lunedì 5 marzo 2012


L’Europa uccide la madre greca

di Angelo d'Orsi, da Il Fatto Quotidiano

Si susseguono appelli per la Grecia: gli ultimi due, in ordine di tempo, assai accorati, sono di una dozzina di intellettuali francesi e di un gruppo di cittadini greci. L’uno e l’altro chiedono adesioni a livello internazionale, sottolineando la gravità della situazione, ossia individuando nella Grecia una sorta di capro espiatorio su cui i corvi della grande finanza internazionale si aggirano sperando muoia, o si sottometta a un regime iugulatorio, che espropria non solo lo Stato greco, ma l’intera popolazione di qualsivoglia diritto a una esistenza dignitosa, e indipendente.

La Grecia come modello della “nuova Europa”, davvero delle Banche, sia che Atene resti dentro il recinto dell’Unione, sia, preferibilmente, che ne esca: a quel punto si potrà persino accelerare il processo di unificazione, nel quale sta emergendo l’inedito accoppiamento tra tecnocrati e poliziotti: il potere gelido, apparentemente imparziale, dell’eurodollaro, gestito da asettici e quasi invisibili personaggi, sorretto dal visibilissimo potere del manganello: si sta facendo ricorso, dappertutto, a un impiego forsennato di forza pubblica (al servizio di interessi privati, della voce di chi è più forte), in azioni di “contenimento” sempre più dure, che vogliono sottolineare come il potere del dio denaro è intoccabile e non può essere sfiorato dal dubbio, dalla contestazione, dalla messa in discussione.

La Grecia come cavia di un esperimento che mira a costruire una società di spaventose disuguaglianze, di dominio dei ricchi sui meno ricchi, e subordinazione ed emarginazione totale dei poveri, di cancellazione del welfare, di erosione dei diritti politici e civili e, infine, di “superamento” della forma democratica, nonché di messa in mora della sua sostanza. Sì, la Grecia rappresenta un momento devastante della nostra storia, come si legge in uno di questi appelli. Come difenderla? Come difenderci? Probabilmente, in questa situazione, gli appelli, nobili e certo importanti, forse anche necessari, suonano forse già fuori tempo massimo. Mi chiedo, mentre li sottoscrivo, a che cosa possano servire. Forse più che a salvare quel paese (ma da cosa? Da se stesso? O piuttosto dalle rapaci mani della “Troika”?), mirano a salvare la nostra anima: quasi che pregassimo un qualche iddio dopo aver consumato il crimine.

Perchè di questo si tratta; e del più efferato tra i crimini: l’uccisione della madre. E v’è, in quello che sta accadendo, una sorta di paradossale, involontario richiamo alla tragedia greca: è un dramma degno di Sofocle o di Euripide questa Europa che fa a pezzi, e si accinge a sbranare la madre Europa, in nome di se stessa, della sua unità, della moneta unica, della pretesa sua identità “giudaico-cristiana” (una delle tante sciocchezze che ci hanno ammannito in questi anni: e le culture pagane, a cui erano informate tanto la Grecia quanto Roma? E la cultura islamica, che ha colonizzato ampiamente il Continente? E le culture dei tanti popoli “barbari” del Nord?).

L’Europa, insomma, cancella la sua propria scaturigine, elide la matrice da cui è sorta, uccide simbolicamente la madre Grecia, quella che addirittura ha partorito il suo nome, e il mito fondativo: la giovinetta Europa, la bellissima fanciulla rapita da Zeus sulla spiaggia di Tiro (o di Sidone, le due note città libanesi), sotto le spoglie di un bianco toro, che la portò, seduta sulla sua groppa, nel mare Egeo, giungendo fino all’isola di Creta, dove si accoppiò con lei sotto le fronde di un platano. Da loro nacquero tre figli, tra cui Minosse, che di Creta divenne re, e in suo onore, e di sua madre dai grandi occhi (tale il significato del termine, secondo un’etimologia peraltro incerta), fu dato il nome di Europa alle terre a nord del Mediterraneo.

Ebbene, ora quelle terre, guidate in modo dittatoriale da una leadership algida e feroce, sulla madre Europa gettano il peso della loro spada pesantissima, chiedendo in cambio non soltanto oro – come fece Brenno, il capo dei Galli, nella Roma conquistata e saccheggiata –, bensì il sangue e la dignità di un popolo. Che per ora è quello greco, domani sarà il nostro.

Angelo d’Orsi – da il Fatto quotidiano

(29 febbraio 2012)

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