mercoledì 7 marzo 2012

La stampa saluta Ando








RicordAndo e ripensAndo

da: La Repubblica



“…si chiamava Ando Gilardi.” “È morto?” “Non è chiaro…” (da Meglio ladro che fotografo)



La davi per morta, Ando, e forse avevi un po’ ragione, e un po’ torto, o forse volevi avere torto per aver ragione, è sempre stato un bel casino arrivare in fondo alle tue provocazioni. Forse non è morta la fotografia, Ando, e quindi non sei morto neanche tu. Non scherziamo.

Dicevi “meglio ladro che fotografo” ma sei stato il grande Lupin, il ladro gentiluomo della fotografia e della fotologia italiana, il Robin Hood che ha trafugato l’eredità di Daguerre dai saloni e dai soloni delle accademie per restituirla a tutti, soprattutto ai suoi veri eroi, i magnifici randagi anonimi della fotografia povera e di strada, i reietti, i sottoproletari delle figurine sottobanco, maleducate e irriverenti. Senza la tua celebre Storia sociale della fotografia, uscita nel 1976 e tuttora in libreria, la tua sfrontata Storia infame della fotografia pornografica, il tuo Wanted! dedicato a quella criminale, la nostra cultura dell’immagine sarebbe solo un noioso canone di busti da museo, e molte cose non sarebbero state pensabili, compreso questo blog che mi hai fatto l’onore di frequentare, e te ne sarò sempre riconoscente.

Ando Gilardi, “fotografo scalzo”, storico eretico di tutte le fotografie mai ritenute degne di storia, cultore e archivista dell’immagine umile, moltiplicata e anonima, fondatore e sfondatore di riviste memorabili e irriverenti, di te si dice te ne sia andato lunedì a novant’anni ben vissuti, nella tua casa di Ponzone, nell’Alessandrino, sulla sedia a rotelle dove troneggiavi da tempo, barba da patriarca e caffetano da guru, sempre meno mobile nel corpo e sempre più agile di mente.

Nel testamento hai chiesto nessun funerale, ma una festa di compleanno. Non hai mai rinunciato, fino alle ultime settimane, alle tue geniali provocazioni nella nuvola di Internet, di cui eri diventato da ultraottantenne un incursore irrefrenabile, titolare di un canale YouTube, “bannato” più volte per oscenità da Facebook e sempre riammesso a furor di popolo.

Come tutti gli amici di Fotocrazia sanno, eri diventato un frequentatore assiduo di questo blog, regalandoci aghi pungenti di saggezza e sana antiretorica, e un certo numero dei tuoi impagabili beffardi fotocollage, alcuni dei quali gli amici lettori e commentatori mi perdoneranno se ripropongo in questa pagina.

Imprendibile, anche ideologicamente, bolscevico e sionista, partigiano, ebreo “detestato dagli ebrei” per le tue opinioni non ortodosse sulla Shoah, raccontavi di aver preso in mano una fotocamera per rabbia e impegno quando, nel 1945, gli Alleati ti incaricarono di rifotografare immagini dei deportati nei lager nazisti, come prove per i processi.

A lungo fotografo ufficiale della Cgil di Di Vittorio, hai accompagnatoErnesto De Martino alla scoperta etnografica del Sud; fotografo pentito, sei rinato più volte giornalista e polemista, scrivevi per la rivista sindacale Lavoro, facevi il corsivista di Vie Nuove, poi il pedagogo con il gruppo Foto/gram, finché non ti sei messo a creare riviste fuori da tutti gli schemi, colte e aggressive come Photo13, dei cui giudizi, e beffe, molti portano ancora le cicatrici; o geniali e kitsch come Phototeca o Index, trionfo dell’immaginario erotico perverso e maleducato, ultrapopolare e insubordinato, da non lasciare in mano ai bambini, un repertorio infame e sublime raccolto con amore e consultabile oggi nella Fototeca Storica Nazionale che porta il tuo nome, organizzata da tua moglie Luciana e impeccabilmente curata da Elena e Patrizia Piccini, tue collaboratrici intelligenti e devote.

Critico guastafeste, autentico Franti dell’immagine, allegro distruttore di miti, creatore di immagini, sei stato tra i pochi studiosi a insegnarci che con Daguerre non è apparso al mondo un nuovo giocattolo per fabbricare belle immagini, ma un sistema di produzione di realtà, moltiplicato dalla stampa in un sistema di segni insubordinati che ha sconvolto il nostro rapporto col mondo.

Grande antidoto al luogocomunismo dell’immagine, hai affrontato a modo tuo, provocatore, paradossale, scatologico, spesso sconcertante, finto incolto (qua e là s’ode l’eco di Flusser, Benjamin, Baudrillard), con il tuo piglio debordante quanto debordiano (nel senso di Guy Debord), anche l’ennesima “morte della fotografia” (per mano digitale), che invece per te è più viva che mai, essendo morta il giorno stesso della sua nascita, quando il sogno secolare di fermare l’immagine nella camera oscura fu realizzato e placato; per rinascere però subito dopo come matrice universale dell’(in)civiltà dell’immagine riprodotta, disseminata, incontenibile. Spietato, però, sei stato con i fotografi-massa “che credono, poveretti, le fotografie di farle, e invece le consumano soltanto”.

Raramente ricordato da un milieu cultural-fotografico sempre più interno al mercatismo dell’arte, sei stato l’unico ad avere il coraggio di maltrattare la fotografia, cioè di amarla come la tua stessa vita.

Citando, forse abusivamente, uno scrittore giapponese dicevi che “anche dopo morti dobbiamo rimanere desti, dobbiamo continuare a fotografare”. Lassù la luce dev’essere davvero buona, ti sei ricordato di portare la Coolpix? Dài, Ando, facci vedere.

(Una versione di questo articolo è uscita su La Repubblica il 6 marzo 2012)






Lo scatto del partigiano addio a Ando Gilardi

Arianna Di Genova, da Il Manifesto
07.03.2012


Maestro e «agitatore» teorico. Documentò i processi ai nazi-fascisti e il sud insieme a De Martino, con i suoi braccianti e maghi. Partigiano poi fotografo e giornalista, figura di spicco dell'etnografia.


La prima foto l'ha scattata a sua cugina mentre sedeva a ciondoloni sul ramo di un melo. Poi, la fotografia è diventata la sua «magnifica ossessione» e lui l'ha vissuta da reporter sul campo ma anche da teorico e storico «anomalo» (giornalista pure), affrontando l'immagine nella sua declinazione antropologica, mai deterministica, sempre rivelatoria. Ando Gilardi, lunga barba bianca, una consuetudine a un dialogo imperniato su uno stile diretto (e spesso provocatorio) è morto a 91 anni nella sua casa di Ponzone, in provincia di Alessandria.
La notizia della sua scomparsa è stata diramata dalla Fototeca Storica Nazionale di Milano, che fondò nel 1962 insieme alla moglie Luciana Barbarino collezionando immagini «orfane», anonimi ritratti, piccole e grandi cronache quotidiane. Dobbiamo a lui, a quel «fotografo scalzo», che si fingeva quasi un barbone per non allarmare le persone, gli album etnografici del sud d'Italia: Gilardi faceva le sue spedizioni insieme a Ernesto De Martino e ha sempre raccontato che quel Mezzogiorno conosciuto nel corso di molti viaggi era sì un territorio disseminato di povertà, ma anche di affascinanti culture nate proprio da un humus sobrio e poco generoso, fiorite insomma da quella «mancanza» scontata per millenni. Maghi, braccianti, musicisti, operai appartenevano tutti allo stesso proletariato. «Ho documentato l'estinzione di quel mondo», ripeteva orgogliosamente dichiarando il suo amore incondizionato per il sud.
Nato nel 1921, partigiano durante la guerra, Ando Gilardi nel 1945 venne incaricato da una commissione inter-alleata di raccogliere testimonianze per le istruttorie dei processi ai criminali nazifascisti. Poi, negli anni Cinquanta lavorò nel settore della riproduzione delle opere d'arte e cartografò il sud per la Cgil di Di Vittorio, insieme ad antropologi come De Martino e etnomusicologi come Diego Carpitella. Infaticabile sperimentatore, è stato il responsabile tecnico di Popular Photography Italiana e il co-fondatore di Photo 13, rivista cult degli anni Settanta. È stato autore di importanti libri sulla storia sociale della fotografia, fra cui l'indimenticabile Wanted, edito nel 1978 da Feltrinelli e poi riproposto da Bruno Mondadori nel 2003. Analizzava qui i ritratti segnaletici di criminali, pazienti psichiatrici, vittime di Auschwitz, prigionieri politici, tutti quei volti anonimi (qualcuno più famoso) rimasti imprigionati in una fototessera che li ha congelati per sempre, non come individui, ma in quanto «fatti viventi». Così il volume si apriva con una dedica scanzonata ai «manigoldi con la camera oscura», ai protofotografi della polizia ma anche alle puttane, ai ladri matricolati, ai pregiudicati di varia qualità, agli anarchici e a coloro che «di faccia e di profilo posarono davanti al più fantastico strumento di omologazione dell'uomo, le macchine fotografiche della polizia». E a dimostrazione dell'apertura mentale di Gilardi, l'omaggio includeva anche Andy Warhol, l'artista che «intuì il valore della giudiziaria».
Gilardi considerava la fotografia un soggetto mutante, cambiamenti epocali, un sistema non chiuso, permeabile a qualsiasi rovescio della storia o sogno tecnologico. A chi negli ultimi anni gli chiedeva della crisi della professione del reporter rispondeva senza drammi che le agenzie non avevano più il controllo delle immagini. Grazie a internet e ai cellulari ognuno - anche un bambino di otto anni, diceva - può documentare brani di realtà per poi spedirli in quell'archivio immateriale che è la rete, condividendoli con chiunque, oppure venderli ai giornali per via diretta. Un'evaporazione delle gerarchie che Gilardi non temeva affatto, ma anzi salutava con simpatia.

Addio ad Ando Gilardi: il partigiano della fotografia


da: Corriere della Sera



1921-2012

Giornalista e polemista, fotografo della stagione neorealista,

saggista eretico, maniacale raccoglitore di fotografie, docente e

storico della fotografia per vocazione, antiaccademico di

professione. Il tutto, condito con il gusto dell’ironia e della

provocazione. Poche persone come Ando Gilardi, scomparso ieri

all’età di 91 anni, racchiudono in sé il legame tra fotografia e vita,

un rapporto indissolubile costruito su una passione

indistruttibile e su un’idea: quella della fotografia come ideologia.

Non a caso il suo volume più importante (Storia sociale della

fotografia, Feltrinelli, 1976) è stato un vero caso editoriale.

Gilardi aveva cominciato da ex partigiano raccogliendo le

fotografie della guerra e dei crimini nazisti come documenti per i

processi. Dopo essere stato un fotografo «antropologico», si era

poi dedicato a tracciare una storia di quella fotografia considerata

«marginale» (pornografia e criminale), con un gusto eretico e

diventando così un punto di riferimento.

Addio al fotografo "scalzo" Ando Gilardi

di Sergio Di Giacomo, da La Gazzetta del Sud

Il mondo della fotografia giornalistica e d'arte ha perso uno dei suoi più eclettici e geniali protagonisti, Ando Gilardi, scomparso all'età di 90 anni nella sua casa di Ponzone, nell'Alessandrino. Un artista dai chiaroscuri dai lati geniali ed "eretici", che amava definirsi "scalzo" e diceva: «la fotografia mi ha spalancato la luce, mi ha fatto capire la miseria dell'uomo».
Allievo di studiosi ed antropologi quali De Martino, Seppilli e Carpitella, storico inviato de "L'Unità", Gilardi ha avuto sempre un legame intenso con la fotografia "sociale" fin dal 1945, quando ha iniziato a raccogliere, restaurare e riprodurre fotografie del fronte italiano della guerra per i processi ai criminali nazi-fascisti. Partigiano e fotografo ufficiale della Cgil di Di Vittorio, Gilardi fu anche reporter di riviste quali Lavoro, Vie nuove, Foto-gram, per poi dare vita a progetti come la "Fototeca Storica Nazionale", il canale personale su Youtube denominato TubArt e alcune sezioni fotografiche dedicate all'erotismo d'arte. Una delle sue ultime retrospettive fu quella promossa nel giugno 2011 in occasione del suo novantesimo compleanno presso la Casa di Vetro di via Sanfelice a Milano dal titolo emblematico "Ando Gilardi. Verso Sud". La mostra curata da Alessandro Luigi Perna (History & Photography) testimoniava il suo viaggio verso piccoli e grandi centri del nostro Meridione della ricostruzione post-bellica, un reportage che il grande fotografo piemontese svolse per conto del settimanale "Lavoro" della Cgil. Un viaggio di carattere sociologico ed etnografico che immortala il passaggio dagli anni '50, facendo attenzione soprattutto ai gesti semplici e quotidiani nel mondo popolare e operaio, nell'universo dei "salariati della terra e dei contadini poveri", dei "senza niente", dei bambini e delle donne dei vicoli e dei mercati, in un panorama umano poliedrico, di attimi e volti realistici e poetici che permette di penetrare dentro le pieghe delle regioni meridionali alla ricerca di una propria identità sociale, con una particolare attenzione alla Calabria e alla Sicilia.







Ci lascia Ando Gilardi, storico della fotografia



Ando Gilardi, originalissimo critico e storico della fotografia, è morto ieri 5 marzo 2012 all’età di 90 anni. A darne notizia è un altro storico della fotografia, Michele Smargiassi, sul suo blog.

Gilardi, autore di opere originali e fuori dal coro come Storia sociale della fotografia, Wanted e Storia della fotografia pornografica, così come fondatore e direttore di riviste come Photo 13, Phototeca e Index, si è sempre distinto per l’approccio eterodosso al medium fotografico, e per la curiosità, l’acutezza e la grande ironia dei suoi punti di vista. Grande appassionato di contemporaneità, aveva seguito con interesse lo sviluppo della fotografia su internet, tanto da aprire e gestire un proprio canale youtube, Tubart.

Fonte: Fotocrazia

Ando Gilardi: l'immagine e il lavoro, un ricordo


Di Ando Gilardi pubblichiamo questo testo che ricorda gli anni di "Lavoro", tratto da "Gianni Toti, o della poetronica", edito da ETS e Casa Totiana, a cura di Sandra Lischi e Silvia Moretti. La testimonianza era comparsa sulla rivista "Photo" nel 2009


A Gianni Toti, il direttore poetronico, piacevano proprio le fotografie che chiunque avrebbe giudicato completamente sbagliate. Per accontentarlo gli insegnai a mettere dietro l’obiettivo che si svitava, una pallina di carta biascicata che causava fotogrammi stranissimi che a lui piacevano tanto, e pure a me. Ricordo che poi sostituimmo la pallina con un campanellino minuscolo che Toti agitava prima dello scatto con l’apparecchio e − dilin dilon − «...per attirare l’attenzione del soggetto − diceva − e fargli assumere una migliore espressione…».

Se qualcuno dubitasse di quello che scrivo […] digiti in Google “Gianni Toti”: gli verranno 151.000 (centocinquantunomila) risultati dove in nessuno si dice, e sembra una favola, che Gianni Toti, inventore della poesia elettronica, è stato tutto ma proprio tutto di tutto, nella sua lunga divertentissima vita, tranne che direttore del “settimanale della Cgil”.

Che quando usciva l’amico fraterno Gianni, poiché siamo stati davvero come fratelli, indossava un impermeabile simbolico e doveva portarne una copia ai dirigenti grossi e medi della Confederazione, da dove ritornava coperto di sputi, parlo sempre per simboli, perché tranne che a Di Vittorio, il nostro rotocalco non piaceva proprio per niente.

[…] Prima che redattore di «Lavoro» anche io come Gianni sono stato redattore de «L’Unità», quella di Genova, dalla quale venni espulso perché, non ancora esperto della stampa di sinistra, mi ero fatto accorgere che sapevo scrivere con fantasia. La fantasia era considerata un pericolo per l’unità dell’organizzazione . Se ci pensate capite subito che è giusto così.

Ma torniamo a «Lavoro», al volume curato da Rossella Rega, dove sono tornato a rivivere le riunioni di redazione con il responsabile della Confederazione per la stampa in generale, un vecchio commovente analfabeta, o quasi. Supplicato dai colleghi prendevo la parola perché piaceva tantissimo come parlavo.

Secondo la mia vecchia mania, citavo il poetronico per cose che non aveva mai scritto: «… non sono d’accordo con Gianni quando dice nell’ultimo numero che per l’operaio le ferie sono l’omiletica falsa liberazione di un io che resta reificato nel prodotto…». Toti ascoltava compiaciuto e annuiva più volte con la testa, anche aggiungendo qualche volta un inciso. Bella era la faccia del dirigente. Gianni Toti era già quello che oggi dicono le migliaia di siti che ne parlano e lodano. Aveva alcune idee mica male, una ad esempio sulla punteggiatura: credeva che nei testi ci volesse la virgola contando ogni cinque parole, e in tipografia quando leggeva i nomi nelle bozze, e zic! e zic! e zic!, li riempiva di virgole. Però il compositore amico mio, facilmente corrotto con alcune fotografie pornografiche, non ne teneva conto e senza rischio perché il direttore mica controllava.

«Lavoro» morì come tutta la stampa illustrata di sinistra di quel tempo è morta perché non andava dove la stampa vive se vende e vende se vive: nelle edicole. Anche per questo inventava un “lavoratore”, o peggio ancora “l’operaio”, che non esisteva e non era un essere umano. Quello vero e che io ho ben fotografato, si alzava la mattina troppo presto, faceva una magra colazione, prendeva un pentolino dalla moglie con dentro roba fredda per il pranzo − faccio l’esempio FIAT, quello classico − raggiungeva la fabbrica e lavorava sodo quattro ore. Quando suonava di brutto una sirena lui raggiungeva una sala mensa sterminata e rumorosa, ma non mangiava la roba dell’azienda, metteva il suo pietoso pentolino sopra lastre di ferro arroventate, poi ingoiava la roba intiepidita e beveva un sorso di povero vino preso in tasca. Poi ritornava al banco a lavorare e dopo troppe ore ecco che usciva e raggiungeva faticosamente casa, dove stanco morto cenava…

Ora secondo la stampa illustrata di sinistra quel disgraziato, prima di andare a letto, avrebbe dovuto leggere un giornale che gli parlava della sua vita? Ma se leggeva qualcosa semmai era «La Gazzetta dello Sport» e Dio remuneri con la Gazzetta rosa tutta la stampa sportiva che è la sola che ha fatto allora, e spero continui a fare, qualcosa di utile per i lavoratori.

Ando Gilardi



Ci lascia Ando Gilardi, storico della fotografia


Ando Gilardi, originalissimo critico e storico della fotografia, è morto ieri 5 marzo 2012 all’età di 90 anni. A darne notizia è un altro storico della fotografia, Michele Smargiassi, sul suo blog.

Gilardi, autore di opere originali e fuori dal coro come Storia sociale della fotografia, Wanted e Storia della fotografia pornografica, così come fondatore e direttore di riviste come Photo 13, Phototeca e Index, si è sempre distinto per l’approccio eterodosso al medium fotografico, e per la curiosità, l’acutezza e la grande ironia dei suoi punti di vista. Grande appassionato di contemporaneità, aveva seguito con interesse lo sviluppo della fotografia su internet, tanto da aprire e gestire un proprio canale youtube, Tubart.

IL MORTO DEL MESE.COM

DA QUALCHE PARTE NEL MONDO DELLA FOTOGRAFIA -

Ladies & gentlemen, buonasera. Oggi è morto Ando Gilardi, storico della fotografia e noto vecchio porco provocatore. Affermava cose tipo "la fotografia è morta" e fondò la Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi (vi consigliamo di farvi un giro sul sito), sorta di archivio similgoogle che contiene centinaia di migliaia di foto di qualsiasi soggetto e/o spessore artistico, tutte tassonomicamente suddivise per epoche, argomenti, cazzi e mazzi: la cosa interessante è che, a differenza del noto motore di ricerca, l'archivio è cartaceo!

Ando pubblicava libri e riviste, la gran parte dei quali era devota proprio alla diffusione della fotografia quale immagine (non erano la solita masturbazione dei libri d'arte, potevi trovarci stampata la foto di un fiore spampanato ed affianco quella di una fica spampanata). I titoli, chettelodicoaffare, erano grandiosi: Ladri Puttane & Pocodibuono, Diversi Gayesbornie & Coppie Imbarazzanti, Pelle Peli & Segni Particolari, Germania Pallido Kulo tomo II, Identiporno: al Servizio della Prostituzione, Culocrazia 2, La Puttana Artificiale, Morire di Coppia: Tutte le Tombe dell'Amore, Catastrofi Batoste Maledetta Sfiga & Soluzioni Finali, I Purulenti: l'Enteroclisma dal Tempo degli Egizi, Stronzi Razzisti Eppezziddimmerda: Stasera c'è il Pogroom e non ho Niente da Mettermi e Catalogo Completo delle Immagini dei Bordelli di ogni Tempo e Paese.

Insomma, Ando era il tizio che ci ha insegnato che la fotografia non è la fotografia, che l'arte è quella cosa che consente anche a un idiota di passare alla storia come genio, che ci sono al mondo più immagini di mosche che mosche e che ci ha dato mille altre lezioni di vita. Perché non sei rimasto con noi, Ando? Ando cazzo te ne sei annato?

LO SPECCHIO INCERTO. Tra immagine e parola
marzo 7, 2012

“Forse non è morta la fotografia, Ando, e quindi non sei morto neanche tu”


By Rosa Maria Puglisi

Il titolo di questo imprevisto post lo rubo a Michele Smargiassi, che attraverso il suo ricordo, mi dà modo di ripensare, in una maniera puntuale, al valore di una sopravvivenza, oltre al senso di perdita che umanamente mi assale alla notizia della morte di Ando Gilardi.

Un senso di perdita all’apparenza incomprensibile, non avendo con questa persona legami diretti ma solo quelli che un socialnetwork può determinare. E’ vero, la quotidiana condivisione di commenti e quant’altro si può trovare su una bacheca di facebook, a volte, può instillare dentro di noi quella sorta di senso di familiarità per il quale sembra proprio di conoscere gli altri di persona e non virtualmente; al punto di percepirli come una “presenza viva”, parte del nostro vissuto quotidiano.

Tuttavia il senso di mancanza che ci colpisce a questa notizia – credo – contenga in sé valenze melancoliche e già nostalgiche verso un messaggio di cui quest’uomo era sicuramente un raro portatore al giorno d’oggi. Un messaggio che parla di libertà di pensiero, proprio in un periodo in cui la stessa è fortemente minacciata, molto più che da censure, dalla diffusione massiccia e ridondante di stereotipi; offuscata dalla veemenza retorica di coloro che – nella cultura come nella politica – proprio nell’istante in cui si dichiarano democratici e libertari, tentano d’imporci una visione unica e definitiva delle cose.

Diversamente da costoro – come Smargiassi opportunamente ci ricorda – Ando Gilardi è stato oltre che fotografo, “storico eretico di tutte le fotografie mai ritenute degne di storia, cultore e archivista dell’immagine umile, moltiplicata e anonima, fondatore e sfondatore di riviste memorabili e irriverenti”, e ancora “critico guastafeste, autentico Franti dell’immagine, allegro distruttore di miti”. Ma soprattutto “grande antidoto al luogocomunismo dell’immagine”.

A Michele Smargiassi, dunque, cedo volentieri il compito di presentare a chi non lo conoscesse questo Maestro (nel senso più alto) che ci ha lasciato… ricordAndo e ripensAndo.

In un post di Fulvio Bortolozzo, invece, troverete – oltre alla volontà dell’autore, da me condivisa, di salutare e ringraziare Ando per il suo lascito intellettuale – un importante “monito” ai fotografi, le cui sentite parole – ripubblicate da Gilardi sulla propria bacheca di facebook in occasione del suo novantesimo ed ultimo compleanno, risalgono addirittura a un bollettino diffuso dal suo gruppo Foto/gram al Sicof del lontano 1979, rimanendo tuttavia di un’atroce attualità.

Per quanto mi riguarda, mi limiterò ad esprimere la mia riconoscenza per i dubbi che Ando Gilardi ha, in ogni modo, seminato nelle nostre menti, troppo spesso pigramente condiscendenti, offrendoci stimoli per imparare soprattutto a pensare autonomamente, fuori da quegli schemi precostituiti che servono solo ad ipotecare la nostra libertà. E a sperare che questo suo legato intellettuale possa trovare degni eredi fra quanti si occupano di fotografia.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=fGCVzUImB7M#!

p.s.

Lo avevo dimenticato: nel dicembre del 2007 avevo avuto modo di partecipare a una discussione in un gruppo di Flickr riguardo a un noto libro di Gilardi, “Meglio ladro che fotografo”. Forse a qualcuno può interessare, quindi ve la linko qui sotto: http://www.flickr.com/groups/biancoenero/discuss/72157603439117815/






Biografia di Ando Gilardi su Wikipedia


Ando Gilardi nacque ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, nel 1921. Cominciò ad occuparsi di fotografia nel 1945, subito dopo la Seconda guerra mondiale. Per conto di una commissione inter-alleata incaricata di raccogliere prove per i processi ai criminali nazi-fascisti, restaurò e riprodusse immagini belliche.

Fu fondatore della Fototeca Storica Nazionale che oggi porta il suo nome. Lavorò come giornalista prima al quotidiano l'Unità, in seguito nei rotocalchi Lavoro e Vie Nuove, proseguendo anche nell'attività di ricerca fotografica. Tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, con le sue riprese etnografiche, collaborò con Ernesto de Martino (Università di Sassari), Tullio Seppilli (Università di Perugia) e Diego Carpitella (Istituto Etnomusicale dell'accademia di Santa Cecilia in Roma).

Dal 1962 si dedica esclusivamente alla fotografia. Alla ricerca storica e all'organizzazione di mostre ed esposizioni, affianca ovviamente la pratica effettiva. Ha partecipato alla ricerca iconografica per la realizzazione delle monumentali enciclopedie Universo e Le Muse ed ha collaborato a numerose riviste del settore. È stato direttore tecnico per alcuni anni di Popular Photography Italiana, e dal 1969 al 1989 anche co-fondatore e condirettore dei periodici Photo 13, Phototeca, Index, Storia Infame..., Materiali, presso la redazione della Fototeca Storica Nazionale. Dal 1984 collabora a Progresso Fotografico con la rubrica Libri.

Nel decennio 1977-1987 ha collaborato come consulente fotografico, e svolto dei corsi per il Centro Televisivo Universitario' (CTU) della Statale di Milano diretto dal prof. Giovanni Degli Antoni e successivamente dalla dott. Patrizia Ghislandi. Negli anni successivi, Gilardi diresse la realizzazione di alcuni dei primi libri elettronici interattivi realizzati in Italia: Ipotesi di corso sulla Fotografia e Progetto Giotto su videodisco e Museum of Museums of Italian Renaissance Art, realizzato in Giappone.

Tra le opere maggiori va citata anche La Gioconda di Lvov, una mostra itinerante foto-letteraria di immagini spontanee e testi relativi ai fatti dello Sterminio, concepita in collaborazione con un affiatato gruppo di studiosi di storia e di Istituti Storici della Resistenza. Trasferitosi da alcuni anni nella sua dimora piemontese, nel paese d'origine dei genitori continua a contribuire agli studi nel campo fotografico attraverso Internet. Prosegue il suo percorso di storico dei procedimenti di fabbricazione delle immagini, sperimentando in prima persona le nuove tecniche di produzione digitale, e per due anni (2002-2004) anima lo spazio espositivo della Biblioteca Civica di Acqui Terme, La Fabbrica dei Libri, con l'allestimento di mostre didattico-artistiche a cadenza bimestrale. Attualmente è attivissimo partecipe nel mondo della comunicazione visiva attraverso la rete Internet, della quale è assiduo frequentatore. Nell’agosto 2008 crea “TubArt” il suo canale personale su YouTube. Dal 2010 anima lo spazio Facebook di nome Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi.

Muore il 5 marzo 2012 all'età di 91 anni[1].
Il gruppo Foto/gram [modifica]

Tappa fondamentale nella vita e nell'opera di Ando Gilardi fu il 1979, con la co-fondazione del gruppo Foto/gram. Durante i cinque anni successivi, questo complesso di sperimentatori composto da insegnanti e studenti svolse presso moltissime scuole italiane corsi innovativi sull'uso della fotografia nella didattica, pubblicando tre manuali ad uso degli insegnanti e realizzando la Tri-camera Obscura, una macchina fotografica per usi didattici.
Bibliografia di Ando Gilardi

Il colore nella fotografia
La fotografia dalle origini... alla fotoincisione
Fotografia macchina per insegnare
La fotografia nell'epoca della sua riproducibilità artistica (in Il Miracolo di San Samuele. Ipotesi per un museo immaginario)
Il Risorgimento italiano nella documentazione fotografica
Sillabario fotografico per la prima elementare
Storia della fotografia pornografica
Storia sociale della fotografia
Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria
Meglio ladro che fotografo. Tutto quello che dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo
Lo specchio della memoria. Fotografia Spontanea dalla Shoah a You Tube

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