lunedì 15 novembre 2010

Ancora sui mariti assassini,la banalità del male



Ammazzare la moglie con sessanta coltellate e farla franca
15/11/2010 16:10


Fonte: www.femminismo-a-sud.noblogs.org

La cassazione lo condanna a dieci anni di ospedale psichiatrico giudiziario per incapacià di intendere e di volere.

Il Corriere pubblica di una sua ipotetica assoluzione. Forse al Corriere sfugge che se una persona viene assolta non è costretta a restare rinchiusa in un ospedale psichiatrico giudiziario per dieci anni. Ma se davvero un assassino è stato assolto allora si apre un capitolo nuovo della giurisprudenza italiana. Anzi vecchio. Risale al tempo in cui dopo l’abrogazione del delitto d’onore quasi tutti gli assassini di donne venivano assolti con la stessa formula “incapacità di intendere e volere” per un tacito accordo tra tribunali e assassini, dove la psichiatria, come accade spesso tutt’ora, andava in soccorso ai carnefici per imprimere invece un controllo sociale sulle persone più deboli, donne in primo luogo.

Volendo dunque propendere per la buona fede del titolista diciamo che il messaggio che così viene dato è che se sei “depresso”, ipotesi avanzata come attenuante dalla stampa in qualunque occasione, e accoltelli tua moglie sessanta volte puoi farla franca. Te la cavi con poco. Giusto un contentino da dare alla società per dire che degli assassini la giustizia in qualche modo si prende “cura”.

E la deriva della pietà per l’assassino malato è una cosa costruita sapientemente a partire dai processi mediatici. Spesso e volentieri si dice che sia stata lei a fare impazzire lui e dunque ad essersi in qualche modo meritata la morte.

In realtà troppi di questi uomini ammazzano le donne che vogliono andare altrove, non vogliono più restare con loro, vogliono fare scelte autonome, vogliono lasciarli. E se il femminicidio viene interpretato come conseguenza di una patologia clinica allora si può anche dire che di questa particolare patologia soffrono in troppi: si chiamano misogini, maschilisti, patriarchi, padri padroni e sono culturalmente e socialmente legittimati ad essere quello che sono. Quindi possiamo dire che si tratta di una patologia sociale o di un modello culturale costruito dagli uomini che nelle aule di giustizia si sono creati una scappatoia giuridica per ottenere una punizione minima?

Sul senso delle punizioni potremmo parlare a lungo ma quello che per ora serve dire è che se questo è il parametro attraverso il quale si affronta una emergenza così ampia come quella che colpisce direttamente troppe donne ogni giorno si può proprio dire che non c’è alcuna forma di giustizia interessata a prevenire la loro morte.

Viviamo tutti in un manicomio sociale che protegge i carnefici e infligge punizioni atroci sulle vittime. E tutto questo non è affatto giusto perchè le donne hanno il diritto di restare vive ed è è un diritto che a loro viene negato troppe volte.

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