mercoledì 2 novembre 2011

MAMMOGRAFIA? NO GRAZIE!

Il dilemma mammografia

Messa in dubbio l’utilità dell’esame quando usato come test di screening



La mammografia salva davvero la vita?

dal Corriere della Sera

MILANO – Non sempre la mammografia salva la vita. Colpiti dall’enfasi, con la quale viene proposto alle donne lo screening periodico per la diagnosi precoce del tumore al seno, due ricercatori americani hanno deciso di valutare la reale utilità dell’esame. E sono arrivati a conclusioni che qualcuno già sospettava: nella maggior parte dei casi lo screening non aiuta. Anzi: rischia di intercettare neoplasie che non avrebbero mai dato segno della loro presenza, costringendo la donna a inutili terapie. E non può essere considerato un sistema di prevenzione dei tumori (si tratta, infatti, di diagnosi precoce, perché l’esame evidenzia la malattia quando già c’è, mentre la vera prevenzione primaria punta ad evitarne la comparsa). Un sasso nello stagno che sta creando scompiglio nella comunità medica.

ANALISI DEI RISCHI - Gilbert Welch e Brittney Frankel del Dartmouth College a Lebanon, autori dello studio pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine, hanno analizzato il rischio, per una donna, di sviluppare un tumore al seno nel giro di dieci anni e quello di morirne nel giro di venti, tenendo conto dell’eventuale beneficio legato alla diagnosi precoce del tumore attraverso gli screening. Risultato: la mammografia è utile in una percentuale di donne che varia dal 3 al 13 per cento, fra quelle che si sottopongono all’esame, e semmai salva la vita soltanto a loro. Per le altre, la diagnosi precoce non influenza la sopravvivenza e per qualcuna può addirittura rivelarsi dannosa. Secondo i ricercatori, i tumori, generalmente intercettati dai test di screening, sono di quattro tipi.

QUATTRO TIPI - Il primo comprende neoplasie che crescono lentamente e possono essere curate quando danno segni di sé, senza bisogno di screening. Il secondo riguarda forme aggressive, la cui prognosi non è migliorata dalla diagnosi precoce. Al terzo appartengono tumori che non evolvono e che, in seguito alla loro scoperta, vengono poi trattati, inutilmente. Lo screening è, finalmente, utile nel caso di tumori la cui evoluzione è favorevolmente condizionata da una diagnosi precoce e da un intervento terapeutico tempestivo. Ma le persone colpite da questo tipo di neoplasia, sottolineano gli autori dello studio, sono una minoranza: una ogni mille donne sane che si sottopongono all’esame nell’arco di dieci anni. Dopo questo studio, c’è da chiedersi quale sarà il futuro dello screening mammografico (dopo che gli esperti hanno già messo in discussione quello per la prostata attraverso il dosaggio del Psa, l’antigene specifico prostatico, nel sangue che si è rivelato inattendibile nella maggioranza dei casi), alla luce anche dei costi.

DUE ANNI FA - “La polemica sull’impatto degli screening nella riduzione della mortalità è cominciata due anni fa - commenta Pier Franco Conte, direttore del Dipartimento di Oncologia all’Università di Modena-Reggio Emilia - Ed è nata dall’osservazione che, a partire dagli anni Novanta, nonostante un aumento dell’incidenza del cancro, la mortalità stava diminuendo anche dove non si facevano screening. Probabilmente per un aumento dell’efficacia delle terapie”. Non solo, ora conosciamo molto meglio la biologia dei tumori (ci sono quelli aggressivi, quelli ereditari, quelli indolenti, soprattutto nelle donne in post-menopausa) che non vengono identificati, nella loro specificità, dalla mammografia: l’esame, infatti, vede solo opacità e noduli.

LA BIOLOGIA - “Se si devono ridisegnare gli screening – continua Conte – occorrerà tenere conto della biologia del tumore”. In altre parole ci stiamo avviando verso uno “screening personalizzato”. Per esempio: per una donna giovane, che ha fattori di rischio per il tumore è più indicata una risonanza magnetica di una mammografia. “Gli screening – conclude Conte - hanno avuto, comunque, il merito di sensibilizzare la donna nei confronti del proprio corpo e della propria salute. E hanno contribuito ad aumentare l’attenzione per la prevenzione dei tumori attraverso una dieta corretta e un’attività fisica adeguata».

Adriana Bazzi
abazzi@corriere.it

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