giovedì 2 agosto 2012

Bonatti e la lucertola rianimata.

Rossana Podestà con Walter Bonatti. Rossana Podestà racconta Bonatti: "Senza di lui ho perso la memoria. Mi ha insegnato a vivere libera" L'attrice ospite di Courmayeur per la giornata dedicata al grande alpinista. ENRICO MARTINET, da La Stampa. Rossana Podestà a un anno dalla morte di Walter Bonatti usa il presente. Il suo oggi è ancora con il compagno di trent’anni di vita intensa. "Non so parlare di lui con l’imperfetto, non ci riesco. A volte gli parlo, soprattutto per sgridarlo. Mi sorprendo, mentre cerco qualche foto o scritto a sbottare, “Walter, ma dove l’hai messo?”. Da quando ho perso Walter ho perso la memoria". E’ il giorno che Courmayeur, la cittadina che dopo antiche polemiche si è riconciliata con Bonatti, dedica al grande alpinista-esploratore. Rossana è vestita di bianco, camicia e pantaloni, ai piedi della palestra di roccia della Villette, con le guide e i bambini in una delle manifestazioni in onore di Walter. E racconta ai bimbi, lei appena diventata bisnonna, la storia di "Walter e la lucertola". Era attratto dalla natura? "Aveva un rapporto speciale. Gli piacevano tutti gli animali, anche gli insetti. Nella nostra casa in Valtellina lo sorpresi a rianimare una piccola lucertola. Rimasi a guardarlo in silenzio, incredula. La teneva tra le labbra, soffiava e ne schiacciava il torace con delicatezza. Respirazione bocca a bocca. Lei era come morta, era finita nel secchio della cenere che tenevamo appeso a uno spigolo in pietra della casa. Dopo un po’ la sua coda cominciò a arcuarsi, poi mosse le zampette. Insomma, tornò alla vita". E la montagna? Lei lo incontrò nel 1981 a Roma e da allora avete vissuto insieme. "Era la sua culla. Io non ne sapevo nulla di rocce e ghiacciai. La prima volta mi portò a Punta Helbronner, quindi sul ghiacciaio del Gigante. Walter cambiava carattere in montagna, si addolciva, perdeva aggressività. La ritrovava quando doveva superare difficoltà. Con la montagna aveva un rapporto di rispetto ma anche alla pari. Mi diceva sempre “non uccide, anzi ti dà sempre la possibilità di sopravvivere”. Aggiungeva, “se la capisci, ti salvi”. Non era un fatalista? "Certo che no. Credeva nel caso però. Le cose accadono. Ringrazio Iddio per non averlo conosciuto quando era alpinista. L’attesa mi avrebbe uccisa". Non vi siete incontrati per caso. "No, la storia è arcinota, io gli ho scritto, poi l’appuntamento a Roma, le nostre rispettive storie alle spalle, il nostro essere liberi e decisi a proseguire insieme. Amavo la sua libertà, il suo essere esploratore. Ho visto in lui ciò che amavo della vita". Da attrice di successo e di fama? "Il cinema mi aveva deluso. Potevo essere una grande attrice forse, ma non ho curato la mia professione. E’ stato un grande errore. Proprio il film che mi lanciò nel mondo, “Elena di Troia”, è stato il mio sbaglio. Sono seguite parti in cui era il corpo a contare, non la capacità attoriale". Walter sarebbe stato un buon attore? "No, non era capace di mentire, lo beccavi subito. Aveva il volto, voce e fisico giusti, ma avrebbe sempre e solo interpretato se stesso". Mai nessuno regista gli ha chiesto di fare un film? "No. Ha però fatto la controfigura di Kim Rossi Stuart. Eravamo qui a Courmayeur e la scena è stata girata nell’orrido di Pré-Saint-Didier. Il protagonista doveva fare un salto pazzesco da una roccia all’altra. Lo fece Walter". Lei fu attratta dalla sua capacità di viaggiare? "Certo, anche dal suo coraggio, un uomo solo immerso in una natura immensa. Amavo l’avventura. L’ultimo viaggio con lui, qunado già era malato, è stato nel deserto egiziano di Gilf Kabir. E io venivo dal deserto. Vede il caso? Ero nata a Tripoli. Mio padre Americo costruiva strade in Libia, poi diventò sindaco di Misurata e di Tripoli. Nel 1941 la fuga in Italia. Fummo tra le ultime famiglie a lasciare la Libia con un aereo Savoia Marchetti di tela candida colorata dal simbolo della Croce Rossa. Portava feriti. Un ragazzo senza gambe era sdraiato dove ero seduta e mi faceva solletico ai piedi simulando l’attacco di un topino. Avevo 6 anni, gli risposi che i topi non mi facevano paura. Atterrammo a Ciampino, in un prato verde, zeppo di fiori gialli. Non avevo mai visto un prato fiorito, ma soltanto le ombre e il verde cupo delle oasi". Walter allora passava le giornate in riva al Po. "Lo attraversava a nuoto e sognava l’avventura. E mentre io giravo “La rete” con il regista Emilio Fernandez in un’isola sperduta del Messico, lui era al K2. Ma la montagna non mi attraeva. L’ho capita soltanto con lui. E leggendo “Le mie montagne”. Bonatti è entrato nella mia vita attraverso i suoi reportage di viaggio su “Epoca”". Che cosa le ha insegnato? "A non lasciar cadere le cose per terra. Diceva “in montagna se fai così muori”. Mi ha insegnato una filosofia di vita libera nella natura". E lei a lui? "Ad aver fiducia nella vita".

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