lunedì 25 ottobre 2010

24 ottobre 2010

Sana e robusta Costituzione

di Piergiorgio Odifreddi , fonte: Repubblica online

Le recenti dichiarazioni dei presidenti della Repubblica e della Camera spingono a riflettere, rispettivamente, sullo stato di salute della Costituzione e della legge elettorale.

Cominciamo dalla prima, che viene tirata in direzioni opposte dalle opposte forze politiche. La destra sembra considerarla ormai obsoleta e buona solo a essere stracciata, mentre il centro-sinistra la esalta e la difende in maniera acritica e aprioristica. Come sempre succede, le posizioni estreme rischiano di essere entrambe sbagliate.

Se infatti la Costituzione non è certo tutta da buttare, sarebbe difficile sostenere che debba essere preservata intatta. A cominciare dal famigerato Articolo 7, che recepiva i Patti Lateranensi nella carta di quello che avrebbe dovuto essere uno stato laico, repubblicano e democratico. I Patti si aprivano invece con un’invocazione alla Santissima Trinità, proclamavano il cattolicesimo religione di Stato, facevano un esplicito richiamo allo Statuto Albertino del 1848, recavano la firma del Duce e il marchio del fascismo, e concedevano ai cattolici privilegi in aperta contraddizione con il resto della Costituzione.

Un articolo di tal genere, solo in parte rimediato dalla revisione dei Patti del 1984, non permette certo di considerare perfetta la Costituzione che lo contiene. E le modalità che hanno portato alla sua approvazione all’Assemblea Costituente, il 25 marzo 1947, grazie al tradimento dei comunisti, che unirono il loro voto a quello dei democristiani e della destra, dimostrano a sufficienza, nel caso ce ne fosse bisogno, che la Costituzione non è piovuta dal cielo come le Tavole della Legge. E’ invece “umana, troppo umana”: cioè, politica, troppo politica.

E se è politica, è non solo possibile, ma doveroso cambiarla quando le condizioni politiche cambiano, così come sono cambiate dal 1948 ad oggi. Naturalmente, l’unico modo democratico e corretto di cambiare la Costituzione sarebbe di farla riscrivere da una nuova Assemblea Costituente. Non certo di modificarla con colpi di mano quali le riforme a maggioranza, di cui si sono macchiati sia il governo Amato nel 2001, che il governo Berlusconi nel 2005.

Ma poiché un’Assemblea Costituente dev’essere eletta in qualche modo, si ripropone immediatamente il problema della legge elettorale. Il presidente della Camera si è finalmente accorto, bontà sua, che “il partito carismatico è il miglior strumento per vincere le elezioni, ma il peggiore per governare”. Magari un giorno si accorgerà che il problema è ben più grave, e in realtà non risiede nè nel partito carismatico, nè nel giustamente vituperato porcellum. Bensì, è ormai l’intero sistema democratico occidentale a far sì che le qualità (individuali o collettive) necessarie per vincere le elezioni non siano quelle necessarie per governare.

Anzitutto, perché il gioco e l’impegno politico richiedono ormai un coinvolgimento così totale, che possono impegnarcisi soltanto coloro che non hanno nient’altro da fare, o che non sanno fare nient’altro. E poi, perché i costi e le fatiche della competizione elettorale la rendono inappetibile a coloro che non ritengono di poter ricavare benefici dall’elezione. Il risultato è di fronte agli occhi di tutti, ed è misurabile dall’infimo livello intellettuale e morale della casta dei politici professionisti.

Ma ancora più grave è l’anacronismo del sistema democratico occidentale, che si fonda sulla delega in bianco del potere politico o amministrativo a rappresentanti eletti una volta ogni cinque anni. Lo dimostrano episodi traumatici come l’attentato dell’11 settembre 2001, quando nessuno dei governi occidentali aveva avuto mandato dagli elettori di dichiarare guerra all’Afghanistan e all’Iraq, e di invaderli militarmente. O la crisi economica del 2008, quando nessuno di quei governi aveva avuto mandato dagli elettori di spendere centinaia di miliardi di dollari per salvare le banche o ristrutturare l’economia mondiale.

La complessità globale dell’economia e la rapidità dei cambiamenti richiederebbero oggi un ripensamento dell’intero sistema di rappresentanza e di partecipazione politica. Ma invece di guardare a una nuova Bretton Woods e a una nuova Yalta, noi stiamo a discutere di lodi costituzionali e di leggi elettorali: anche sul Titanic si ballava, mentre la nave affondava…

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