domenica 18 dicembre 2011

SE L'EURO CROLLA PER MOLTI PUO' ESSERE UN AFFARE






PRENDO I SOLDI E SCAPPO
Alberto Brambilla e Maurizio Maggi per "l'Espresso"

Il Vecchio Continente incrocia le dita e spera che laggiù, nell'Estremo Oriente, i due imperi economici stiano davvero per passarsi il testimone. Le turbolenze che hanno colpito i debiti pubblici sovrani dell'Eurozona vedono infatti il Giappone in prima linea nel vendere titoli di Stato europei, non solo quelli dei cosiddetti Stati periferici, ma pure quelli di Francia e Germania. Mentre la Cina, che già avrebbe in mano il 10 per cento del totale del debito pubblico dell'eurozona, sta alla finestra, con la Banca centrale a ragionare su un fondo destinato a investire su Bond europei e Treasury Bill americani.

L'intervento del Potere Silente è atteso con ansia, anche alla luce della reazione dei mercati finanziari all'accordo sull'unione di stabilità fiscale raggiunto a Bruxelles, con il pesante "no" della Gran Bretagna. Lunedì 12 dicembre, le Borse hanno accolto male quella che è stata definita la "riforma dimezzata": i listini azionari, a partire da Piazza degli Affari, hanno perso parecchio terreno e lo spread, il differenziale di rendimento tra il titolo di Stato decennale di Italia e Germania, è risalito a livelli preoccupanti, fino a sfiorare quota 500.
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Gli "stranieri", sia investitori privati sia istituzioni pubbliche (banche centrali, fondi sovrani) di Stati che non fanno parte dell'euro, detengono 4 mila miliardi di euro di bond emessi dalle nazioni dell'euro, su un totale di oltre 7.800 miliardi. In agosto, quando è scoppiata la bufera sui Btp, gli operatori del Sol Levante hanno venduto 13,8 miliardi di eurobond: 5,8 miliardi di Bund tedeschi, fino a quel momento considerati i più sicuri al mondo, e quasi altrettanti Oat francesi. Dopo una pausa di riflessione in settembre, la smobilitazione è ripresa in autunno, e continua.

La sola Nomura, numero uno tra le banche d'affari di Tokyo, ha ceduto oltre 2 miliardi di euro di titoli di Stato italiani e spagnoli, quasi azzerando le proprie posizioni. Il più grosso fondo d'investimento, Kukusai, il mese scorso ha pubblicamente annunciato di aver venduto tutti i titoli di Stato italiani in portafoglio. Ma a uscire dai Btp e dai "colleghi" di tutta l'eurozona non sono soltanto i niponici. Anche i grandi fondi di investimento americani, che pure nella prima metà del 2011 erano stati moderatamente compratori netti, sono saltati velocemente giù dall'eurocarro.
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E il disamore pare destinato a protrarsi. Secondo un recente studio della stessa Nomura, gli extra-euro seguiteranno a sfrondare i loro portafogli anche nei prossimi sei mesi. La più "ottimistica" ipotesi degli analisti nipponici prevede che la vendita di titoli dell'Eurozona ammonterà a 544 miliardi di euro. Se invece i tentativi di aggiustare i guasti dei debito europeo segneranno il passo, la fuoriuscita potrebbe diventare una vera e propria fuga: agli operatori privati si accoderebbero le banche centrali, con un flusso di vendite di titoli di Stato dei paesi dell'euro superiore ai mille miliardi, pari al 25 per cento del totale attualmente in mano estera.

"La mareggiata, se arriverà, non risparmierà neppure la corazzata tedesca, anche i Bund sarebbero ceduti a piene mani", sostiene da New York Yujiro Goto, analista di Nomura. Ma cosa comprano, quelli che scappano dall'euro? "La maggior parte dei soldi torna a casa e finisce nei titoli di Stato giapponesi", dice Goto. Ma nessun non giapponese può pensare di evadere dall'eurozona per far rotta su Tokio e il grande beneficiato dalla crisi del debito europeo è il biglietto verde. "Perché se si cerca riparo da un eventuale peggioramento dell'eurozona non ci sono molte alternative al dollaro", sostiene, in larghissima e buona compagnia, Alessandro Balsotti, socio di JW Partners. Persino il teutonico Bund, ritenuto solido come una roccia sino a poche settimane fa, non esercita più lo stesso rassicurante fascino.
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"Nel 2012 i titoli del debito tedesco non saranno più il rifugio sicuro per eccellenza", sottolinea da Londra l'analista di Barclays, Cagdas Aksu. La pensano allo stesso modo gli olandesi di Ing Investment Management, che di recente hanno venduto Bund a lunga scadenza e si sono parzialmente spostati su titoli dei Paesi emergenti. Secondo Christian Gattiker, capo strategia e ricerche dell'elvetica Julius Baer, tutta sta passione per il dollaro non dovrebbe spingere però Washington a fare capriole di gioia: "Lo spostamento verso i Treasury Bill sarà positivo per l'andamento dei prezzi degli stessi titoli ma non per l'economia americana, perché il peggioramento della congiuntura europea sta diventando pericolosa anche per gli Usa".


I grandi fondi d'investimento americani, che un anno fa detenevano circa un terzo del patrimonio in titoli dell'eurozona, a fine settembre 2011 avevano alleggerito la propria presenza al 19 per cento. Tra i big a stelle e strisce, chi più chi meno hanno tutti ceduto eurobond, da Citigroup a Bank of America-Merrill Lynch, con l'eccezione di JP Morgan.

E proprio sull'America fanno rotta molti dei quattrini ottenuti abbandonando la Vecchia Europa. Bill Gross, il celebre gestore del più grande fondo americano (gruppo tedesco Allianz), che a inizio 2011 aveva drasticamente ridotto i titoli di stato americani in portafoglio, preferendo i bond europei, ha fatto una brusca inversione di marcia. E si è messo pancia a terra a ricomprare T-Bill, passati in meno di un mese dal 19 al 23 per cento del portafoglio del Total Return Fund, che da solo ha un patrimonio di circa di 180 miliardi di euro.


Anche se i Bot yankee rendono pochissimo e non riescono neppure a battere l'inflazione. "In fasi come queste, a molti investitori interessa soltanto difendere il patrimonio, al rendimento non guardano proprio", sostiene Angelo Drusiani, esperto del mercato monetario di Banca Albertini-Syz. Anche dalla Gran Bretagna, che pure, attraverso le sue grandi banche internazionali è la principale detentrice di bond dell'eurozona tra i Paesi che non fanno parte del sistema monetario europeo, negli ultimi mesi hanno venduto parecchio. Nel terzo trimestre del 2011, il colosso Barclays ha smobilizzato titoli di Stato in euro per 9 miliardi, soprattutto dei paesi periferici.

E i Gilt, i titoli del Regno Unito, beneficiano dell'allontamento di molti capitali dall'euro. "Però da qualche settimana vanno di moda pure i bond e il dollaro australiani: i titoli di Stato rendono più di quelli americani e la divisa è destinata a salire", dice ancora Goto. Tra le destinazioni "concorrenti" emerge la Norvegia: "Attrae investimenti perché ha un surplus derivante dall'export di petrolio e non vive tensioni di natura politica", afferma Michael Hewson di Cmc Markets, mentre Michele de Michelis di Frame Asset Management sottolinea come sia "priva di debito".
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E gli hedge fund, simbolo vivente della speculazione, stanno sbarazzandosi pure loro dei titoli di stato dell'eurozona? "No, a vendere sono banche e assicurazioni, che per esempio in Giappone non possono acquistare titoli di Stato esteri soggetti a eccessivi rischi o volatilità", sostiene Alessandra Manuli di Hedge Invest, gestore di fondi di fondi, che aggiunge: "Gli hedge ora scommettono semplicemente contro l'euro. Ritengono che se ci saranno massicci acquisti di titoli di Stato da parte della Bce la moneta si deprezzerà. Se non lo farà, la recessione risulterà assai pesante e l'euro perderà comunque valore nei confronti del dollaro a causa della crisi". Una scommessa che sembra vinta in partenza. Anche se da mesi in tanti prevedono che l'euro rinculi, sotto le spallate della crisi del debito, e invece sta tenendo duro. Almeno per ora.

CHE AFFARE LO SPREAD PER BERLINO
Alberto D'Argenzio per "l'Espresso

C'è chi abbandona la zona euro e chi la fustiga, facendoci però una cresta miliardaria. La Germania semina il verbo della disciplina fiscale, blocca da mesi qualsiasi ipotesi di eurobond, minaccia ed addita i partner del sud, pretende riforme e contemporaneamente, in questi due anni di crisi del debito e proprio grazie a questa crisi, sta portando a casa risparmi da record: 13,038 miliardi di euro in meno sugli interessi pagati per finanziare i bund. Dall'altro lato, il piatto piange: sono 36,855 i miliardi in più che i Piigs - Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna - dovranno spendere per ripagare i loro titoli. Chi paga quantitativamente di più è l'Italia, 19,713 miliardi in più, l'1,27 per cento del Pil, 325 euro a testa, il peso, o meglio la zavorra, di una nuova manovra correttiva.


Il malato per eccellenza, la Grecia, ma anche l'Irlanda, messe rapidamente sotto l'ombrello di programmi di salvataggio e non dovendo quindi più ricorrere al mercato, pagano meno di Italia e Spagna, che invece sul mercato ci sono ancora. Caso intermedio quello del Portogallo, salvato sì, ma ben più tardi di Atene e Dublino. A fare i calcoli, certosini, è il quotidiano portoghese Diario Economico che ha analizzato la variazione dei tassi di interesse di tutte le aste pubbliche, ben 693, dei titoli di Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda dal 2008 al novembre 2011.

Comparando l'andamento degli interessi nel biennio 2008-2009, ossia delle vendite realizzate prima dello scoppio della crisi del debito, con quello 2010-2011, a euro infettato, viene fuori la fotografia di una Germania che risparmia e di un'Europa periferica che paga, vittima di spread "impazziti". Calcoli simili realizzati dal ministero delle Finanze olandese dal 2009 al 2011 dicono che i Paesi Bassi hanno risparmiato 7,4 miliardi.


"Nella zona euro si assiste effettivamente ad un trasferimento di ricchezza", sottolinea Luis Rego, giornalista del Diario Economico ed uno dei due autori della ricerca, "ma non da nord a sud, come si lamentano i cittadini tedeschi, assieme a olandesi, finlandesi e austriaci ogni volta che si parla di lanciare piani di salvataggio. I capitali si muovono da sud a nord". L'emigrazione in massa degli investitori dai lidi meno sicuri verso porti ben protetti ha permesso ai paesi più ricchi di risparmiare miliardi.

Due episodi spiegano perfettamente la dinamica. Il 7 novembre Berlino piazza titoli per 3,83 miliardi a sei mesi a un tasso dello 0,08 per cento. Due giorni dopo va ancora meglio per le casse teutoniche: 1,52 miliardi in bond a 7 anni ad una rendita del -0,4 per cento. Tassi ridicoli che si spiegano solo per la crisi che si propaga anche grazie al cocciuto no tedesco a mettere in campo l'artiglieria pesante: acquisti illimitati di titoli da parte della Bce ed eurobond.


A novembre il Tesoro vendeva i suoi Btp a 10 anni al 6 per cento e oltre. L'aria potrebbe presto cambiare. Il 23 novembre il Tesoro tedesco riusciva a vendere solo il 60 per cento dei titoli a 10 anni che voleva piazzare e poi, a inizio dicembre, Standard&Poor's minacciava di togliere la tripla A a tutto il nucleo duro dell'eurozona, Berlino inclusa. Eventualità ribadita da Moody's il 12 dicembre.

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