giovedì 13 dicembre 2012

Anche Valentino lascia.Manifesto Norma-lizzato.

Mi chiamo fuori, mi dispiace.
Cara Norma, quel che state facendo, sulla nuova cooperativa e sul possibile rilancio del giornale non mi convince affatto. La crisi non è solo di soldi, ma anche di soldati e di linea. Anche la riunione del 4 di novembre non so che fine abbia fatto. Per tutto questo mi pento di non essermi associato subito alla posizione di Rossana, cioè di separazione. Lo faccio con questa lettera, con moltissima amarezza e anche pensando che negli anni passati avrei dovuto fare di più e anche litigare di più. Dopo più di quarant'anni sono fuori da questo manifesto che è stata tanta parte della mia vita. Mi dispiace. Un abbraccio. Valentino Parlato
Antonello Caporale per il "Fatto quotidiano" Valentino Parlato è stato l'unico comunista al mondo che ha fatto scucire soldi ai capitalisti. L'unico intellettuale che si è così impadronito delle virtù (e dei vizi) dei banchieri da averli saputo tenere a bada. Senza Valentino Parlato il manifesto avrebbe smesso di respirare da tempo. Lui ha bussato a ogni porta e sempre un filo d'aria ha trovato: uno sconto cambiali, un prestito a sessanta giorni, un anticipo sui finanziamenti. Da Cuccia a Geronzi, tutti hanno firmato assegni o consigliato di farlo. Però, ed è anche questo un unicum nel mondo dell'informazione, il quotidiano non ha mai avuto bisogno di parlar bene dei suoi finanziatori, mai succube, mai con la bocca cucita. Ora Parlato prende cappello e lascia la ciurma. È l'ultimo dei grandi vecchi che abbandona il vascello già corsaro, oggi invece preda di onde così alte che prefigurano (e noi invece scongiuriamo che così non sia) l'inabissamento. Parlato insieme a Rossana Rossanda e Luigi Pintor ha anche rappresentato per la cultura della sinistra e per intere generazioni di intellettuali l'enunciazione quotidiana di una possibilità diversa dal comunismo sovietico: la rivoluzione dei rapporti tra le classi sociali non come sogno ma come pratica sperimentabile, sostenibile, moderna. Quarant'anni a sognare e a provare l'alternativa, e poi la resa. "Non abbandono la battaglia, non ho smesso di combattere e non ho voglia di desistere. Penso che ci sia un campo aperto per questo giornale, ma non in questo modo, con questa direzione, seguendo questa linea editoriale". È colpa di Norma Rangeri dunque? È responsabilità della direttrice se il comunismo non è una parola più comprensibile né spendibile? Un giornale deve avere un'identità e custodirla. La colpa di Rangeri è di averne smarrito la missione, resa opaca l'identità. Cosa è oggi il manifesto? Il 31 dicembre rischia di chiudere. E la sua defezione non aiuta. La mia e quella di tanti altri. La Rangeri non ha tenuto conto dei miei consigli e io ne prendo atto. Ritengo di formalizzare un dissenso, certo non mi sogno neanche di ritirarmi a vita privata. Ci sono con le mie forze di ottantaduenne. Ma sono qua e non mi eclisso. Il giornale ha bisogno di finanziatori, e tu eri un impeccabile cercatore di funghi. Cercavi e trovavi. Certo, ho sempre avuto un buon rapporto con i banchieri. Il mio lavoro all'interno del giornale era anche questo, e io lo portavo avanti. E devo dire di più: molti banchieri mi stanno davvero simpatici. Ci credo, con tutti i quattrini che gli hai spillato! Leggo continuamente che la finanza è il male assoluto di questa società. Ma il predominio della finanza è l'effetto della crisi della politica, della mancanza di governo. La finanza non è buona né cattiva. Contenerla, governarla, gestirne lo sviluppo, sovraintendere agli affari è compito della politica. Ma lo Stato, il potere del Palazzo e la sua rispettabilità, la sua reputazione sono andati smarriti. E allora l'effetto ottico è quel che si diceva... Con quali banchieri hai legato di più, ti sei capito di più? Con Enrico Cuccia, anzitutto. Soldi anche da lui? No, soldi niente. Ma buoni consigli, ottime entrature e una sintonia che non è mai finita. Cuccia era un lettore del manifesto? Nooo. Lo annusava, lo sfogliava ma niente più. Però comprendeva il suo ruolo e in qualche modo lo difendeva. E poi aveva radici siciliane come le mie e spesso mi diceva: tra greci e greci non si vende roba cattiva. Un motto antico, il senso di una condivisione, l'appartenenza a un mondo in qualche modo comune. Da Geronzi invece parecchi assegni. Parecchi no. Era sincero, schietto con me. Diceva sì ed era sì. Molte volte diceva no, e purtroppo era no. Un tipo glaciale, freddo, calcolatore. Non direi. Ho conservato buoni rapporti con lui e ancora due sere fa ero alla presentazione del suo libro. La stima è rimasta. Sembra invece che l'amicizia sia finita con i tuoi compagni Il disaccordo è sulla linea editoriale. E io sono l'ultimo della lista che prende posizione. Forse avrei dovuto farlo prima. Ma ripeto: il mio no è a questo giornale, a come oggi interpreta questo mondo. Non è un addio al manifesto.
Alessandra Longo, per Repubblica,intervista Norma Rangeri. «Un atto di grave inimicizia ». Norma Rangeri, direttore del Manifesto in crisi, censura, senza complessi anagrafici, l'atteggiamento del fondatore Valentino Parlato che ha deciso di chiamarsi fuori dal giornale. Rangeri-San Sebastiano restituisce le frecce che le arrivano addosso quotidianamente: «Sento un clima da cupio dissolvi, da muoia sansone con tutti i filistei, un istinto di morte che è nefasto e nel quale non mi riconosco». Le viene in mente Lucio Magri, il cui suicidio «è stato anche il segno di una sconfitta politica che lui ha assunto su di sé». Evoca con una certa durezza Rossanda: «ha preferito scrivere di Lucio sul Corriere anziché sul Manifesto. Una cosa che mi ha molto colpito». E ammette le ultime dimissioni, quelle del suo vicedirettore, Angelo Mastrandrea.
Valentino Parlato se ne va rimproverandoti di aver rinunciato al giornale-partito, di aver fatto perdere fisionomia alla sua creatura. «Capisco che Valentino sia nostalgico dei bei vecchi tempi. gli ricordo però le rotture durissime di allora. Luigi Pintor si dimise proprio contro l'idea del giornale partito. E io, che considero Pintor mio maestro, sono sulle stesse posizioni. Se identità significa ortodossia rispetto al gruppo dirigente di 40 anni fa e rispetto a quel comunismo che un lettore ventenne nemmeno conosce, io dico no, ho un'altra idea ed esigo un confronto adulto tra posizioni diverse. Non può esserci il manifesto di 40 anni fa che si staccava dal Pci. Non esiste più il Pci e nemmeno il gruppo dirigente che derivava da quella storia. Il mondo è cambiato. Tenendo fermi l'orizzonte di riferimento e la linea antisistema, il Manifesto deve avere la massima apertura politica e culturale. E' quello che ho cercato di fare con la mia direzione. La linea editoriale c'è ed è diversa da quella che vorrebbe Valentino». E' vero che anche il vicedirettore Angelo Mastrandea si è dimesso? «Sì, ha anticipato noi tutti... siamo alla chiusura del ciclo di liquidazione coatta». Come si fa senza Valentino, senza Rossana, senza tutti quei giornalisti che hanno ritirato le firme o addirittura se ne sono andati? «Nessuno di loro ha proposto una ricetta favolosa e salvifica. chiedo a chi sta fuori: come intendono combattere per rilanciare il giornale se non sono al giornale? Valentino era una presenza preziosa. Tuttavia se, come dice lui, c'è questa grande differenza di vedute, ognuno si assuma le sue responsabilità. A 15 giorni dalla fine della liquidazione coatta andarsene è un atto di grave inimicizia». Valentino è stato il vostro ambasciatore. «Valentino, poveretto, si è dato molto da fare ma non è mai riuscito, frequentando un banchiere e l'altro, a togliere l'impresa dalla massima precarietà, cosa che scontiamo adesso. Siamo andati avanti con una gestione allegra, facendo debiti. Forse si sarebbe potuto evitare, con comportamenti diversi, il fallimento». Adesso ci sarà una nuova cooperativa e il manifesto avrà un padrone. «Tra l'essere finanziati da Geronzi, com'è accaduto in passato, o avere qualcuno che compra limpidamente la testata e la affida al collettivo garantendogli piena autonomia non vedo il problema ». Porte aperte per chi vuol tornare? «Le porte sono state sbattute da altri, da chi, con un certo menefreghismo, ha lasciato il giornale in un momento difficile».

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