domenica 18 dicembre 2011

In ricordo di Lucio Magri




Abbiamo chiesto a Franco Astengo, che gli fu molto vicino negli anni del Manifesto-PdUP, un ricordo di Lucio Magri che andasse oltre la semplice commemorazione. Il testo che pubblichiamo, esemplare per chiarezza e linearità, conferma, semmai ce ne fosse bisogno, la necessità ormai ineludibile di un bilancio critico dell'esperienza complessiva della sinistra italiana nel Novecento che ne permetta finalmente il superamento e non come accaduto finora la mera rimozione o la riproposizione nostalgico-mitica.


Lucio Magri e l'insopprimibilità dell'eresia


di Franco Astengo, tratto dal blog "Ventolargo"

Ha varcato in piedi l’estremo confine tra la vita e la morte, sfidando fino al limite dell’umana possibilità quell’idea di razionalità illuminista che ne aveva segnato l’esistenza quasi come un segno del destino, fino a far apparire quasi “snobistica” o eccentrica la sua volontà di trasformare l’uomo e le cose: Lucio Magri, l’eretico della sinistra italiana, ci ha lasciato così confermando ancora una volta come la coerenza rappresentasse davvero il fondamento insopprimibile del suo lucido pensiero;lo svolgersi ultimo della sua vita, sul piano degli affetti privati e dell’orizzonte pubblico, non gli consentiva più di riconoscersi, solo tra gli altri come sempre.

Scriverò soltanto poche righe sul percorso politico di Lucio Magri, cercando di stare dentro ad un unico passaggio : quello che lo ha portato ad essere tra i protagonisti dell’unica eresia “da sinistra” sofferta dal più grande partito Comunista d’Occidente nella sua storia gloriosa nel corso del non dimenticabile ‘900; un’eresia che alla fine servì anche per dire che quel partito non poteva essere chiuso e spazzato via dalle dinamiche della storia, perché era stato capace di esprimere , all’interno del suo grande corpo di comunità militante di uomini e donne, una complessità di pensiero capace di affrontare l’insieme delle contraddizioni del nostro essere moderni.

La separazione del gruppo del Manifesto dal PCI, le ragioni di quell’allontanamento devono essere necessariamente riprese se vogliamo cercare di intendere sul serio l’itinerario politico collettivo che ne seguì, e di cui Lucio Magri fu assoluto protagonista.

Le questioni poste al dibattito, in quel lontano 1969 furono sostanzialmente tre:

1) La certezza, in allora, di un’accelerazione su scala mondiale, della lotta antimperialista con forti connotati socialisti. Eravamo, appunto,nel 69 avevamo dietro le spalle l’America Latina , Cuba e soprattutto il Vietnam e davanti lo spettro del comunismo che nuovamente tornava ad aleggiare per l’Europa (dopo anni di magra delle lotte operaie, salvo in Italia). Il Manifesto portava la certezza che l’accelerazione stava avvenendo parallelamente alla crisi della III internazionale, che la crescita dei movimenti antimperialisti e anticapitalisti non avevano più una testa nel movimento comunista, avevano anzi un nemico, perché con l’invasione della Cecoslovacchia, il ruolo repressivo dell’URSS appariva chiaro. Questa era la tematica internazionale che il Manifesto sollevava in quel momento opponendosi evidentemente alla fedeltà all’URSS che il partito italiano riproponeva, sia pure con qualche riserva;

2) Su scala interna il gruppo del Manifesto portò la certezza di un’accelerazione del conflitto sociale, ma anche questa certezza era sicuramente venata da un insieme di complessità. In questo senso quello che muoveva la critica alla linea del PCI era il senso acuto e drammatico della necessità di una saldatura da effettuare presto – in allora – fra modi d’essere, cultura e contenuti della parte storica del movimento operaio e gli elementi di novità di contestazione, di dialettica politica che uscivano dl ’68;

3) La terza questione era rappresentata da un’altra certezza, questa forse più solida delle altre, circa la necessità di rinnovare il Partito non solo come linea ma come modo d’essere, e questo non soltanto attraverso l’estendersi di una democrazia interna, ma soprattutto attraverso la rimessa in discussione della sua ottica “interna” e separata: riportando il suo luogo di alimentazione nelle masse, nel movimento organizzato in espressioni di politica diretta. Nasceva così la tematica che resterà peculiare del gruppo del Manifesto, del doppio binario, partito e consigli: i consigli non concepiti come struttura di sostegno al partito, ma come forma aperta e dialettica rispetto al Partito, con un’accentuazione della novità ed estensione dei soggetti sociali, dei nuovi protagonisti. Ribadendo comunque il concetto di blocco storico della rivoluzione italiana a egemonia proletaria, ma problematizzandone la concezione di “proletariato”.

Sulla base di questi tre punti, provvisti di una robusta dose di “ottimismo della volontà” si sviluppò, in coerenza, anche tutta la storia dell’inveramento politico di quelle tesi, passando dal Manifesto gruppo politico organizzato, al PdUP per il comunismo con le sue varie rotture e ricomposizioni nell’arco di un decennio, fino al rientro nel PCI valutando il peso dell’ultima svolta berlingueriana su “alternativa e questione morale”, che Magri analizzò poi con grande acutezza nel suo ultimo libro “Il sarto di Ulm”.

Gli elementi di fondo dell’idea di un rinnovamento dell’identità comunista in Occidente fornirono poi a Magri la forza e la determinazione per combattere la battaglia avverso la svolta liquidatrice della Bolognina (credo che il segno liquidatorio di quell’operazione oggi non possa più essere messo in discussione da nessuno), animando e riempiendo di contenuti il fronte del “NO”: fino alla relazione tenuta al seminario di Arco, nell’ottobre del 1990.

Una relazione ricca, importante, anticipatrice che restò come “sospesa per aria” di fronte alle posizioni divergenti di Cossutta e di Ingrao, che in quell’occasione pronunciò l’ormai famoso discorso del “gorgo”: Lucio si rese subito conto, nei minuti successivi alla conclusione del discorso di Ingrao di ciò che sarebbe accaduto: non una scissione del partito, ma una scissione con l’area vasta dei militanti. Si stavano mandando a casa , fuori dalla politica e non più recuperabili centinaia di migliaia di donne e di uomini che fino a quel momento avevano rappresentato la struttura portante della più straordinaria comunità politica militante dell’Occidente capitalistico.

Magri non si perdonò mai di non aver lottato a sufficienza contro quella deriva separatista: un rimprovero pesante che faceva a se stesso e che si intrecciava, negli ultimi tempi, con il grande dolore personale che lo affiggeva, in una dimensione come abbiamo visto, definitiva.

Quel giorno ad Arco, in una riunione aperta proprio da una relazione di Lucio Magri, chiudeva definitivamente i battenti la storia della sinistra comunista in Italia, aperta nel 1919 da Gramsci e dall’Ordine Nuovo.

L’ultimo viaggio di Lucio, alla “casa blu” di Zurigo, è apparso quasi rappresentare, a vent’anni di distanza, un drammatico suggello.


Franco Astengo, politogo e storico della sinistra, collabora con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova. E' autore di numerosissimi saggi apparsi su giornali e riviste.

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