mercoledì 7 dicembre 2011

Fra Keynes e Smith


Un po' Keynes un po' liberisti: niente dogmi contro la crisi

di Giacomo Vaciago e Andrea Monticini, dal Sole XXIV Ore




Ogni giorno, c'è un nuovo piano o una nuova ricetta per salvare l'euro: la confusione continua a regnare sovrana. Tuttavia, a ben vedere, tutte le analisi che da due anni si leggono – cioè le diagnosi dei problemi e le conseguenti proposte di rimedi – sono riconducibili alle due visioni del mondo che gli economisti definiscono rispettivamente Keynesiana e classica.

La prima scuola evidenzia l'importanza della domanda aggregata di beni e servizi, sottolineando come in particolari situazioni essa possa risultare insufficiente a garantire la piena occupazione. In queste circostanze è opportuno un intervento pubblico di sostegno alla domanda aggregata. Se tra le cause di quei problemi c'è una "aumentata preferenza per la liquidità" o un'aumentata avversione al rischio dei titoli (il che è lo stesso) è indispensabile che la Banca Centrale aumenti di altrettanto l'offerta di moneta.

A quella scuola si contrappone la visione classica che enfatizza il ruolo dell'offerta aggregata e della sua crescita: se c'è disoccupazione va migliorato il mercato rimuovendo gli ostacoli (esempio: gli oligopoli) che non permettono di avere una efficiente offerta aggregata. Inoltre, non sono solo differenti gli strumenti utilizzati, ma anche l'orizzonte temporale è diverso. I keynesiani pongono l'accento su aspetti di breve periodo, mentre i classici si concentrano sul medio periodo.

Le diverse opinioni sui due temi più controversi (emissione di eurobond ed acquisti di titoli da parte della BCE) dipendono in modo diretto da quelle due visioni. Infatti, per un keynesiano lo strumento più appropriato per uscire dall'attuale crisi di fiducia verso i debiti sovrani dell'area euro è l'aumento dell'offerta di moneta fino alla teorica totale monetizzazione dei debiti sovrani, mentre per un economista classico l'attenzione deve essere invece posta sulle riforme che possano permettere di avere maggior crescita economica e quindi maggior sostenibilità dei debiti stessi.

La questione centrale dell'attuale crisi - come ben sappiamo da molti anni - è data dai differenti livelli di produttività dell'economie dell'area euro che non permettono ad alcune economie di poter sostenere un tasso di cambio fisso con la Germania. Avendo in mente la malattia, la critica alla ricetta keynesiana è spiegabile mediante un esempio. Qualche anno fa la Parmalat di Tanzi non riusciva a reperire nuovi fondi sui mercati finanziari perchè in pesante dissesto finanziario. Una banca centrale avrebbe dovuto stampare moneta per salvare la Parmalat? Ovviamente no, perchè la gestione ordinaria della Parmalat non era in equilibrio economico/finanziario.

Quindi, tornando all'attualità, se la Bce monetizzasse il debito greco, italiano, portoghese non farebbe altro che rimandare per un po' di tempo il problema senza risolverlo. Tuttavia le riforme grazie alle quali un'economia è in grado di avere un Pil potenziale più elevato impiegano anni prima di essere effettive: questa è la critica maggiore per l'impostazione classica. Come ben si capisce, occorre – e lo sappiamo da due anni – una tempestiva applicazione di entrambe le ricette.

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