venerdì 31 maggio 2013

DARIO, JACOPO E MILANO SALUTANO FRANCA. BELLA, CIAO.

"Franca ed io abbiamo scritto quasi sempre i testi del nostro teatro insieme. Io mi prendevo l'onere di mettere giù la trama quindi gliela illustravo e lei proponeva le varianti, spesso li recitavamo a soggetto, all'improvvisa, come si dice". Lo racconta Dario Fo, durante il suo "commiato" ai funerali laici della moglie, Franca Rame, a Milano. "Questo - prosegue il premio Nobel - era il metodo preferito ma non sempre funzionava. Si discuteva anche ferocemente, si buttava tutto all'aria e si ricominciava da capo. In verita mi trovavo a dover riscrivere di nuovo il testo da solo. Poi lo si discuteva con più calma e si giungeva ad una versione che funzionasse e che andasse bene a tutti e due". "Anche Franca - ha spiegato il premio Nobel - è stata l'autrice unica di alcuni testi. Ci sono opere, come per esempio 'Parliamo di donne', che furono stese da lei completamente a mia insaputa. Quando mi ha dato da leggere questa commedia già ultimata sono rimasto un po' perplesso e seccato. Ma come ti permetti? No, scherzavo. Io ho proposto qualche variante ma di fatto si trattava di un'opera del tutto personale". "Pochi lo sanno ma la gran parte degli spettacoli che trattavano di questioni prettamente femminili è stata Franca ad averli scritti, elaborati e poi li ha recitati al completo spesso anche da sola. E io mi sono trovato a collaborare solo per la messa in scena". Milano, 31-05-2013

giovedì 30 maggio 2013

L'ULTIMO SALUTO.

(illustrazione di Anarkikka, da FB) Ciao, Franca e grazie da tutte noi. "Al mio funerale voglio tante donne vestite di rosso che cantano per me". Il desiderio di Franca Rame sarà esaudito perché domani, venerdì 31 maggio saranno, saremo in tante a darle l'ultimo saluto al teatro Strehler a Milano. Attrice, femminista, donna di grande cultura e imprenditrice (era amministratrice della Compagnia teatrale fondata con il marito nel 1958), Franca Rame si è spenta mercoledì a Milano a 84 anni. Sposata con Dario Fo nel 1954, dalla fine degli anni settanta partecipa al movimento femminista. Nel 1973 è vittima di un rapimento, cui seguono violenza fisica e sessuale, per mano di esponenti dell'estrema destra: un'esperienza drammatica cui segue un lungo procedimento penale (la sentenza dopo 25 anni) concluso con la prescrizione del reato, che Franca con forza rielabora e racconta nel lavoro teatrale Lo stupro, del 1981. Nel 2006 si candida alle elezioni politiche come capolista al Senato per l'Italia dei Valori ma dopo due anni abbandona l'incarico perché non condivideva gli orientamenti governativi. La sua biografia, scritta a quattro mani col marito Dario Fo, esce nel 2009 con il titolo Una vita all'improvvisa. Colpita da ictus nel 2012 era stata ricoverata al Policlinico di Milano. da Repubblica.it Franca Rame, la bellissima moribonda e il baciamano di Calderoli di Marco Travaglio | 30 maggio 2013. Da quando l’ho conosciuta io, cioè da almeno quindici anni, è sempre stata moribonda. Bella – perché era tanto bella, la più bella – e moribonda. “Maaarco, sto maaalissiiiiimo…”, ogni sua telefonata si apriva così. Poi partiva uno sfavillìo di battute, idee, progetti, commenti sull’ultimo articolo o l’ultima puntata di Servizio Pubblico, suggerimenti da farci un giornale intero. “Francuccia, non mi pare che tu stia poi così male”. “Ma va là, tu non puoi capire, sto sempre a letto. O muoio da me o trovo qualcuno che mi ammazzi. A proposito, tu che sei il diavolo conosci mica un killer?”. Una volta era la pressione (sempre bassa, bassissima), una volta la depressione, una volta l’ischemia, una volta l’aritmia, una volta la respirazione, una volta la vertebra schiacciata, una volta il prurito, insomma non ho mai conosciuto una moribonda più in salute di lei. La prima volta fu a Palermo, a un dibattito su mafia e giustizia. Non ci eravamo mai visti prima. Lei insultò Leonardo Marino, il pentito del delitto Calabresi, io intervenni a difenderlo. Lei non replicò. Alle due di notte rientravo in albergo, e mi sentii toccare una spalla: “Lei, signorino, è quello che oggi mi ha contraddetta su Marino?”. “Sì e se vuole le spiego perché”. Tre ore di accanito dibattito sul divanetto della reception, Dario intanto era passato e salito, augurandoci la buona notte. Non la convinsi io, non mi convinse lei. Però alla fine, barcollando verso la camera, esalò: “Vabbè, per me Sofri è innocente perché lo dico io. Ma, siccome scrive sul Foglio, forse un po’ di galera se l’è meritata. E adesso vado a letto perché sono le cinque e io sto malissimo”. Nel marzo 2001 vado a presentare L’odore dei soldi su Rai 2, al Satyricon di Daniele Luttazzi. Succede il finimondo. L’indomani mattina il primo squillo sul telefonino è di Franca. “Maaarco, erano anni che non avevo un orgaaasmo!”. Un’altra volta presentò il mio libro su Montanelli, con cui lei e Dario avevano avuto scontri epici negli anni 70. Eccola lì in prima fila, maestosa, smagliante e fiera, accanto a Dario, al Circolo della Stampa di Milano. “Che ci fai qui, Francuccia?”. “Non dirlo a nessuno, ma Montanelli era bellissimo”. La prima dell’ultima pièce scritta con Dario, L’anomalo bicefalo, su Berlusconi e Putin. “Marco, alla fine sul palco voglio organizzare un dibattito sul lodo Schifani, invitiamo qualche giudice?”. “Se vuoi provo con Armando Spataro”. E così, dopo gli applausi finali, Spataro e io la raggiungiamo in camerino. Il magistrato fa il baciamano e i complimenti. Lei lo fissa: “Ma io a lei la conosco”. “Può darsi”. “Ma sì, lei è quello che voleva arrestare mio figlio negli anni 70!”. “Arrestare proprio no, però insomma, mi occupavo anche di gruppi extraparlamentari…”. Tutti e due se la ridono di gusto. E lei: “Guarda te i miracoli che fa Berlusconi. Ma chi me lo doveva dire che sarei passata dalla parte dei magistrati”. Nel 2006, sarà stato febbraio, lei mi chiama con la solita voce dall’oltretomba. Io la prendo in giro, ormai è un gioco: “Francuccia, stai morendo o sei già morta?”. “Peggio, peggio”. “Cosa?”. “C’è qui Di Pietro che vuole candidarmi al Senato”. “E allora?”. “E allora non so cosa dire. Nessuno mi aveva mai candidata al Senato. Dario dice che è meglio di no, Jacopo che è meglio di sì, così mi levo dai coglioni. Siamo uno a uno. Decidi tu”. “Direi di sì: vuoi mettere la scena madre di te che muori in pieno Senato?”. “Hai ragione, accetto”. Qualche tempo dopo la incontro a Fiumicino, già senatrice, ringiovanita di vent’anni, dritta come un fuso, bella come un fiore. È tampinata da Calderoli, che si profonde in salamelecchi: senatrice di qua, senatrice di là. “Franca, vieni in taxi con me?”. “No, approfitto del passaggio di Calderoli, lui è vicepresidente e lo vengono a prendere”. Mi chiama un’ora dopo: “Maaarco, guai a te se dici a qualcuno quello che hai visto. Tu non ci crederai, ma il Calderoli è sempre così gentile, mi corteggia, mi fa anche il baciamano. Se i suoi elettori sapessero com’è davvero, non lo voterebbero più”. “Ma neanche te i tuoi, Franca”. “Ecco, appunto. Zitto”. Due anni fa torna a teatro dopo un bel po’, col Mistero buffo al fianco di Dario. Un salutino in camerino, prima che entri in scena. “Maaarco, sto malissimo, mi sa che stasera svengo sul palco”. In effetti è pallida, si regge in piedi a stento, gli occhi persi dietro le lenti a fondo di bicchiere, sempre bellissima, ma di carta velina. Quando tocca a lei, però, è un’altra. Sicura, altera, avanza a grandi falcate, in gran forma come Totò che sui legni del palcoscenico ritrovava persino la vista, attacca col monologo di Maria sotto la Croce e incanta tutti. Dario se la bacia tutta dietro la quinta. “Da quando è nato il Fatto, ho di nuovo il mio giornale. Posso mandarvi delle cosette?”. E quante ne ha mandate, di “cosette”. Lettere aperte, articoli, racconti, appelli da far firmare ai lettori, proposte di intervista, post per il suo blog, campagne contro gli sprechi della casta, le spese militari, gli inciuci, per i familiari dei soldati morti di uranio impoverito, per quella sinistra a cui ha dato tutto senza riceverne nulla, l’ultimo per Rodotà. Aveva quasi finito un libro sulle sue memorie di un anno e mezzo in Senato: “Non vedo l’ora di fartelo leggere. Lì c’è tutta l’inutilità del Parlamento. Ti guardano, ti sentono, ma non ti ascoltano. Una volta ho fatto un esperimento con un collega senatore: gli ho detto che avevo nella mia valigia un cadavere e che all’aeroporto stavano per scoprirmi perché un dito era uscito dalla cerniera lampo. Sai cosa mi ha risposto, guardandomi in trasparenza come tutti? ‘ Ah sì, ne parliamo nella riunione di gruppo’…”. Da una delle ultime mail: “Caro Marco, mi sto esaltando… una pagina del Fatto tutta per me. Grazie! Grazie! Da un po’ di tempo non mi faccio sentire con congratulazioni, ma dopo l’ischemia faccio fatica a riprendermi. Ho, come dico sempre, tanti anni e quindi accetto serena ciò che mi sta capitando. Verrà l’estate e andrà meglio, speriamo. Aspettiamo giovedì sera con allegria e tensione… Nella puntata ultima guardavo la tua faccia onesta, e per la prima volta ho realizzato che i tuoi capelli si stanno ingrigendo. Mi ha fatto una gran tenerezza e ho sentito il bene che ti voglio come fossi della mia famiglia. Un abbraccio grande, franca. Ps. Ti allego un altro racconto un po ’ imbarazzata”. Quanto era bella Franca. Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2013

RODOTA' E L'EVOLUZIONE DEI 5 STELLE.

Le loro indicazioni non bastano più. "Pd è un pezzo fondamentale della sinistra, ma non è tutta la sinistra". Stefano Rodotà è uno dei personaggi politici più amati dal Movimento 5 Stelle. È arrivato terzo alle Quirinarie indette online dal gruppo. ROMA (WSI) - «Non voglio dire che lo prevedevo. Ma non sono affatto sorpreso». Stefano Rodotà è uno dei personaggi politici più amati dal Movimento 5 Stelle, che lo avrebbe voluto al Quirinale. Ora analizza, senza fare sconti, un risultato che è andato ben al di sotto delle aspettative. Perché non è sorpreso? «Per due ragioni. La prima è politica: hanno inciso sul voto i conflitti, le difficoltà e le polemiche di queste settimane. La seconda è che avevo detto che la parlamentarizzazione dei 5 Stelle non sarebbe stata indolore. E così è stato». Il passaggio dalla rete al Palazzo, per intenderci. «Faccio una battuta: quando si lavora in Parlamento, non è che di fronte a un emendamento in commissione vado a consultare la rete. Serve un cambiamento di passo». Che non c’è stato. «La rete da sola non basta. Non è mai bastata. Guardiamo l’ultima campagna elettorale: Grillo è partito dalla rete, poi ha riempito le piazze reali con lo tsunami tour. Ma ha ricevuto anche un’attenzione continua dalla televisione. Se si vuole sostenere che c’è una discontinuità radicale con il passato non è così: anche per Obama è stato lo stesso. Si parte dalla rete, ma poi si va oltre». Il problema è che forse non sono andati abbastanza oltre. «Non hanno capito che la rete non funziona nello stesso modo in una realtà locale o su scala nazionale. Puoi lanciare un attacco frontale, ma funziona solo se parli al Paese. In queste elezioni hanno perso i due grandi comunicatori: Grillo e Berlusconi». Alle Amministrative, poi, contano molto i candidati. «Sono stato molto colpito dalle dichiarazioni avventate del candidato 5 Stelle di Roma: si è lamentato perché i media non gli avevano dedicato abbastanza attenzione. Ma come? Non era stata teorizzata l’insignificanza dei vecchi media?». Forse a qualcosa servono ancora. «Come serve l’insediamento a livello locale. Il candidato sconosciuto della rete si trova in difficoltà rispetto a chi ha una forte presenza territoriale. Non è un caso che il partito che ha tenuto di più in queste elezioni sia stato il Pd, nonostante la forte perdita di voti». Per Grillo è colpa degli elettori. «L’ho sentita troppe volte questa frase. Elettori immaturi, che non capiscono. Si dice quando si vuole sfuggire a un’analisi. Ma erano gli stessi elettori che li hanno votati alle Politiche. È una reazione emotiva, una spiegazione che non spiega nulla». Per i 5 Stelle non sono «padri» un po’ ingombranti Grillo e Casaleggio? «Non voglio fare quello con la matita rossa. Però, certo, non bastano più le loro indicazioni. Un movimento nato dalla rete, che ha svegliato una cultura politica pigra, una volta entrato in Parlamento deve cambiare tutto. E non può dire ai parlamentari: non dovete elaborare strategie». È proprio quello che ha detto il capogruppo Vito Crimi. «Le istituzioni fanno brutti scherzi. Penso alle parole di Grillo che contestava l'articolo della Costituzione secondo il quale il parlamentare deve operare senza vincolo di mandato. Ecco, io credo che tutti i parlamentari dovrebbero avere la libertà di esercitare il proprio mandato, anche se non in una logica individualista. Non si può delegare tutto. I parlamentari a 5 Stelle devono avere la libertà di lavorare. In alcuni casi lo stanno già facendo e ho sentito anche interventi di qualità». Il risultato deludente non è stato causato anche da un eccesso di chiusura e dalla mancanza di interlocuzione con il Pd? «Posso anche stabilire la linea del "tutti a casa" e "no a tutti", ma poi devo valutare le conseguenze. Si deve avere la capacità di confrontarsi con gli altri in Parlamento. Altrimenti si rischia di alimentare una nuova conventio ad escludendum . E probabilmente c'è anche un problema di inesperienza». La «verginità» politica è nel dna dei 5 Stelle. «Non ho mai creduto al valore dell'inesperienza, che rivendicano come verginità dalle compromissioni. Io ci misi molti mesi a imparare. Il Parlamento richiede competenza. So che stanno cercando di rimediare con bravi consulenti». E ora? «Ora Grillo e Casaleggio devono rendersi conto che siamo entrati in una fase nuova e che quello che ha determinato il successo non è un ingrediente che può essere replicato all'infinito. Per esempio: alle Europee cosa faranno? Una campagna fortemente antieuropeista, come Berlusconi? Sarebbe un rischio enorme. Cresce enormemente la responsabilità della sinistra». Che non sta messa bene. «Capisco il sollievo del Pd per il voto, ma ci sono problemi che non si cancellano con un'interpretazione consolatoria. Il Pd è un pezzo fondamentale della sinistra, ma non è tutta la sinistra. E deve guardare anche alla società. Il referendum di Bologna, per esempio: c'era una maggioranza schiacciante, sulla carta, per il finanziamento alle scuole private. E invece questa maggioranza è stata spazzata via». Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Corriere della Sera - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. Copyright © Il Corriere della Sera. All rights reserved

mercoledì 29 maggio 2013

Ci lascia Franca, la nostra anima bella.

Avevo diciotto anni. Ero appena arrivata a Milano da Roma.Amavo il teatro perchè ero stata educata fin da bimba a frequentarlo, a Roma, agli spettacoli dei migliori: Eduardo, la Compagnia dei Giovani, Buazzelli,Strehler, Brecht.A Milano sono diventata subito assidua della Palazzina Liberty occupata da Franca e Dario con la loro compagnia "La Comune" e con loro mi si è aperto un nuovo orizzonte sul teatro, come scuola di vita e visione del mondo. Che donna strepitosa Franca, strepitosamente bella ed intensa, che compagna. Grazie di quanto ci hai dato, ora è un dolore lasciarti ma come De Andrè diceva e come si pensa di tutti i grandi: " Meglio lasciarci che non esserci mai incontrati". «Mi è morta tra le braccia». Dario Fo racconta gli ultimi istanti di Franca. Li ripete a se stesso quasi a convincersi che sia accaduto davvero. «Si era alzata come tutte le mattine. Forse più affaticata del solito, la notte aveva tossito tanto. Ma insomma, era in piedi. Come sempre preoccupata per me, che la valigia fosse pronta, che non dimenticassi niente. Sarei dovuto partire per Verona, per le prove dello spettacolo su Maria Callas che avevamo scritto insieme e che avrei dovuto interpretare sabato all'Arena. Ma poi d'un tratto le manca il fiato. Franca! Che succede?! Mi guarda come per chiedermi aiuto. Respira! le grido. Respira forte! Non ce la fa, il suo petto si solleva sempre più lento. Quando arriva l'ambulanza è ormai fermo. I medici provano in ogni modo a rianimarla. Ma lei non c'era già più». Difficile credere a quelle parole: Franca non c'è più. Dopo sessant'anni insieme, come pensare a un domani da solo quando si è sempre stati in due? Dario e Franca, Franca e Dario. Più che una coppia, una cosa sola. Come Filemone e Bauci, due grandi alberi con radici e rami intrecciati. LETTERA D'AMORE PER DARIO. di Franca Rame | 30 gennaio 2013. CHI È DI SCENA… Sono nata nel 1929. Quando ero piccola, sette, otto anni, mi veniva in testa un pensiero che mi esaltava: morire. Quando morirò? Com’è quando si muore? Come mi vestirò da morta? Forse mamma mi metterà quel bel vestito che m’ha cucito lei di taffetà lilla pallido orlato da un bordino di pizzo d’oro. “Sembri un angelo! Quanto è bella la mia bimba che compie gli anni!” mi diceva. A volte mi stendevo sul lettone di mamma: vestito, calze, scarpe, velo bianco in testa, una corona del rosario tra le mani poste sul petto (tutta roba della Cresima), felice come una pasqua aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare e si spaventasse…scoppiando in singhiozzi. “E’ mortaaa! Franchina è mortaaaaa?!” E tutti a corrermi intorno piangendo…arrivavano i vicini, il prete e tutti rosariavano in coro. Arrivasse un cane di un cane. Nessuno spuntava. Nell’attesa mi addormentavo. Al risveglio ero incazzata nera. “La prossima volta vi faccio vedere io!” bisbigliavo minacciosa. Poi mi sgridavo: “Cattiva, sei cattiva!!! Dare un dolore così grande alla tua mamma. Vergognati! Con tutti il bene che ti vuole…” “Ascoltami Franchina… – mi diceva mamma – ci sono delle regole nella vita che vanno rispettate, ogni giorno: non poltrire nel letto, la prima cosa che devi fare, come apri gli occhi è sorridere. Perché? Perché porta bene. La seconda correre in bagno, lavarti con l’acqua tiepida, orecchie comprese, velocemente, vestirti. Far colazione e via di corsa a scuola. Salutare con un sorriso le persone che conosci, se aggiungi al sorriso un ciao-ciao con la manina è ancora più gentile. Non dare confidenza ai maschi. Tenerli a rispettosa distanza. Non accettare dolci o regali da nessuno…specie se uomini. Non parlare mai con gli estranei. Mi raccomando bimba, non prendere freddo, d’inverno sempre la cuffietta di lana all’uncinetto con i pom-pom rosa che ti ha regalato la zia Ida…gli stivaletti rossi di Pia (mia sorella maggiore) che non le entrano più. Ti voglio bene-bene-bene.” Lo ripeteva tre volte con ardore perché mi si inculcasse bene nel cervello. “Fai attenzione a tutto…come attraversi la strada…guai se vai sotto a una macchina. Ti rompi tutta…ricordati che ci ho messo nove mesi a farti!” Me ne andavo felice…Un po’ soprappensiero per quei nove mesi di lavoro per la mia mamma a farmi. E’ stata impegnata per un bel po’ di tempo…tutti quei mesi! La vedevo intenta a mettere insieme i pezzi. Ma dove li prendeva? Forse c’eran dei negozi nascosti che li vendevano: “Vorrei due gambette con i piedini, due braccine con le manine, un corpicino, la testolina no…ho una bellissima bambola lenci di quando ero piccola…ci metto quella. “Chiederò a mamma, quando sarò più grande che mi spieghi come ha fatto a confezionarmi. Ora siamo nel 2013. Da allora sono passati molti anni. Sono arrivata agli 84 il 18 luglio. Faremo una bella festa tutti insieme. Quando Jacopo era piccolo, a Natale arrivavano regali da ogni parte…più i nostri. Li posavamo tutti sul tavolone della sala da pranzo. Come il bimbo si svegliava lo si portava tenendolo in braccio davanti a tutto quello che aveva portato il Bambin Gesù. Ci si incantava a guardarlo. Meraviglia, felicità, grida, risate. “Grazie Bambin Gesù…grazie!!!” gridava guardando verso il soffitto come fosse il cielo…poi seduto sul tappeto a scoprire e godersi i suoi giochi. All’arrivo della torta con le candeline, non riuscivamo a convincerlo a soffiare per spegnerle. “Lo devi fare! Soffia!!” “Perché?” “Perché cresci più in fretta! Soffia!” Era un bimbo molto curioso e pensoso. Chiedeva sempre: e cosa vuol dire questo e perché no…Una volta sui 5 anni, stava appoggiato al davanzale del balcone su di una sedia con un filo in mano che agitava. “Che fai Jacopino?” “Do da mangiare al vento…” Ero un po’ preoccupata. Mi diverto molto con le mie nipotine. Quando Mattea (la figlia di Jacopo) era piccola, sui sei anni e veniva a trovarci a Sala di Cesenatico a passare l’estate con noi, le preparavo una festa alla grande. Compravo al mercato di tutto…non che spendessi tanto. Nascondevo i regalini spargendoli nel giardino tra alberi e cespugli e via con il gioco del “freddo e caldo”: si girava di qua e di là…davo segnali dei nascondigli dicendo “fredddo… freddo… tiepidino caldino… caldo, caldissimo… oddio brucia!” Mattea infilava la manina nel cespuglio, trovava il pacchetto, si sedeva su prato e lo scartava mandando grida di gioia. Una mia cara amica, Annamaria Annicelli aveva un grande negozio dove vendeva di tutto e mi regalò per Mattea un mare di Barbie con fidanzato Ken. Cartoncini con guardaroba completo: abiti per tutte le occasioni. Come ogni estate per anni, arrivò la mia dolce bimba più bella che mai. Le sbatto un uovo con zucchero e cacao – la rusumàta si chiama a Milano – che le piace tanto. Se la mangia leccandosi i baffi. “Vieni, andiamo a fare il gioco del caldo-freddo.” Lancia un urlo di felicità. Le avevo preparata una festa alla grande. E via che si parte: freddo… freddo… tiepidino… caldo… caldissimo! E dal cespuglio estrae una Barbie…poi un’altra…poi il fidanzato Ken, cartelle con abiti…ad un certo punto si lascia andare sull’erba sfinita: “E’ troppo nonna… è troppo!” Quando Jacopo, dopo tre mesi, veniva a prenderla era un momento triste per tutte e due. Ce ne stavamo abbracciate e silenziose in attesa della partenza. Saliva in macchina. La salutavo con la mano e mi scendevano le lacrime…pure lei piangeva. Cercavamo tutte e due di sorridere… ma si faceva fatica. Una gran fatica. Una volta, quando eravamo più giovani Dario ed io ci si faceva festa ai compleanni. Festa? Una festicciola…nulla di speciale. La torta, le candeline…dell’anno prima, qualche amica, amici…Ricordo invece un fantastico compleanno, il mio settantesimo a Sala di Cesenatico. Non mi aspettavo nulla di speciale. Invece… Quella mattina mi svegliai un po’ tardi, Jacopo venne a prendermi in camera dicendomi che Dario aveva bisogno di me…Neanche la mattina del mio compleanno posso restare disoccupata…scendo le scale, esco in veranda, e lì mi trovo una folla con i musicisti che suonavano, clown e maschere e tanta gente, amici venuti da ogni parte, ci saranno state cento persone, tutti a cantare tanti auguri a te…Mi sono messa ad abbracciare tutti uno per uno…Erano veramente tanti, che a un certo punto mi sono dovuta sedere…Anche per l’emozione. Poi siamo andati a mangiare fuori, sul porto canale di Cesenatico, e anche lì c’erano parecchi amici che erano venuti a festeggiarmi. Ogni tanto mi stupisco di quanta gente mi voglia bene. È proprio una grande fortuna… UNA STELLA SUL LETTO?! Una volta mi piaceva guardare il cielo di notte. Specie in inverno. Sottozero il blu è più intenso. Le stelle spiccano come brillanti. Preziose. Ieri notte niente. Ce ne erano poche ma una ha attirato la mia attenzione era una stella senza luce, piatta come fosse di plastica opaca. “Vieni qui” le ho detto… hai dei problemi? Ti vedo giù….” In un attimo eccola sul mio letto, senza nemmeno rompere i vetri della finestra. La guardo incredula… non so come comportarmi… UNA STELLA SUL LETTO?! L’astro si rizza su una punta… prendendo colore lentamente. Una luce iridescente illumina la mia stanza…ma non smargiassa di chi vuol strafare…appena appena per farsi notare. “E’ così facile avere una stella vera in casa? Basta chiamarla?” penso. “E’ facile per forza… – mi risponde – sono te.” “Sono una stella?” – dico senza meraviglia, anzi un po’seccata – mi stai prendendo per il sedere?” Avrei detto volentieri culo, ma non volevo darle confidenza. “Dì pure culo cara, non mi scandalizzo…” e fa una risata a piena gola. Una stella che dice culo e mi sghignazza dietro! Ero scandalizzata! Non c’è più religione! “Bigottona! Son qui per aiutarti… sono te, quindi la tua più grande amica. Sei giù di morale…hai pensieri fissi che ti fan dormire male. Perché vuoi ammazzarti?” Mi manca il respiro. Un qualcosa mi sale lento dallo stomaco alla gola: un magone che mi soffoca. “Lasciati andare… non trattenere le lacrime…ci sono io vicino a te…sono scesa apposta da lassù…tutta per te!” Le lacrime non si fanno pregare, si rincorrono sulle mie guance una dopo l’altra. I singhiozzi escono strazianti anche se in realtà non si sentono. Allunga una punta, quella di sinistra e mi fa una carezza. Ma dai…sto sognando…la stella sul letto in punta di stella che mi accarezza con la sinistra…una stella mancina…Mio dio…ha pure 5 punte! Una stella delle Brigate Rosse! “Non stai sognando…conosco la ragione della tua voglia di morire ma solo se ne parli, se svisceriamo il problema insieme, lo risolviamo. Parola di Stella!” Respiro profondamente. Sto per dire qualcosa che mi costa. “Sono tanto triste perché sono disoccupata. Ho perso il mio lavoro.” “Come hai perso il tuo lavoro? Sei dalla mattina alla sera al computer…scrivi, scrivi, scrivi senza alzare nemmeno gli occhi.” “Sì lo so, ma questo non è il mio lavoro. Sono nata il teatro, a 8 giorni ero già in scena…ho sempre recitato. Da 8 giorni a 81 anni… avevamo in scena “L’anomalo bicefalo” una satira su Berlusconi. Ci divertivamo un sacco! Ma eravamo nell’’83… quanti anni son passati?” “Ti stai dimenticando di Mistero buffo,….L’avete fatto tanto…” “Sì hai ragione…ma ora non si fa più nemmeno quello. Poi uno spettacolo ogni morte di vescovo, che ne muoiono pochissimi. Sono felice di aiutare Dario che è il MIO TUTTO, curare i suoi testi, prepararli per la stampa, ma mi manca qualcosa… quel qualcosa che non mi fa amare più la vita. È per questo che voglio morire. Ma non so come fare. Immersa nella vasca da bagno e tagliarmi le vene? Poi penso allo spavento di chi mi trova in tutto quel rosso. Buttarmi dalla finestra, ma sotto ci sono gli alberi e finisce che mi rompo tutta senza morire: ingessata dalla testa ai piedi. Avvelenarmi con sonniferi…ci ho già provato una volta…tre, quattro pastiglie e acqua… avanti così per un po’ e mi sono addormentata con la testa sul tavolo… Insomma, morire è difficilissimo! A parte che mi ferma anche il dolore che darei a Dario a Jacopo alla mia famiglia, Nora, Mattea, Jaele (la più bella della famiglia) e tutto il parentado…alle amiche, amici. Penso anche al mio funerale e qui, sorrido. Donne, tante donne, tutte quelle che ho aiutato, che mi sono state vicino, amiche e anche nemiche…vestite di rosso che cantano “bella ciao”. Che tristezza essere disoccupata. “Hai messo in scena molti spettacoli che hanno avuto gran successo ed eri sola – prosegue la Stella…Tutta casa letto e chiesa, Parliamo di Donne, Sesso? Grazie tanto per gradire, Legami pure che tanto spacco tutto lo stesso, Il funerale del padrone, Il pupazzo giapponese, Michele ‘Lu Lanzone e altri ancora che non mi ricordo… dovrei andare su internet ma non ne ho voglia. Perché non ne rimetti uno in scena?” Ma…sono abituata con Dario… L’ho conosciuto in palcoscenico nel ’51… abbiam fatto tourné, avuto successo… anche troppo. Dopo anni di fermo abbiam debuttato per due soli spettacoli in settembre del 2012 con “Picasso desnudo”. E adesssssso? Ci metto sei S per sottolinearti bene il concetto. Adesso nulla! Nessun programma futuro. Deglutisco per mandar giù il magone Dovresti aiutarmi tu Stella, dammi la forza… la voglia. “Che piagnona! – mi urla, mi hai proprio rotto i…No, non lo posso dire perché lassù si incaz…Mamma mia solo parolacce mi vengono…è perché sono scesa in terra…qui ci si sporca! Potresti mettere in scena un testo da recitarti tutto da sola…hai un mare di materiale a disposizione. Li conosco tutti i tuoi monologhi mai rappresentati.” “Ma smettila, conosci i miei monologhi….” “Certo, sono te!” “Ah sì…Hai ragione…Sì, potrei farlo…ma poi penso a Dario la sera sperduto davanti alla tv…che se ne va a letto senza chiudere né tapparelle, né porta. Lo sento che si gira e rigira tra le lenzuola pensandomi…preoccupandosi e…quindi sto qui, accanto a lui. Lo amo tantissimo…ma sono proprio triste… infelice…ciao me ne vado…” “Ma dove vai? Ti vuoi nascondere a piangere? Piangi qui piccola…tra le mie braccia…”All’improvviso si ingrandisce a vista d’occhio si trasforma in una coperta di lana morbida lucente e mi avvolge tutta. Un brivido di piacere attraversa il mio corpo…mi sento via via rilassata e sulla bocca mi spunta un sorriso…il più dolce della mia vita Caro Dario tutto quanto ho scritto è per dirti che se non torno in teatro muoio di malinconia. Un bacio grande… ________________________________ La vita e il teatro fuori dalle regole. di Franca Rame | 10 febbraio 2012. Il 1968. Nell’autunno del 68 con Dario decidiamo di abbandonare il circuito teatrale tradizionale, ufficiale e mettere a disposizione il nostro lavoro, la nostra vita – e non sto enfatizzando – con un impegno diretto di quella parte di pubblico che normalmente viene ignorata dal teatro ufficiale: operai, casalinghe, studenti, contadini. Pubblico che solo in questi ultimi anni viene intruppato e portato con pullman nei teatri del centro, organizzati da Cral e Sindacato. Riprendendo la tradizione di mio padre portiamo il nostro teatro in piccoli centri, nei quartieri periferici, nelle fabbriche occupate, nei palazzetti dello sport. Insomma, decidiamo di metterci a disposizione della classe alla quale sentivamo di appartenere, il proletariato. Detto oggi, così, a distanza di anni suona un po’ tromboneggiante, allora no. Suonava bene. Otteniamo una risposta straordinaria: una folla di giovani, studenti, operai, ragazze, donne sono ogni sera presenti. In qualsiasi posto si svolga lo spettacolo i locali sono gremiti all’inverosimile. Nei palazzetti dello sport, ci abbiamo messo anche 12 mila persone. Che testi recitavamo? Il quotidiano. La vita della gente, le difficoltà. Il materiale lo trovavamo a iosa. Erano tempi brutti. Gli incassi spesso vanno a fabbriche in occupazione, che grazie alla sopravvivenza che gli è garantita dagli spettacoli, in certi casi, come per la Sampas di Milano, tengono duro e alla fine vincono la causa contro il padrone. Quando Dario mi ha proposto di lasciare le strutture tradizionali e di portare il nostro teatro per “boschi e prati” non mi diceva niente di nuovo, per tanto tempo l’avevo fatto con mio padre. Per anni, esattamente 21, mi sono occupata di detenuti per reati politici, carceri, processi, difesa dei diritti civili. In un secondo tempo, spinta dai detenuti politici, mi sono occupata anche di quelli per reati comuni, per un totale di oltre 800 persone: donne e uomini. All’inizio ero in grande difficoltà con i detenuti per reati comuni. Sono nata in una famiglia onesta e laboriosa, dove senza prediche ma con l’esempio, mi si insegnava a rispettare e amare il prossimo, ad avere comprensione e aiutare chi stava in difficoltà. Ma un ladro era un ladro e un assassino era un assassino. Ci ho pensato un po’ su. Poi mi sono decisa. Scrivevo una letterina stringata tipo: “Ho avuto il tuo nominativo da… fammi sapere per quale reato sei detenuto, condanna, condizioni tua famiglia… tuoi bisogni.” Insomma, avevo bisogno d’inquadrarlo. Mi arrivavano risposte che mi turbavano. Furto con rapina, omicidio… Ci pensavo sopra un po’. Certo che al figlio di Agnelli non può capitare di finire in galera per omicidio in treno mentre ti esibisci in “un furto con destrezza…” a un omone che si mette a gridare e giustamente reagisce. Il guaio è che se hai una pisola in tasca… te lo trovi morto ai tuoi piedi quasi senza accorgerti. “Come ti giustifichi?”, chiedevo. “Avevo la ragazza incinta… eravamo venuti dal sud, senza casa, senza nulla… nemmeno il paltò e da voi fa molto freddo”. Povero Pietro hai pagato il tuo reato. Quanti anni di carcere ti sei fatto? 25, poi scesi a 17. Per ottenere permessi di colloquio con i detenuti ho dovuto fare salti mortali, ogni volta gabole varie. Arrampicandomi sui muri della burocrazia giudiziaria, sono stata molto aiutata dal segretario di gabinetto del ministro Bonifacio. Grazie a lui sono riuscita a entrare in molte carceri d’Italia, parlare con i detenuti, i direttori, i giudici di sorveglianza, i famigliari. Sono entrata persino nella “famigerata isola del diavolo”: l’Asinara Carcere Speciale Istituto di massima sicurezza in Sardegna per merito di Mimmo Pinto di Napoli, il più giovane senatore d’Italia. Abbiamo conosciuto finalmente il tristemente famoso direttore dott. Cardullo, vera macchina per l’annientamento psicofisico dei detenuti, classico paranoico da studio psichiatrico. Siamo arrivata all’isola, molto nervosi. Avevo addosso un abito a colori vivaci, festoso. Scelto per l’occasione. Il mio vestito doveva portar loro i colori della vita… e non della morte che stavano vivendo. (continua) Lella Costa: «Non ricordo una Milano senza Franca Rame. Come faremo?» «Il legame con la sua città e insieme la sua insopprimibile vocazione alla libertà e all'autenticità» di LELLA COSTA Lella Costa e Franca Rame in una foto d'archivio con Paolo Rossi (Fotogramma) Difficile raccontare qualcosa di Franca che sia insieme personale e rispettoso, che non violi il pudore, che non suoni come appropriazione indebita di affetti e legami che altri, e a ben maggior titolo, hanno avuto con lei. Però io la conoscevo, non è una millanteria. Al di là della sua immagine pubblica, professionale, che mi sembra abbia fatto parte della mia vita da sempre (non mi ricordo una Milano senza Franca, come faremo adesso?), ho di lei soprattutto delle immagini allegre, luminose. Come qualche anno fa al FestivaLetteratura di Mantova: lei e Dario vestiti di lino bianco, lui col panama, lei con la sua chioma inconfondibile e gli altrettanto inconfondibili occhiali da sole, erano bellissimi. Vorrei ricordarmela così. E mi viene in mente un'altra cosa, che forse può contribuire a raccontare il legame di Franca con Milano e insieme la sua insopprimibile vocazione alla libertà e all'autenticità. Qualche anno fa, non ricordo quanti, si fece promotrice di una campagna a favore di un gruppo di profughi che aveva trovato rifugio al Leoncavallo. Aveva organizzato una conferenza stampa nella quale aveva coinvolto anche me e un altro po' di colleghi, di militanza oltre che di mestiere. Irruenta e pratica come sempre, dopo aver ascoltato una serie di nobili dichiarazioni di intenti e attestati di solidarietà, ci chiese senza giri di parole che cacciassimo dei quattrini. Io, un po' imbarazzata e contando sulla sua discrezione, le diedi di straforo un assegno. Il giorno dopo, in un'intervista proprio al Corriere, Franca dichiarò senza mezzi termini che tra tante chiacchiere l'unica che aveva compiuto un gesto concreto e immediato ero stata io. E, a scanso di equivoci, specificava anche la cifra. Allora avrei voluto sprofondare, oggi sono orgogliosa di aver vissuto quel momento di totale condivisione con lei. Lella Costa 29 maggio 2013 | 16:12 Franca Rame, incapace di rassegnarsi. di Furio Colombo | 30 maggio 2013. Sedevamo insieme in Senato. Lei, Franca Rame, arrivava sempre in anticipo e sempre carica di nuovi materiali, domande, denunce, messaggi da ogni periferia, tutti di rivolta o di disperazione. Mi diceva che voleva cominciare adesso, quella mattina, in quell’aula. Io tentavo di dirle che “la dentiera implacabile” (così cercavo, anche con disegnini, di rappresentarle le due parti apparentemente contrapposte del Senato) non lo avrebbe permesso. Infatti il presidente Marini, con lungo sospiro, le dava la parola e poi con un lungo sospiro gliela toglieva, e passava “all’ordine dei lavori” come se Franca, invece che di pace e di guerra e di disabili abbandonati e di gruppi sempre più vasti di senza lavoro, avesse parlato della difficoltà dei parcheggi . Intorno a noi stavano senatori e senatrici che lavoravano quieti, ad altre cose, decisi a non disturbare. Di fronte a noi la canea del gruppo di attacco detto “l’opposizione”. Ovvero il mondo, fascista o borghese o pregiudicato, di Berlusconi. Un continuo forte rumore di fondo che è cominciato subito ed è finito solo con la scena di mortadella e champagne consumati in aula il giorno della caduta di Prodi. Nel frattempo De Gregorio era stato acquistato, Ignazio Marino era stato rimosso da presidente della commissione Sanità perché si temeva che mandasse al voto il testamento biologico e il suo posto assegnato a una brava cattolica passata un po’ dopo al Pdl. Quel che Franca aveva capito era che eravamo già alleati con la gente di Berlusconi, come lo sono Alfano e Letta adesso. Ma era come una sorta di matrimonio gay prima del riconoscimento legale: bisognava fingere. E non esagerare in esibizioni. Franca esagerava. Vedeva la corruzione e la denunciava. Le giungevano email sui Cie e sui pasti negati ai bambini rom nelle scuole e le leggeva in aula. Il laborioso governo Prodi non faceva caso a un sostegno così tenace. E anche i senatori che avevano fatto eleggere Franca volevano “fare politica” piuttosto che denunciare sempre e subito vita e avventure di quella (questa) squallida Italia. Franca Rame non si è mai rassegnata, fino a dimettersi. Diceva che anche il nostro parlare e discutere e le nostre inutili strategie del mattino (liquidate prima di sera da cedimenti continui della nostra parte dell’aula) si potevano dire e fare soltanto fuori dal Senato. Nessuno credeva che si sarebbe dimessa, ma lei lo ha fatto pur di non parlare a poltrone come vuote e porte imbottite. Mai qualcuno ha dato così tanto per un Senato, una politica, una sinistra che volevano così poco. il Fatto Quotidiano, 30 Maggio 2013 È morta a Milano Franca Rame. Franca Rame aveva 84 anni, e la sua famiglia era legata al teatro dei burattini e delle marionette. Moglie di Dario Fo e sua compagna di palcoscenico e di impegno politico, aveva 84 anni. Colonna del ’68 e del femminismo italiano, fu rapita e stuprata da militanti di estrema destra. Il processo si chiuse 25 anni dopo con la prescrizione. L’attrice Franca Rame, moglie di Dario Fo e sua compagna sulle scene, è morta a Milano. Franca Rame, che aveva 84 anni, era malata da tempo. Nell’aprile 2012, un ictus l’aveva costretta ad un ricovero d’urgenza al Policlinico di Milano. L’Aula di Montecitorio le ha reso omaggio con un applauso corale, dopo un breve intervento dalla deputata Pd Barbara Pollastrini che ne ha annunciato la morte. In Senato un minuto di silenzio in segno di lutto, chiesto dal presidente Piero Grasso. Tra le prime reazioni addolorate, quella di Antonio Di Pietro, che nel 2006 propose l’attrice come presidente della Repubblica e che la fece eleggere senatrice candidandola nel 2006 nelle file dell’Idv. Lascia «un profondo vuoto» - ha detto Di Pietro -. Ho sempre ammirato e apprezzato le straordinarie qualità umane e artistiche di Franca Rame, la sua passione civile e l’impegno instancabile con cui ha portato avanti, innumerevoli battaglie politiche in difesa dei diritti dei cittadini e dei più deboli». «Profondo cordoglio» dal ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, Massimo Bray, per la scomparsa di una «persona straordinaria, coraggiosa e instancabile, che ha contribuito in maniera indelebile alla diffusione della Cultura in Italia e all’estero, all’emancipazione dell’universo femminile e alla difesa dei diritti dei cittadini». Sessantottina convinta, col marito militante di sinistra più a sinistra del Pci, Franca Rame è stata una delle colonne del femminismo italiano. Una vita dedicata al teatro, ma anche all’impegno civile. L’Italia perde una protagonista del panorama culturale, che tra il palcoscenico dell’arte e quello della vita, aveva calato un ponte da percorre in entrambi i sensi, da un lato per raccontare la realtà, spesso cruda, a sipario aperto, dall’altro per portare poesia nel quotidiano più aspro Nata in una famiglia da sempre legata al teatro di burattini e delle marionette, l’attrice ha condiviso col marito, sposato nel 1954, spettacoli, battaglie e militanza politica.Debuttò in fasce nei ruoli appunto di neonata nelle commedie allestite dalla famiglia. Nel ’50, in piena epoca di rivista, con la sorella debuttò in Ghe pensi mi di Marcello Marchesi. In quegli anni conosce Dario Fo (dalla loro unione nascerà nel ’55 Jacopo) e da allora sarà la sua interprete preferita e spesso la sua collaboratrice ai testi. Sono gli anni delle commedie paradossali, dai titoli buffi («Chi ruba un piede è fortunato in amore», «Isabella, tre caravelle e un cacciaballe»). Insieme sbattono la porta di una «Canzonissima» di successo, per la censura imposta alle loro scenette dichiaratamente politiche. «L’esilio dalla Rai» durerà fino al 1977, quando Raidue trasmetterà le commedie. Fondatrice, col marito, nel 1958, della Compagnia Dario Fo-Franca Rame , era prima attrice e amministratrice del gruppo in cui il marito era regista e drammaturgo.. Nel 1968, sempre al fianco di Dario, fonda il collettivo Nuova Scena dal quale esce fondando col coniuge La Comune , che portò gli spettacoli di satira e di controinformazione politica nelle piazze, le case del popolo, le fabbriche e le scuole occupate. Insieme al marito Dario Fo ha sostenuto l’organizzazione Soccorso Rosso Militante. Per il movimento femminista ha interpretato testi non più del marito, ma propri, come Tutta casa, letto e chiesa, Grasso è bello!, La madre. Nel 1974 i due attori occupano e trasformano in teatro la Palazzina Liberty a Milano, dove Sebastian Matta dipinge murales rivoluzionari. Un anno prima nel marzo del 1973, Franca Rame fu rapita da esponenti dell’estrema destra e subì violenza fisica e sessuale, ricordata a distanza di tempo nel lavoro Lo stupro, del 1981. Il procedimento penale è giunto a sentenza definitiva solo dopo 25 anni: ciò ha comportato la prescrizione del reato. Tra i tanti messaggi di cordoglio alla notizia della morte, quello di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, e molti altri giungono da esponenti del Pd. Era cittadina onoraria di Palermo e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ricorda che «abbiamo condiviso importanti momenti di impegno sul piano personale e politico». Lutto anche da M5S: «E’ stata al nostro fianco - scrive su Facebook Vito Crimi, - in tante nostre battaglie civili. Da quella per un Parlamento Pulito senza condannati a quella per una corretta gestione dei rifiuti senza inceneritori e discariche». da: La Stampa

sabato 25 maggio 2013

I BANKSTERS AL POTERE.

Finanza: masters of Universe, ovvero una banda di ladri. di Giulietto Chiesa | 25 maggio 2013 Il crollo della Borsa di Tokyo (-7,32%) è stato il più alto e drammatico dopo Fukushima di 2 anni fa. Conferma che i due trilioni di yen, creati dalla Banca Centrale del Giappone con la cura Abe, non sono serviti a nulla, se non a procurare un primo disastro. Visto che il nuovo premier giapponese annuncia il raddoppio della propria massa monetaria da qui alla fine del 2014, che Dio gliela mandi buona, a lui e a tutti noi. Anche perché sta continuando la danza assurda della Federal Reserve, che continua a “stampare” (cioè a creare al computer) 85 miliardi di dollari al mese. Quosque tandem, Ben Bernanke, abutere patientia nostra? Non lo sa neanche lui. Affermano, Bernanke e Abe, di voler stimolare l’economia (leggi la finanza) stampando banconote, in attesa di Godot, che però non arriverà più. Per due motivi: perché stimolare la finanza non fa più crescere l’economia, e perché i limiti alla crescita sono ormai apparsi sulla scena e non andranno più via. Tutte chiacchiere, naturalmente. Il crollo di Tokio e di tutte le Borse europee (per quanto valga poco come segnale) viene dai dati cinesi: la crescita cinese rallenta. E questo produce il rallentamento di tutti i mercati. Dunque ecco il quadro: lo stimolo monetario americano e giapponese non funziona; l’austerità europea non funziona. Il mainstream media ci riferisce che gli Stati Uniti sono in crescita, ma è un bluff clamoroso. E’ come dire che un eroinomane perso è in ottima salute quando ha preso la sua dose. Invece, qui in Europa anche gli irresponsabili di Bruxelles e di Francoforte – tranne Mario Draghi – cominciano a capire che sono sull’orlo del baratro. L’Economist gli dedica una copertina impietosa, raffigurandoli, tutti insieme, in quella scomoda posizione. Tutto dovrebbe essere chiaro: si va verso il collasso della finanza mondiale. I segnali d’impazzimento del sistema non cessano. Come non capire che è il sistema che si sta rompendo? Nel 2001 hanno inventato il nemico islamico, dopo il nemico rosso, ma questa volta non c’è dubbio che c’è un virus interno al sistema che lo sta conducendo all’agonia. Sembrerebbe logico tentare di cambiare qualche cosa, inventare qualche medicina che non sia la morfina. Per esempio le regole della finanza dovrebbero essere cambiate. Infatti – come ci informava nei giorni scorsi un autorevole e non firmato editoriale del New York Times – la Commodity Futures Trading Commission ha tentato di introdurre almeno la riforma per regolare i derivati. Non l’avesse mai fatto! Le cinque banche più importanti del mondo occidentale (se volete l’elenco, eccolo: JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley) hanno alzato la paletta rossa. Non se ne fa nulla. I padroni del mondo dettano legge anche al Governo di Washington. Anzi: sono il Governo di Washington. E decidono anche per l’Europa. La famosa crisi europea, l’altrettanto famosa crisi dell’euro, sono nate dagli Stati Uniti, negli Stati Uniti. Il loro subprime ha innescato tutto ed è esploso nel 2008, sotto il nostro naso, per importare in Europa il loro disastro, che adesso sembra il nostro disastro, solo perché è diventato il nostro disastro. Ho rivisto il film di Curtis Hanson “Il crollo dei giganti” (Too Bigs to Fail). In quel caso le banche erano nove, ma le cinque di cui sopra c’erano tutte, tra quelle nove, e i proprietari universali di allora erano gli stessi di oggi. E fu il Governo degli Stati Uniti a salvare loro (con l’erogazione di 700 miliardi, approvata dal Congresso) e con quella, segreta e non approvata da nessuno, di 16 trilioni di $, tutti creati dal nulla, per salvare tutte le maggiori banche occidentali che erano, nel frattempo, fallite simultaneamente. E’ cambiato qualcosa? Niente affatto. Passiamo in Europa. Leggo adesso (ancora il New York Times) che la Apple ha evaso le tasse negli Stati uniti per la non modica cifra di 44 miliardi di dollari. Scandalo americano? Certo. Ma anche scandalo europeo. Infatti il signor Timothy Cook (il successore del guru Steve Jobs, che ci ha strappato molte più lacrime di quanto meritasse) è andato a Dublino e ha ottenuto dal governo irlandese di pagare appena il 2% dei suoi profitti. Cioè molto al di sotto della già molto bassa tassazione ufficiale locale del 12,5%, la quale è meno della metà di quella francese e tedesca, e meno di un terzo di quella italiana. Il signor Cook (se lo guardate bene ha una faccia da killer peggiore di quella di Jamie Dimon, CEO della JPMorgan Chase) è riuscito così a evadere 12 miliardi di euro anche in Europa. Così, leggendo, mi viene in mente il fiscal compact. E penso: ma dov’era la Banca Centrale Europea. E dov’è il signor Mario Draghi? Abbiamo scoperto da poco che avevamo un’off shore in più in Europa. Si chiamava Cipro. Adesso siamo passati a tre: con il Lussemburgo c’è anche l’Irlanda. Ma allora quale disciplina fiscale si può chiedere a Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, quando le corporations Usa ricevono questi trattamenti di favore? Chi doveva vigilare? Se c’è una dimostrazione della necessità di prendere il controllo della BCE, e sottrarlo a questo maggiordomo, eccola qui squadernata. Che equivale a dire che questa Europa va rivoltata come un guanto. La domanda è sempre la stessa. Quanto tempo perderemo ancora? Per quanto tempo permetteremo a costoro di mettere le mani nelle nostre tasche? Attenti che siamo ormai a un passo dal prelievo forzoso dei nostri risparmi e a due passi dalla privatizzazione selvaggia delle ricchezze nazionali. Verranno, con i denari virtuali, a comprare le ricchezze reali (oro incluso). Poi bruceranno tutta la carta. Noi resteremo poveri in canna, e schiavi. Loro avranno la proprietà dei beni.

giovedì 23 maggio 2013

In ricordo di Odino.

Odino era nato il 21 luglio 2012. Oggi aveva dunque poco più di 10 mesi. Ma era un papero gigante, cresciuto con la verdura biologica dell'orto, che mangiava avidamente dalle mie mani, un papero speciale che sorrideva sempre.Da un mese era fidanzato ufficialmente con una bella paperina germanina di circa 6 mesi, da cui non si allontanava mai e che guardava felice e orgoglioso.Per questo quando ho visto la paperina da sola ho tremato e sono scappata giù, nel campo verso il bosco dove so che la volpe può colpire, dove ha già colpito tante volte.E lui era lì, con la testa mozzata, gli occhi chiusi,il corpo staccato, vicino alle penne di una gallina nera vittima anche lei del predatore.Povero, caro, indimenticabile, unico Odino, ti volevo tanto bene.Che brutta giornata.

mercoledì 22 maggio 2013

Ciao grande Don. Sempre in direzione contraria.

Questo blog si chiama "osare la speranza". Una frase che ho "rubato" a Don Gallo in una sua intervista a Fazio. Bisogna essere coraggiosi oggi per avere ancora speranza nel genere umano.Bisogna avere la forza di cercare sempre la luce delle persone migliori. Il Don ci sferzava a trovare questa forza.Senza di lui, oggi, è ancora un po' più difficile.Ci inchiniamo a questo grande maestro della dissacrazione, nel tempio del sacro e del dogma.Terremo duro osando sempre la speranza.Speriamo che la Comunità che ha costruito sia all'altezza del suo insegnamento. ‘A Lanterna, ciao Don Gallo. di Antonio Padellaro | 23 maggio 2013. Ricordo una tenera sera di giugno a Genova, Don Andrea Gallo seduto a tavola, Gesù allegro e intorno la compagnia dei suoi ragazzi, apostoli raccolti laceri e perduti sulla strada che si erano fatti cuochi e sommelier nella straordinaria trattoria ’A Lanterna, che avrebbe potuto avere come insegna: entra, la mia fede li ha salvati. Era un nostro grande amico, il Don. Ci aveva battezzati quando nessuno scommetteva sul nostro piccolo giornale un euro bucato. E un po’ ci prendeva in giro recitando beffardo un paternoster tutto suo: “e dacci oggi il nostro Fatto Quotidiano”. Era una festa Don Gallo, e a chi era cresciuto nella plumbea scuola dei preti normali, delle omelie sulle nuvole, del peccato incombente, delle penitenze biascicate, gli apriva proprio il cuore questo prete così diverso da non essere prete, ma fratello, amico, confidente, consolatore come il Cristo che ti apre le braccia e mai ti giudica. Ama e fai ciò che vuoi: non recitava Sant’Agostino, ma lo viveva Don Gallo quell’amore non capriccio ma bene assoluto per il prossimo. E nella Comunità, caotica spelonca tenuta insieme da caritatevoli collinette di pacchi alimentari e di vestiti smessi e di libri consumati e di fatture da pagare, aspettavano tranquilli i trans senza parrucca e i tossici dagli occhi stanchi. Aspettavano di essere ammessi dove un sorriso ornato da un mezzo sigaro spento li avrebbe fatti sentire di nuovo umani. Ti aspettavamo anche noi, Don, alle nostre feste, tu instancabile sul palco, su e giù a parlare di Resistenza e di Costituzione, il tutto impastato di Vangelo, Bella Ciao e qualche irriverenza sui cardinaloni perché, dicevi, alla fin fine è questo il nostro sillabario. Ti devo quella sera a Genova, Don, e altre sere ancora a parlare del senso della vita. Ricordi De Andrè? Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

sabato 18 maggio 2013

lunedì 13 maggio 2013

Il prof. Bagnai bacchetta i " luogocomunisti" dell'euro obbligatorio.

Speculazione finanziaria: quelli che “è brutta e cattiva” di Alberto Bagnai | 13 maggio 2013 Quando le cose vanno male, un colpevole bisogna trovarlo. Sì, lo so, mi direte voi, la realtà è complessa, le cause sono molteplici. Ma volete mettere quanto fa comodo dare la colpa a una sola persona, soprattutto se esercita un mestiere che nell’immaginazione collettiva è soggetto a un marchio d’infamia! Ci si mette così l’animo in pace, e si evitano spiegazioni complesse e imbarazzanti. Questa riflessione non particolarmente brillante mi ha traversato la mente leggendo l’intervista che George Soros ha rilasciato ad Eugenio Occorsio del quotidiano “La Repubblica”, organo di stampa noto per la sua difesa senza se e senza ma dell’attuale regime europeo, il Pude (Partito Unico Dell’Euro). Soros dice una cosa ovvia: nel 1992 bastava saper leggere la realtà per capire che c’erano opportunità di profitto da sfruttare in modo perfettamente legittimo. Questa, del resto, è l’attività speculativa. Cosa dice il dizionario? Speculativo: “Portato all’indagine filosofica” (Devoto Oli), ma anche “Che ha scopo di guadagno” (Zingarelli). L’etimologia è sempre la stessa: il latino speculari, “guardarsi intorno”, da cui viene anche il francese speculer, che dal 1801 prende significato borsistico (questo ce lo ricorda il dizionario etimologico di Battisti e Alesio). Non è così strano: il filosofo, come chiunque desideri (legittimamente) guadagnare qualcosa, comincia col guardarsi intorno, con l’osservare la realtà, cercando di interpretarla, che è cosa diversa dal costruire una realtà fasulla ad usum piddini. Del resto, forse sapete che il primo filosofo fu anche il primo speculatore: Diogene Laerzio ci ricorda che “Talete volendo dimostrare come fosse facile arricchire, prese a nolo i frantoi, dopo aver preveduto un abbondante raccolto di ulive, e guadagnò un gran mucchio di denari”. Non risulta che la Gazzetta di Mileto abbia deprecato questo suo comportamento. Non si capisce allora perché oggi Repubblica debba chiedere a Soros se provi “imbarazzo” o “rimorso” (addirittura!) per quello che fece nel 1992. Come Talete intorno al 600 a.C., così Soros nel 1992 aveva buoni motivi per prevedere un ottimo raccolto. Quali erano? Be’, nel caso di Soros le ulive non c’entravano, il problema era un altro: era evidente che il cambio della lira era sopravvalutato, che la lira era troppo forte, perché da cinque anni si era agganciata al marco senza poterselo permettere, dato che l’inflazione in Italia era più elevata che in Germania. Vi ricorda qualcosa? Sì, è esattamente la situazione nella quale siamo oggi, e del resto, per rendersene conto, basta osservare l’andamento del tasso di cambio reale della lira. Vedete? Dopo una fase di stabilità a metà degli anni ‘80, nel 1987 inizia lo Sme credibile, (il periodo nel quale si decise di evitare riallineamenti all’interno del Sistema Monetario Europeo). Agganciare il cambio della lira a quello del marco non era un’ottima idea, perché impediva di compensare gradualmente il differenziale di inflazione, come era stato fatto negli anni precedenti. Non si può fermare il vento con le mani: quello che ci si era impediti di fare gradualmente per motivi sbagliati, lo si dovette fare tutto in una volta, bruscamente, nel 1992, quando la situazione divenne insostenibile. La svalutazione compensò rapidamente il differenziale di inflazione accumulatosi durante lo Sme “credibile”, e l’Italia tornò in surplus. Vorrei chiarire un concetto. I dati della figura non erano segreti. Li possono e li potevano vedere tutti. Come non è un segreto che una valuta può restare sopravvalutata solo se esistono accordi politici che falsino il mercato: tali erano i patti impliciti nello Sme “credibile”. Ma quando, come ricorda Soros, la Bundesbank dichiarò che non avrebbe sostenuto la lira, era ovvio che lo Sme sarebbe morto e la lira precipitata. Attenzione: la lira doveva svalutarsi perché era sopravvalutata, cioè perché accordi politici (lo Sme “credibile”) le avevano permesso di mantenere un cambio non giustificato dai fondamentali. Questo mi pare non sia chiaro al giornalista, che moralisticamente osserva: “la lira rientrò nello Sme a costo di immani sacrifici e a tassi irrimediabilmente falsati”. Ma è esattamente il contrario: la lira uscì dallo Sme perché il suo tasso era falsato da una decisione politica. La responsabilità dell’accaduto è dei politici che presero nel 1987 la decisione di non riallineare più i cambi, e dei banchieri centrali che sostennero tecnicamente questa decisione. Una decisione sbagliata, perché spingendo troppo in alto la lira la esponeva al rischio di cadere. Soros, al più, approfittò dell’errore. Semplicemente, gridò: “il Re è nudo!”, e siccome era veramente nudo, il Re (cioè lo Sme) dovette correre a nascondersi per quattro anni. Quattro anni dopo, nel 1996, rientrare nello Sme non era una buona idea, ma si decise di farlo per motivi che sapete (l’Europa chiamò!). Lo si fece probabilmente a un cambio troppo forte, “falsato”, come dice Occorsio, ma Soros che c’entra? La decisione di rivalutare bruscamente la lira nel 1996, decisione i cui effetti sono evidenti nel grafico, mica la prese lui!? Il declino dell’economia italiana inizia da lì, certo, da quella decisione, ma Soros non c’entra. Notate che comunque al 1996 segue un altro periodo di stabilità, ma dal 2002, anno delle riforme del mercato del lavoro tedesco, il cambio reale dell’Italia ricomincia ad apprezzarsi. Non entro nemmeno nel merito dell’opportunità di queste riforme. Sabato scorso lo faceva l’Huffington Post, spero che crederete adesso a cotanto organo, se non avete voluto credere prima al mio umile blog. Indipendentemente dai giudizi politici, resta il dato economico. Da ormai più di un decennio il cambio reale dell’Italia si sta costantemente apprezzando. L’euro, che all’inizio poteva essere sostenibile, sta diventando troppo pesante per noi, e questo da quando il principale partner commerciale del nostro paese ha deciso di violare l’obbligo di coordinamento delle politiche economiche imposto dall’articolo 119 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. La correzione, prima o poi, arriverà, è nella logica delle cose. Scandalizzarsi una seconda volta perché Soros torna a dire che “il Re è nudo” è un atteggiamento farisaico. Per la seconda volta, il Re (questa volta l’euro), è veramente nudo. Invece di luogocomunisteggiare, cerchiamo di ragionare su come vogliamo correggere questo squilibrio, su cosa ci conviene effettivamente fare, evitando atteggiamenti ideologici e cercando di conformarci alla realtà. Non è stato Soros a far cadere la lira nel 1992, sono stati i governanti europei a spingerla troppo in alto dal 1987, e non è stato Soros a decidere il cambio lira/Ecu nel 1996, sono stati, ancora una volta, i governanti europei. Non deve stupirci che quelli che si scandalizzano siano gli stessi che invertono i rapporti causali, ricostruendo orwellianamente la Storia. Fa parte del gioco. Si sovverte il passato per controllare il presente. Chi vi dice che le cose sono andate al contrario di come andarono, appartiene a chi vi ripete che invece di svalutare è meglio che vi tagliate i redditi, in vario modo, con i famosi “sacrifici”. Liberi voi di credergli. Siamo in democrazia, almeno finché qualcuno non se ne approfitta troppo. Quota 90, per chi se la ricorda, è un terzo esempio di difesa a oltranza del cambio. Pensiamoci su… L'INTERVISTA A SOROS. Francesco Spini per "la Stampa" Ventuno anni dopo, «nessun rammarico». Nel 1992 con il suo fondo Quantum, George Soros portò la lira al collasso, causando una svalutazione del 30% per la moneta tricolore che rischiò di far collassare le finanze pubbliche. Ecco, ventuno anni dopo, seduto a un tavolo di un hotel del centro di Udine dove arriva per ritirare il premio letterario internazionale Tiziano Terzani per il suo ultimo libro sulla crisi, all'interno del festival «Vicino/lontano», non mostra ripensamenti di sorta. «Ai tempi presi una posizione sulla lira perché avevo sentito dichiarazioni della Bundesbank» secondo cui non avrebbero sostenuto la moneta oltre a un certo punto. Nulla di segreto, sottolinea, «si trattava di dichiarazioni pubbliche, non ho avuto contatti personali». E oggi, al ricordo, non usa giri di parole: «Quella fu una buona speculazione». Dopotutto Soros, dall'alto della sua veneranda età - ad agosto saranno 83 anni - non è tipo da nascondersi dietro un dito. «Le crisi finanziarie - attacca - non sono causate dagli speculatori, ma dalle authority che creano regole sbagliate che consentono agli speculatori di porre in essere quello di cui poi vengono incolpati». Invece, a suo modo di vedere, gli speculatori sono semplicemente «messaggeri di cattive notizie». E di cattive notizie è pieno il mondo. Prendiamo l'Italia. La tregua dei mercati, avverte, «non durerà a lungo. Siamo in una situazione lontana dall'equilibrio». L'Italia è in grave difficoltà, dice, anche se «non è senza speranza. Con dei cambiamenti alla struttura dell'euro potrà risolvere i suoi problemi. La grave recessione deriva dalle regole di austerità imposte dall'Europa. Ma non rischia di fare la fine di Cipro». Pesa la crisi politica interna. E aggiunge: «C'è una tragedia dell'Europa e anche una tragedia dell'Italia: la crisi dell'euro sta lavorando per far tornare Berlusconi...». Il punto, secondo lui, è che l'Italia «non è più padrona del suo destino, le politiche non sono più confinate nei singoli stati». La crisi, sottolinea, ha già causato una « d e ge n e ra z i o n e » dell'Europa che era nata come «una associazione volontaria tra eguali», ed è ora trasformata in «qualcosa di radicalmente diverso, in una relazione tra creditori e debitori». E le cose vanno cambiate. Primo problema è «livellare il piano di gioco» tra i paesi in fatto di tassi e accesso al credito, per il settore pubblico e per quello privato, a cominciare dalle Pmi. «Attualmente lo svantaggio delle Pmi per l'accesso ai prestiti ha raggiunto le proporzioni di una crisi nella crisi. Mario Draghi ha riconosciuto il problema: alla Bce stanno discutendo la possibilità di utizzare la banca centrale per risolvere tali problemi» attraverso sistemi di rifinanziamento per le banche. «Io nutro molta speranza sul punto: se le Pmi riusciranno ad avere un accesso al credito ovunque in Europa alle stesse condizioni, sarebbe una svolta epocale». Garantire credito a tutti alle stesse condizioni «comporterebbe una mutualizzazione dei debiti su larga scala. Questo alla fine potrebbe convincere le persone della possibilità, allo stesso modo, di mutualizzare anche i debiti sovrani. Potrebbe essere dunque una via indiretta per arrivare a quella soluzione positiva della crisi dell'euro». Che per Soros significa eurobond e politica fiscale comune. Tanto che, secondo lui, la Bce da sola non basta, «come negli Usa, dove accanto alla Fed c'è il Tesoro, anche in Europa accanto alla Bce serve un'autorità responsabile della politica fiscale». La crisi, insomma, va gestita «a livello europeo» ma «vanno modificati i trattati costitutivi dell'Ue, oggi palesemente inadeguati». Invita tutti a «prendere più sul serio la politica europea» a cominciare dalle elezioni europee del prossimo anno che «saranno molto importanti», confidando nel progetto che punta a far eleggere dal Parlamento il presidente della Commissione. Si vedrà. «La crisi è profonda - sostiene - ma non è e non deve essere l'inizio della fine dell'Europa». L'importante è cambiare strada. «Cresce l'evidenza che le politiche di austerità non funzionano, presto o tardi mi aspetto un'inversione di tendenza. Prima accade, meglio è». Anche perché «l'Europa sta nuocendo a se stessa ed è ormai disallineata rispetto al resto del mondo». Parola di speculatore.

domenica 12 maggio 2013

Governo Letta già al capolinea?

Berlusconi, un governo ai suoi ordini di Antonio Padellaro | 12 maggio Dopo ciò che è successo ieri a Brescia, un governo degno di questo nome dovrebbe cessare all’istante di esistere e il premier dovrebbe altrettanto inevitabilmente dimettersi. Per tre ragioni almeno. Primo: in una piazza spaccata a metà, da una parte i fans azzurri, dall’altra i contestatori grillini e quelli con le bandiere rosse, il “delinquente” confermato in appello per evasione fiscale Silvio Berlusconi ha sferrato l’attacco finale alla magistratura, annunciando che imporrà al governo, che lui controlla, la sua personale riforma volta a neutralizzare l’azione penale e a ridurre i pm al rango di obbedienti funzionari al servizio dei politici. Secondo: Alfano vicepremier e ministro degli Interni e Lupi ministro delle Infrastrutture erano lì, in prima fila, ad applaudire le frasi eversive, malgrado fino all’ultimo il Pdl avesse smentito la partecipazione di membri del governo. Un colpo reso ancora più efficace perché sferrato di sorpresa. Terzo: attorniato dai suoi ministri festanti, il Caimano ha detto, chiaro e tondo, che si deve a lui se questo governo è nato e che solo per generosità non lo farà cadere “con un fallo di reazione” dopo la sentenza Mediaset che l’altroieri l’ha condannato a 4 anni di carcere e a 5 di interdizione dai pubblici uffici. Insomma, con schietta ruvidezza Berlusconi ha finalmente detto ciò che tutti avevano capito: Enrico Letta non conta niente e se non ubbidisce alle disposizioni di palazzo Grazioli – oggi l’abolizione dell’Imu, domani la demolizione della giustizia e della legalità – può tranquillamente tornarsene all’amato subbuteo. Di fronte a tanta insultante arroganza, il Pd riunito a Roma ha reagito con alcuni pigolii e l’unica dichiarazione maschia è di Rosy Bindi. Dopo il suicidio assistito (da Napolitano) del partito, l’Assemblea nazionale è parsa una mesta cerimonia funebre con tanto di esecutore testamentario, l’ottimo Guglielmo Epifani. Non parliamo naturalmente dei milioni di elettori e militanti traditi da un gruppo dirigente desideroso, a quanto pare, di farsi annettere dal Cavaliere. A un certo punto Epifani ha detto: “Abbiamo rischiato di toccare il fondo”. Non è esatto, segretario. Dopo i ceffoni di Brescia, adesso state scavando con buona lena. Il Fatto Quotidiano, 12 Maggio 2013

venerdì 10 maggio 2013

PD.CRACK.

Resistere desistere. di ANDREA FABOZZI, da il manifesto. Non serviva la conferma della condanna per frode fiscale di Silvio Berlusconi, per spiegare al partito democratico con chi sta governando il paese. E non sarà il partito democratico a trarre le conseguenze del pesante giudizio - definitivo nel merito - sulla tenuta dell'alleanza. Deciderà Berlusconi come e quando gli tornerà utile. Sta aspettando la decisione della Corte costituzionale che tra pochi giorni potrebbe inabissare il processo Mediaset e, alle brutte, ha davanti molti mesi prima che la Cassazione dica la parola definitiva. Il Cavaliere passerà dagli strilli alla sfiducia a Letta solo nel momento in cui l'interdizione dai pubblici uffici dovesse diventare una prospettiva concreta, che nel caso è meglio affrontare con la garanzia di un seggio al senato. Perché il precedente Previti insegna: con i numeri giusti nella giunta e in aula anche un'automatismo come l'interdizione può essere rinviato e persino ignorato. Il Pd non si libererà facilmente del suo alleato. E nemmeno dei suoi corollari. Come Capezzone, che i democratici hanno appena contribuito ad eleggere presidente della commissione Finanze. Lui ha ringraziato inaugurando l'incarico con la difesa di ufficio di una frode fiscale. Come lui tutti i berlusconiani di governo e sottogoverno: nel silenzio attendista del capo si sono affannati a proclamarlo innocente, con la solita teoria che chi ha preso dieci milioni di voti non può essere colpevole. Anche se deve restituire dieci milioni di euro di tasse evase. Tutto già visto e sentito, la novità è il silenzio penitente del Pd, terrorizzato dal rischio di nuove elezioni. E allora, forse, anche i democratici hanno preso con favore la nomina a presidente della Cassazione - dove il processo Mediaset sta per approdare - di un magistrato culturalmente affine al centrodestra, ben oltre un invito a cena da Previti. Nello stesso giorno in cui il Pd ha dovuto alzare scheda bianca davanti a un altro vecchio Pm della procura romana «porto delle nebbie», Nitto Palma, da anni fidatissimo di Berlusconi. Quanto potranno resistere, resistere e ancora resistere i democratici con un alleato così? Giusto il tempo di essere pronti alla disfatta.

giovedì 9 maggio 2013

LO SCANDALO DELLE PENSIONI D'ORO.

Ecco quelli delle pensioni d'oro: fino a 90.000 euro al mese. di: Paolo Baroni Pubblicato il 12 dicembre 2011. Il «record dello scandalo» per eccellenza spetta a Mauro Sentinelli (foto), classe 1947, che arriva a quota 1.173.205 euro lordi l`anno. Ovvero 3.259 al giorno. Il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi cumula 30 mila euro/mese di pensione Bankitalia con 4000 euro dell'Inps ed i 19.054 euro dell'indennità da parlamentare. Gli altri nomi. Mauro Sentinelli, classe 1947, che arriva a quota 1.173.205 euro lordi l`anno per la sua pensione d'oro. Un vero scandalo. ROMA - Ci sono contratti e accordi. E poi le leggi, i regolamenti, le intese. Tutto è in regola, per carità. Ma se ci si ferma un attimo a pensare, in alcuni casi, i cosiddetti diritti acquisiti diventano privilegi. In tema di indennità, stipendi, vitalizi e pensioni, negli ultimi tempi è stato scritto (e denunciato) di tutto e di più. Ma ora che si chiede a milioni di pensionati di rinunciare al recupero dell`inflazione e a migliaia di operai ed impiegati di restare diversi anni in più al lavoro la contraddizione prende le fattezze dello scandalo. Dalla «Casta» di Rizzo e Stella, a forza di non fare nulla, odi far finta di intervenire, siamo arrivati alle «Sanguisughe» di Mario Giordano, che nel suo ultimo volume mette in piazza (e alla berlina) tutte «le pensioni che ci prosciugano le tasche». Se ne parla tra la gente, sui blog volano parole grosse, demagogia e populismo vengono sparse a piene mani. Ma questo non toglie che il problema esista. In Parlamento, dove a fatica i presidenti Fini e Schifani stanno facendo marciare il taglio dei vitalizi, l`ultima volta che la questione è stata affrontata è stato tre giorni fa. La Commissione lavoro della Camera ha posto la questione dei trattamenti dei dipendenti degli organi costituzionali e delle Authority. Che non solo benefidano di stipendi ben più alti della norma, ma ancora oggi godono di un regime di assoluto privilegio. Intervento che viene definito «urgente e improcrastinabfie», per affrontare «situazioni di oggettivo privilegio, derivanti da aspetti abnormi del sistema retributivo, anche prevedendo il passaggio al calcolo contributivo prorata». Bankitalia, a stretto giro di posta ha fatto subito sapere che i propri dipendenti sono completamente assoggettati al regime Inps. Dall`ultimo consuntivo del Quirinale, invece, si apprende che già da tempo ai suoi dipendenti si applicano norme più rigide col blocco delle progressioni automatiche ed il taglio degli assegni più alti (5-10% a seconda che si superino i 90 o i 150 mila euro). Nonostante il giro di vite, però, i dipendenti possono ancora andare in pensione a 60 anni con 35 anni di contributi. E comunque ogni anno il Colle incassa contributi per 8 milioni e paga pensioni per 90 (38% del bilancio). Camera e Senato fanno anche peggio. Palazzo Madama, infatti, ogni anno spende per le pensioni circa 182 milioni, 209 la Camera su un budget complessivo oli 1 miliardo. Sulla carta «fermo restando il collocamento a riposo d`ufficio per uomini e donne a 65 anni di età», nel caso del Senato, si può andare in pensione al compimento dei 60 anni se in possesso dei requisiti richiesti, ovvero 20 anni di servizio effettivo e 35 anni di contributi. In più c`è anche la possibilità di anticipare l`uscita a 57 anni, ma «con forti penalizzazioni». E ovviamente ancora tutti col vecchio sistema retributivo. Ora nel suo ultimo resoconto contabile il Senato annuncia «nuove e più restrittive disposizioni» ed anche alla Camera si parla di «inasprimento dei requisiti per il pensionamento di anzianità». Ma l`ultima nota di bilancio non chiarisce assolutamente come si intenda procedere. Più si sale nella scala sociale e più certi trattamenti pensionistici appaiono agli occhi della gente comune scandalosi. La «pensione d`oro» per eccellenza, certifica l`Espresso nel suo ultimo numero, spetta a Mauro Sentinelli, classe 1947, che arriva a quota 1.173.205 euro lordi l`anno. Ovvero 3.259 al giorno. Come c`è riuscito? Sentinelli, scrive Giordano sul suo blog, «quando è andato in pensione guadagnava 9 milioni di euro l`anno e si è avvalso della facoltà di passare dalla gestione speciale del fondo telefonici, che paga i contributi solo sulla retribuzione base, a quella obbligatoria dell`Inps, che prende in considerazione anche le altre voci della busta paga, a partire da benefit e stock option». Legale, regolare, ma scandaloso. Dietro a Sentinelli, un altro «telefonico», Alberto De Petris, classe `43, (653.567 euro lordi/anno) e Mauro Gambaro, classe 1943, ex direttore generale di Interbanca oggi all`Inter, con 665.084. Se poi si alza ancora di più lo sguardo ai palazzi «alti» escono altre cifre stellari. Il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi cumula 30 mila euro/mese di pensione Bankitalia con 4000 euro dell`Inps ed i 19.054 euro dell`indennità da parlamentare, Oscar Luigi Scalfaro, oltre all`indennità di palazzo Madama (19.054) prende 4.766 euro netti al mese dall`Inpdap per avere esercitato l`attività di magistrato per tre anni (dal 1943 al 1946), Lamberto Dini incassa 18 mila euro da Bankitalia, 7000 dall`Inps e 19.054 dal Senato, Giuliano Amato invece cumula 22.048 euro mese dall`Inpdap coi 9.363 che gli da il Parlamento. Quanto tempo fa Lilli Gruber ad «Otto e mezzo» ha osato chiedergli se fosse stato disposto a ridursi la sua pensione d`oro l`ex premier ha risposto piccato: «Non capisco la domanda». E la trasmissione si è chiusa così, nel gelo più totale. Commenta un frequentatore del blog di Giordano: «E se fosse arrivato il momento di introdurre una tassa sulle sanguisughe?».

LEZIONI DAL GRANDE BUFFET.

Buffett: le dieci regole per avere successo di: WSI Pubblicato il 09 maggio 2013. Per il miliardario è fondamentale perseguire i propri sogni, ma in modo concreto, studiando le persone. Alle donne: "non abbiate paura del successo". Nella foto il miliardario americano Warren Buffett. NEW YORK (WSI) - Dalla vita Warren Buffett, il multimilionario di Wall Street, ha avuto tutto. Adesso il guru americano dispensa consigli per avere successo. Lo ha fatto anche nel corso della trasmissione televisiva Office Hours; in questa occasione, l'amministratore delegato del gruppo Berkshire Hathaway, ha lanciato anche una nuova provocazione: ha detto alle donne di smettere di fingersi diverse da quello che sono e di non avere paura di avere successo sul lavoro. 1 Perseguire le proprie passioni La regola numero uno per essere soddisfatti di sè professionalmente è quella di trovare la propria passione. "Non bisogna mai mollare la ricerca del lavoro che ci appassiona", ha detto. "Non dovete mai smettere di cercare di trovare il lavoro che avreste voluto fare se foste stati ricchi. Lasciate perdere la busta paga. Quando riuscirete ad associare le persone che amate a quello che fate, non ci sarà niente di meglio per riuscire nella vita". 2 Scegliere gli eroi giusti "Se mi dici chi sono i tuoi eroi, io ti dirò come andrai a finire. E' veramente importante nella vita scegliere gli eroi giusti", spiega Buffett, definendosi fortunato per aver preso a modello una decina di persone che non lo hanno deluso. 3. Imparare a comunicare in modo efficace Mentre stava seguendo il suo master presso la Columbia University a New York, Buffett ha ammesso che era "terrorizzato dal parlare in pubblico", ma dovette farlo e non andò molto bene. Finiti gli studi, Buffett decise di frequentare un corso per imparare a presentarsi in pubblico. Adesso ammette che quell'esperienza gli ha cambiato la vita. 4. Sviluppare abitudini sane, studiando le persone E' importante, se non fondamentale, scegliere le persone accanto a noi che abbiano le abitudini giuste, ossia che siano allegre e generose. "Se si capisce quali sono le qualità che ammirate nelle altre persone, il passo successivo è chiedersi se quelle qualità le potete sviluppare anche voi. Si può essere determinati, ma non cambiare in tutto se stessi". 5. Imparare a dire no Secondo Buffett è fondamentale avere il controllo del proprio tempo, a patto che non si possa dire di no. Non si può lasciare che le altre persone impostino la nostra agenda nella vita. 6. Non lavorare per qualcuno che non paga abbastanza "Io faccio molto poca negoziazione con le persone. Se fossi una donna e per questo dovessi essere pagato molto meno di qualcun altro, questo mi darebbe molto fastidio. Probabilmente non avrei nemmeno voglia di lavorare lì. Voglio dire, se qualcuno è ingiusto con te, per quanto riguarda la remunerazione salariale, probabilmente lo sarà anche in altro cento modi". 7. Essere coinvolti in aziende in crescita Per fare la differenza sostiene Buffett è necessario capire quali siano le società in grado di farlo e che danno più opportunità rispetto ad altre. 8. Scopri tutto quello che puoi sul tuo settore Buffett dice di leggere sei ore ogni giorno perché crede che la crescita intellettuale aiuterà anche la sua capacità di problem solving. "Sapevo molto di quello che avevo fatto quando avevo 20 anni. Avevo letto molto, e aspiravo ad imparare tutto quello che potevo su questo argomento". 9. Le giovani donne dovrebbero cercare modelli maschili Buffett dice che è importante per le donne avere modelli maschili, perché la maggior parte dei leader di oggi nel mondo del lavoro sono ancora uomini. "Purtroppo questo sembra una ovvietà, ma oggi è ancora vero", conclude. Per poi aggiungere: "Il mondo non è finito, ci saranno ancora decenni davanti a noi, per equilibrare la situazione".