domenica 21 aprile 2013

Era già tutto previsto.

Napolitano, era tutto studiato. di Antonio Padellaro | 21 aprile 2013. C’è un filo rosso che porta allo sconcertante bis di Giorgio Napolitano, parte da lontano e si chiama governo delle larghe intese con Berlusconi. È una lampante verità che sul Colle delle bugie e dei nastri cancellati nessuno può negare, scolpita sui moniti che d’ora in poi saranno legge. Quel filo del Quirinale, nel dicembre 2011 dopo la disastrosa caduta del governo B., impedisce le elezioni anticipate. Come mai? Forse era chiaro che, con il crollo annunciato della destra, il Pd vincitore avrebbe potuto imporre senza problemi il proprio capo dello Stato? E perché quando, nel dicembre scorso, Monti si dimette, non viene rispedito alle Camere per verificare la fiducia? Forse perché il timing, perfetto, consentiva alla presidenza di gestire non solo le elezioni,ma anche il dopo? Il pareggio auspicato e raggiunto, il mezzo incarico a Bersani, lo stop a M5S che chiede un premier fuori dai partiti, la melina dei “saggi”. Tutto per arrivare paralizzati all’elezione del Presidente e quindi all’inevitabile rielezione? Forse il piano non era così diabolico, forse l’encefalogramma piatto dei partiti ha permesso a Napolitano di orchestrare la crisi come meglio voleva. Ma è difficile credere che, dopo aver respinto fino alla noia ogni offerta per restare, il navigato politico abbia ceduto in un paio d’ore alle suppliche di alcuni presunti leader alla canna del gas. Si è fatto rieleggere,vogliamo credere, non per sete di potere (a 88 anni!), ma per governare l’inciucio che nella sua testa è l’unico strumento per controllare un Paese allo sfascio. E per tenere lontano quell’eversore di Grillo che crede addirittura nella democrazia dei cittadini. Non s’illuda, però: davanti ai problemi giganteschi degli italiani (e alle piazze in fermento), questa monarchia decrepita e grottesca è solo uno scudo di paglia. D’ora in poi questi politici inetti e disperati il conto lo faranno pagare a lui. Il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2013 I poteri forti che hanno fermato Rodotà. di Mauro Barberis,da Il Secolo XIX. In momenti come questi, il più grande servizio che un intellettuale e un giurista possono rendere al loro Paese è spiegare cosa sta succedendo. L’altra sera ero a cena con Stefano Rodotà, il candidato e l’uomo limpido che mi onora della sua amicizia. Eravamo entrambi relatori al Festival della laicità di Reggio Emilia, con la differenza che lui, ovviamente, teneva la relazione di apertura, e neppure in questa occasione ha voluto venir meno ai suoi impegni. Tutto quello che dirò lo penso io, non lui; questo non è uno scoop giornalistico: con tutto il rispetto che lui e io portiamo per il giornalismo, noi facciamo un altro mestiere. A un certo punto della serata, quando erano ormai arrivate le notizie della sconfitta di Prodi, impallinato dai franchi tiratori del Pd, e circolavano le voci delle dimissioni di Bersani e della Bindi, nel silenzio generale gli ho chiesto, alla presenza di molti amici, quanto segue. «Stefano, a questo punto la situazione è chiara, il Pd è imploso e non è più in grado di esprimere alcuna candidatura, può soltanto scegliere fra candidature altrui. O vota il candidato di Berlusconi, o vota il candidato di Grillo, cioè te: altrimenti di qui non si esce. Ora, la domanda è: perché non scelgono te, come farei ovviamente io? Perché sceglieranno chiunque altro, ma non te? Perché non ti hanno scelto sin dall’inizio, nonostante tutti gli amici che hai nel Pd?». Qui, ripeto, non riporterò quello che lui mi ha risposto. La mia opinione, però, ricavata da quello che lui mi ha detto, è che contro la candidatura Rodotà, che rischiava di essere condivisa anche da molti democratici, siano scesi in campo poteri forti, anzi fortissimi. Anche questa è una formula mia, naturalmente: Stefano si esprimerebbe in modo molto meno rozzo. Ma la sostanza è questa. Contro di lui, relatore al Festival della laicità ma soprattutto inflessibile difensore dei diritti delle minoranze, non ha pesato tanto l’ostilità del primo potere forte, la Chiesa: oltretevere gli equilibri sono molto cambiati, dopo l’elezione di papa Francesco, d’ora in poi la Chiesa guarderà meno all’Italia e più al mondo, e poi se si fosse trattato solo di questo sarebbe stato eletto il cattolico adulto Prodi, a favore del quale Rodotà era dispostissimo a rinunciare alla propria candidatura. Un secondo potere forte che è stato decisivo contro Rodotà è stato il potere economico e finanziario, che ha bisogno non di riforme ma di stabilità, dei vecchi equilibri di potere per continuare a fare i propri affari, e che non sarebbe stato garantito da un giurista di sinistra, difensore dei diritti dei consumatori, ostile alle privatizzazioni e teorico dei beni pubblici, ma soprattutto indisponibile a prestarsi ai vecchi giochetti. Queste sono ancora parole mie, ma non credo che l’amico Stefano possa mai smentirmi su questo, neppure diplomaticamente. Infine, c’è un terzo potere forte, che ipotizzo io sulla base di tutto quello che so, prendendomene tutte le responsabilità. Non ho mai creduto ai complotti, eppure l’impazzimento del nostro sistema politico registratosi in questi giorni, la decisione di Napolitano di candidarsi dopo aver sempre detto che non lo avrebbe mai fatto, la stessa ipotesi Amato per palazzo Chigi hanno una spiegazione ulteriore e molto semplice, abbastanza nota agli addetti ai lavori. Il terzo potere forte ostile a Rodotà è la massoneria: non quella deviata, le varie P2 e P3, ma quella “buona”, cui aderiscono molti insospettabili di tutti i partiti, anche di sinistra o pretesa tale. Aggiungo un’ultima cosa per chiarire la mia posizione. Rosy Bindi aveva detto che se Marini era il Presidente del governissimo con Berlusconi, non era il suo Presidente. Lo ripeto anch’io per il Presidente Napolitano, che sino a oggi avevo sempre difeso. Se è il Presidente dei poteri forti, allora non è il mio Presidente.

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