venerdì 23 aprile 2010

RigenerAzioni - Proposta per un soggetto politico non elettorale (Parte1)

Un interessante documento presentato alla scorsa edizione di "Terrafutura" a Firenze



In questi anni abbiamo assistito a un degrado sempre più vistoso della qualità della vita politica e istituzionale nel nostro Paese, senza sapere come rispondere, frenare e invertire questo fenomeno. A scandali e forme di degenerazione, strumentalizzazione e corruzione sempre più sistematica delle istituzioni si sono alternati momenti di indignazione e ondate di antipolitica che senza modificare il paesaggio della vita pubblica si sono sedimentate in un sentimento diffuso e radicato di sfiducia e in un giudizio cinico e disincantato sulla “casta” e sul funzionamento del processo politico. Anche i movimenti sociali, l’associazionismo e le forze sindacali hanno separato i loro percorsi da quelli della rappresentanza istituzionale che si è andata sempre più inaridendo. In breve, l’Italia è diventata un Paese sempre più fatalista.


I. Partiti politici e movimenti sociali. Tra autoreferenzialità e impotenza

Il fatto è che una così bassa visione della politica produce una bassa motivazione al coinvolgimento in prima persona; contemporaneamente una partecipazione sporadica e di scarsa qualità al processo politico produce uno scarso impegno che a sua volta si “autogiustifica” in una spirale di passività, insofferenza e rifiuto.
Non mancano i segni di questa trasformazione. In Italia, come in molte democrazie storiche, è cresciuta la sfiducia verso le istituzioni e verso una ormai autoreferenziale classe politica. In quasi tutti i Paesi europei la fiducia nei politici e nelle istituzioni è andata declinando in maniera piuttosto netta negli ultimi decenni. Il dato sull’astensione nelle ultime elezioni europee del giugno 2009 è davvero impressionante: in media la non partecipazione al voto in Europa è stata poco sotto il 57%. Contemporaneamente gli iscritti ai partiti tendono a scemare ovunque. In Italia nell’ultimo decennio i partiti hanno perso oltre due milioni di iscritti. Più in generale i partiti si presentano oggi come strutture organizzative ridotte con un livello sempre più scarso di democrazia interna e una centralità crescente del leader. La stessa la progressiva spettacolarizzazione della politica ha modificato drasticamente il ruolo e l’importanza delle organizzazioni politiche di tipo tradizionale.
Certamente, a fianco di questo, abbiamo visto negli ultimi anni anche manifestarsi un impegno sociale e politico in senso più ampio da parte di uomini e donne attivi/e in circoli, associazioni, Ong, centri sociali, movimenti. Secondo Pawl Hawken, che ha avviato un impressionante lavoro di censimento, esistono al momento più di un milione di organizzazioni che operano per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale. E certamente queste realtà hanno avuto un ruolo importante – che non va assolutamente sottovalutato - nel determinare rilevanti trasformazioni politiche, sociali e culturali o nell’arrestare, almeno in parte, il degrado sociale, culturale e politico. Questo non ha frenato tuttavia nei cittadini la crescente sensazione che le decisioni che contano siano prese sopra la propria testa e talvolta contro la propria opinione e contro i propri interessi.
Nel contesto italiano, un momento chiave nell’emersione di questa contraddizione, si è avuta nel corso del 2003 quando nonostante la maggioranza della popolazione avesse espresso nei sondaggi e nelle strade la propria contrarietà alla guerra in Iraq il governo ha proceduto nel suo appoggio all’operazione militare senza tener minimamente conto del sentimento popolare.
Questo ci fa capire quanto la politica istituzionale sia divenuta sempre più autoreferenziale e – perlomeno in certi casi – impermeabile all’opinione pubblica. Tuttavia non si può evitare di riconoscere come ci sia stata una sottovalutazione nell’attività di controllo, vigilanza e giudizio sull’operato delle istituzioni e un oggettiva debolezza rispetto alla capacità di intervento in quei processi decisionali generali che riguardano la nostra vita e le sorti del nostro Paese, a partire da una delle scelte più importanti, quali la decisione di partecipare a una guerra.
A questo si aggiunge una semplificazione del quadro politico istituzionale con una deriva forzata verso forme di bipolarismo, di presidenzialismo, di spettacolarizzazione della politica, con crescenti aree di delusione e non partecipazione al voto e la scomparsa delle aggregazioni politiche ambientaliste e di sinistra radicale dall’arco parlamentare.
Questi pochi accenni bastano per ricordare la gravità del momento e per suggerire la consapevolezza che i tradizionali schemi dualistici che parlavano di “politica dal basso e politica dall’alto” diffusi tra pacifisti, no-global e alter-mondialisti, o quello “politica prima/politica seconda” avanzato da una parte del femminismo, pur avendo svolto in passato una importante funzione critica, non siano più adeguati per interpretare le esigenze e le sfide del momento attuale.
In altre parole, a prescindere dal declino sempre più evidente dei partiti tradizionali, quello che è mancato ai movimenti politici e sociali è una riflessione consapevole sull’importanza cruciale del momento “istituente” della politica, inteso sia come istituzione di significati (Cornelius Castoriadis) che come creazione di forme istituzionali che incorporino e riflettano coerentemente questi significati. Quello che è necessario dunque è una sperimentazione creativa che non si rinchiuda né nell’antagonismo verso le istituzioni né nella sottovalutazione dei processi istituzionali ma che si metta al centro del processo politico rinnovandolo alla radice nelle sue diverse dimensioni di relazione, di confronto, di autoeducazione, di conflitto, di riconoscimento, di solidarietà, di decisione.


II. Vecchi e nuovi cleavages: la trasformazione del sistema politico

Una seconda questione riguarda la difficoltà di riuscire a far entrare questioni preminenti come quelle della crisi ecologica, del riscaldamento globale, della tutela della biodiversità e dei beni comuni, della conservazione del territorio, della critica allo sviluppo, della decrescita, del governo della finalità della produzione, della rilocalizzazione della produzione e del consumo, ma anche questioni antiche e sempre riemergenti quali i fenomeni migratori, le diversità culturali e la differenza sessuale e le relazioni tra i sessi, all’interno dei programmi dei partiti e al centro dell’attività di un governo.
Ci sono probabilmente diverse spiegazioni a questa difficoltà, ma tra le altre si può prestare attenzione a un fatto. Questi temi non trovano rappresentazione non solo a causa di una sordità individuale dei politici o delle dirigenze dei partiti ma perché il sistema politico e i partiti corrispondenti sono nati storicamente attorno ad altri conflitti o cleavages che pur indeboliti continuano a stabilire i confini del confronto politico.
Il termine cleavages, usato per primo dal politologo norvegese Stein Rokkan, sta a indicare le linee di frattura, ovvero le opposizioni fondamentali che strutturano un sistema politico. Secondo Rokkan i sistemi politici europei si sono andati costruendo attorno a quattro fondamentali fratture: le prime due, nate dai processi di unificazione nazionale, sono l’opposizione centro/periferia e l’opposizione Stato/Chiesa; le altre due sono nate in seguito ai processi di industrializzazione capitalista e riguardano l’opposizione campagna/città (gli interessi legati all’agricoltura e quelli legati all’industria), e infine quella tra capitale/salariati.
Oggi queste rigide opposizioni sono sempre più inadatte a dar conto del mutamento sociale, mentre i nuovi conflitti emersi nella seconda modernità, a partire dai processi di globalizzazione, non trovano adeguata rappresentazione nello spazio politico attuale.
Quello che sosteniamo è che processi quali la globalizzazione, la crisi ecologica, i fenomeni migratori, l’informatizzazione, la trasformazione e la svalorizzazione del lavoro, la precarizzazione, la fine del patriarcato, la libertà e il protagonismo delle donne (e le resistenze che incontrano) nel lavoro e nella società, stanno creando un nuovo quadro politico che vede definirsi – seppure ancora in modo confuso - nuovi soggetti, nuove identità, nuovi valori, nuovi spazi pubblici, nuove forme di organizzazione, nuove pratiche di azione e soprattutto nuove richieste.
Da questo punto di vista il processo attuale va letto come lenta formalizzazione di nuovi cleavages, nuove fratture o opposizioni fondamentali che spingerebbero a ridisegnare gli attuali sistemi politici delle democrazie occidentali che ovviamente cercano di resistere o ritardare questo cambiamento. Oggi più di ieri una parte di questa resistenza è dovuta alla crescente ignoranza di ciò che sta davvero accadendo. Mai come oggi le classi che si auto-definiscono dirigenti sono disinformate su ciò che si muove sul terreno economico, ecologico, scientifico e persino politico-sociale, incapaci di collocare le conseguenze delle loro decisioni (o delle loro rimozioni) in una prospettiva storica o sociale più ampia, seppur tutto sommato ravvicinata.
Diventa sempre più chiaro, per esempio, il conflitto tra globale e locale, tra flussi e luoghi, tra crescita e sostenibilità, tra soggetti che vengono contrapposti e messi in competizione nel mercato del lavoro, tra generazioni attuali e generazioni future, tra le logiche della produzione e logiche della riproduzione e della rigenerazione. Queste opposizioni si mostrano talvolta attraverso soggetti definiti. Da una parte abbiamo delle élites economiche e politiche globalizzate, che si appoggiano a organizzazioni e istituzioni precise (corporations, istituzioni internazionali, WTO, BM, FMI, governi liberisti) e dall’altra le comunità locali: gente comune che è radicata nei territori e nelle città, lavoratori e lavoratrici immigrati/e o precari/e in lotta per il diritto al lavoro, ma anche lavoratori e lavoratrici della terra e soggetti economici legati alle specificità locali, movimenti di consumatori che portano avanti la tutela della qualità dei prodotti rispetto alle logiche dell’economia industriale, gruppi ambientalisti e femministi impegnati nella salvaguardia della biodiversità assieme a comunità indigene e di villaggio legate in maniera profonda all’ambiente naturale in cui vivono. In questa frattura sono in gioco interessi diversi, legati all’uso e alla distribuzione dei beni naturali, che attraversano non solo le relazioni tra Paesi ma anche il rapporto tra élites nazionali “sviluppiste” e comunità locali legate alla terra e alla conservazione del patrimonio locale o all’uso equilibrato della natura. La frattura si conferma anche sul piano dell’integrazione e della costruzione di legami. Mentre le élites globali spingono per una strutturazione di barriere materiali o immateriali – le nuove enclosures - che regolino attraverso l’accesso economico la definizione di chi è dentro e di chi è fuori, molti soggetti locali invece lottano per la conservazione di spazi e beni comuni – nuovi commons materiali e immateriali – accessibili a tutti e coltivati assieme per il bene della comunità intera. Infine la frattura definisce anche uno scontro culturale che oppone da una parte la competizione individualistica, il primato delle merci e la creazione di ricchezza economica per una minoranza e dall’altra i legami di solidarietà e cooperazione, il primato delle persone e la creazione di ricchezza sociale collettiva. Con questo non si vuole naturalmente rimuovere il fatto che questa frattura attraversa le nostre vite e noi stessi e che occorre per questo anche un processo collettivo che ci sostenga e ci accompagni nell’affrontare quotidianamente e coraggiosamente la necessaria trasformazione delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita.
Ora nei sistemi politici attuali partiti e schieramenti sono rappresentanti dei clevages storici che pur contando ancora hanno tuttavia fortemente diminuito la loro significatività. Non trovano invece posto forze politiche che assumano esplicitamente e radicalmente l’opposizione tra gli interessi delle popolazioni locali e quelli del capitale globale. Il problema maggiore è che questa nuova frattura non si aggiunge semplicemente alle altre, ma taglia trasversalmente tutte le appartenenze tradizionali e implica in questo senso una riconfigurazione completa dei sistemi politici nazionali e un superamento dello spazio politico, sindacale e culturale tradizionale.
Del resto molte delle categorie tradizionali per identificare gli schieramenti destra/sinistra sono oramai ambigue e fuorvianti. Ha ancora valore, per esempio, la distinzione conservatori e progressisti e rispetto a che cosa? Le nostalgie identitarie non colpiscono entrambi gli estremi? L’idolatria del nuovo e la continua obsolescenza del nostro patrimonio materiale e tecnologico a quale schieramento vanno imputati? Chi è a favore del libero mercato e chi dell’intervento statale? Dove collocare i difensori della crescita e dello sviluppo e coloro che parlano di decrescita e di sostenibilità? Chi difende la guerra e chi la nonviolenza? L’universalismo è di sinistra e il relativismo è di destra o viceversa? Siamo per l’uguaglianza o per il rispetto delle differenze? Siamo materialisti o post-materialisti? Fanaticamente antireligiosi o laicamente dubbiosi e curiosi? E infine, intendiamo affidare acriticamente le scelte sul nostro futuro alla presunta razionalità degli scienziati oppure visto che «i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti» pretendiamo - nell’ottica di quella che è stata definita “scienza postnormale” – che anche i non tecnici, i cittadini interessati, possano partecipare alla raccolta delle informazioni, al controllo delle valutazioni, all'assunzione di decisioni in nome non di un’“indiscutibile verità” ma più prudentemente di una possibile “saggezza”?
Sarebbe facile continuare con queste domande, ma forse sono sufficienti per ricordarci che l’attuale paesaggio politico è complesso e articolato e le categorie e le opposizioni classiche non ci aiutano granché o solo fino ad un certo punto. Per quanto cerchiamo di farci stare dentro la realtà, c’è molto, troppo, che resiste ai tradizionali schematismi. Crediamo che nuove istanze possono coagularsi e farsi spazio soltanto rompendo vecchi schemi, scindendo vecchie unità e creandone di nuove, e spesso non per contiguità ma per rimescolamenti.
Non si tratta dunque di ancorarsi a una difesa assiologica dei valori della sinistra né d’altra parte di rassegnarsi a una liquidazione e omogeinizzazione di questi valori nel senso di un adattamento pragmatico a un contesto post-ideologico (o presunto tale), ma al contrario di lottare per ridefinire il campo e la cornice che solo può dare senso a nuove opposizioni e conflitti.
Inoltre rimane da esplorare la connessione tra il ripensamento dei contenuti fondamentali della politica (quelli che Marco Revelli chiama “meta-valori”) e il ripensamento delle forme organizzative della partecipazione. Siamo convinti che l‘introduzione di questi nuovi temi richieda anche nello stesso tempo una reinvenzione delle forme dello stare insieme, del relazionarsi fra diversi e, più in generale, delle “pratiche politiche”.
Da questo punto di vista crediamo che il vero passo in avanti possa venire dal tentativo di costruire percorsi politici che mettano in discussione le vecchie organizzazioni partitiche e sindacali, non solo sui temi e sulle pratiche ma anche simbolicamente nel delineare un terreno di gioco differente, in cui parole, esperienze, pratiche magari già esistenti acquistino improvvisamente un senso e un’evidenza nuova.

:/SEGUE

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