venerdì 1 luglio 2011

Un paese grande e maledetto






DIETRO LE quinte DEL POTERE

L’insicurezza e la fragilità



Quanti degli interessi colpiti dai provvedimenti finanziari approvati ieri dal governo avrebbero fatto ricorso nei giorni scorsi, per tutelarsi, se solo avessero potuto, ai buoni uffici di Luigi Bisignani? Non lo sapremo mai. Così come non sappiamo se nel frattempo qualche emulo intraprendente magari lo ha sostituito nella sua attività. Perché comunque una cosa è certa: che i ministri della Repubblica passino le loro giornate al telefono con personaggi come Luigi Bisignani e che nella Penisola prosperi da decenni una fauna di faccendieri suoi pari non è un fatto di costume sia pure deplorevole. Tanto meno è un fatto casuale. È qualcosa, invece, che inerisce a una certa natura profonda del potere italiano, ad alcuni suoi meccanismi decisivi. Soprattutto è qualcosa che racconta più e meglio di tante analisi dotte come quel potere è sentito è vissuto da coloro che lo rappresentano: specialmente quando si tratta del potere e dei politici della destra. Non voglio dire che con la sinistra sarebbe tutt’altra musica, ma sicuramente è con la destra che certi tratti oscuri della nostra sfera politica sembrano aver acquistato un r i s a l t o e una tipicità particolari.

Nelle registrazioni telefoniche generosamente elargiteci dall’autorità giudiziaria si svela in pieno il dato decisivo: la gracilità, l’insicurezza, vorrei dire il senso di provvisorietà che abita il potere italiano. Tutto vi appare instabile, privo di vera forza, ogni equilibrio si fa e si disfa di continuo, e naturalmente sempre dietro le quinte: alleanze, rapporti d’interesse, cordate. Ogni giorno dunque è una corsa affannosa ad essere informati dell’ultimo retroscena, dell’ultimo pranzo, a sapere chi sta con chi, chi vuole nominare chi e perché. Si passa il tempo non a fare, a governare, ma a parlare, a «sapere», e poi di nuovo a parlare: dal momento che dovunque può nascondersi un’insidia, un trabocchetto, dovunque può nascere una combinazione nuova da cui non bisogna restare esclusi. Il profluvio demenziale delle dichiarazioni quotidianamente rilasciate dai politici alle agenzie di stampa e il furor maniacale con cui gli stessi compulsano ad ogni istante i cellulari che le riportano, nel terrore di perdersene una, sono lo specchio di una egemonia malata della parola sui fatti.

Anche per questa via nel potere italiano ha preso ormai a dominare la non istituzionalità. In almeno due sensi: innanzi tutto perché ciò che davvero conta, le decisioni davvero importanti, non sembrano mai seguire percorsi definiti, procedure stabilite, dipendendo invece quasi sempre da un magma di relazioni informali; ed è in questo magma, dove il merito delle cose e delle persone conta poco o nulla, che si svolge ogni giorno, fuori di ogni regola, una sotterranea battaglia d’influenze, di ricatti, di piaceri, di do ut des, nella quale esponenti dell’alta burocrazia, dell’industria pubblica e privata, i vertici della magistratura e dei vari corpi dello Stato, competono per incarichi, appalti, promozioni, nomine varie. C’è poi un secondo aspetto, più sottile e in un certo senso più g r a v e d e l l a n o n istituzionalità di cui dicevo sopra.

È il fatto che immersi nel magma dell’informalità gli stessi che sono ufficialmente investiti del governo, i ministri (o almeno la maggior parte di essi), danno l’impressione di smarrire del tutto la consapevolezza del proprio ruolo, della propria funzione di comando, e diciamo pure della dignità connessa al proprio rango, per muoversi e parlare come il più scalcagnato portaborse di Montecitorio. La ministra Prestigiacomo che simile a un povera sprovveduta chiede lumi e informazioni a Bisignani confidandogli i propri disappunti è la raffigurazione — non saprei se più patetica o drammatica— di un potere che non sa neppure di essere tale, che non crede neppure lui in se stesso, e che forse, viene da pensare, inconsapevolmente perfino si disprezza.

Sono l’insicurezza di sé e insieme la non istituzionalità diffusa, pervadente, del potere italiano, che producono come un frutto naturale la figura del mediatore, dell’intermediario, del faccendiere. Bisignani non è la patologia, è la normalità del potere italiano. È colui che sa davvero come stanno le cose, che di qualunque ambiente si tratti è a conoscenza della graduatoria aggiornata di chi conta e di chi non conta, colui che mette in contatto, che tesse gli accordi riservati, che tiene le fila, che dà le indicazioni giuste, che indirizza agli interlocutori appropriati, che segnala per ogni nomina le persone fidate. È una figura che in modi nuovi si collega a una lunga galleria di «tipi» della tradizione italiana: qualcosa a metà tra il cortigiano e l’eminenza grigia, una riedizione del «puparo» e insieme di Arlecchino servo di tutti i padroni. I tipi di un Paese che sembra condannato a incarnare in eterno un’apparenza, una «scena»: un Paese grande e maledetto dove la realtà vera non è mai quella che appare.

Ernesto Galli Della Loggia
01 luglio 2011 08:36

Nessun commento:

Posta un commento