lunedì 26 dicembre 2011

Un De Benedetti molto preoccupato (e la relativa decodifica)



DA FRANCOFORTE UN COLPO A SALVE

di Carlo De Benedetti per Il Sole 24 Ore

Anche l'ennesimo cannone ha sparato a salve. Il D-day è passato e ormai possiamo dire che l'operazione di liquidità a tre anni effettuata dalla Bce è passata senza alcun effetto sui mercati. Le Borse sono sempre lì, gli spread sono sempre più in tensione, il cambio euro/dollaro è fermo, l'oro è fermo: in sostanza un non event.

L'offerta dell'istituto di Francoforte, 489 miliardi, è stata del resto ripartita in ben 523 istituti, quindi nella media 1 miliardo a banca. Questo era il cannone. Inevitabile che il suo effetto fosse deludente. Tanto più che l'afflusso massiccio delle banche che si sono messe in coda ha contribuito ad evidenziare una volta di più ai mercati la gravità dei problemi del settore bancario.


Non è così che si uscirà da questa crisi di fiducia. Serve ben altro. Serve invertire totalmente l'approccio. Sono sempre più convinto che le misure di austerità che, su impulso tedesco, vengono adottate in Europa per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani siano sbagliate.

C'è una autolesionistica tendenza all'avvitamento in una spirale di bassa crescita che rischia di portare guai seri all'euro e all'Europa. Il fantasma di Rudolph Havenstein, il governatore che aveva guidato la Reichsbank fino al 1923 negli anni dell'iperinflazione, aleggia ancora in Europa.

E i tedeschi proprio non riescono a liberarsene. Già all'inizio degli anni 30 il ricordo di quegli anni li indusse a non svalutare, come fecero altri paesi europei, aprendo la strada al nazismo. Lo scorso 18 Novembre Dylan Grice, analista di Société Générale, ha sostenuto questa tesi nel paper dal titolo ‘'Exorcising von Havenstein's ghost''. Una tesi interessante. Che fa capire molto della intransigenza della Germania verso una politica monetaria più accomodante.

Sono similitudini inquietanti. Non c'è un nuovo Hitler alle porte d'Europa. Ma l'avvitamento nella recessione è un'ipotesi più che probabile. Per l'Italia è possibile che l'anno che si apre possa portare a una decrescita fino al 3%. La manovra di Monti è credibile, ma non potrà che aggravare una tendenza che è già in atto da mesi. E non c'è da farsi grandi illusioni dalla spinta che potrà venire dai provvedimenti della cosiddetta "Fase due".

La grande differenza tra Europa e Usa è che gli Usa con il Tarp da 700 miliardi di euro hanno salvato le banche americane in presenza di tassi di rendimento dei treasury quasi nullo; da noi, prima o dopo, ci si potrebbe rendere conto che l'unica cosa da fare è un drastico e ordinato "taglio" di alcuni debiti nazionali tra cui anche quello italiano. Se non si vorrà arrivare a questo punto servirebbe un deciso cambio di strategia.


In Europa, quindi in Germania, e in Italia. In Europa con una politica volta a un quantitative easing massiccio, in grado di svalutare i debiti. Ben venga l'inflazione, se ci aiuterà a uscire da questo avvitamento nella spirale recessiva. Ma temo che il fantasma di Havenstein non permetterà una presa di coscienza da parte dei tedeschi su questo punto.

Ecco allora che toccherà all'Italia provare altre strade. Di certo non nuove manovre. Perché di manovra in manovra il Paese finirà in guai sempre peggiori, bruciando le sue ultime ricchezze. Le misure per la crescita dovranno essere adottate, ma anche su questo fronte non c'è da aspettarsi molto.


Ecco allora che l'unico strumento che potrebbe valer la pena tentare è quello di dare un colpo una tantum massiccio allo stock del debito. Ho letto che sul Sole se ne è cominciato a parlare. Si parla di dismissioni, di fondi immobiliari, di patrimoniali secche. Sono ipotesi che vanno approfondite.

Di certo anche oggi i mercati ci hanno dato il segno che un cambio di rotta, a livello continentale, è necessario. Prima di arrivare a un "consolidamento" del debito di mussoliniana memoria sarebbe il caso di cominciare a rifletterci molto seriamente.



La decodifica di Dagospia




Te lo immagini seduto sulla terrazza dell'Hotel Suvretta a Saint Moritz scrutando gli ultimi capitalisti italiani con le signore vestite come i panda, invece lui, Carletto De Benedetti, l'Ingegnere che a novembre ha compiuto 77 anni, non c'è.


Allora pensi che per colpa della crisi sia rimasto nella sua villa piemontese di Dogliani per farsi confondere le idee da Gad Lerner che monta la guardia alle moleste zanzare da quelle parti, ma anche li' di lui non c'e' nemmeno l'ombra. L'ultimo posto dove trovarlo resta il suo quartier generale di via Ciovassino nel cuore di quella Milano dove lo speck conta piu' dello spread e dove sono rimasti in pochi a meditare sulla crisi che nel 2012 mostrera' per intera la sua faccia diabolica.

Ed e' proprio qui che gli amici piu' intimi di quest'uomo dalla doppia cittadinanza svizzera e italiana dicono d'averlo visto uscire ieri notte con l'aria grave e preoccupata. La conferma del suo stato d'animo non arriva da "Repubblica" che ancora oggi per bocca del vicedirettore preferito Massimo Giannini esprime fieri dubbi sulle ricette del bocconiano Monti, ma da un articolo che Carletto ha scritto di suo pugno per Il Sole24Ore, il giornale di quella Confindustria che non lo appassiona piu' di tanto.


Non e' un articolo qualunque perche' dietro la prosa si sente il peso di una malinconia sotterranea che ha le sue radici nella storia personale della sua famiglia costretta dalla persecuzione nazista a lasciare l'Italia.

Carletto sente avvicinarsi tempi bui per l'Europa e non a caso il suo ragionamento va oltre il pessimismo denunciato nel 2008 quando disse sconsolato "l'Italia non conta piu' nulla, e' un Paese cancellato dai radar del mondo". Adesso la sua analisi parte dal colpo di cannone sparato nei giorni scorsi quando la BCE di Mario Draghi ha offerto 489 miliardi a 523 banche europee, una mossa che Carletto (da sempre amico del Governatore) giudica semplicemente inutile.


E lo dice senza mezzi termini: "Non e' cosi' che si uscira' dalla crisi. Serve ben altro" e aggiunge "serve invertire totalmente l'approccio. Sono sempre piu' convinto che le misure d'austerita', che su impulso tedesco, vengono adottate in Europa siano sbagliate."

A Carletto non piace scippare le parole agli altri, e come ha sempre fatto il suo lessico e' tagliente e non ha l'aria di un sermone, ma questa volta c'è qualcosa di più e di diverso perchè dopo la denuncia del "colpo a salve" sparato dal cannone di Draghi, evoca un fantasma.

E' il fantasma che ha cominciato ad attraversare l'Europa all'inizio degli anni '20 quando l'iperinflazione creò le premesse per la Repubblica di Weimar che spalancò le porte a una terribile recessione e al nazismo.

All'inizio il fantasma ebbe le sembianze di Rudolph Havenstein, il governatore della banca centrale tedesca (Reichbank) che non riuscì ad arginare la crisi del suo Paese. Secondo De Benedetti ancora oggi i tedeschi non riescono a liberarsi di quel fantasma, e per dare più forza alla sua tesi cita un documento scritto nel novembre scorso da un'analista di Société Générale che paragona l'intransigenza della Germania di oggi a quella degli anni '30 quando i tedeschi non svalutarono la loro moneta aprendo la strada al nazismo.

"Sono similitudini inquietanti - scrive Carletto - non c'è un nuovo Hitler alle porte d'Europa. Ma l'avvitamento nella recessione è una ipotesi più che probabile" e per dirla tutta è possibile che per l'Italia si arrivi ad una decrescita fino al 3%. Poi il pessimismo dell'Ingegnere lascia il posto allo scetticismo nei confronti della manovra di Monti e delle illusioni che potranno venire dai provvedimenti della "Fase due".


Per lui che ha sempre coltivato amicizie e affari con l'America, la soluzione migliore sarebbe stata quella di salvare le banche con il Tarp da 700 miliardi di euro, ma questa strada non è quella seguita per il taglio del debito italiano. Ecco allora che per allontanare il fantasma di Havenstein e di Weimar bisogna battere altre strade: "Di certo non nuove manovre, perchè di manovra in manovra il Paese finirà in guai sempre peggiori bruciando le sue ultime ricchezze".


La ricetta che Carletto descrive in maniera poco limpida è un colpo una tantum massiccio allo stock del debito con dismissioni e patrimoniali secche ("sono ipotesi che vanno approfondite"), e per concludere lancia un ultimo appello a cambiare rotta "prima di arrivare a un consolidamento del debito di mussoliniana memoria".

La letterina di Natale dell'Ingegnere, che non accetta la marmellata bipartisan di Monti e le cannonate a salve di Draghi, non contiene soluzioni miracolose e non è nemmeno un capolavoro di chiarezza.

Forse a spingerlo con la memoria dentro le pagine buie della storia è stato soprattutto il fantasma di un'Europa che lui e la sua famiglia hanno conosciuto sulla loro pelle quando le destre al potere e la tecnocrazia dei banchieri furono impotenti a frenare la grande recessione e i peggiori nazionalismi.

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