mercoledì 17 marzo 2010

Il Veneto dei padroncini suicidi

Mentre Il Sultano, impossessatosi del Paese, ha guadagnato 9 milioni di Euro in più nel 2009, i piccoli imprenditori del Veneto che affonda vengono lasciati soli e non ce la fanno. Il parere di Ferdinando Camon.


Quei Padroni generosi di sé che prosciugano la propria speranza
di Ferdinando Camon

(Avvenire, 17 marzo 2010, pag. 2)


Un giornale locale diceva ieri che sono 14 ormai, i piccoli imprenditori veneti che si sono suicidati per la crisi, nel giro di un anno. Ma uno è stato salvato in extremis, dunque restano 13. Dario Di Vico che ha appena pubblicato un saggio sulle piccole aziende, intitolato “Piccoli” (Marsilio), afferma che questi suicidati sono da considerarsi “uccisi da un senso di etica”, cioè, di senso sociale.

Sono padroni di aziende in cui il padrone non è un padrone, ma il primo dei dipendenti. E i dipendenti non sono dipendenti ma amici del padrone. E la famiglia del padrone non è separata e al di sopra delle famiglie dei dipendenti, ma allo stesso livello, spesso mescolata da relazioni di frequentazione e interdipendenza: se nasce un figlio, il padrone fa da padrino, se si sposa una figlia, il padrone è il primo invitato alle nozze. Non solo: ma alla sera, nel bar del paese, il padrone gioca a carte con i suoi dipendenti. Questo può succedere quando l’azienda ha pochi dipendenti, dieci - quindici. Se l’azienda è grossa, alle relazioni personali subentrano relazioni burocratiche: ogni dipendente è un numero, un ente astratto, e se un ente astratto ha delle difficoltà, il concretissimo padrone non se ne occupa.

Ci sono organismi super-nazionali, nell’Unione Europea, dove i massimi dirigenti economico-finanziari vivono in villaggi separati i loro figli non sono a contatto con i figli del popolo: i lamenti del popolo non devono arrivare alle orecchie dei dirigenti. Questi potenti astratti fanno la storia. Come i grandi industriali. I piccoli imprenditori fanno l’aziendina, il pezzettino di quartiere. Se il capo-aziendina fa un po’ di soldi, tutte le famiglie dei dipendenti si sentono più sicure. E’ il “capitalismo dal volto umano”. Ci sono imprenditori ex-contadini che in ufficio incollano sul muro, come un santino, la foto del padre che ha fatto i primi soldi. Da queste parti una volta è arrivato Michele Santoro con la sua troupe a filmare il miracolo: le telecamere riprendevano, e le dipendenti coprivano i macchinari perché non fossero fotografati. I macchinari son truccati con marchingegni segreti per farli rendere di più, e la tv non deve rivelarli al mondo. In questa interdipendenza padrone-dipendenti, la crisi dell’azienda, colpendo anzitutto i dipendenti, colpisce il padrone: i 13 suicidi di padroncini sono 13 suicidi collettivi. Quando uno di questi padroncini s’è ucciso i famigliari hanno scoperto che negli ultimi mesi aveva prosciugato il proprio conto corrente: dopo l’entrata della crisi continuava a pagare i dipendenti con soldi personali. Per non licenziarli.

Capitalisticamente, un padrone deve avere il coraggio di tagliare le teste, come George Clooney in “Tra le nuvole”, Tagliar le teste è un atto chirurgico: se c’è un cancro, lo asporti. Umanamente, tagliar le teste dei dipendenti è doloroso come tagliar la propria testa. Penso a questi piccoli imprenditori, padroni rimasti umani, suicidi perché gli mancano 60-100 mila euro, con pietà e stima: è un gesto sbagliato, nessuno deve uccidersi, ma nella sua imperdonabile crudeltà rivela un fondo d’amore.

Bisognerebbe salvarli. Muoiono senza dir niente. Se potessero dire qualcosa, non morirebbero più. Il Ministero dell’Industria, o come si chiama adesso, non può aprire un sito che ascolti le loro difficoltà? Lo chiamerà sito salva-aziende. In realtà è un salvavita. Perché se i padroni fossero tutti come questi, la cruna dell’ago sarebbe larghissima e i cammelli ci passerebbero a frotte.

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