lunedì 12 settembre 2011

Il cerone non regge più




l'Estetica di Berlusconi

di G.Stella, dal Corriere


«Esiste un nesso indissolubile tra il corpo fisico e il corpo politico di Silvio Berlusconi», diceva il suo «cappellano» Gianni Baget Bozzo.
Anzi, aggiungeva: «Il suo messaggio fa corpo con la sua persona». Se è così, il Cavaliere visto alla festa di Atreju non ha reso un buon servizio a sé e al suo governo. Spalmando se stesso e la manovra con una dose così esagerata di cerone e di ottimismo da creare un nesso funesto. Nocivo alla credibilità sia della sua baldanza giovanile sia della manovra.
È umano il tentativo di Sua Emittenza di rallentare il più possibile lo scorrere del tempo. Lo scriveva già, angosciato, Francesco Petrarca: «La vita fugge, et non s'arresta una hora, / et la morte vien dietro a gran giornate...». E certo lui dirà di non essere il solo ad avere certe debolezze, come quella chioma artificiale che sembra una calotta dai bagliori fluorescenti bollata da Beppe Grillo col nomignolo di «testa d'asfalto». Anche Romano Prodi fu accusato di essere un po' troppo nero-crinito. E la cosa gli seccò al punto che mandò una lettera di suo pugno per lamentarsi di un articolo dove si accennava «senza se e senza ma, alla "tintura dei capelli" di Prodi». Falso, giurò: «Mai ho trattato i miei capelli con alcuna tintura, brillantina, prodotto di qualsiasi genere, naturale o sintetico».
Il Cavaliere, anzi, è addirittura convinto del valore morale del ritocco. E anche se davanti alle ironie su una aggiustatina disse «io il lifting non lo volevo fare, è stata Veronica a spingermi» (immediata smentita dell'allora consorte: «No: idea sua»), ha spiegato cosa pensa della chirurgia estetica: «Io stimo le donne che si sottopongono a queste operazioni. Sono ancora più belle, perché la loro bellezza se la sono meritata». Di più, ha teorizzato una sorta di training autogeno: «Ogni mattina davanti allo specchio io mi guardo e mi ripeto: "Mi piaccio, mi piaccio, mi piaccio". Ricordatevi: se uno piace a se stesso, piacerà anche agli altri!». E tanto ha insistito su questo punto da concedere compiaciuto ai suoi collaboratori di rivelare qualche piccolo segreto. Come quelli raccontati al Times da Massimiliano Lucci, il truccatore che secondo il quotidiano londinese gli aveva tolto «un po' di colorito arancione». Dichiarò dunque il visagista che il premier «ha una bella pelle, per lui uso una crema idratante ultraleggera Chanel e dei fondi francesi, tutto qui. Niente agli occhi: né rimmel, né quel kajal bianco, quella matita bianca dentro gli occhi che ho visto utilizzata anche per alcuni leader politici. Sul viso del presidente bastano soltanto un buon fondotinta, qualche ombra e una cipria dorata». Fondotinta che lui stesso, come rivelò una foto galeotta scattata da Alessandra Tarantino, ripassa con frequenza e mano esperta anche durante le cerimonie ufficiali fingendo di asciugarsi il viso con un fazzoletto che nasconde il tampone.
Non c'è nulla, spiegò un giorno Filippo Ceccarelli, che lui faccia per caso: «Via la cravatta (discorso del predellino), maglione sotto la giacca (operativo in Abruzzo), maglione e maniche rimboccate (operativissimo)». Va da sé che in mezzo ai giovani di Atreju della Giovane Italia si è presentato in camicia blu-nera, gajarda e sbottonata. Giovane tra i giovani. Anzi, giovanissimo tra i giovanissimi.
L'aveva già fatto, tra quei ragazzi che sente «suoi», nel 2008: «Mi fa piacere stare qui tra coetanei». E poi nel 2009. E ancora nel 2010. È un gioco che adora: «Su di me dicono molte falsità, persino che sono un vecchietto e che non mi sento bene. Ma io mi sento giovanissimo e sto benissimo». «Quando mi guardo allo specchio mi piace sentirmi giovane. Mi sento di avere 40-42 anni e faccio ancora i cento metri in un ottimo tempo». «Il mio cuore è bradicardico, perché in gioventù ho fatto un sacco di sport. Ora mi sento forte, giovane e prestante e sono pronto a innamorarmi». «In realtà di anni ne ho 35: sentite che muscoli!».
Il fatto è che i suoi, davanti a questo gioco, sorridono bonari. O si concedono al massimo una battuta, come quella che gli dedicò il Foglio di Ferrara per la penna birbante di Mattia Feltri: «Che bello il Cav. con il lifting. Non gli si darebbe più di quarant'anni. Con le attenuanti generiche, anche trentacinque». Gli altri, però, sono meno benevoli. E troppo spesso capita di trovare sui giornali stranieri vignette o giudizi come quelli del francese Le Monde : «Berlusconi è un uomo vanitoso, che cerca di mantenere un aspetto giovanile, a volte con uno zelo quasi comico».
Chi gli è vicino e gli vuole bene glielo dovrebbe dire: basta, lasci perdere il modello della Zia Marina, che «a ottant'anni siccome nessuno le diceva che era bella un giorno si è messa davanti allo specchio con un vestito a fiori e si diceva: "Marina, cume te se bela!"». Perché in fondo a quel percorso c'è solo la maschera di Wanda Osiris che a 89 anni mi ricevette assisa su una specie di trono, i capelli avvolti in un turbante rosso, le labbra rosse, le unghie rosse, le ciglia lunghissime, la pelle tirata e impiastricciata da non so quanti strati di unguenti e pomate e pareva una vecchissima bambola di cera che ormai muoveva solo la boccuccia cinguettando: «Un giorno scesi dalle scalinate con l'intera orchestra sotto la gonna del mio vestito di 36 metri di diametro! Trentasei! Oh, caro! Quanto mi amavano!». Ne vale la pena? La storia dice che i giovani possono essere incantati da certi vecchi. Si pensi a Giovanni Paolo II o Nelson Mandela, Mario Monicelli o Sandro Pertini. Tutta gente che, alla sola ipotesi di tirarsi la pelle o tingersi i capelli, l'avrebbe buttata sul ridere citando magari il medievale «Bestiario di Cambridge» dove si legge che «lo sterco di coccodrillo è usato come unguento dalle vecchie e rugose prostitute che se ne coprono il viso, ottenendo così un temporaneo rimbellimento, che dura finché il sudore non asporta la maschera».
Lo stesso Giorgio Napolitano gode d'una popolarità stratosferica, rispetto al resto del mondo politico. E tutti questi vecchi hanno avuto o hanno un immenso ascendente sui giovani «anche» perché erano e sono vecchi. Coi loro acciacchi. I loro pallori, le loro calvizie e le loro macchie bluastre. E quella loro emotività che a volte gli fa perdere il filo facendoli cedere a un singulto di commozione. Funzionano per quello: perché sono veri. Non nascondono, non mimetizzano, non abbelliscono niente. E proprio questa accettazione della propria età, dei propri limiti, delle proprie caducità di vecchi appare come testimonianza e prova di trasparenza, rigore, saggezza, credibilità: non mento su me stesso, come potrei mentirvi sul resto?
Questo è il nodo: non vorremmo che la maschera giovanilista e sempre più irreale del Cavaliere che rifiuta lo scorrere del tempo fosse letta davvero, alla Baget Bozzo, come metafora di una politica che tende a rinviare la resa dei conti. Che dopo avere nascosto per anni la crisi sotto sorrisi di smagliante ottimismo e cercato poi di posticipare i sacrifici più duri agli anni a venire, tenta di spacciare oggi per «un miracolo» una manovra che perfino osservatori non ostili, prima ancora dei mercati, hanno bollato come insufficiente. Il cerone può pure funzionare, in senso cosmetico e figurato, finché non fa troppo caldo. Ma se l'aria si fa rovente... Gian Antonio Stella

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