martedì 18 gennaio 2011

"Putrefazione morale, indifferenza, sistematica vigliaccheria".


Il sermone della decenza

di BARBARA SPINELLI

da Repubblica 19/01/11

Dovrebbe esser ormai chiaro a tutti, anche a chi vorrebbe parlar d'altro e tapparsi le orecchie, anche a chi non vede l'enormità della vergogna che colpisce una delle massime cariche dello Stato, che una cosa è ormai del tutto improponibile: che il presidente del Consiglio resti dov'è senza neppure presentarsi al Tribunale, e che addirittura pretenda di candidarsi in future elezioni come premier. Molti lo pensano da tempo, da quando per evitare condanne il capo di Fininvest considerò la politica come un sotterfugio.

Non un piano nobile dove si sale ma uno scantinato in cui si "scende", si traffica, ci si acquatta meglio. La stessa ascesa al Colle resta, nei suoi sogni, una discesa in sotterranei sempre più inviolabili. Molti sono convinti che i suoi rapporti con la malavita, la stretta complicità con chi in due gradi di giudizio è stato condannato per concorso in associazione mafiosa (Dell'Utri), il contatto con un uomo - Mangano - che si faceva chiamare stalliere ed era il ricattatore distaccato da Cosa Nostra a Arcore - erano già motivi sufficienti per precludergli un luogo, il comando politico, che si suppone occupato da chi ha avuto una vita rispettosa della legge.

Ma adesso l'impegno a fermare quest'uomo infinitamente ricattabile perché incapace di controllare la sua sessualità deve esser esplicitamente preso dai responsabili politici tutti, dalla classe dirigente in senso lato, e non solo detto a mezza voce. È una specie di sermone che deve essere pronunciato, solenne come i giuramenti che costellano la vita dei popoli. Un sermone che non deleghi per l'ennesima volta il giudizio morale e civile alla magistratura. Che pur rispettando la presunzione d'innocenza, certifichi l'esistenza di un ceto politico determinato a considerare l'evidenza dello scandalo e a trarne le conseguenze prima ancora che i tribunali si pronuncino. Ci sono reati complessi da districare, per i giudici. Questo non vieta, anzi impone alla politica di delimitare in piena autonomia la dignità o non dignità dei potenti.

Non è più solo questione del conflitto di interessi, che grazie alla legge del 1957 avrebbe sin dall'inizio potuto vietare l'accesso a responsabilità politiche di un titolare di pubbliche concessioni (specie televisive). Chi è sospettato d'aver pagato prostitute o ragazze minorenni, d'aver indotto - sfruttando il proprio potere - un pubblico ufficiale a fare cose illecite, chi è talmente impaurito dall'arresto di Ruby dal presentarla in questura come nipote di Mubarak, chi ha avuto rapporti con mafiosi e corrotto testimoni o giudici, deve trovare chiuse le porte della politica, anche se i Tribunali ancora tacciono o se vi son state prescrizioni. Attorno a lui deve essere eretto una sorta di alto muro, che impersoni la legge, la riluttanza interiore d'un popolo a farsi rappresentare da un individuo dal losco passato e dal losco presente. Tra Berlusconi e la politica questo muro non è stato mai eretto, nemmeno dall'opposizione quando governava. Se non ora, quando?

È così da millenni, nella nostra civiltà: una società ha anticorpi che espellono le cellule malate, o non li ha e decade. L'ostracismo fu un prodotto della democrazia ateniese, nel VI secolo a. C. Eraclito scrive: "Combattere a difesa della legge è necessario, per il popolo, proprio come a difesa delle mura". Berlusconi non avrebbe dovuto divenire premier, e non perché si disprezzi il popolo che lo ha eletto: non avrebbe dovuto neanche potersi candidare. Comunque, oggi, non può restare o tornare in luoghi del comando che hanno una loro sacralità: non può, se la coerenza non è una quisquilia, nemmeno presentarsi come patrono del proprio successore. Non è un monarca che va in pensione.

Gli italiani più restii a vedere lo sanno, altrimenti non avrebbero acclamato in simultanea, da 16 anni, Berlusconi e tre capi dello Stato. È segno che in un angolo della coscienza, sognano quel decalogo che nelle parole di Thomas Mann "altro non è che la quintessenza dell'umana decenza": il non rubare, il non pronunciare il nome di Dio invano, il non dire il falso, il non sbandierare valori senza rispettarli, il non adulterare ciò che è chiaro e puro confondendolo con il torbido e l'impuro. È come se i padri costituenti avessero presentito tutto questo, vietando plebisciti di capi di governo o di Stato: come se condividessero la diffidenza di Piero Calamandrei per l'inclinazione italiana alla "putrefazione morale, all'indifferenza, alla sistematica vigliaccheria".

La responsabilità del sermone è dunque per intero nelle mani dei parlamentari, liberi per legge da vincolo di mandato. Così come è in mano ai contro-poteri che costituzionalmente limitano il dominio d'uno solo (parlamento, magistratura, stampa). Contro-poteri su cui la sovranità popolare non ha il primato, se è vero che essa viene "esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione" (art 1).

Già una volta, nella "chiamata di correo" di Craxi, i politici caddero nel baratro, degradando se stessi. Fu il buco nero di Tangentopoli, e spiega come mai ancora abitiamo un girone dantesco fatto di menzogna e omertosi sortilegi. Il buco nero sono le parole di Craxi in Parlamento, il 3 luglio '92: "Nessun partito è in grado di scagliare la prima pietra. (...) Ciò che bisogna dire, e che tutti del resto sanno, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.(...) Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia (...) criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro".

Difficile dimenticare il silenzio che seguì: nessun deputato si alzò, e ancor oggi la nostra storia stenta a non essere storia criminale. Ancor oggi si vorrebbe sapere perché i deputati che si ritenevano onesti rimasero appiccicati alla poltrona. Craxi pagò appropriatamente, perché le sentenze erano passate in giudicato e la legge è legge, ma pagò per molti: anche per Berlusconi, che con il suo aiuto costruì il proprio apparato di persuasione televisiva e profittò del crollo della Prima Repubblica sostituendola con un suo privato giro di corrotti e corruttori.

I deputati rischiano di restar seduti anche oggi, come allora: per schiavitù volontaria, o peggio. Il sermone oggi necessario deve essere un impegno a che simili ignominie non si ripetano. Proprio perché il conflitto d'interessi è sorpassato, e siamo di fronte a un conflitto fra decenza e oscenità, fra servizio dello Stato e servizio dei propri comodi, fra libertinaggio innocente e libertinaggio commisto a reati. Da molto tempo, c'è chi ha smesso di parlare di Palazzo Chigi: preferisce parlare di palazzo Grazioli come sede dell'esecutivo, e fa bene. Che si salvi, almeno, l'aura associata ai luoghi italiani del potere.

Domenica scorsa, Berlusconi ha fatto dichiarazioni singolari, oltre che ridicole. Definendo gravissima, inaccettabile, illegale, l'intromissione dei magistrati nella vita degli italiani ha detto: "Perché quello che i cittadini di una libera democrazia fanno nelle mura domestiche riguarda solo loro. Questo è un principio valido per tutti, e deve valere per tutti. Anche per me". L'uguaglianza fra cittadini equivale per lui alla libertà di fare quel che si vuole, in casa: anche un reato, magari. Non riguarda certo l'uguaglianza di fronte alla legge. L'antinomia stride, e offende. Siamo ben lontani dall'ingiunzione di Eraclito, se tutto diventa lecito nelle mura domestiche, e non appena succede qualcosa di criminoso l'uguaglianza cessa d'un colpo, e comincia l'età dei porci di Orwell, in cui tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.




L'affanno del sovrano e la fiaba del complotto

di GIUSEPPE D'AVANZO

Claqueurs ripetono le solite mosse. Modificano il segno dei fatti accertati. Abitano lo stesso Palazzo lontano dal cuore del Paese. Appartengono alla stessa famiglia e sono feroci nella difesa dello status quo, ordinato intorno al Sovrano istupidito da una sexual compulsivity e dall'amore di sé, Nerone, Eliogabalo, maiestas indegna nel suo modo di essere, ridicola nelle sue fantasticherie, nei suoi gesti, nel suo corpo, grottesca nella sua sessualità.

Indifferenti alla meccanica del potere del Sovrano, maschere salmodianti organizzano quadri dove "vero/falso", "giusto/ingiusto", "corretto/improprio" sono qualifiche fluide e manipolabili. Vogliono che ogni figura logica svanisca nella nebbia e usano formule confusamente sonore, "accanimento", "deriva giustizialista", "attacco politico", addirittura "golpe". Ugole ubbidienti agitano addirittura il fantasma mentale del Complotto, fiaba degli impotenti, inganno degli irresponsabili che temono la realtà.

È comodo da ribaltare il vaniloquio. Non c'è alcuna "trappola". Nella gabbia Berlusconi s'infila da solo. Una puttana brasiliana lo avverte mentre è a Parigi in una cerimonia ufficiale: la sua Ruby è in Questura. Ruby è del Sovrano. Ha cominciato a vedersela intorno nel 2009: la fanciulla ha sedici anni. Balla la danza del ventre. Il Sovrano si diverte. Se ne incapriccia con l'anno nuovo, il 2010. Logico che si agiti quando lo allertano da Milano. Ruby è minorenne, è nelle mani dei poliziotti, ha la lingua lunga, può rovinarlo. Solo in apparenza è irragionevole che sia egli stesso - presidente del Consiglio - a metterci riparo. Deve farlo per evitare che altri conoscano il segreto della sua relazione. Chiama il capo di gabinetto della Questura di Milano intorno alle 23.45 del 27 maggio. Già quest'intromissione avrebbe dovuto segnare la fine politica di un homme d'Etat. È un dettaglio che le ugole del Sovrano ignorano nel frastuono che organizzano. È un particolare decisivo, al contrario. Questa telefonata è l'incipit della storia e l'iniziativa che configura il reato di concussione. Lo si rintraccia quando un pubblico ufficiale (Berlusconi lo è) abusa della sua qualità o dei suoi poteri per indurre altri a un comportamento indebito. In questura da quell'ora della notte si scatena un inferno sul capo della funzionaria di servizio (Giorgia Iafrate). Riceve in 134 minuti (dalle 23.59.27 alle 02.14.12) quindici telefonate dai suoi superiori (12 dal capo di gabinetto, 3 dal dirigente dell'ufficio prevenzione, il suo capo): una telefonata ogni nove minuti. Quest'esorbitante pressione produce un frutto avvelenato. Un soggetto debole, una minorenne senza famiglia, senza fissa dimora, senza reddito che abitualmente si prostituisce, è sottratta alla tutela dello Stato con l'intervento abusivo del capo del governo che impone un comportamento scorretto ai funzionari della Questura. Alle 2.00 Ruby viene affidata a Nicole Minetti, incaricata del capo del governo, e da questa di nuovo consegnata a una prostituta brasiliana nonostante le indicazioni vincolanti del pubblico ministero. Soltanto dopo, alle 2.20.43, Giorgia Iafrate chiede di accertare la volontà della famiglia di Ruby e soltanto alle 04.00 i poliziotti incontrano i genitori della ragazza, che quindi non saranno mai interpellati, contrariamente a quanto viene riferito al pubblico ministero (è un obbligo ineludibile, hanno la patria potestà).

Nel mondo di cartapesta dell'Italia berlusconiana, maschere salmodianti ripetono "dove sono le prove?"; qualche sempliciotto ne è influenzato mentre le anime fioche dell'informazione afferrano quella domanda come un naufrago il legno (non sia mai che debbano prendere posizione e contraddire il potere). La prova della concussione di Berlusconi è evidente, salda, indistruttibile. Chiunque può vederlo. Accorti, non lo contestano gli avvocati del premier. Si tengono lontano dai fatti. Discutono di forme: era competente la procura di Milano? Rispondono di no, l'inchiesta è quindi illegittima. Istigano alla rivolta le teste di turco che straripano nei talk-show dove sfogano l'angoscia (è davvero al capolinea il Sovrano?) menando fendenti forsennati. Ignorano una regoletta: la giurisprudenza sostiene che il pubblico ufficiale (membro del governo) colpevole di concussione deve essere giudicato dal Tribunale dei ministri se la concussione è funzionale (lo sarebbe stata se in Questura avesse telefonato il ministro dell'Interno). Al contrario, se il pubblico ufficiale abusa non dei suoi poteri, ma della qualità del suo incarico (come nel nostro caso, Berlusconi) niente tribunale dei ministri.

La concussione è un delitto molto grave (12 anni il massimo della pena). Lo è soprattutto se, come in quest'affaire, si mostra aggravato da alcune circostanze. Berlusconi manipola la volontà e le condotte dei funzionari della questura per occultare un altro reato, il favoreggiamento della prostituzione minorile, e nascondere il "puttanaio" sotto il tetto di Arcore, "suscettibile di arrecare nocumento alla sua immagine di uomo pubblico".
Anche qui per affogare nell'oblio quel che è accaduto, gli avvocati si avventurano in un'acrobazia. Dicono: ammesso e naturalmente non concesso, che il favoreggiamento alla prostituzione minorile ci sia stato, è stato commesso ad Arcore, Monza. Quindi, competente non è Milano. È una mastodontica grinza, tanto più sorprendente perché i due avvocati del premier sono parlamentari. Stupisce che non ricordino come sia stato proprio questo governo, la loro maggioranza, a reintrodurre la competenza dei reati di violenza sessuale per le procure distrettuali. Quindi, nel nostro caso, a Milano.

Prima che la memoria deperisca e i fatti siano travolti dal rumore, conviene ordinare quali sono "le prove evidenti" dello sfruttamento della prostituzione minorile. Per venirne a capo, è necessario dimostrare: (1) che Ruby si prostituisse; (2) che Berlusconi, consapevole della minore età di Ruby, ha compiuto con la ragazza "atti sessuali" (3) ricompensandola. Dicono: dove sono le prove? La domanda è una corvée d'ossequio. Se si sanno leggere le 389 dell'invito a comparire, le prove si scovano. Un rosario di testimonianze dirette e documenti acustici confermano il "mestiere" di Ruby. La ragazza vende il suo corpo occasionalmente, quando ha bisogno di denaro o quando qualche agiato semplicione le capita a tiro. Succede anche con Berlusconi. Ruby è introdotta alla corte del Sovrano lungo i canali predisposti per accontentarne la sexual compulsivity. Emilio Fede (mente a gola piena e, in prima battuta, dice di non conoscerla, poi di non ricordarla) la scopre tredicenne a Messina. La indirizza al suo braccio destro nella "fabbrica del bunga bunga", Lele Mora. Il prosseneta la istruisce, la prepara e l'avvia al suo lavoro autentico mascherato in modo maldestro dall'impegno di cubista buono per pagare appena le spese di un paio di giorni al mese. Quando finalmente è pronta viene offerta al Drago. Ruby ha sedici anni. Un carabiniere che l'ha conosciuta in quel periodo riferisce che, è vero, prima del gennaio 2010 - dunque nel 2009 - Ruby era già stata a Villa San Martino due volte. Con il nuovo anno, la relazione con il presidente si fa più intensa. Dal 14 febbraio al 2 maggio 2010 Silvio Berlusconi e la teenager si vedono tredici volte. 14 (domenica), 20 (sabato), 21 (domenica), 27 (sabato), 28 (domenica) febbraio 2010; 09 (martedì) marzo 2010; 04 (domenica, Pasqua), 05 (lunedì dell'Angelo), 24 (sabato), 25 (domenica Festa della Liberazione), 26 (lunedì) aprile 2010; 01 (sabato, Festa del lavoro), 02 (domenica) maggio 2010. In settantasette giorni (dopo il fermo in questura del 27 maggio, sarà impossibile) il presidente pretende che la minorenne dorma sotto il tetto di Villa San Martino con una frequenza di una volta ogni sei giorni. È una prova solida della loro frequentazione. Bisogna ora dimostrare che ci siano stati "atti sessuali" tra il presidente e la ragazza. I caudatari chiedono come prova una fotografia, un video. Non è necessario.

È colpevole di favoreggiamento della prostituzione minorile "chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica". Gli atti sessuali possono anche non essere, nel caso dei minori, sesso tout court. Per giurisprudenza costante della Cassazione, è configurabile come "atto sessuale" anche una "palpazione concupiscente". Ecco allora perché in una sequenza logica ci si deve occupare delle malinconiche serate del Sovrano, di quei "bunga bunga" dove, secondo decine di testimonianze, "le ragazze si spogliano, si avvicinano al presidente disteso sul divanetto e a turno, o anche in gruppi di due o tre, si strusciano e si fanno toccare, assumendo un atteggiamento anche provocante e volgare con baci e strusciamenti". Le maledizioni dei corifei del Sovrano non riusciranno a cancellare quel che si vede. Ruby partecipa al sollazzo del premier. Quanto meno - e per la legge non occorre pretendere altro - subisce gli "strusciamenti" di quel signore di 76 anni, le sue "palpazioni concupiscenti". Sono "atti sessuali", Ruby è minorenne. Si comprende perché la procura di Milano creda di aver raccolto fonti di prova sufficienti per chiedere il giudizio immediato e chiudere presto questa triste vicenda. Appare addirittura un sovrappiù documentare il tentativo corruttivo di Berlusconi. Vuole chiudere la bocca alla ragazza. È in affanno e le promette di rivestirla d'oro. Ancora una volta è costretto a muoversi in prima persona e al telefono della ragazza arrivano nei mesi scorsi più o meno un centinaio di telefonate del presidente.

In qualsiasi altro Paese che abbia rispetto di se stesso e delle sue istituzioni, Berlusconi si sarebbe già dimesso. Se questo non avviene, non lo si deve alla tignosa "invincibilità" del grottesco Sovrano che ci governa, ma a una classe dirigente incapace di assumersi responsabilità civili, indifferente a un senso comune dell'appartenenza e all'onore. Lo si deve a una Nazione senza amor proprio. Le tracce di questa triste condizione, si scorgono nei co-protagonisti di quest'affare o nell'assenza di alcune corpi collettivi. È un bestiario dalle mille figure. Un ministro della Repubblica, Ignazio La Russa, apprende che Berlusconi si è inventato "una fidanzata" per uscire dall'angolo. Si precipita dinanzi alle telecamere di un telegiornale per giurare, senza arrossire, che "lui, lo sapeva da tempo". Un avvocato di grande reputazione a Milano, Massimo Di Noia, difende Ruby. Ruby è la parte lesa di un reato sessuale e appare assolutamente irrituale e anomalo (anche se non esplicitamente vietato) che egli si sia prestato a interrogare la sua assistita per conto dell'indagato. E bisogna escludere - perché vietato - che egli abbia richiesto per le investigazioni difensive dell'avvocato di Berlusconi "notizie sulle domande formulate o sulle risposte date" da Ruby ai pubblici ministeri che l'hanno interrogata.

Mostra l'esprit de société la quiete stagnante delle redazioni del Tg1 e del Tg4. Sono governate non da giornalisti, ma da reggicoda del Sovrano. Augusto Minzolini riscrive ogni sera la realtà del Paese governato dal Drago lisciandola da ogni increspatura, conflitto, notizia e accecando l'opinione pubblica. L'altro addirittura spande il denaro del suo giornale per far rientrare in tutta fretta dal Brasile due prostitute da accompagnare dal premier. Che cosa deve accadere perché le redazioni dei due giornali facciano sentire la loro voce, alzino la protesta per difendere il loro onore. Dove sono i sindacati di polizia? Perché non difendono quei funzionari di Milano, umiliati e vinti dall'arroganza del capo di governo. Perché tace la Chiesa? Perché è senza voce il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata. Che già ebbe modo di dire (menava scandalo l'amicizia del Sovrano con la minorenne Noemi): "Assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio". Esiste ancora un'Italia che abbia amor proprio?

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