sabato 11 agosto 2012

Tutti schiavi di Goldman Sachs.

L'intoccabile Goldman Sachs. di Vittorio Malagutti, per Il Fatto.
Sarà pur vero che le teorie sul grande complotto mondiale della banca vampiro lasciano il tempo che trovano. Peggio: sono storie diffuse a uso e consumo di chi manca di argomenti migliori per dare addosso ai signori della finanza. Certo è che notizie come quella di ieri finiscono per consolidare l'immagine di Goldman Sachs come il tempio degli intoccabili, il colosso globale così potente che perfino il governo degli Stati Uniti s'inchina deferente al suo cospetto. È successo che il ministero della Giustizia Usa ha deciso di non procedere contro la banca d'affari per la cosiddetta truffa Abacus, una presunta frode miliardaria che ha provocato perdite colossali a migliaia di clienti dell'istituto guidato da Lloyd Blankfein. "Dopo un'attenta revisione delle informazioni fornite dal rapporto del Senato e dopo un anno di indagini, il Dipartimento di Giustizia ha determinato che non ci sono le basi" per perseguire penalmente Goldman o i suoi dipendenti. Questo in sintesi il comunicato diffuso ieri dal governo di Washington. Niente da fare quindi, il processo non comincia neppure. E pensare che solo l'anno scorso Goldman aveva accettato di pagare 550 milioni di dollari per chiudere la causa avviata dalla Sec (la Consob americana) proprio su Abacus. I fatti risalgono al 2007, quando stava per esplodere la grande bolla della finanza. L'accusa, in sostanza, era quella di aver venduto ai clienti un prodotto strutturato, denominato Abacus, e allo stesso tempo di aver speculato contro i titoli su cui si basava quello stesso prodotto. Insomma, le perdite vanno ai clienti, i profitti alla banca. Profitti enormi, ovviamente, così come le perdite, perché la crisi dei mutui subprime ha ridotto Abacus a carta straccia. Era stato il Senato americano, al termine di un'indagine sul ruolo delle banche nello sboom dei mercati, a sollecitare l'intervento del dipartimento di Giustizia per questa sospetta frode. Non ci sono le basi per avviare il processo, ha ribattuto il governo. I vertici di Goldman possono stare tranquilli: nessuno andrà a rivangare quel passato imbarazzante. Anche nel presente, proprio in questi giorni, gli affari della banca più influente del mondo nuotano in un mare di polemiche. Goldman vende Italia, si legge nella relazione trimestrale dell'istituto pubblicata due giorni fa. In gergo tecnico si dice che la banca va "short", cioè oltre a vendere a piene mani i nostri titoli di stato, ha preso una posizione corta (negativa) in derivati sul rischio Italia. Questa scelta strategica riflette la sfiducia dei banchieri americani sul futuro dell'euro.  Com 'era prevedibile, nei tre mesi da aprile a giugno le vendite sono andate a colpire i titoli dei Paesi cosiddetti periferici, quelli con il debito più elevato e prospettive di crescita a dir poco problematiche. Meno Italia, quindi, ma anche meno Spagna, Portogallo e Grecia nel portafoglio del colosso di Wall Street. Dalle nostre parti molti osservatori hanno fatto notare che pochi giorni fa il governo Monti aveva affidato proprio a Goldman il ruolo di consulente nella vendita di Fintecna alla Cassa depositi e prestiti. Bella riconoscenza, dicono adesso i critici. Noi distribuiamo incarichi e quelli ci prendono a schiaffi. La delusione è comprensibile, ma i banchieri fanno il loro mestiere, che è quello di guadagnare il più possibile e di far guadagnare i loro clienti. Se l'euro trema è difficile che si scateni una corsa ad investire in Europa. E poco importa, in verità, se Goldman Sachs in passato ha arruolato come propri consulenti politici italiani come Romano Prodi e Gianni Letta. E se lo stesso Mario Monti prima di approdare a Palazzo Chigi era a libro paga della potente banca d'affari che adesso gli crea nuove difficoltà sui mercati. Del resto lo stesso Mario Draghi, dopo la sua esperienza come direttore generale del Tesoro, era approdato alla Goldman per diventare uno dei più importanti dirigenti dell'istituto nel Vecchio Continente. Adesso Draghi siede al vertice della Banca centrale europea, ma i suoi vecchi colleghi continuano a scommettere contro la moneta unica.

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