domenica 20 marzo 2011

L'orso Knut, ucciso dalla malinconia. Impariamo da loro.



Era l'icona dello zoo di Berlino, a luglio aveva perso la "compagna" Gianna


ALESSANDRO ALVIANI

Se n’è andato all’improvviso, come all’improvviso se n’era già andato l’uomo che l’aveva allattato col biberon, sostituendosi a sua madre e facendo di lui una star internazionale: l’orso Knut è morto ieri pomeriggio a soli quattro anni sotto gli occhi di 600 visitatori dello zoo di Berlino. Il plantigrado più famoso che la Germania ricordi si è piegato su un fianco per cause ancora ignote, è caduto nella piscina della sua gabbia ed è stato trovato dai veterinari mentre galleggiava ormai privo di vita. Lunedì verrà sottoposto ad autopsia per accertare il motivo del decesso.

I tedeschi, che negli ultimi tempi avevano perso interesse per quel batuffolo bianco diventato ormai grande e avevano volto lo sguardo incantati a un’altra superstar, l’opossum strabico Heidi dello zoo di Lipsia, hanno reagito con un misto di choc e commozione. «È terribile, lo amavamo tutti», ha detto al quotidiano «B.Z.» il sindaco di Berlino Klaus Wowereit. «Di sicuro andrà in un museo», ha annunciato Heiner Klös, l’esperto dello zoo incaricato di seguirlo. Un onore postumo per un animale che come nessun altro era riuscito a conquistare prima i berlinesi, poi i tedeschi e infine il resto del mondo.

La Knut-mania era scoppiata pochi giorni dopo la sua nascita, il 5 dicembre 2006. La madre Tosca si era rifiutata di prendersi cura di lui e di suo fratello. E così lo zoo, deciso a non perdere i primi cuccioli di orso nati a Berlino da oltre trent’anni, era intervenuto: dopo la morte di suo fratello, Knut, che pesava appena 810 grammi, è stato allontanato dalla madre e affidato al veterinario Thomas Dörflein, che l’ha allattato a mano. Da allora i berlinesi hanno seguito incollati alla tv o al sito web dello zoo ogni passo di quel loro ambasciatore speciale diventato una superstar. Il 23 marzo 2007, quando fu presentato al pubblico, si contavano 500 giornalisti, tre dirette tv e un ministro dell’Ambiente arrivato apposta per trasformare l’orsetto dai passi incerti in un simbolo dei rischi legati ai cambiamenti climatici.

Knut è finito ovunque: su magliette, tazze, cartoline, sulla copertina di «Vanity Fair», al cinema, nei negozi di dischi (almeno quattro le canzoni a lui dedicate). Una mania collettiva che ha portato nelle casse dello zoo fino a sette milioni di euro di entrate supplementari e che ha finito per contagiare anche il ministero delle Finanze. La Germania ha infatti rotto per lui la ferrea regola secondo cui i francobolli possono essere dedicati solo a personaggi già deceduti e nel 2008 gli ha intitolato una serie (l’unica eccezione si era fatta per Papa Benedetto XVI).

Dopo l’improvvisa morte di Dörflein, stroncato a 44 anni da un infarto nel 2008, e dopo che Gianna, l’orsa che sarebbe dovuta diventare la sua compagna, era stata rispedita allo zoo di Monaco, Knut era rimasto solo nella gabbia con sua madre Tosca e altre due orse, Nancy e Katjuscha, che negli ultimi mesi, l’avevano attaccato più volte. È però escluso che siano state loro a provocarne la morte.

Il decesso rilancia le critiche degli animalisti. «La sua breve e tormentata esistenza - ha commentato il presidente dell’associazione per la protezione animali, Wolfgang Apel - dimostra ancora una volta che gli orsi non devono stare in uno zoo, anche se si chiamano Knut».

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