martedì 3 agosto 2010

Fini/Nano visti dalla stampa estera




Discute la stampa estera sulla situazione che si sviluppa fra il PdL e FLI, in attesa del voto di mercoledi, quando sarà posta in discussione la sfiducia individuale a Giacomo Caliendo: e per qualche osservatore internazionale la situazione non è affatto definita.

CARNE O PESCE? - Ad esempio sembra sicuro l’Economist: sicuro di non poter prendere posizione. “E’ fuori, o ancora mezzo dentro?” si chiedono da Londra, alludendo alla difficile situazione che si presenta davanti al presidente della Camera, che comunque si muovesse, rischierebbe di sbagliare il passo, a questo punto. Nonostante la fase convulsa, comunque, “alcune cose sono senza dubbio chiare”. Dopo la rottura con Berlusconi, “Fini si è guadagnato una posizione in grado di influenzare, e perfino di decidere, il corso degli eventi”, riuscendo a “fregare il suo alleato” e rendendo il quadro politico “meno stabile di quanto non fosse quattro giorni fa”. Tuttavia, l’Economist sottolinea come le cartucce nel fucile di Berlusconi non siano esaurite: “attraverso l’offerta di poltrone di governo”, spiega infatti il settimanale della City, “Berlusconi dovrebbe essere in grado di assicurarsi l’appoggio di alcuni deputati indipendenti e provenienti da partiti minori, e lui stesso ha assicurato che ‘non ci saranno crisi di governo e nessuna elezione anticipata’ solo pochi giorni fa”.

SEPARATI IN CASA - Diversa l’analisi dei media spagnoli, se è vero che La Vanguardia, quotidiano di Barcellona, sembra pessimista sulle conseguenze del “Divorzio all’Italiana”, scrivendo che si apre un periodo di “incertezza”, “preoccupante in particolare” perchè impedirà di agire con decisione nei confronti delle ultime frustate della crisi economica. Per il quotidiano catalano, ora Berlusconi è sotto “una spada di Damocle”. E tuttavia, anche l’Economist ha presente il problema, quando afferma che anche se Berlusconi superasse il voto di mercoledì, in ogni caso il governo vivrebbe dipendendo dalla “buona volontà di Fini” in Parlamento. Il Times è ancora più deciso, e sottoscrive le parole di Massimo Donadi: Berlusconi, ormai, è “dead man walking”.

CAMBI DI CASACCA - Un profilo di Gianfranco Fini ci è consegnato dalla Reuters francese, che lo definisce “un habitué dei voltagabbana spettacolari”. Un giudizio completo ma allo stesso tempo duro sulla figura del Presidente della Camera, del quale si ricorda il passato “neofascista” nell’MSI, e quando in seguito aveva definito Benito Mussolini “il più grande uomo politico del XX secolo”, prima di iniziare il cammino che lo avrebbe portato a definire il fascismo “un male assoluto”. Piano piano Fini avrebbe iniziato ad assumere posizioni politiche “poco compatibili con quelle del governo” sostenuto dalla stessa maggioranza che gli aveva consegnato la fiducia come vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri in una passata legislatura. La Reuters conclude la sua descrizione con la frase, che a questo punto è pienamente internazionale, che Fini ha urlato a Silvio Berlusconi nel corso della Direzione Nazionale del PdL, quando, sollevate alcune importanti problematiche, aveva provocato una reazione furibonda del Premier che gli aveva consigliato di dimettersi da presidente della Camera: al che, Fini aveva chiesto se l’intenzione era quella di cacciarlo. “Qu’est-ce que tu fais, tu me chasses ?”, traduce, appunto, la Reuters.






Durissimo attacco del settimanale economico londinese Economist agli atteggiamenti definiti “imbarazzanti” del premier. Un paese – l’Italia – che nel panorama internazionale, conta sempre meno.

Questa settimana L’Economist accende i suoi riflettori sulla politica estera del Cavaliere, specie nei confronti dell’UE, definita letteralmente “puzzlingly” ossia imbarazzante. Il titolo dell’articolo è eloquente: “Why does Italy punch so far below its weight in the European Union?” che tradotto significa, più o meno: Cosa fa sprofondare l’Italia sotto il suo peso nell’Unione europea? Manco a dirlo, questa zavorra è rappresenta proprio dal Cavaliere, quello che si vanta di aver “inaugurato la politica del cucù” che a detta del premier sarebbe un modo giocoso di “essere aperti e capire gli altri, e di fare amicizia“. Partendo dal cucù, il settimanale della City, come dicono quelli che usano un linguaggio assai più forbito del nostro, “percula” e non poco, uno dei cavalli di battaglia più reclamizzati, almeno nei suoi non pochi media “amici”, del governo berlusconiano: la nostra politica estera.

SILVIO, FACCE RIDE! - “Some years ago… alcuni anni fa – scrive il settimanale – i leader europei, proprio quando erano immersi in una gravosa discussione, l’onorevole Berlusconi improvvisamente si rivolse a Gerhard Schröder, allora cancelliere della Germania, e gli disse: Parliamo di donne. Gerhard, sei stato sposato quattro volte. Perché non inizi?” Una battuta probabilmente apocrifa, che però svela un particolare importante sul nostro presidente del Consiglio. Per Berlusconi “l’UE è qualcosa di noioso. In politica estera – segnala L’Economist – Berlusconi riserva il suo entusiasmo per le sue relazioni personali e diplomatiche soprattutto con i leader di paesi del calibro della Turchia, della Russia, della Bielorussia, della Libia e delle repubbliche dell’Asia centrale. Tutti paesi al di fuori dell’UE, alcuni dei quali ispirano profonde perplessità a Bruxelles“. Tutti Stati dove la concezione berlusconiana della democrazia – aggiungiamo noi – sublima al massimo fattore.

CON BERLUSCONI L’ITALIA CONTA DI MENO - “L’Italia – prosegue L’Economist nella sua tagliente disamina – è stato uno dei membri fondatori dell’organizzazione che oggi è diventata l’Unione europea e il Trattato che la istituisce è stato firmato proprio a Roma. L’economia in Italia è più del doppio di quella della new entry Polonia, la sua popolazione, approssimativamente, è uguale a quella della Francia o della Gran Bretagna. Eppure, raramente è stata una forza determinante all’interno dell’UE. Perché?” Già perché? Certo, storicamente, almeno dal dopo guerra, non siamo mai stati una potenza su scala continentale – almeno a livello pari di Germania, Francia e della stessa Inghilterra, malgrado ciò, con tutti i limiti del caso, la politica estera “andreottiana” era riuscita a ritagliarsi un suo preciso ruolo di mediazione – specie nei confronti dei paesi mediorientali – e di autorevolezza. Con Berlusconi, come annota il settimanale londinese, invece, “da quando è in carica l’Italia è stata sempre meno efficiente“.

GRAZIE A MR. B. L’EUROPA È DIVENTATA UN PESO - Per spiegare questo fenomeno, L’Economist fa un’osservazione: “Gli italiani, a differenza di inglesi, francesi e, sempre più, dei tedeschi, non vedono l’UE come un’arena per la risoluzione del conflitto dei loro interessi nazionali. L’Europa, è sempre citata come se fosse da qualche altra parte, costituisce un complemento a “e forse, un giorno, una sostituzione per” il loro governo che, “assiomaticamente” la vede come un male. L’Europa è una comoda scusa per l’imposizione di misure impopolari, vedi i tagli del deficit, “il rispetto delle norme comunitarie sui rifiuti, l’agricoltura (do you remember “quote latte”, Mr. Bossi?) e le merci provenienti dall’estero“. L’Europa è diventata “anche il motivo per cui certe cose non si possono fare – nel gergo burocratico di Roma – è definito il Vincolo esterno. Questa visione utilitaristica nei confronti della UE è tuttavia venato da un vero e proprio idealismo“. Eppure l’Italia, rileva il settimanale economico, pur con questo suo “neo anti-europeismo” ha raramente usato il suo potere di veto. “L’unica eccezione è molto recente. Il rifiuto di Roma di consentire una condanna unanime della Russia sulla sua incursione in Georgia nel 2008“. L’amico Wladimir, evidentemente, si sarebbe poi risentito con l’amico Silvio al prossimo “cucù”…

L’ITALIA BANDERUOLA D’EUROPA - “Colpisce, per esempio – prosegue il duro articolo de L’Economist – che all’interno dell’UE, l’Italia non ha alleanze stabili, anche con altri paesi del Mediterraneo (vedi Francia o Spagna). Nel 1990 uno studio di Federica Bindi, un’analista internazionale, metteva sotto accusa i troppi “turnover dei governi”; i conflitti tra i partner della coalizione, una scarsa capacità della burocrazia italiana ad imparare le metodologie e gli approcci degli altri paesi membri. Con la fine della Prima repubblica questa situazione non è affatto cambiata in meglio. Certo, con l’avvento di Mr. Berlusconi la situazione è almeno migliorata sul piano della stabilità e l’amministrazione pubblica, in questi anni, ha imparato molto dagli altri. Ma gli altri problemi restano, e sono formidabili“. A cominciare dalle “differenze tra i partiti della coalizione di governo che ostacolano un approccio coerente, mentre il campanilismo è una piaga endemica“.

CE N’È PURE PER PRODI - “Tommaso Padoa-Schioppa, ex ministro delle Finanze ha affermato che “in Italia la politica non si ferma mai a riflettere. E’ vero – conferma la rivista di James’s street – c’è un clima di guerra continua tra e all’interno dei partiti, in cui si cimenta ogni uomo politico, dal più umile al viceprimo ministro, la strategia dell’UE è invece vista come qualcosa di marginale. Gli incarichi di alto livello nelle istituzioni europee vengono considerati poco attrattivi per le ambiziosi dei politici italiani. Nel migliore dei casi, essi sono visti come dei ripieghi per tenersi a galla in attesa di una successiva opportunità per ritornare in auge nella fase nazionale”. Un esempio di questo tipo – secondo L’Economist – è stato Romano Prodi, “che ha gestito la Commissione europea tra il 1999 e il 2004, ed ha trascorso gran parte del suo ultimo anno in carica complottando per il suo ritorno nella politica interna“. Citando l’ultimo libro della Bindi (Federica) il settimanale così chiosa: “L’Italia sembra essere bloccata all’era dei Guelfi e dei Ghibellini, in cui la vittoria di una fazione rispetto all’altra è la sola cosa che conta“, anche a discapito di una successiva efficace politica di governo del Paese, aggiungiamo noi.

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