica e in quella privata e vice versa di continuo. Qui stiamo parlando del sistema che ha messo in ginocchio l’economia del mondo in meno di un decennio, e che, per tornare nelle vostre case italiane, ha minato il futuro dei vostri bambini, e ha portato a masse immense fra cui tantissimi italiani sofferenze che oggi sono su tutti i giornali. Con la perdita di qualsivoglia democrazia reale. Questo è il Group of 30, la lobby che ha aiutato in modo decisivo a causare questo allucinante scenario, questo livello di crimine internazionale. Trenta individui a rotazione, ma solo trenta, col nostro Draghi in prima fila. Roba da far apparire Goldfinger un patetico principiante. Roba vera, tragicamente vera come sono vere le righe qui stampate, cari scettici del Golpe Finanziario. Caro, e sinceramente stimato, Avvocato Alessandro Gamberini. Paolo Barnard Fonte: /www.paolobarnard.info Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=379 3.05.2012

domenica 25 novembre 2012

Non solo 25 novembre.

PRIMARIE SECONDO GRILLO E TRAVAGLIO.

1. GRILLO! LE PRIMARIE DEI FOLLI www.beppegrillo.it. Le secondarie, terziarie, nullarie del pdmenoelle di questa domenica di novembre 2013, data che verrà ricordata come l'ennesimo giorno dei morti della Seconda Repubblica, sono una rappresentazione senza contenuti, un'auto celebrazione di comparse, un grottesco viaggio nella pazzia, come nell'opera satirica medioevale la "Nave dei Folli" di Sebastian Brant che ispirò Michel Foucalt "Perché si vede sorgere d'un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell'acqua con la follia, è nata un giorno, e proprio quel giorno, questa barca? La follia e il folle diventano personaggi importanti nella loro ambiguità: minaccia e derisione, vertiginosa irragionevolezza del mondo, e meschino ridicolo degli uomini". Le primarie dei folli sono un bromuro sociale, un calmante, servono a dare al popolo l'illusione di decidere, a pagamento (partecipare costa due euro), il premier che salverà l'Italia dal baratro. Chiunque diventi premier per una notte, conterà come un soldo bucato. In Italia non esiste il premierato, non esiste di conseguenza neppure il candidato premier. La buffonata odierna, promossa dalla grancassa mediatica equamente distribuita e senza eccezione alcuna, non eleggerà alcun candidato premier. Il presidente della Repubblica può nominare chi crede. Costui, con un programma e una lista dei ministri, si presenta alle Camere per la fiducia. Se la ottiene diventa presidente del Consiglio. Ma, come in una Grande Follia Democratica, il posto è già occupato da Rigor Montis, implicitamente rinominato da Napolitano e invocato dai partiti per poter continuare la loro assurda recita. Anche il programma per la prossima legislatura è già deciso. Punto per punto. Taglio per taglio. Tassa per tassa. Non si chiamerà programma di governo, ma "Agenda Monti", indiscutibile e già venduta alla BCE e agli Arabi. E' una democrazia che vive di effetti speciali, con le carte truccate dove il banco vince sempre e perdono immancabilmente i cittadini. "Una nave stipata di folli e guidata da folli, si dirige in un viaggio fantastico verso il paradiso dei folli, Narragonia, fino alla visita del Paese di Cuccagna e al tragico epilogo del naufragio finale". 2. LA BANDA DEGLI ONESTI. di Marco Travaglio per Il Fatto. Le primarie del centrosinistra hanno almeno due meriti. Intanto danno ai cittadini la sensazione, o l'illusione, che votare serva ancora a qualcosa (certamente serve più nelle primarie che nelle politiche, visto che il capo dello Stato non cessa di far sapere che, chiunque vinca nel 2013, il premier sarà sempre Monti e, anche se non fosse Monti, dovrà attenersi all'Agenda Monti). E poi costringono il Pdl a inscenare qualcosa di simile, regalandoci uno spettacolo di rara comicità. La notizia, davvero strepitosa, è che Angelino Jolie non si candida se corrono anche degli indagati. Immediata e comprensibile la reazione degli indagati, i quali credevano che l'avviso di garanzia fosse il requisito minimo per candidarsi. Da statuto. E si preparavano da mesi, delinquendo due o tre volte al giorno, nella speranza che una procura li notasse. Anche perchè si era sparsa la voce che fosse della partita anche Vittorio Sgarbi, il quale vanta un traguardo pressochè inarrivabile: una condanna definitiva per truffa allo Stato. Un caso di concorrenza sleale (per questo B. aveva deciso di astenersi: per non scoraggiare indagati e imputati alle prime armi, i giovani che muovono i primi passi nel mondo del crimine). L'avvocato-banchiere Gianpiero Samorì era ben piazzato, col suo avviso di garanzia per accesso abusivo a dati informatici appuntato sul petto. Daniele Proto ce l'aveva fatta appena in tempo: indagato per aggiotaggio e truffa proprio in extremis. Poi, quando indagati ben più titolati come Dell'Utri, Verdini, Formigoni, Cosentino, Mannino, Sciascia, Berruti accarezzavano l'idea di scendere in lizza, hanno scoperto che, contravvenendo a una lunga e gloriosa tradizione, la specialità della casa non si porta più. Anzi è diventata financo un handicap. Roba da matti. "Nel Pdl quasi tutti sono indagati, chi più chi meno, chi per un reato chi per l'altro", protesta Proto, che non a caso dice di ispirarsi a Sgarbi, adora Cicchitto, ma "la cosa migliore è che ritorni in campo Berlusconi". Che è un po' come se Renzi o Puppato, candidati alle primarie del centrosinistra, invocassero il ritorno di D'Alema, Occhetto e Natta. Sgarbi, visto il disprezzo (o l'invidia?) con cui viene trattato il suo curriculum penale, si dice "disgustato" e si ritira. La Santanchè, ingiustamente dimenticata, protesta: "Anch'io sono indagata: per lotta all'integralismo islamico" (naturalmente la lotta all'integralismo non è reato: la signora,che evidentemente prende ripetizioni di diritto penale da Sallusti,è inquisita per turbamento e interruzione di funzione religiosa, avendo tentato tre anni fa di strappare il velo ad alcune donne musulmane in preghiera). Samorì intanto fa notare che "fuori gli indagati" è un attacco a Berlusconi (che peraltro non è indagato: è plurimputato, pluriprescritto e condannato in primo grado, ergo teoricamente fuori concorso). A quel punto Angelino Jolie, che non ci aveva pensato, detta subito una rettifica: B. non conta perchè "è un perseguitato dalla giustizia" e con lui "c'è un vincolo non solo politico, ma personale solidissimo". In effetti B. l'ha recentemente definito "il meglio fico del bigoncio" (ma lo statista agrigentino non ha colto l'ironia) e "come un figlio" (praticamente come Piersilvio, ma ancora una volta Angelino l'ha preso per un complimento). Ora la sua fertile mente ha partorito un "Comitato dei garanti" che dovrà fare "una valutazione attenta delle singole posizioni", per distinguere gli indagati perseguitati da quelli colpevoli, perchè "noi siamo veri garantisti" e "non ci faremo scrivere le liste dai pm": quindi le sentenze se le fanno loro. I garanti inizieranno a lavorare non appena usciranno da San Vittore, Regina Coeli, Poggioreale e Ucciardone.

giovedì 22 novembre 2012

Azzeriamo il debito!

Reagire alla finanza: faccia fronte alle sue responsabilità. di Fabio Marcelli, da Il Fatto Quotidiano.
Furbi imbroglioni o ingenui imbrogliati che siano, ci sono alcuni che pensano che il capitalismo neoliberista basato sul predominio del capitale finanziario sia, in generale, cosa buona e giusta, salve alcune varianti degenerate, per motivi non meglio specificati quali probabilmente il clima caldo o il basso livello intellettuale o la genetica indolenza degli abitanti, come succede ad esempio in Grecia, Spagna e Italia e in molti altri luoghi. A smentire costoro bastano i fatti. Secondo recenti dati del Financial Stability Board, organismo che dovrebbe in qualche modo procedere al controllo e alla disciplina dei flussi finanziari, gli asset gestiti dalla “finanza ombra” sono aumentati di 67mila dollari in un anno (di cui 22 mila miliardi nella zona euro). A chiunque non sia del tutto scemo e/o in malafede risulta evidente il carattere del tutto abnorme di tale bolla speculativa, sganciata da qualsiasi rapporto con l’economia reale e la ricchezza sociale. Si tratta di una massa enorme di denaro in circolazione che dimostra quanto è chiaro da tempo e cioè che la leva monetaria, che costituisce un elemento essenziale del potere di governo, è sfuggita di mano al pubblico ed è saldamente oggi impugnata dal privato, al di fuori di qualsiasi possibilità di governo democratico. Si tratta di un attentato alla democrazia di gravità pari o superiore ai carri armati nelle strade, dei quali peraltro almeno per il momento non si sente il bisogno (basta qualche poliziotto un po’ spregiudicato). Il nostro governo è, questo lo si può ammettere, probabilmente il caso più inquietante su scala mondiale di governo perfettamente allineato alle scelte e agli interessi della finanza. Non è quindi lecito stupirsi più di tanto del fatto che Monti provi a demolire nei fatti la Tobin Tax (che pure porta il nome di quello che fu, secondo i biografi ufficiali, uno dei suoi maestri) ovvero si trasformi in commesso viaggiatore dei beni pubblici in liquidazione, salvo avvisare poco patriotticamente gli eventuali acquirenti che senza di lui al comando non vi sono garanzie di retto comportamento da parte del nostro Paese. Reagire agli abusi e allo strapotere della finanza internazionale rappresenta l’unica strada seria e possibile per garantire un futuro all’umanità, al pianeta e, più modestamente, al concetto stesso di bene pubblico e di Stato sociale, in Italia come altrove. Bisogna pertanto guardare con attenzione e interesse a talune recenti iniziative della magistratura che si stanno dirigendo contro le agenzie di rating, uno degli ingranaggi più delicati e discutibili del sistema finanziario. Mi riferisco in particola alla decisione con la quale la Corte Federale australiana di Sidney, presieduta dal giudice Jayne Jagot, “ha condannato l’agenzia di rating Standard and Poor’s, a pagare oltre 30 milioni di dollari a tredici municipalità della provincia australiana del New South Wales, che avevano perso il 93% del loro investimento di 16,6 milioni di dollari nei titoli, noti come Rembrandt Notes, emessi da ABN Amro e certificati da Standard and Poor’s come AAA, ovvero di assoluta affidabilità”. O all’analoga iniziativa intrapresa dalla Magistratura di Trani su denuncia di Adusbef e Federconsumatori che si auspica abbia effetto. Altre iniziative importanti si sviluppano a livello politico, per chiedere moratorie e cancellazioni del debito che, colpendo la finanza internazionale e la speculazione, possono dare respiro ai popoli e agli Stati. Da questo punto di vista è da condividere la proposta di Syriza di procedere alla cancellazione del debito greco, analogamente a quanto fu fatto nei confronti della Germania con lo storico accordo di Londra del 1953, che segnò l’avvio della ripresa economica nel Paese ponendo le premesse del successivo boom. Vanno anche apprezzate le mosse di Paesi latinoamericani, come l’Argentina, che si sono posti sul piede di guerra nei confronti dei “Fondi avvoltoio “(Vulture Funds) e che dovrebbero aprire un contenzioso anche con il Fondo monetario internazionale, per le sue evidenti responsabilità nella dittatura genocida degli anni Settanta e nell’indebitamento culminato con il crack del 2001, come suggerisco in un mio recente saggio che comparirà nella Rivista “Diritti dell’uomo cronache e battaglie”. Il tema della responsabilità della finanza nella crisi attuale, che presenta varie interessanti sfaccettature, sarà esaminato a fondo dai giuristi democratici che si stanno mu0vendo nella prospettiva di una conferenza internazionale sul tema con la convocazione di un tribunale d’opinione che chiami la finanza a rispondere delle sue responsabilità che sono anche di ordine giuridico.

ISRAELE VERSO LA CATASTROFE.

Intervento di Moni Ovadia: "Un caro saluto a tutti gli amici del blog di Grillo. Sono già stato ospite del blog, con un filmato, e sono davvero contento di ritornare. Naturalmente questa situazione in Medio Oriente, lo capiamo tutti, è una catastrofe. Ci sono due piani. Prima di tutto è il dramma dei civili innocenti. Io ho anche amici in questa questione: ho ricevuto proprio stamattina un messaggio da Israele, da un mio amico che diceva che un missile ha sfiorato la casa dove abita il suo nipotino piccino, di pochi anni, fortunatamente rimasto illeso. Ho avuto altri messaggi ... Sotto i missili che ti cadono in testa deve essere veramente terribile. Ci sono state 5 vittime civili. Quello che succede agli israeliani è spaventoso, perché i morti civili sono sempre spaventosi, però ai palestinesi succede 10, 100, 1000 volte di più. Gli israeliani fondamentalmente hanno rifugi, hanno una cupola l'iron dome, che protegge, i palestinesi non hanno niente, hanno macerie su macerie. Subiscono a un livello spaventoso: intere famiglie vengono cancellate da un bombardamento, che dovrebbe essere un bombardamento mirato, ma non esistono i bombardamenti mirati. Alla fine le vittime vere sono i civili, soprattutto vecchi, donne e bambini. È una catastrofe spaventosa ed è l’apice di un inferno in cui in generale i palestinesi di Gaza vivono ormai da decenni e non solo i palestinesi di Gaza. Per loro la tragedia è immane, ma anche nei territori occupati si vive in una prigione a cielo aperto. Allora bisogna prendere in conto questo: avere uno sguardo umano, non lasciare mai cadere lo sguardo umano, altrimenti la catastrofe diventa assoluta e si precipita in un abisso. Detto questo la situazione quale è? Non c’è una trattativa in corso, non si vuole accedere alla trattativa e c’è un governo in Israele, che secondo me è il peggiore della storia di Israele, che semplicemente non vuole uno Stato palestinese di fianco a Israele. Non lo vuole, e questa secondo me è la ragione principale di tutto il disastro. C’è un uomo della trattativa in Palestina, che si chiama Abu Mazen. Lì le violenze si sono fermate da lungo tempo, lui è uomo di trattativa, ma Netanyhau dice che vuole la trattativa senza condizioni, solo per procrastinare sine die una possibilità di vera trattativa e non c’è trattativa che non preveda lo stabilimento di uno Stato palestinese sulla linea armistiziale del '67, con Gerusalemme est come sua capitale. Se uno non accetta questa condizione di base vuole dire che la trattativa con i palestinesi non la vuole. Nel contempo Netanyhau e Liberman sono riusciti a conferire dignità di interlocutore a Hamas, cioè i missili di Hamas hanno attratto la attenzione. 10 ministri degli esteri di Paesi arabi sono andati a Gaza per dare statuto importante di controparte a Hamas. Si dice che Hamas è terribile e poi allo stesso tempo con le azioni concrete gli si conferisce statuto di interlocutore. Quindi Hamas, ovviamente, prosegue nella sua linea. I morti civili dentro questo contesto per Hamas sono parte di quello che ha messo in conto e sta riuscendo a ottenere molto di più di quello che non può ottenere Abu Mazen, che è un uomo che pacificamente chiede che la Palestina venga ammessa all’Onu come Stato osservatore. Questo gesto di Abu Mazen, del tutto ragionevole, sensato, giusto, da ogni punto di vista, per Israele, con l’accordo degli Stati Uniti viene bloccato, e anche la Comunità Europea che è vile, è pavida, non alza la testa, non dice niente. L’origine di questa catastrofe è la mancanza di ossigeno a una vera e autentica trattativa. Il governo Netanyhau / Lieberman non la vuole questa trattativa con lo stato Palestinese. Poi naturalmente dicono "Hamas è terrorista", però poi si deve trattare con Hamas terrorista. La trattativa si fa con il nemico no? E questo è un autentico disastro, non ci sarà pace fino a che i palestinesi non riceveranno la piena dignità, i palestinesi sono sottratti di ogni cosa, gli insediamenti in Cisgiordania aumentano a dismisura. Gaza è un autentico inferno, perché gli israeliani sì si sono ritirati ai tempi di Sharon, ma hanno sigillato il territorio. L’assedio, fino a prova contraria è un atto di guerra. Poi non hanno lasciato neanche arrivare le Freedom Flotilla, che sono navi che portavano aiuti. Si sono alienati il governo turco, che è un Paese molto potente nell’area che svolge un ruolo molto importante. Allora siamo di fronte a una catastrofe, per una politica cieca, miope, che non ha orizzonte, che si limita solamente al mantenimento dello status quo, all’allargamento degli insediamenti e a dire retoricamente che "Hamas sono i terroristi cattivi". Tutta questa retorica blocca il vero problema, e cioè la pace si fa intanto con i nemici, fino a prova contraria, e poi la pace va rischiata per aprire una nuova prospettiva, oltretutto lo scenario in tutto il Medio Oriente è cambiato radicalmente e invece Natanyhau / Lieberman e tutti quelli che sono con loro, sono incastrati in una visione vecchia, finita. Tutto si sta trasformando, anche gli equilibri di forza, non ci si può basare solo sulla propria forza militare in eterno facendo tutto il contrario di quello che serve alla pace. Ripeto, gli insediamenti non hanno fermato neanche la costruzione di un cesso! Allora io credo, e è una cosa ovviamente per me disperante, perché vedere questo macello di civili innocenti, vedere gente, quello che vediamo che succede dei Territori Palestinesi, che naturalmente le televisioni arabe ripetono, perché fanno il ruolo dei media, come tutti i media, le cose più spaventose, appunto una intera famiglia di 40 persone eradicata, cancellata completamente con i corpi sbranati, è ovvio che l’odio nel mondo arabo per Israele cresce Tutto questo è nell’interesse di Israele? E poi piovono i missili, muoiono anche i civili israeliani, ma dove si va con questa cosa? Ma Netanyhau e Lieberman non hanno la minima intenzione di cambiare la loro politica. Speriamo che ci sia un barlume di luce anche nella società israeliana perché alle prossime elezioni si liberino di questo governo la cui politica è nefasta, ovviamente per i palestinesi, che subiscono quello che subiscono, ormai è un calvario senza fine, ma anche per gli israeliani, perché in questo modo Israele non ha un vero futuro!" Moni Ovadia

lunedì 19 novembre 2012

CHE FAI, MONTI, MINACCI?...

a cura di COLIN WARD e CRITICAL MESS, da dagospia.< In una pausa del suo tour internazionale da piazzista del patrimonio statale ("Comprate in Italia, è a buon mercato", Stampa, p. 9), Goldman Monti si toglie finalmente la maschera del "servitore dello Stato" e parla da vero boss: "Ora l'Italia è affidabile, ma dopo il voto non garantisco". Insomma, ha minacciato voi elettori di farci sparare lo spread a 600 e di metterci definitivamente nella mani della stessa Troika che ha strangolato la Grecia. Tanto varrebbe sospendere le prossime elezioni e chiedere a Re Giorgio se, gentilmente, si ferma altri sette anni pure lui.
I giornali registrano, senza fare una piega e sprecare un solo commento. Repubblica degli Illuminati: "Monti: non garantisco sull'Italia dopo il voto" (p.1). Corriere delle banche creditrici: "Monti agli investitori: ora comprate in Italia. ‘Miglioriamo il presente, non garantisco sul futuro'. Vendola e Di Pietro: frase inopportuna" (p. 5). Messaggero: "Monti agli investitori stranieri: ‘Non garantisco sul dopo voto'. Il premier in missione in Kuwait: ‘Chiunque governerà dovrà assicurare crescita, lotta a evasione e corruzione" (p. 1). Tre cose delle quali il nostro amato Bilbergo Montis si è ampiamente sbattuto, nonostante proclami e trombette della regia stampa.... In una pausa del suo tour internazionale da piazzista del patrimonio statale ("Comprate in Italia, è a buon mercato", Stampa, p. 9), Goldman Monti si toglie finalmente la maschera del "servitore dello Stato" e parla da vero boss: "Ora l'Italia è affidabile, ma dopo il voto non garantisco". Insomma, ha minacciato voi elettori di farci sparare lo spread a 600 e di metterci definitivamente nella mani della stessa Troika che ha strangolato la Grecia. Tanto varrebbe sospendere le prossime elezioni e chiedere a Re Giorgio se, gentilmente, si ferma altri sette anni pure lui. SCEICCO KUWAIT I giornali registrano, senza fare una piega e sprecare un solo commento. Repubblica degli Illuminati: "Monti: non garantisco sull'Italia dopo il voto" (p.1). Corriere delle banche creditrici: "Monti agli investitori: ora comprate in Italia. ‘Miglioriamo il presente, non garantisco sul futuro'. Vendola e Di Pietro: frase inopportuna" (p. 5). Messaggero: "Monti agli investitori stranieri: ‘Non garantisco sul dopo voto'. Il premier in missione in Kuwait: ‘Chiunque governerà dovrà assicurare crescita, lotta a evasione e corruzione" (p. 1). Tre cose delle quali il nostro amato Bilbergo Montis si è ampiamente sbattuto, nonostante proclami e trombette della regia stampa.

domenica 18 novembre 2012

Israele neonazi.La strage degli innocenti.

Israel planes kill everything and bombed houses they're see 5 brothers from one family Guetllow aircraft shortly before in Gaza City.

Rossanda: «Qualcosa rinascerà.Ma questa volta sarà diverso»

intervista di Marco Berlinguer a Rossanda, da Pubblico.
Rossana Rossanda vive a Parigi da tanti anni. Ha una casa sulla Senna: sulla Rive Gauche, naturalmente. La palazzina ottocentesca ha un’aura tutta particolare. Nel suo appartamento, mi racconta, c’era la tipografia di Colette. È in questo angolo di Parigi che arrivo per intervistarla. Le ho spiegato che abbiamo uno spazio particolare di racconto su Pubblico, che noi chiamiamo what’s left. Era curiosa di sapere di noi e del nostro modo di vedere le cose: «Che cosa intende per sinistra il tuo direttore?», mi chiede. Le rispondo che a me sembra che da questo punto di vista Luca sia rimasto congelato al suo passaggio nella Fgci a metà degli anni ‘80. La cosa l’ha sorpresa e, mi è sembrato, anche divertita: «Più passa il tempo – mi dice – e più il Pci quel partito, che ho criticato molto, lo trovo meraviglioso. Fu una grande costruzione». La guardo, per un attimo: un ovale di madreperla incastonato in una corona di capelli bianchissimi che sembrano disegnati da un giro di matita di Picasso. Mi ricordavo la Rossanda dell’iconografia letteraria de Il manifesto: l’intellettuale rigorosa e austera. E invece la trovo affabile e curiosa. Parliamo a lungo, per tre ore. Partiamo da Internet («Sopravviveranno i giornali alla rete?») per terminare all’America Latina («Capisco che hanno fatto cose importanti, ma non è un modello a cui guardo»). Ma alla fine, gira e rigira, mi rendo conto che abbiamo parlato soprattutto di storia e del Novecento. E non poteva essere diversamente con una «ragazza del secolo scorso», per stare all’immagine con cui ha scelto di intitolare la sua autobiografia. In questo lungo dialogo mi accorgo che ci sono tre tappe, tre snodi che contrassegnano il suo racconto. La prima è la sua adesione al comunismo, al Pci. Siamo nel 1943, dopo il 23 luglio, a Milano. (Al ricordo sorride). «Avevo sentito dire che Antonio Banfi fosse comunista. E glielo sono an- data a chiedere. «È vero?». Così, quasi come un’oca. E lui? Mi ha risposto: «Perché me lo chiede?». Mi ha dato dei libri da leggere. Sono tornata dopo una settimana, gli ho detto: «Va bene. E se uno volesse mettere in pratica queste idee?». (Ma ciò che è importante per Rossanda, oggi, è spiegare, oltre questo episodio, come avesse potuto essere facile per una ragazza di famiglia borghese «a-fascista» aderire al comunismo). Perché? Perché la cultura borghese era sin dall’800 impregnata di valori progressisti e di uguaglianza. Vedi, mio padre, per esempio, si era formato su Tolstoj, Rudolf Steiner. Bene: quando capì che ero entrata nella Resistenza – perché la polizia venne a perquisire casa – mi domandò preccupato: «Ma con chi ti sei messa?». E tu gli hai detto la verità? Sì. E quando seppe che ero con i comunisti, mi disse: «Meno male!». La borghesia magari poteva essere fascista. Poteva essere moderata. Poteva pensare che la disuguaglianza ci sarebbe sempre stata. Ma non c’era quell’idea che trovi oggi: la povertà come una colpa. La disuguaglianza come un valore. Il secondo atto di questa storia personale e collettiva si svolge negli anni ’60. Ma il racconto non è sulla vicenda del Manifesto. Che succede in quegli anni? C’è una mutazione antropologica. Hosbawn la racconta bene. Tutto cambia. C’è il boom. I consumi di massa. Le donne entrano nel mercato del lavoro. La scolarizzazione di massa. Inizia la critica ai partiti. Comincia quella divaricazione tra partiti, movimenti e società, che forse proprio oggi ha raggiunto il suo culmine. Si. Esplodono i movimenti, prima studente- schi, poi operai. Il Pci e i partiti non li capiscono. Ricordo, erano stupefatti da questa onda che si formava al di fuori di loro. I vecchi, gente tipo Secchia e Terracini. pensavano: «Se gli operai si sono mossi senza il Pci, ci deve essere uno sbaglio». Nella sua autobiografia, che forse significativamente, si ferma qui, al 1969, Rossanda, riferendosi al gruppo de Il Manifesto, dice: “speravamo di essere il ponte fra quelle idee giovani e la saggezza della vecchia sinistra: non funzionò”. Infine, ecco la terza tappa: inevitabilmente, si svolge alla fine degli anni 80. Il 1989 cosa è stato per te? Il crollo dell’Urss per implosione interna. Forse persino più sorprendente, la svolta della Cina: un partito comunista che si fa fautore del capitalismo. Se me lo avessero detto dieci anni prima non ci avrei creduto. Per l’idea della sinistra è stato un passaggio fatale. Perché? Perché – ti piacessero o meno – fino a lì c’erano stati due campi, due culture, due realtà. A quel punto, ne rimane una sola. E rimane anche una sola interpretazione che dice: il capitalismo – il darwinismo sociale – sono una condizione naturale. Il socialismo, l’uguaglianza, sono illusioni, per dirla con Furet. Sono un’utopia. Una parola che detesto. E’ lì che quella cultura progressista del ’800, e quella sua ipotesi socialista, vaga, sparisce. E con ciò, in qualche modo, affonda l’idea stessa di sinistra. Perché per me la sinistra è questo. Una morale dell’uguaglianza. Se vuoi è un’idea che data dalla Rivoluzione francese. Non è una questione di ordine economico, ma politico, morale. Perché sul piano del funzionamento tutti e due sistemi possono stare in piedi. Sinistra è questa lotta contro le ingiustizie del mondo attraverso un’idea di proprietà gestita politicamente. Era qui che ci volevi portare? Si, perché se la vedi così, la domanda da che parte ricomincia la sinistra, è molto complicata. Che cosa è che complica la risposta? Che cosa è successo? Cosa non ha funzionato? A quelle domande bisogna rispondere. Non come ha fatto fino ad oggi la sinistra. Che è sfuggita a queste domande. Non lo ha fatto quella chimera, quel minestrone, quel centauro che è oggi il Pd. E nemmeno quelli che si continuano a chiamare comunisti. Ma c’è anche una seconda mutazione antropologica che avviene negli anni 80 e 90. Quella generazione post-89 che – «anche per effetto della rivoluzione tecnologica» – perde il filo della continuità con il passato, «come se l’esperienza cessi di essere trasmissibile». Rossana racconta due episodi che le sono rimasti impressi. Partiamo dal primo? Il primo è quel che successe quando Pintor scrisse un editoriale negli anni ’90 sulla villa con 16 bagni di Berlusconi. Perché lo consideri così importante? Per lui era come dire: non può essere una per- sona perbene. In tanta ricchezza, c’era qualcosa di sbagliato e di immorale. Lo avrebbe scritto anche mio padre. Ebbene fece un tonfo spaventoso. Prese un mare di critiche. Era successo qualcosa. Erano cambiati i valori. E il secondo episodio? È più recente. Ero in viaggio in Italia, presentavo il mio libro in un’università. Una giovane donna laureata, con tanto di master, faceva lì la segretaria in forme precarie. E cosa succede? È gentile con me, ma mi dice: «Io di quello che lei dice – che studiando, impegnandosi in un partito, in un sindacato si possa cambiare qualcosa – non credo niente». Purtroppo non è stupefacente… Quella giovane rappresenta una disperazione che la mia generazione non ha conosciuto. Vedi: mio padre fallì nella crisi del ’29. Mi ricordo ci portarono via i tappeti. Finimmo in grandi ristrettezze. A vivere in due stanze. Eppure io mi ricordo quell’orgoglio luciferino di sentirci intellettuali. Quella sicurezza che io e mia sorella avevamo. Che studiando non avremmo avuto problemi. E non li abbiamo avuti. Oggi c’è una condizione di miseria che si combina con una maggiore conoscenza. Ma non c’è più fiducia che si possa cambiare. Adesso però c’è una crisi profonda, sistemica del capitalismo. Si, posso essere d’accordo. Però la crisi della sinistra mi sembra ancora più grave. E che pensi di questi fenomeni emergenti di populismo? Dopo questa spaccatura sociale, seguita alla devastazione della sinistra, escono i populismi. Fino a che abbiamo avuto il Pci e un sindacato forte si sono avute riforme e progresso, per il lavoro e nei diritti civili. Il Pci ha prodotto grandi riforme anche dall’opposizione. Adesso saranno pure andati al governo, ma c’è stata involuzione e divaricazione nei redditi. La sinistra non c’è più. Ed escono i populismi. E di Grillo che ti sembra? A me sembra il classico qualunquismo di destra. C’è stato qualcosa che ti è sembrato di interessante, dopo l’89? Solo i movimenti. Che a te non entusiasmano… Cosa oppongo ai movimenti? Non tanto il culto dell’efficacia elettorale, che ha portato i partiti a una crisi profonda. Però hanno sacrificato il problema dell’efficacia a favore del tema della partecipazione, pure importante. Ma il problema è che non sfondano da nessuna parte. Non hanno continuità. Diventano pazzi anche solo a parlare di organizzazione. Però qualche ragione ce l’avranno a criticare i partiti? Si. Ma non è che si siano posti il tema di come essere efficaci evitando le gabbie dei partiti tradizionali, per ridare voce alla persona, alla sua complessità. alla convivialità. Posso capire la critica che ha fatto il femminismo. È vero che io fino agli anni ‘70 non ho mai scritto cominciando con io… cercavo l’obiettività delle cose. Però c’è anche il mondo. L’io non può essere la misura di tutto. E quindi? E poi questa immagine dei partiti è anche sbagliata. Il Pci era una grande medusa che respirava nella società. Stare in quel grande corpo – in quel partito pesante, come lo definì Occhetto – ti portava a incontrarti con tanti mondi, ad avere una percezione più obiettiva della società. Nei movimenti ci sono molti individualismi di gruppi. Non si lavora insieme. Ciascuno va per sé. Guarda: finirò per scrivere un elogio dei partiti. Tanto per rendermi un po’ più antipatica. Che ti sembra di questa idea che è in questo momento tornata con molta forza di abolire i gruppi dirigenti? È vero che questa idea è iniziata nel 1968 e sta venendo fuori nuovamente, dopo 45 anni. Tutti uguali. Però alla fine, quando si dice tutti uguali, ti salta fuori il leader. Dove non hai partiti, hai leader. Non gruppi, ma un uomo solo. Almeno finora è andata così. Pensi a Grillo? Io penso anche al gruppo di Ginsborg. O alle donne a Paestum, che recentemente si sono incontrate in questo modo. Nessuno in presidenza. Nessuna relazione introduttiva. Nessun vertice. Tre minuti ciascuna. Tu sei scettica? Loro sono state contente. Hanno avuto un’emozione di appartenenza. A me per la verità sembra un gran casino. Però è vero che i partiti comunisti erano organizzazioni formate da una élite, e dietro c’erano masse quasi analfabete e non educate. Oggi c’è un acculturamento di massa. Il tema quindi c’è. Ed è questo: come si può organizzare una massa acculturata. Ho detto a una giovane spagnola, a una indignata, che venivo a intervistarti. Le ho chie- sto cosa le sarebbe piaciuto chiederti. Mi ha chiesto di domandarti come fa il 99% a sconfiggere l’1%. Perché il 99% dell’umanità incassa dall’1%? Perché si è perso il primato della politica sull’economico. La politica nel Novecento ha portato il primato della uguaglianza. La politica ha perso il primato. Però attenzione: lo ha perso per effetto di una sconfitta politica. Perché è stata sconfitta l’idea di uguaglianza. Insomma, come concludiamo? Guarda: viviamo un momento tragico e interessante. Oggi c’è un massimo di divaricazione tra movimenti e istituzioni. I movimenti sono forti, ma non superano la barriera di istituzioni spiaccicate. L’Italia è forse la più disgraziata: con tutto questo parlamento schiacciato su Monti. Sei pessimista. Sì. Però penso anche che qualcosa rinascerà. Guarda: la sola ragione per cui mi dispiace di morire è non vederla. Anche perché questa volta non sarà in una società arretrata, come è stato con l’Urss. Questa volta – anche grazie a internet e alla rivoluzione delle comunicazioni – la protagonista sarà una società acculturata. E sarà diverso.