giovedì 6 ottobre 2011

Formigoni e la grande cricca della Compagnia delle Opere


di Mariano Maugeri e Giuseppe Oddo per il "Sole 24 Ore"

Nei cassetti della Procura presso la Corte dei conti lombarda giace dal 2008 una denuncia sui trucchi utilizzati dagli amministratori dell'Arifl, l'Agenzia regionale per il lavoro, per spostare da un capitolo all'altro del bilancio i fondi concessi dall'Unione europea con un preciso vincolo di destinazione. La denuncia porta la firma del collegio dei revisori, che ha bocciato il bilancio dell'Arifl nel 2006 e nel 2007 muovendo trentuno rilievi. Nel 2008, poi, il ministero dell'Economia ha sguinzagliato i suoi ispettori.
Che hanno redatto una relazione (l'ultima è del febbraio 2010) tuttora all'esame della magistratura contabile. Pesanti le accuse: illegittima assunzione di dirigenti, illegittimo affidamento di incarichi di collaborazione studio e consulenza (per complessivi 4 milioni di euro) e irregolare affidamento di compiti di direzione a un collaboratore che, combinazione, era l'attuale presidente della Compagnia delle opere di Milano, Massimo Ferlini. Stiamo parlando del braccio economico di Comunione e liberazione, il movimento religioso di cui è esponente di primissimo piano il governatore Roberto Formigoni.


«Pensavo che la Regione Lombardia fosse un modello di efficienza: mi sono dovuto ricredere», dichiara una fonte che chiede l'anonimato. Aggiunge: «Un esempio su tutti è il portale della Borsa lavoro, costato 19 milioni, che dovrebbe favorire l'incontro tra domanda e offerta».

Il paradosso è che la quasi totalità dei dipendenti dell'Arifl svolgeva lavori di segreteria, mentre la realizzazione dei progetti era affidata a uno stuolo di consulenti in pianta stabile, nella maggioranza dei casi vicini a Cl, tanto per cambiare. La loro retribuzione raggiungeva punte comprese tra i 100 e i 200mila euro.

Quello dell'Agenzia per il lavoro non è un esempio isolato. Formigoni, che impera sulla Lombardia dal '95, ha svuotato l'amministrazione, accentrando su di sé il controllo e trasferendo le funzioni strategiche a società ed enti pubblici economici. Dice Pippo Civati, il rottamatore lombardo del Pd, autore con l'ex consigliere Carlo Monguzzi di un libro grigio sulla Regione, diffuso sul web: «La giunta, gli assessorati, il consiglio sono stati depotenziati; la gestione di parti delicate, come gli appalti e la tesoreria, trasferita alle varie Finlombarda, Infrastrutture lombarde, Lombardia informatica, nei cui consigli d'amministrazione siedono uomini di osservanza formigoniana».



Centralista a Milano, federalista a Roma; in preda alla sindrome cesarista, ma con l'aplomb ecumenico di chi ambisce a succedere a Silvio Berlusconi: così dipingono Formigoni i suoi avversari politici e alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Con una evidente schizofrenia si predica il valore della sussidiarietà, cioè l'idea che i servizi debbano rispettare il criterio di prossimità e avvicinarsi alle persone, e poi si adotta un modello di Regione pigliatutto che con i voucher instaura un rapporto diretto con il cittadino per scavalcare gli enti locali.



Nel ruolo di salvatore della patria lombarda, ora Formigoni si candida a rilevare il San Raffaele, il gruppo ospedaliero di don Luigi Verzè che affoga nei debiti nonostante i quasi 450 milioni l'anno di rimborsi per prestazioni sanitarie versati dalla Regione.

Con la formula «più società meno Stato» i ciellini hanno aggredito i posti chiave di Asl, società a capitale pubblico, trasporti e agenzie di nomina regionale, denuncia Enrico De Alessandri, ex direttore del Centro regionale emoderivati, in un pamphlet che è stato un caso editoriale e gli è costata la sospensione temporanea dal lavoro. In Finlombarda è stato costituito, nel 2007, un fondo per il pagamento dei fornitori della sanità: una vera e propria attività di tesoreria sottratta agli ospedali e agli istituti di ricerca clinica, per di più senza gara d'appalto.



Queste dinamiche sono ormai una costante nei rapporti tra Regione e società controllate. Che, a loro volta, direttamente o tramite loro partecipate, esternalizzano i servizi a imprese legate alla Compagnia delle opere (Cdo). L'appalto dei ticket restaurant (i buoni pasto per i dipendenti pubblici della Lombardia), un affare da 600 milioni, è stato aggiudicato nel 2011 alla Edenred, una Srl associata alla Cdo. La stessa società ha vinto l'appalto per la gestione dei voucher di conciliazione (buoni spesa per cassintegrati e lavoratori in mobilità) e della cosiddetta dote scuola. A Cremona dicono che la Edenred non disponesse di una struttura adeguata per l'erogazione del servizio.


Spiega Enrico Brambilla, capogruppo del Pd in commissione Bilancio: «I bandi sono pochi e spesso finti. Talvolta vengono aperti e chiusi in una stessa giornata. Si tratta di gare online a sportello, in cui vige il criterio cronologico». Insomma, vince chi clicca prima. La gestione dei bandi è concentrata in Finlombarda e Cestec, fuori dal perimetro dell'amministrazione.



Talvolta i quattrini finiscono nelle tasche di nomi eccellenti. Come quello di Laura Ferrari, moglie del parlamentare leghista Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione Bilancio della Camera. La signora Ferrari ha patteggiato nel 2008 una condanna a 2 mesi e 10 giorni per avere gonfiato il numero degli allievi di un corso di ippoterapia finanziato dal Pirellone con 400mila euro.

Singolare la vicenda di Guido Della Frera. Per anni braccio destro di Formigoni e poi coordinatore della campagna elettorale di Guido Podestà a presidente della Provincia, Della Frera si è dimesso da assessore al Personale e agli Affari generali a metà mandato per dedicarsi al Gdf group, che possiede con la moglie. Svariati i settori di business: sanitario, alberghiero, turistico, immobiliare, ristorazione. Scrive De Alessandri che, cinque mesi dopo la sua uscita dalla Regione, il polo geriatrico riabilitativo di Cinisello Balsamo, parte integrante del suo gruppo, ha ricevuto l'accreditamento di 141 posti letto dal servizio sanitario.



La Gdf group Spa ha chiuso il 2010 con oltre 22 milioni di ricavi e 2,1 milioni di utile netto. Altra coincidenza: Della Frera dal 2006 è proprietario dell'Hotel Villa Torretta di Sesto San Giovanni, rilevato da Giuseppe Pasini, il costruttore - consigliere comunale del Pdl e aspirante sindaco della ex Stalingrado d'Italia - che sostiene di aver versato tangenti destinate al pidiessino Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano. Un vortice di affari dove si mischiano soldi pubblici, interessi privati e carriere politiche.


Legittima a questo punto la domanda: di quale struttura di controlli si è dotata la Regione? E come vigila sul fiume di 16,5 miliardi di spesa sanitaria pari al 72% del suo bilancio annuale? Risponde Alessandro Cè, ex assessore alla Sanità della Lega Nord, costretto alle dimissioni dopo lo scontro con il governatore: «Formigoni sostiene di sottoporre a controlli il 6% delle prestazioni. Ma si tratta di verifiche concordate, con la visita degli ispettori anticipata da una telefonata. Da assessore avevo organizzato una sorta di struttura di controllo clandestina per aggirare quella ufficiale, egemonizzata da dirigenti della Cdo».



Prosegue Cè: «Vi siate mai chiesti perché in Lombardia ci sono più centri di cardiochirurgia che in Francia, molti dei quali privati? Perché la cardiochirurgia, così come altre specialità, è estremamente remunerativa. Sul pubblico, invece, si scaricano le prestazioni meno profittevoli. Succede così che un imprenditore come Giuseppe Rotelli, titolare del gruppo ospedaliero San Donato, diventi il secondo azionista di Rcs con gli utili della sanità privata convenzionata».

Non tutti sono d'accordo. Commenta Francesco Longo, responsabile del Cergas, il Centro ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale dell'università Bocconi: «Nel modello formigoniano, gli ospedali pubblici e privati sono i grandi attrattori della domanda. A farne le spese sono le Asl, ovvero i servizi territoriali, svuotati di funzioni e contenuti». Longo è un sostenitore del modello lombardo: «Se l'Oms mette l'Italia al secondo posto nel mondo per i servizi sanitari è grazie a regioni come la nostra».



C'è però un numero che fa discutere e la Regione si guarda bene dal comunicare: i 6 miliardi sborsati dai cittadini lombardi per pagarsi di tasca propria le prestazioni che il pubblico non riesce a garantire in tempi e modi accettabili. Soldi che si aggiungono alla spesa sanitaria regionale. Aggiunge Longo: «Le prime voci di questi 6 miliardi sono oculistica, ginecologia e dietologia, ma non bisogna dimenticare i farmaci e le visite specialistiche private».


Giuseppe Pasini Agli antipodi il giudizio di Cè: «Una spesa privata così elevata mal si concilia con un modello efficiente». E le inefficienze convivono con gli sprechi. Come definire altrimenti i costi esorbitanti - circa 1,5 miliardi in dieci anni - per la progettazione e la gestione della carta dei servizi sanitari? Nei piani roboanti di Lombardia informatica, la carta della salute distribuita ai cittadini avrebbe dovuto accelerare il processo di informatizzazione sanitaria sul modello nordeuropeo. Il tesserino multifunzionale, proclamavano in Regione, sarebbe stato utile anche per operazioni bancarie. Ma a molti anni dal suo debutto è diventato il documento di riconoscimento preferito dai lombardi per acquistare le sigarette ai distributori automatici. Alla faccia della salute.

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