mercoledì 31 marzo 2010

CAPIRE IL VOTO PIEMONTESE


Nel post-voto piemontese il main stream è considerare Grillo il nemico ed il colpevole. Siccome son sempre dalla parte del torto, non sono d'accordo...







Se il PDL dello psiconano raccoglie il 29,6% dei voti alle elezioni regionali 2010, quanti voti ha al netto? Si detrae il 12% di AN (il minimo sindacale) confluita nel PDL che però sconfluirà a breve insieme a Fini. Si arriva così al 17,6% (29,6-12). Il 17,6% si applica solo al 64,2% dei votanti, gli altri sono schede bianche, nulle, ecc. Si raggiunge così l'11,30% della popolazione elettorale italiana che vota Forza Italia, un partito minore del peso del vecchio PSI di Craxi. Un risultato raggiunto però attraverso uno sforzo disumano, con il controllo di 6 televisioni nazionali su 7, una quarantina di giornali e la peggiore opposizione d'Europa. Non male per il più amato dalla minoranza assoluta degli italiani.
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Quei grillini dei No Tav
Di Sara Menafra, Mauro Ravarino dal manifesto 31/03/2010


E a chi le chiede come ha potuto non accorgersi del fatto che il movimento di Beppe Grillo stava rosicchiando tanti consensi al centrosinistra, la governatrice uscente del Piemonte Mercedes Bresso risponde sconsolata: «Non c'erano segnali, i sondaggi non lo dicevano. È stato fuoco amico».
È andata proprio così. Il giovane medico di base Davide Bono, portavoce dei grillini a cinque stelle, col suo modo di fare neppure troppo aggressivo si prende due consiglieri e quasi il quattro per cento dei consensi. Punti decisivi per assegnare la vittoria al leghista Roberto Cota, passato col 47,32% e 1.043.318 voti, su Mercedes Bresso e il suo 46,90%, ovvero 1.033.946 suffragi. Bono ha preso 90.086 voti, cioè il 4,08%. Nulla di paragonabile all'1,43% di Sel, al 2,64% della Federazione della sinistra, per non dire dei Verdi fermi allo 0,74%. Un grimaldello decisivo per scardinare l'incerta tenuta della sinistra nella provincia di Torino e sicuramente più importante delle tante schede nulle, tirate fuori lunedì sera dalla Bresso ma già dimenticate (ma il ricorso si farà). Visto, poi, che nel 2005 Ghigo era esattamente dov'è il centrodestra ora - con meno Lega, ma questa sarebbe un'altra storia - e che al Pd mancano giusto quattro punti per la vittoria, il centrosinistra sa già contro chi puntare il dito.
Val Susa, provincia di Torino, qui il candidato del movimento 5 stelle ha incassato cifre da record: il 28,7% a Bussoleno, il 29,8% a Venaus e il 26,5% a San Giorgio (uno dei rari comuni della valle in cui la Bresso ha superato Cota, 37,2% contro 31,5%). Numeri che all'ex zarina fanno accapponare la pelle. Ma lo stupore per questo boom scema appena ci si allontana dal capoluogo, si va verso Avigliana e le montagne. In Val Susa se l'aspettavano. Prendete la folla in piazza Castello davanti al Beppe, il 14 marzo scorso. Ecco. Proprio quel giorno Alberto Perino, storico leader No Tav, fece la sua dichiarazione di voto: Davide Bono. E, ieri, la sua risposta alla domanda sul perché del risultato grillino è stata caustica, come sempre. «È chiaro: gli altri due erano per la Tav. Prima avevamo votato Rifondazione e Verdi. Poi, loro hanno tradito. I 5 stelle, invece, ragionano sulle cose concrete, come noi». E al Pd che li accusa di aver liberato il campo alla Lega? «Che dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Bono, barba e occhialini, era convinto del successo: «Conoscevamo la nostra potenzialità, in valle abbiamo avuto il sostegno dei tanti che alle amministrative hanno appoggiato le Liste civiche». Respinge le accuse del centrosinistra che lo vuole responsabile della sconfitta: «I nostri voti sono principalmente sottratti all'astensionismo e alla delusione». Gli dà ragione Giorgio Vair, vicesindaco a San Didero, 15 chilometri da Susa. Amministratore dall'85, si definisce «indipendente di sinistra». L'ultima volta è stato eletto in una delle Liste civiche che si oppongono all'alta velocità (120 consiglieri comunali sui 600 in valle): «Il voto al movimento 5 stelle è di protesta contro i poteri forti e di contenuto. È stato l'unico a parlare di un diverso modello di sviluppo».
Rifondazione a Bussoleno è passata dal 12% del 2005 al 4%. Juri Bossuto è consigliere regionale uscente del Prc, da sempre impegnato nelle lotta No Tav. «Siamo dal 1992 nel movimento, senza volerlo cavalcare. Purtroppo il nostro accordo tecnico è stato interpretato come una resa. Non era così, si trattava di opporsi a una destra razzista. Il movimento No Tav ha fatto un grave errore, i grillini non andranno mai davanti alle fabbriche». Che la responsabilità sia anche della sinistra lo ammette Sandro Plano, il presidente della Comunità montana, nel Pd ma sempre a rischio espulsione: «La colpa - lo dice con amarezza - è nostra, bisogna ritrovare lo spirito dell'Ulivo».
Le cinque stelle prendono molto persino nelle roccaforti rosse della provincia torinese. Come Collegno, dove il Pd si «ferma» al sessanta per cento dei consensi: «Lasciando da parte il 75% delle regionali 2005, siamo calati di cinque punti dalle europee dello scorso anno. C'è un calo ma non parlerei di crisi visto che il partito resta su percentuali altissime», spiega il segretario Francesco Casciano. Anche da queste parti Bono ha rosicchiato un po'. Giusto cinque punti: «Ma la Tav non c'entra, il problema è l'antipolitica. Anche perché la crisi è fortissima. E quando a settembre finiranno gli ammortizzatori sociali, qui, in quella che era la seconda zona industriale d'Europa, la situazione si farà davvero dura».


Almeno un sussulto

Valentino Parlato dal manifesto 31/03/2010

Tutto il nord dell'Italia e buona parte del sud è in mano alla destra e consolarsi con possibili eventuali conflitti tra la Lega e il Pdl è del tutto illusorio: il territorio e la televisione marciano insieme.
Queste elezioni provano che non si batte Berlusconi con gli scandali e i processi. Il paese è cambiato, viviamo in una società largamente berlusconizzata, privatizzata, e senza più fiducia nella politica, come prova la forte crescita dell'astensionismo: a destra e anche a sinistra.
Ai tempi della mia giovinezza, quando c'era il Pci si facevano convegni e aspre discussioni sullo stato del capitalismo nel paese, sui suoi mutamenti. Oggi il Pd è un partito separato dal territorio (con i lavoratori ha più contatti la Lega di Bossi), con poche e incerte idee sulla società italiana e sulla crisi che la investe, molto dura, anche per chi ha la casa di proprietà o la pensione. La popolazione giovanile è diminuita in seguito alla denatalità, e la denatalità ha a che fare con questioni molto concrete, materialissime come l'impossibilità di progettare un futuro e dunque dei figli.
Il guaio è che il Pd oggi fa politica (o crede di far politica) senza sapere dove sta. Una volta la stampa del Pci faceva inchiesta sui territori di nuova industrializzazione (ricordo di averci lavorato con Luca Pavolini), oggi si fa più attenzione alle intercettazioni telefoniche. Qualcuno, giustamente, finisce in galera, ma nulla si mette in movimento nella società. E ancora, il Pd non è neppure un partito, ma una sommatoria eteroclita di pubblici incarichi. La Lega - va detto - è oggi l'unico vero partito che ci sia in Italia.
Ma allora che fare per non lasciare che il Belpaese si avviti in questa melma, mettendo in gioco anche l'unità nazionale, proprio alla vigilia dei festeggiamenti per il suo centocinquantenario?
Dal Partito democratico ci si aspetta una mossa, un sussulto di presa di coscienza della gravità della situazione e dei pericoli che sono davanti a noi. O si pensa di cavarsela prendendosela con Grillo o accusando i NoTav della Val di Susa che l'hanno votato di aver consegnato il Piemonte alla Lega? Ma non si tratta solo del Pd (dal quale, devo dirlo, c'è poco da aspettarsi) ma anche di tutti i soggetti democratici che ancora ci sono e, aggiungerei, anche di questo nostro manifesto, che è nato da un preveggente scontro con il Partito comunista e che da quasi quarant'anni sostiene che questa società si deve e si può cambiare.
E poi, non per consolarci, in questi mesi abbiamo visto piazza piene e animate, di lavoratori in sciopero, o per denunciare il cappio sul collo dell'informazione, o per difendere l'acqua pubblica e i beni comuni. Anche la sfida di Michele Santoro ha avuto successo. Insomma, questo paese non sta tanto bene, ma è ancora vivo. Forse più di quella politica che dovrebbe rappresentarlo.

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