giovedì 1 marzo 2012

Il ragazzo e le pecorelle




Gli insulti del manifestante e il silenzio del carabiniere


di Adriano Sofri, da Repubblica

MEGLIO lasciar stare Pasolini, era un'altra cosa, un altro tempo. Si chiamano valle tutte e due, Valle Giulia e la Val di Susa: ma la differenza è chiara, no? E poi non l'hanno mai letta la famosa poesia del "Pci ai giovani", se no non citerebbero sempre quei quattro versi, e sbagliando anche la citazione.

Era parecchio lunga, quella poesia, e se la leggessero per intero si stupirebbero di quello che dice. E comunque i manifestanti della Val di Susa non hanno per lo più "facce da figli di papà", e i poliziotti non sono più soltanto, per fortuna, "figli di poveri", venuti dalle periferie, "i tanti fratelli, la casupola tra gli orti con la salvia rossa...".

Poliziotti e militanti si assomigliano molto di più adesso, e non so quali siano andati più assomigliando agli altri, né quale conferma ne caverebbe Pasolini. Il giovane militante (dall'accento meridionale, che non è un addebito, si deve poter manifestare in qualsiasi lingua in qualsiasi punto del mondo, gli addebiti riguardano solo i comportamenti) che fronteggia sfotte e insulta il carabiniere muto è un'altra cosa anche e specialmente perché c'è una telecamera che li riprende.

Il manifestante parlava già a un destinatario di cui non vedeva la faccia, ed era inevitabile che da un certo punto in poi regolasse il suo gergo sulla telecamera che le registrava. L'episodio è stato irreparabilmente degradato dall'aggressione di ieri alla troupe del Corriere che l'aveva
ripreso.

Senza di che, immagino che la concorrenza dei programmi televisivi stesse già inseguendo manifestante e carabiniere per metterli insieme in uno studio e farli "confrontare": estraendo il giovane carabiniere dal suo scafandro e dalla sua apnea d'ordinanza, questa volta sotto l'occhio di tante telecamere professionali, che indugino su sguardi abiti e gesti, soprattutto scarpe e mani, in una parodia di quello che dovrebbe succedere davvero, senza telecamere, a una tavola d'osteria di qualunque valle d'Italia.

Allora il manifestante, che nella scena iniziale aveva il privilegio del volto scoperto, potrebbe evadere dal proprio copione, quello sì sempre uguale, e fare a meno di dire stronzo, e argomentare con minor sciatteria e miglior convinzione l'idea che poliziotti e carabinieri in servizio cosiddetto di ordine pubblico siano pagati male per fare un brutto mestiere.

Soprattutto potrebbe, il manifestante, stare a sentire che cosa ne dice il carabiniere, che magari ne ha da raccontare più di lui, sugli stadi di calcio e le famose periferie e i cortei operai e i propri fratelli e il resto. Compresa la propria ragazza, che il manifestante ha avuto l'idea malaugurata di evocare ("Le dai i bacini con questa maschera?"...).

Dopo aver deplorato la scadente arringa e l'epiteto oziosamente ripetuto di "pecorella", si può forse riconoscere, a uno che non è incappucciato e anzi si presenta col proprio nome e cognome e indirizzo di Giaveno, la voglia di tirar fuori l'altro da una bardatura che forse lo protegge, ma certo anche lo mortifica, rischia di togliergli, col diritto di parlare, l'encomiabile scelta di tacere - ieri è stato encomiato - e capovolge in una maschera sigillata, sulla linea del guardrail in cui lo Stato finisce corpo a corpo coi cittadini, gli slogan sulla trasparenza.

Pasolini, arbitro di fogge e fisionomie, aveva naturalmente detto la sua sull'abbigliamento della polizia di allora: "Guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo... umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l'essere odiati fa odiare)".

Il giovane carabiniere chiederebbe forse all'altro se sia contrario all'istituzione della polizia. Se il manifestante rispondesse senz'altro di sì, di essere contrario, di volere una società senza polizie, il carabiniere avanzerebbe fior di obiezioni: i dintorni di uno stadio di calcio, le strade di donne costrette a prostituirsi e picchiate, una periferia o un centro fra i tanti presidiati dalle forze armate di 'ndrangheta.

Se il manifestante rispondesse di ammettere l'inevitabilità di una forza pubblica ma... allora il carabiniere replicherebbe che le buone ragioni finiscono dove comincia la violenza, e che la violenza diventa una buona ragione per la propria presenza là dove l'hanno mandato così bardato, e così via.

La discussione fra i due continuerebbe chissà per quanto tempo ancora, e chissà con quanti argomenti reciprocamente interessanti, ma noi lasciamoli lì seduti ad accapigliarsi e spiegarsi, e torniamo al punto di partenza. A Pier Paolo Pasolini che, attenzione!, nella famosa poesia diceva anche ai giovani: "Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia". Sentito? E addirittura "ovviamente".

E poi li rimproverava perché non se la prendevano con la magistratura: "Ma prendetevela con la Magistratura, e vedrete!". Vedete dunque quanto tempo è passato, e che scherzi gioca la memoria ai citatori. Nessuno si è sognato di citare Pasolini l'altro giorno, quando si è preteso di impedire a Gian Carlo Caselli di parlare. L'essere odiati fa odiare.

Se proprio si vuole, di tutti quei versi "francamente brutti" che Pasolini giustificò come una "captatio malevolentiae", una provocazione che lo facesse prendere in conto dagli strafottenti giovani di allora, se ne usi un paio banalissimo, piuttosto che menar le mani, e anche dopo averle menate: "In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, cari".



(01 marzo 2012)


“Pecorella”, per giudicare va analizzato il contesto


di Simone Perotti, da Il Fatto Quotidiano

Il monologo dell’attivista No-Tav ripreso da Corriere Tv l’altro ieri ha destato grande scalpore. Un manifestante irride un carabiniere in assetto anti sommossa chiamandolo “pecorella”, dicendogli che è un “illegale” perché ha il volto coperto e nessun numero o nome per essere identificato. Il manifestante dice invece il suo, con tanto di indirizzo. La lotta è impari: uno provoca, l’altro ha la consegna di non reagire. Uno ha mille ragioni per essere arrabbiato e qualche scusa per esagerare, l’altro, che esegue gli ordini per pochi soldi al mese, fa pena. E l’Italia si divide.

Torna alla mente, subito, l’orazione di Pierpaolo Pasolini dopo gli scontri di Valle Giulia, Università di Roma, 1° marzo 1968, esattamente quarantaquattro anni fa. Quel giorno l’intellettuale comunista Pierpaolo Pasolini prese tutti in contropiede schierandosi coi poliziotti: “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché (…) sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. (…) E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida che puzza di rancio fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente, e lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese). (…) Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo (…) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all’altra classe sociale. (…) Voi, amici (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque”.

Cosa direbbe oggi Pasolini, guardando e ascoltando le immagini di quel monologo? Non lo sapremo mai, e per la genialità che lo contraddistingueva non possiamo neppure tentare d’intuirlo con qualche successo.

Certo quei poliziotti oggi non sono più poveri dei manifestanti, non necessariamente. Anzi. Giovani contro giovani, come allora, hanno comunque un lavoro, cosa che per il 30% dei casi in questo Paese è un miraggio, almeno sotto i trent’anni. Né fronteggiano ricchi rampolli universitari come allora, ma gente di ogni tipo, dai valligiani agli agricoltori come Abba, dai lavoratori manuali di vario genere agli impiegati, professori universitari e via così. Quei poliziotti non sono più vestiti male come nel ‘68, sembrano invece dei marziani, hanno bardature all’avanguardia, usano attrezzature costose, mentre ogni giorno veniamo a sapere che mancano strumenti e mezzi per l’azione di contrasto alla mafia e alla criminalità.

Come quarantaquattro anni fa le forze dell’ordine devono obbedire agli ordini, ma troppe cose sono accadute, anche recentemente, perché questo basti a renderli del tutto impermeabili alle critiche: dai pestaggi di Napoli a quelli di Bolzaneto, dai misteriosi incendi intorno al blocco dei No-Tav alle manganellate e ai gas gratuiti (e vietati) alla stazione di Torino, tre giorni fa, mentre ben 75.000 manifestanti tornavano dopo una giornata pacifica, importante, bellissima. Troppe cose, tutte rimaste senza colpevoli, senza scuse, impunite, in un diffuso sentimento di permissivismo, ingiustificato da una tensione sociale che oggi non è più quella di allora.

Questo non è un Paese democratico solo per chi deve accettare l’inutile, costosa e dannosa Alta Velocità, ma soprattutto per le forze dell’ordine. Un manifestante violento va punito, può forse screditare il suo movimento. Un poliziotto violento scredita il Paese e la democrazia, dunque danneggia tutti.

A Valle Giulia si manifestava, in Val Susa si resiste. Le motivazioni di queste due azioni e reazioni lontane quarantaquattro anni sono opposte. Qui sono le forze dell’ordine a scortare un’invasione industriale sbagliata, dannosa, assurda. Ma non basta.

Sono le forze dell’ordine ad aver incendiato, ieri l’altro, le macchine dei manifestanti e i capannoni intorno al blocco No-Tav? Vorremo saperlo, ci serve di saperlo per giudicare meglio l’inutile e potenzialmente dannoso monologo di scherno al carabiniere. Per farlo dobbiamo avere una fotografia ampia, occorre citare le cariche della polizia a Porta Nuova (qualcuno dice comandate da quello Spartaco Mortola che guidò l’assalto alla Diaz a Genova e ora è stato promosso Vice Questore di Alessandria), al termine di una giornata pacifica, tre giorni fa, e che sono la premessa a molta tensione, forse anche la causa di altri scontri, e in cui le forze dell’ordine non sono prive di responsabilità. Il monologo, che pure non mi piace e avrei impedito o almeno condannato se fossi stato negli organizzatori, va inserito in un quadro assai più complesso, perché giudicare un fatto è semplice, capire cosa sta accadendo nel suo insieme lo è molto meno.

Oggi, in piena crisi finanziaria, mentre non c’è denaro per i servizi sociali e per i bisognosi, e soprattutto in piena crisi del modello di sviluppo da perseguire per il Paese, viene sempre più difficile, a chiunque, non solidarizzare con chi dedica il suo tempo, la sua vita, la sua gioventù per impedire un altro grave scempio economico e naturale che in molti, da tutte le direzioni, indicano come assurdo, suffragati dalle ricerche e dai dati diffusi dal Sole 24Ore e appoggiati da centinaia di professori universitari che hanno scritto e firmato un’inutile lettera al presidente Napolitano.

“Io sto con loro, e vorrei che il Paese si occupasse di questo, che è molto più grave di uno stupido monologo in televisione”, direbbe forse Pasolini.

Nessun commento:

Posta un commento