martedì 21 agosto 2012

Troppo tardi per imparare dai coreani.

Ilva? Il modello Hyundai Steel da: il manifesto.
Fare all’Ilva come a Dangjin, l’acciaieria della Hyundai Steel. Dove le polveri nere non si alzano perché i minerali sono coperti all’interno di hangar giganteschi. Ha ragione il «Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto a indicare una soluzione coreana per proteggersi dall’inquinamento nella loro città: è un modello positivo, per quel che ho potuto vedere con i miei occhi nel giugno scorso. Ma per il quale ci vogliono investimenti veri, una politica industriale e tempi certi. Dangjin sorge sulla costa sudoccidentale della Corea del sud, a 125 chilometri dalla capitale Seoul, non in mezzo a una città abitata. Il gruppo Hyundai ha invitato un gruppo di giornalisti a visitare questo impianto perché è considerato il fiore all’occhiello di un impero cresciuto sulla produzione e vendita di automobili. Attraverso Dangjin, la Hyundai si fa in casa l’acciaio per le proprie automobili (solo in parte per quelle costruite all’estero), come un tempo la Teksid serviva la controllante Fiat. L’amministratore delegato Yoo-Cheol Woo ci accoglie con numeri piuttosto orgogliosi e informazioni che a Taranto farebbero felici. Dal 2006, spiega Woo, l’acciaieria è «l’unica al mondo connessa all’automobile»; qui il gruppo vi ha investito ben 10 miliardi di dollari e qui si studiano nuove qualità dell’acciaio ad alta resistenza per «migliorare la sicurezza dell’automobile». Delle 8,5 tonnellate di acciaio prodotte quest’anno, la metà serve esclusivamente per la fabbricazione dei modelli Hyundai-Kia. Il processo è completo, assicurato da due moderni altoforni e un terzo in funzione dalla fine dell’anno, che porterà la produzione totale a 23 milioni di tonnellate. L’impianto ha un molo portuale lungo 1,5 chilometri, 35 chilometri di tapis roulant, una produzione di lamiere che variano da uno spessore di 1,6 millimetri ai 3 centimetri per la cantieristica navale. L’acciaio per l’auto nasce su specifiche del centro ricerche del gruppo a Namjiang, dando un vantaggio competitivo al gruppo sudcoreano. Alla domanda su come Hyundai Steel tratti l’ambiente, Woo ci suggerisce di seguire il suo vice per visitare i parchi minerali. «Compriamo quel che c’è sul mercato – spiega Woo – ma siccome vogliamo fare qualcosa di diverso, meglio se partiamo dal materiale grezzo. Il nostro obiettivo è essere unici». Non sono solo parole. Entriamo in un enorme hangar in cui sono stipate due montagne di materiale grezzo, «totalmente importato e da cui dipende per il 60-70% il costo finale dell’acciaio»: a destra, più rossiccio, è quello acquistato in Australia, a sinistra, più scuro, è quello che viene dal Brasile. I due terzi, specificano, vengono comunque dall’Australia, il resto – oltre che dal Sudamerica – anche dal Sudafrica. Tutto è rigorosamente coperto: «Se piove o c’è cattivo tempo, così non c’è nessuna dispersione nell’ambiente e la qualità del materiale viene preservata». L’impianto prevede il recupero totale dell’acqua utilizzata in produzione, la sua depurazione e quindi il riutilizzo. C’è poi un controllo dei fumi dei forni, filtrati con sistemi sofisticati per evitare che le polveri inquinanti ricadano su chi lavora e sull’area circostante. Hyundai Steel nasce cinquant’anni fa, ma è nel nuovo millennio che investimenti pesanti ne fanno un punto di riferimento nella produzione dell’acciaio mondiale. Il gruppo Hyundai sta scalando la classifica nella vendita di automobili a spese di colossi storici come General Motors e Volkswagen, producendo in Cina come negli Stati Uniti e in Sudamerica. Ma la sua vera arma segreta sta a Dangjin. Lontano, troppo lontano da Taranto. di fpaterno pubblicato il 18 agosto 2012

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