mercoledì 29 maggio 2013

Ci lascia Franca, la nostra anima bella.

Avevo diciotto anni. Ero appena arrivata a Milano da Roma.Amavo il teatro perchè ero stata educata fin da bimba a frequentarlo, a Roma, agli spettacoli dei migliori: Eduardo, la Compagnia dei Giovani, Buazzelli,Strehler, Brecht.A Milano sono diventata subito assidua della Palazzina Liberty occupata da Franca e Dario con la loro compagnia "La Comune" e con loro mi si è aperto un nuovo orizzonte sul teatro, come scuola di vita e visione del mondo. Che donna strepitosa Franca, strepitosamente bella ed intensa, che compagna. Grazie di quanto ci hai dato, ora è un dolore lasciarti ma come De Andrè diceva e come si pensa di tutti i grandi: " Meglio lasciarci che non esserci mai incontrati". «Mi è morta tra le braccia». Dario Fo racconta gli ultimi istanti di Franca. Li ripete a se stesso quasi a convincersi che sia accaduto davvero. «Si era alzata come tutte le mattine. Forse più affaticata del solito, la notte aveva tossito tanto. Ma insomma, era in piedi. Come sempre preoccupata per me, che la valigia fosse pronta, che non dimenticassi niente. Sarei dovuto partire per Verona, per le prove dello spettacolo su Maria Callas che avevamo scritto insieme e che avrei dovuto interpretare sabato all'Arena. Ma poi d'un tratto le manca il fiato. Franca! Che succede?! Mi guarda come per chiedermi aiuto. Respira! le grido. Respira forte! Non ce la fa, il suo petto si solleva sempre più lento. Quando arriva l'ambulanza è ormai fermo. I medici provano in ogni modo a rianimarla. Ma lei non c'era già più». Difficile credere a quelle parole: Franca non c'è più. Dopo sessant'anni insieme, come pensare a un domani da solo quando si è sempre stati in due? Dario e Franca, Franca e Dario. Più che una coppia, una cosa sola. Come Filemone e Bauci, due grandi alberi con radici e rami intrecciati. LETTERA D'AMORE PER DARIO. di Franca Rame | 30 gennaio 2013. CHI È DI SCENA… Sono nata nel 1929. Quando ero piccola, sette, otto anni, mi veniva in testa un pensiero che mi esaltava: morire. Quando morirò? Com’è quando si muore? Come mi vestirò da morta? Forse mamma mi metterà quel bel vestito che m’ha cucito lei di taffetà lilla pallido orlato da un bordino di pizzo d’oro. “Sembri un angelo! Quanto è bella la mia bimba che compie gli anni!” mi diceva. A volte mi stendevo sul lettone di mamma: vestito, calze, scarpe, velo bianco in testa, una corona del rosario tra le mani poste sul petto (tutta roba della Cresima), felice come una pasqua aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare e si spaventasse…scoppiando in singhiozzi. “E’ mortaaa! Franchina è mortaaaaa?!” E tutti a corrermi intorno piangendo…arrivavano i vicini, il prete e tutti rosariavano in coro. Arrivasse un cane di un cane. Nessuno spuntava. Nell’attesa mi addormentavo. Al risveglio ero incazzata nera. “La prossima volta vi faccio vedere io!” bisbigliavo minacciosa. Poi mi sgridavo: “Cattiva, sei cattiva!!! Dare un dolore così grande alla tua mamma. Vergognati! Con tutti il bene che ti vuole…” “Ascoltami Franchina… – mi diceva mamma – ci sono delle regole nella vita che vanno rispettate, ogni giorno: non poltrire nel letto, la prima cosa che devi fare, come apri gli occhi è sorridere. Perché? Perché porta bene. La seconda correre in bagno, lavarti con l’acqua tiepida, orecchie comprese, velocemente, vestirti. Far colazione e via di corsa a scuola. Salutare con un sorriso le persone che conosci, se aggiungi al sorriso un ciao-ciao con la manina è ancora più gentile. Non dare confidenza ai maschi. Tenerli a rispettosa distanza. Non accettare dolci o regali da nessuno…specie se uomini. Non parlare mai con gli estranei. Mi raccomando bimba, non prendere freddo, d’inverno sempre la cuffietta di lana all’uncinetto con i pom-pom rosa che ti ha regalato la zia Ida…gli stivaletti rossi di Pia (mia sorella maggiore) che non le entrano più. Ti voglio bene-bene-bene.” Lo ripeteva tre volte con ardore perché mi si inculcasse bene nel cervello. “Fai attenzione a tutto…come attraversi la strada…guai se vai sotto a una macchina. Ti rompi tutta…ricordati che ci ho messo nove mesi a farti!” Me ne andavo felice…Un po’ soprappensiero per quei nove mesi di lavoro per la mia mamma a farmi. E’ stata impegnata per un bel po’ di tempo…tutti quei mesi! La vedevo intenta a mettere insieme i pezzi. Ma dove li prendeva? Forse c’eran dei negozi nascosti che li vendevano: “Vorrei due gambette con i piedini, due braccine con le manine, un corpicino, la testolina no…ho una bellissima bambola lenci di quando ero piccola…ci metto quella. “Chiederò a mamma, quando sarò più grande che mi spieghi come ha fatto a confezionarmi. Ora siamo nel 2013. Da allora sono passati molti anni. Sono arrivata agli 84 il 18 luglio. Faremo una bella festa tutti insieme. Quando Jacopo era piccolo, a Natale arrivavano regali da ogni parte…più i nostri. Li posavamo tutti sul tavolone della sala da pranzo. Come il bimbo si svegliava lo si portava tenendolo in braccio davanti a tutto quello che aveva portato il Bambin Gesù. Ci si incantava a guardarlo. Meraviglia, felicità, grida, risate. “Grazie Bambin Gesù…grazie!!!” gridava guardando verso il soffitto come fosse il cielo…poi seduto sul tappeto a scoprire e godersi i suoi giochi. All’arrivo della torta con le candeline, non riuscivamo a convincerlo a soffiare per spegnerle. “Lo devi fare! Soffia!!” “Perché?” “Perché cresci più in fretta! Soffia!” Era un bimbo molto curioso e pensoso. Chiedeva sempre: e cosa vuol dire questo e perché no…Una volta sui 5 anni, stava appoggiato al davanzale del balcone su di una sedia con un filo in mano che agitava. “Che fai Jacopino?” “Do da mangiare al vento…” Ero un po’ preoccupata. Mi diverto molto con le mie nipotine. Quando Mattea (la figlia di Jacopo) era piccola, sui sei anni e veniva a trovarci a Sala di Cesenatico a passare l’estate con noi, le preparavo una festa alla grande. Compravo al mercato di tutto…non che spendessi tanto. Nascondevo i regalini spargendoli nel giardino tra alberi e cespugli e via con il gioco del “freddo e caldo”: si girava di qua e di là…davo segnali dei nascondigli dicendo “fredddo… freddo… tiepidino caldino… caldo, caldissimo… oddio brucia!” Mattea infilava la manina nel cespuglio, trovava il pacchetto, si sedeva su prato e lo scartava mandando grida di gioia. Una mia cara amica, Annamaria Annicelli aveva un grande negozio dove vendeva di tutto e mi regalò per Mattea un mare di Barbie con fidanzato Ken. Cartoncini con guardaroba completo: abiti per tutte le occasioni. Come ogni estate per anni, arrivò la mia dolce bimba più bella che mai. Le sbatto un uovo con zucchero e cacao – la rusumàta si chiama a Milano – che le piace tanto. Se la mangia leccandosi i baffi. “Vieni, andiamo a fare il gioco del caldo-freddo.” Lancia un urlo di felicità. Le avevo preparata una festa alla grande. E via che si parte: freddo… freddo… tiepidino… caldo… caldissimo! E dal cespuglio estrae una Barbie…poi un’altra…poi il fidanzato Ken, cartelle con abiti…ad un certo punto si lascia andare sull’erba sfinita: “E’ troppo nonna… è troppo!” Quando Jacopo, dopo tre mesi, veniva a prenderla era un momento triste per tutte e due. Ce ne stavamo abbracciate e silenziose in attesa della partenza. Saliva in macchina. La salutavo con la mano e mi scendevano le lacrime…pure lei piangeva. Cercavamo tutte e due di sorridere… ma si faceva fatica. Una gran fatica. Una volta, quando eravamo più giovani Dario ed io ci si faceva festa ai compleanni. Festa? Una festicciola…nulla di speciale. La torta, le candeline…dell’anno prima, qualche amica, amici…Ricordo invece un fantastico compleanno, il mio settantesimo a Sala di Cesenatico. Non mi aspettavo nulla di speciale. Invece… Quella mattina mi svegliai un po’ tardi, Jacopo venne a prendermi in camera dicendomi che Dario aveva bisogno di me…Neanche la mattina del mio compleanno posso restare disoccupata…scendo le scale, esco in veranda, e lì mi trovo una folla con i musicisti che suonavano, clown e maschere e tanta gente, amici venuti da ogni parte, ci saranno state cento persone, tutti a cantare tanti auguri a te…Mi sono messa ad abbracciare tutti uno per uno…Erano veramente tanti, che a un certo punto mi sono dovuta sedere…Anche per l’emozione. Poi siamo andati a mangiare fuori, sul porto canale di Cesenatico, e anche lì c’erano parecchi amici che erano venuti a festeggiarmi. Ogni tanto mi stupisco di quanta gente mi voglia bene. È proprio una grande fortuna… UNA STELLA SUL LETTO?! Una volta mi piaceva guardare il cielo di notte. Specie in inverno. Sottozero il blu è più intenso. Le stelle spiccano come brillanti. Preziose. Ieri notte niente. Ce ne erano poche ma una ha attirato la mia attenzione era una stella senza luce, piatta come fosse di plastica opaca. “Vieni qui” le ho detto… hai dei problemi? Ti vedo giù….” In un attimo eccola sul mio letto, senza nemmeno rompere i vetri della finestra. La guardo incredula… non so come comportarmi… UNA STELLA SUL LETTO?! L’astro si rizza su una punta… prendendo colore lentamente. Una luce iridescente illumina la mia stanza…ma non smargiassa di chi vuol strafare…appena appena per farsi notare. “E’ così facile avere una stella vera in casa? Basta chiamarla?” penso. “E’ facile per forza… – mi risponde – sono te.” “Sono una stella?” – dico senza meraviglia, anzi un po’seccata – mi stai prendendo per il sedere?” Avrei detto volentieri culo, ma non volevo darle confidenza. “Dì pure culo cara, non mi scandalizzo…” e fa una risata a piena gola. Una stella che dice culo e mi sghignazza dietro! Ero scandalizzata! Non c’è più religione! “Bigottona! Son qui per aiutarti… sono te, quindi la tua più grande amica. Sei giù di morale…hai pensieri fissi che ti fan dormire male. Perché vuoi ammazzarti?” Mi manca il respiro. Un qualcosa mi sale lento dallo stomaco alla gola: un magone che mi soffoca. “Lasciati andare… non trattenere le lacrime…ci sono io vicino a te…sono scesa apposta da lassù…tutta per te!” Le lacrime non si fanno pregare, si rincorrono sulle mie guance una dopo l’altra. I singhiozzi escono strazianti anche se in realtà non si sentono. Allunga una punta, quella di sinistra e mi fa una carezza. Ma dai…sto sognando…la stella sul letto in punta di stella che mi accarezza con la sinistra…una stella mancina…Mio dio…ha pure 5 punte! Una stella delle Brigate Rosse! “Non stai sognando…conosco la ragione della tua voglia di morire ma solo se ne parli, se svisceriamo il problema insieme, lo risolviamo. Parola di Stella!” Respiro profondamente. Sto per dire qualcosa che mi costa. “Sono tanto triste perché sono disoccupata. Ho perso il mio lavoro.” “Come hai perso il tuo lavoro? Sei dalla mattina alla sera al computer…scrivi, scrivi, scrivi senza alzare nemmeno gli occhi.” “Sì lo so, ma questo non è il mio lavoro. Sono nata il teatro, a 8 giorni ero già in scena…ho sempre recitato. Da 8 giorni a 81 anni… avevamo in scena “L’anomalo bicefalo” una satira su Berlusconi. Ci divertivamo un sacco! Ma eravamo nell’’83… quanti anni son passati?” “Ti stai dimenticando di Mistero buffo,….L’avete fatto tanto…” “Sì hai ragione…ma ora non si fa più nemmeno quello. Poi uno spettacolo ogni morte di vescovo, che ne muoiono pochissimi. Sono felice di aiutare Dario che è il MIO TUTTO, curare i suoi testi, prepararli per la stampa, ma mi manca qualcosa… quel qualcosa che non mi fa amare più la vita. È per questo che voglio morire. Ma non so come fare. Immersa nella vasca da bagno e tagliarmi le vene? Poi penso allo spavento di chi mi trova in tutto quel rosso. Buttarmi dalla finestra, ma sotto ci sono gli alberi e finisce che mi rompo tutta senza morire: ingessata dalla testa ai piedi. Avvelenarmi con sonniferi…ci ho già provato una volta…tre, quattro pastiglie e acqua… avanti così per un po’ e mi sono addormentata con la testa sul tavolo… Insomma, morire è difficilissimo! A parte che mi ferma anche il dolore che darei a Dario a Jacopo alla mia famiglia, Nora, Mattea, Jaele (la più bella della famiglia) e tutto il parentado…alle amiche, amici. Penso anche al mio funerale e qui, sorrido. Donne, tante donne, tutte quelle che ho aiutato, che mi sono state vicino, amiche e anche nemiche…vestite di rosso che cantano “bella ciao”. Che tristezza essere disoccupata. “Hai messo in scena molti spettacoli che hanno avuto gran successo ed eri sola – prosegue la Stella…Tutta casa letto e chiesa, Parliamo di Donne, Sesso? Grazie tanto per gradire, Legami pure che tanto spacco tutto lo stesso, Il funerale del padrone, Il pupazzo giapponese, Michele ‘Lu Lanzone e altri ancora che non mi ricordo… dovrei andare su internet ma non ne ho voglia. Perché non ne rimetti uno in scena?” Ma…sono abituata con Dario… L’ho conosciuto in palcoscenico nel ’51… abbiam fatto tourné, avuto successo… anche troppo. Dopo anni di fermo abbiam debuttato per due soli spettacoli in settembre del 2012 con “Picasso desnudo”. E adesssssso? Ci metto sei S per sottolinearti bene il concetto. Adesso nulla! Nessun programma futuro. Deglutisco per mandar giù il magone Dovresti aiutarmi tu Stella, dammi la forza… la voglia. “Che piagnona! – mi urla, mi hai proprio rotto i…No, non lo posso dire perché lassù si incaz…Mamma mia solo parolacce mi vengono…è perché sono scesa in terra…qui ci si sporca! Potresti mettere in scena un testo da recitarti tutto da sola…hai un mare di materiale a disposizione. Li conosco tutti i tuoi monologhi mai rappresentati.” “Ma smettila, conosci i miei monologhi….” “Certo, sono te!” “Ah sì…Hai ragione…Sì, potrei farlo…ma poi penso a Dario la sera sperduto davanti alla tv…che se ne va a letto senza chiudere né tapparelle, né porta. Lo sento che si gira e rigira tra le lenzuola pensandomi…preoccupandosi e…quindi sto qui, accanto a lui. Lo amo tantissimo…ma sono proprio triste… infelice…ciao me ne vado…” “Ma dove vai? Ti vuoi nascondere a piangere? Piangi qui piccola…tra le mie braccia…”All’improvviso si ingrandisce a vista d’occhio si trasforma in una coperta di lana morbida lucente e mi avvolge tutta. Un brivido di piacere attraversa il mio corpo…mi sento via via rilassata e sulla bocca mi spunta un sorriso…il più dolce della mia vita Caro Dario tutto quanto ho scritto è per dirti che se non torno in teatro muoio di malinconia. Un bacio grande… ________________________________ La vita e il teatro fuori dalle regole. di Franca Rame | 10 febbraio 2012. Il 1968. Nell’autunno del 68 con Dario decidiamo di abbandonare il circuito teatrale tradizionale, ufficiale e mettere a disposizione il nostro lavoro, la nostra vita – e non sto enfatizzando – con un impegno diretto di quella parte di pubblico che normalmente viene ignorata dal teatro ufficiale: operai, casalinghe, studenti, contadini. Pubblico che solo in questi ultimi anni viene intruppato e portato con pullman nei teatri del centro, organizzati da Cral e Sindacato. Riprendendo la tradizione di mio padre portiamo il nostro teatro in piccoli centri, nei quartieri periferici, nelle fabbriche occupate, nei palazzetti dello sport. Insomma, decidiamo di metterci a disposizione della classe alla quale sentivamo di appartenere, il proletariato. Detto oggi, così, a distanza di anni suona un po’ tromboneggiante, allora no. Suonava bene. Otteniamo una risposta straordinaria: una folla di giovani, studenti, operai, ragazze, donne sono ogni sera presenti. In qualsiasi posto si svolga lo spettacolo i locali sono gremiti all’inverosimile. Nei palazzetti dello sport, ci abbiamo messo anche 12 mila persone. Che testi recitavamo? Il quotidiano. La vita della gente, le difficoltà. Il materiale lo trovavamo a iosa. Erano tempi brutti. Gli incassi spesso vanno a fabbriche in occupazione, che grazie alla sopravvivenza che gli è garantita dagli spettacoli, in certi casi, come per la Sampas di Milano, tengono duro e alla fine vincono la causa contro il padrone. Quando Dario mi ha proposto di lasciare le strutture tradizionali e di portare il nostro teatro per “boschi e prati” non mi diceva niente di nuovo, per tanto tempo l’avevo fatto con mio padre. Per anni, esattamente 21, mi sono occupata di detenuti per reati politici, carceri, processi, difesa dei diritti civili. In un secondo tempo, spinta dai detenuti politici, mi sono occupata anche di quelli per reati comuni, per un totale di oltre 800 persone: donne e uomini. All’inizio ero in grande difficoltà con i detenuti per reati comuni. Sono nata in una famiglia onesta e laboriosa, dove senza prediche ma con l’esempio, mi si insegnava a rispettare e amare il prossimo, ad avere comprensione e aiutare chi stava in difficoltà. Ma un ladro era un ladro e un assassino era un assassino. Ci ho pensato un po’ su. Poi mi sono decisa. Scrivevo una letterina stringata tipo: “Ho avuto il tuo nominativo da… fammi sapere per quale reato sei detenuto, condanna, condizioni tua famiglia… tuoi bisogni.” Insomma, avevo bisogno d’inquadrarlo. Mi arrivavano risposte che mi turbavano. Furto con rapina, omicidio… Ci pensavo sopra un po’. Certo che al figlio di Agnelli non può capitare di finire in galera per omicidio in treno mentre ti esibisci in “un furto con destrezza…” a un omone che si mette a gridare e giustamente reagisce. Il guaio è che se hai una pisola in tasca… te lo trovi morto ai tuoi piedi quasi senza accorgerti. “Come ti giustifichi?”, chiedevo. “Avevo la ragazza incinta… eravamo venuti dal sud, senza casa, senza nulla… nemmeno il paltò e da voi fa molto freddo”. Povero Pietro hai pagato il tuo reato. Quanti anni di carcere ti sei fatto? 25, poi scesi a 17. Per ottenere permessi di colloquio con i detenuti ho dovuto fare salti mortali, ogni volta gabole varie. Arrampicandomi sui muri della burocrazia giudiziaria, sono stata molto aiutata dal segretario di gabinetto del ministro Bonifacio. Grazie a lui sono riuscita a entrare in molte carceri d’Italia, parlare con i detenuti, i direttori, i giudici di sorveglianza, i famigliari. Sono entrata persino nella “famigerata isola del diavolo”: l’Asinara Carcere Speciale Istituto di massima sicurezza in Sardegna per merito di Mimmo Pinto di Napoli, il più giovane senatore d’Italia. Abbiamo conosciuto finalmente il tristemente famoso direttore dott. Cardullo, vera macchina per l’annientamento psicofisico dei detenuti, classico paranoico da studio psichiatrico. Siamo arrivata all’isola, molto nervosi. Avevo addosso un abito a colori vivaci, festoso. Scelto per l’occasione. Il mio vestito doveva portar loro i colori della vita… e non della morte che stavano vivendo. (continua) Lella Costa: «Non ricordo una Milano senza Franca Rame. Come faremo?» «Il legame con la sua città e insieme la sua insopprimibile vocazione alla libertà e all'autenticità» di LELLA COSTA Lella Costa e Franca Rame in una foto d'archivio con Paolo Rossi (Fotogramma) Difficile raccontare qualcosa di Franca che sia insieme personale e rispettoso, che non violi il pudore, che non suoni come appropriazione indebita di affetti e legami che altri, e a ben maggior titolo, hanno avuto con lei. Però io la conoscevo, non è una millanteria. Al di là della sua immagine pubblica, professionale, che mi sembra abbia fatto parte della mia vita da sempre (non mi ricordo una Milano senza Franca, come faremo adesso?), ho di lei soprattutto delle immagini allegre, luminose. Come qualche anno fa al FestivaLetteratura di Mantova: lei e Dario vestiti di lino bianco, lui col panama, lei con la sua chioma inconfondibile e gli altrettanto inconfondibili occhiali da sole, erano bellissimi. Vorrei ricordarmela così. E mi viene in mente un'altra cosa, che forse può contribuire a raccontare il legame di Franca con Milano e insieme la sua insopprimibile vocazione alla libertà e all'autenticità. Qualche anno fa, non ricordo quanti, si fece promotrice di una campagna a favore di un gruppo di profughi che aveva trovato rifugio al Leoncavallo. Aveva organizzato una conferenza stampa nella quale aveva coinvolto anche me e un altro po' di colleghi, di militanza oltre che di mestiere. Irruenta e pratica come sempre, dopo aver ascoltato una serie di nobili dichiarazioni di intenti e attestati di solidarietà, ci chiese senza giri di parole che cacciassimo dei quattrini. Io, un po' imbarazzata e contando sulla sua discrezione, le diedi di straforo un assegno. Il giorno dopo, in un'intervista proprio al Corriere, Franca dichiarò senza mezzi termini che tra tante chiacchiere l'unica che aveva compiuto un gesto concreto e immediato ero stata io. E, a scanso di equivoci, specificava anche la cifra. Allora avrei voluto sprofondare, oggi sono orgogliosa di aver vissuto quel momento di totale condivisione con lei. Lella Costa 29 maggio 2013 | 16:12 Franca Rame, incapace di rassegnarsi. di Furio Colombo | 30 maggio 2013. Sedevamo insieme in Senato. Lei, Franca Rame, arrivava sempre in anticipo e sempre carica di nuovi materiali, domande, denunce, messaggi da ogni periferia, tutti di rivolta o di disperazione. Mi diceva che voleva cominciare adesso, quella mattina, in quell’aula. Io tentavo di dirle che “la dentiera implacabile” (così cercavo, anche con disegnini, di rappresentarle le due parti apparentemente contrapposte del Senato) non lo avrebbe permesso. Infatti il presidente Marini, con lungo sospiro, le dava la parola e poi con un lungo sospiro gliela toglieva, e passava “all’ordine dei lavori” come se Franca, invece che di pace e di guerra e di disabili abbandonati e di gruppi sempre più vasti di senza lavoro, avesse parlato della difficoltà dei parcheggi . Intorno a noi stavano senatori e senatrici che lavoravano quieti, ad altre cose, decisi a non disturbare. Di fronte a noi la canea del gruppo di attacco detto “l’opposizione”. Ovvero il mondo, fascista o borghese o pregiudicato, di Berlusconi. Un continuo forte rumore di fondo che è cominciato subito ed è finito solo con la scena di mortadella e champagne consumati in aula il giorno della caduta di Prodi. Nel frattempo De Gregorio era stato acquistato, Ignazio Marino era stato rimosso da presidente della commissione Sanità perché si temeva che mandasse al voto il testamento biologico e il suo posto assegnato a una brava cattolica passata un po’ dopo al Pdl. Quel che Franca aveva capito era che eravamo già alleati con la gente di Berlusconi, come lo sono Alfano e Letta adesso. Ma era come una sorta di matrimonio gay prima del riconoscimento legale: bisognava fingere. E non esagerare in esibizioni. Franca esagerava. Vedeva la corruzione e la denunciava. Le giungevano email sui Cie e sui pasti negati ai bambini rom nelle scuole e le leggeva in aula. Il laborioso governo Prodi non faceva caso a un sostegno così tenace. E anche i senatori che avevano fatto eleggere Franca volevano “fare politica” piuttosto che denunciare sempre e subito vita e avventure di quella (questa) squallida Italia. Franca Rame non si è mai rassegnata, fino a dimettersi. Diceva che anche il nostro parlare e discutere e le nostre inutili strategie del mattino (liquidate prima di sera da cedimenti continui della nostra parte dell’aula) si potevano dire e fare soltanto fuori dal Senato. Nessuno credeva che si sarebbe dimessa, ma lei lo ha fatto pur di non parlare a poltrone come vuote e porte imbottite. Mai qualcuno ha dato così tanto per un Senato, una politica, una sinistra che volevano così poco. il Fatto Quotidiano, 30 Maggio 2013 È morta a Milano Franca Rame. Franca Rame aveva 84 anni, e la sua famiglia era legata al teatro dei burattini e delle marionette. Moglie di Dario Fo e sua compagna di palcoscenico e di impegno politico, aveva 84 anni. Colonna del ’68 e del femminismo italiano, fu rapita e stuprata da militanti di estrema destra. Il processo si chiuse 25 anni dopo con la prescrizione. L’attrice Franca Rame, moglie di Dario Fo e sua compagna sulle scene, è morta a Milano. Franca Rame, che aveva 84 anni, era malata da tempo. Nell’aprile 2012, un ictus l’aveva costretta ad un ricovero d’urgenza al Policlinico di Milano. L’Aula di Montecitorio le ha reso omaggio con un applauso corale, dopo un breve intervento dalla deputata Pd Barbara Pollastrini che ne ha annunciato la morte. In Senato un minuto di silenzio in segno di lutto, chiesto dal presidente Piero Grasso. Tra le prime reazioni addolorate, quella di Antonio Di Pietro, che nel 2006 propose l’attrice come presidente della Repubblica e che la fece eleggere senatrice candidandola nel 2006 nelle file dell’Idv. Lascia «un profondo vuoto» - ha detto Di Pietro -. Ho sempre ammirato e apprezzato le straordinarie qualità umane e artistiche di Franca Rame, la sua passione civile e l’impegno instancabile con cui ha portato avanti, innumerevoli battaglie politiche in difesa dei diritti dei cittadini e dei più deboli». «Profondo cordoglio» dal ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, Massimo Bray, per la scomparsa di una «persona straordinaria, coraggiosa e instancabile, che ha contribuito in maniera indelebile alla diffusione della Cultura in Italia e all’estero, all’emancipazione dell’universo femminile e alla difesa dei diritti dei cittadini». Sessantottina convinta, col marito militante di sinistra più a sinistra del Pci, Franca Rame è stata una delle colonne del femminismo italiano. Una vita dedicata al teatro, ma anche all’impegno civile. L’Italia perde una protagonista del panorama culturale, che tra il palcoscenico dell’arte e quello della vita, aveva calato un ponte da percorre in entrambi i sensi, da un lato per raccontare la realtà, spesso cruda, a sipario aperto, dall’altro per portare poesia nel quotidiano più aspro Nata in una famiglia da sempre legata al teatro di burattini e delle marionette, l’attrice ha condiviso col marito, sposato nel 1954, spettacoli, battaglie e militanza politica.Debuttò in fasce nei ruoli appunto di neonata nelle commedie allestite dalla famiglia. Nel ’50, in piena epoca di rivista, con la sorella debuttò in Ghe pensi mi di Marcello Marchesi. In quegli anni conosce Dario Fo (dalla loro unione nascerà nel ’55 Jacopo) e da allora sarà la sua interprete preferita e spesso la sua collaboratrice ai testi. Sono gli anni delle commedie paradossali, dai titoli buffi («Chi ruba un piede è fortunato in amore», «Isabella, tre caravelle e un cacciaballe»). Insieme sbattono la porta di una «Canzonissima» di successo, per la censura imposta alle loro scenette dichiaratamente politiche. «L’esilio dalla Rai» durerà fino al 1977, quando Raidue trasmetterà le commedie. Fondatrice, col marito, nel 1958, della Compagnia Dario Fo-Franca Rame , era prima attrice e amministratrice del gruppo in cui il marito era regista e drammaturgo.. Nel 1968, sempre al fianco di Dario, fonda il collettivo Nuova Scena dal quale esce fondando col coniuge La Comune , che portò gli spettacoli di satira e di controinformazione politica nelle piazze, le case del popolo, le fabbriche e le scuole occupate. Insieme al marito Dario Fo ha sostenuto l’organizzazione Soccorso Rosso Militante. Per il movimento femminista ha interpretato testi non più del marito, ma propri, come Tutta casa, letto e chiesa, Grasso è bello!, La madre. Nel 1974 i due attori occupano e trasformano in teatro la Palazzina Liberty a Milano, dove Sebastian Matta dipinge murales rivoluzionari. Un anno prima nel marzo del 1973, Franca Rame fu rapita da esponenti dell’estrema destra e subì violenza fisica e sessuale, ricordata a distanza di tempo nel lavoro Lo stupro, del 1981. Il procedimento penale è giunto a sentenza definitiva solo dopo 25 anni: ciò ha comportato la prescrizione del reato. Tra i tanti messaggi di cordoglio alla notizia della morte, quello di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, e molti altri giungono da esponenti del Pd. Era cittadina onoraria di Palermo e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ricorda che «abbiamo condiviso importanti momenti di impegno sul piano personale e politico». Lutto anche da M5S: «E’ stata al nostro fianco - scrive su Facebook Vito Crimi, - in tante nostre battaglie civili. Da quella per un Parlamento Pulito senza condannati a quella per una corretta gestione dei rifiuti senza inceneritori e discariche». da: La Stampa

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