venerdì 31 dicembre 2010

sabato 25 dicembre 2010

Auguri contadini

Auguri per un 2011 senza il nano-tiranno





TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)

venerdì 24 dicembre 2010

Buon Natale da Beppe Grillo





A natale puoi

"Il Natale è la festa più triste dell'anno. Chi è solo si sente più solo, chi è povero diventa uno straccione. Parenti che mai ti sogneresti di incontrare, di qualcuno di loro ti eri persino scordato l'esistenza, si presentano alla tua porta. Persone che incroci solo in due occasioni, il 25 dicembre e ai funerali, ti sorridono e ti baciano ripetutamente. Perché? Le case si trasformano in discariche dopo l'apertura dei regali la cui confezione costa più del contenuto. E' sempre presente una zia o una nonna trasformata in addetto alla nettezza domestica con più sacchi della spazzatura, uno per la plastica, uno per il vetro, uno per la carta e i cartoni. Siamo tutti più buoni. I mendicanti, presenti ormai in forze nelle città, si distinguono a fatica dal comune passante. Ieri ho dato 20 centesimi a un impiegato di banca che frugava nel cestino e si è pure risentito. La bellezza del Natale è che copre tutto, come la neve, come Berlusconi. Ti dimentichi di essere precario, disoccupato, cassintegrato e Marchionne ti sembra uno dei tre Re Magi con la mirra svizzera. Il Made in China è travolgente, è il trionfo del "Merry China Christmas", ogni oggetto sotto l'albero viene dal Lontano Oriente, ma prodotto però da aziende italiane. Esportiamo capitali per importare giocattoli. E' la globalizzazione del Bambin Gesù. Immensi pini vengono innalzati nella piazza del Duomo di Milano e nella Città del Vaticano, tagliati alle radici, immolati, addobbati con festoni e lucine per feste ecosostenibili. Però Natale è sempre Natale e a qualcuno più che ad altri voglio fare quest'anno i miei auguri: ai papà. Ai padri che hanno paura di non farcela a dare una vita dignitosa ai loro bimbi, che vedono con gli occhi incollati alla vetrina di un negozio di giocattoli e si sentono delle nullità perché non possono permettersi un regalo. Ai papà soli, perché separati, il cui Natale è contenuto in una telefonata: "Ciao papà! Ora devo andare...". A quelli che non si arrenderanno mai per i figli e accetteranno qualunque attività, qualunque umiliazione per loro. Quanti sono questi eroi moderni che lavorano sottopagati, che accettano lavori a rischio e qualche volta muoiono per portare a casa uno stipendio? Che abbassano la testa e rinunciano a ogni orgoglio? Loro sono i veri Babbi Natale anche se il sacco è qualche volta vuoto. La luce che hanno negli occhi quando ti guardano, e penso anche a mio padre, è un regalo che non troverai più quando la perderai." Buon Natale da Beppe Grillo

Il talento è benaugurale: auguri a tutti!

LA PRIMA ALLEANZA E’ CON LA REALTA’

di Nichi Vendola

I senatori di questa ormai scarnificata maggioranza hanno fretta, tanto da incorrere in qualche goffo e grottesco incidente parlamentare. Vogliono approvare la controriforma dell’università subito, senza rischiare ripensamenti, senza dovere fare ancora i conti con le prime vittime della loro riforma, gli studenti.
Vogliono calare il prima possibile l’ultima saracinesca su quei ragazzi, per potersi gustare il cenone avendoli chiusi in una cantina buia e senza più nemmeno una finestrella aperta sul futuro. Evocano il terrorismo perché hanno terrore di una generazione che rappresenta il corto-circuito della propria feroce politica. Sono l’icona, ritoccata dal chirurgo plastico, di un potere che uccide il futuro. Evocano atmosfere classiche, il bel tempo andato dove l’Ordine costituito non conosceva le perturbazioni della piazza: i figli della lupa e la Gelmini ci accompagnano sulle vette della sapienza e della modernità.
Gli arresti preventivi non devono stupire più di tanto. Hanno già preventivamente arrestato questa generazione: chiusa nella gabbia del grande fratello e della grande precarietà. Ricordo sommessamente che “la meglio gioventù” non è quella di chi si subordina al cattivo buonsenso, ma quella che si ribella, che contesta le gerarchie sociali, che scruta orizzonti inediti, che intende auto-educarsi alla cooperazione e non auto-castrarsi nella rete vischiosa della competizione totale. Vogliono apparati formativi che addestrino all’obbedienza e alla parcellizazione del lavoro, che educhino alla paura e alla flessibilità, che ci abituino ad essere funzioni del mercato piuttosto che attori della società. Appunto, vogliono che la società scivoli nella forma del mercato, fino a che il cittadino non si identifica interamente nella dimensione del cliente.
Anche l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. ha fretta. E’ impaziente di stringere intorno al collo dei lavoratori italiani il cappio che completerà la loro trasformazione in merce seriale, privati anche solo della memoria di quelli che un tempo erano i loro diritti. Si tratta di un finale di partita drammatico. L’alibi della crisi e della globalizzazione per capovolgere il secolo che ha fatto del lavoro la pietra angolare dell’architettura democratica. Il lavoro smette di essere un fatto sociale, un misuratore di civiltà, una dimensione collettiva e regredisce a condizione individuale, quasi biologica: in un corpo a corpo sempre più violento e pre-moderno tra la solitudine del singolo lavoratore/lavoratrice e l’impresa a rete transnazionale.
Il governo e l’azienda, Tremonti e Marchionne, marciano allo stesso passo veloce. Hanno in mente un progetto di società comune e omogeneo. Con un gusto orwelliano del paradosso sinistro, definiscono l’edificazione di un nuovo paradigma neo-servile come condizione esistenziale permanente di “libertà”. Ci dicono che la libertà sarebbe inibita dalla democrazia. Anche perché l’unica libertà che hanno in mente allude all’esercizio dell’onnipotenza del maschile: potremmo dire che si tratta di una libertà di stupro della forza produttiva e di quella riproduttiva. La violenza contro i corpi sociali e contro i corpi individuali è consustanziale alla modernizzazione dei tecnocrati e dei custodi della grande frode fiscale dominante.
Il berlusconismo, inteso come un sistema complesso di cultura e di politica, merita una lotta capace di intelligenza e di fiato lungo: le contumelie contro il premier rischiano di deviare l’attenzione dagli ingredienti di un ciclo storico che ha segnato l’intero Paese e tutta la politica, anche la nostra. Liberarsi di Berlusconi per tenersi il berlusconismo non è una grande vittoria. Molto aldilà delle malefatte di un singolo leader e imprenditore, c’è un’intera epopea di idee e di mutamenti da radiografare, c’è davvero “l’autobiografia di una nazione” con cui fare i conti. Dovremmo saperci muovere all’altezza di questa sfida, senza perderci nei composti fumosi del “piccolo chimico” parlamentare, senza baloccarci ulteriormente con un pallottoliere i cui conti astratti non corrispondo mai a quelli reali. Dobbiamo restituire alla parola “libertà” il suo significato profondo, che oggi è prima di tutto libertà dalle tre P della destra: paura, precarietà, povertà. Qui c’è la traccia di un programma di alternativa, con questa spinta ideale può rinascere la sinistra e insieme può vincere l’Italia migliore.
Finisce il 2010 così, con vere scene di caccia ai diritti sociali e ai diritti di libertà: prede prelibate di un’attività venatoria che appare indispensabile per contenere l’eruzione del debito pubblico e per rovesciare il Novecento. Così la questione sociale torna ad avere un nome antico, come ci racconta nei suoi bellissimi e dolorosi saggi Marco Revelli: povertà. In un’Europa che ha imboccato la strada del proprio suicidio: fuoriuscire dal welfare, ridurre la complessità sociale a capitolo di ordine pubblico, affidare alle polizie la gestione della repressione dei poveri e della vigilanza sulle libertà esuberanti. La povertà dilagante in una Italia che Berlusconi narra come Paese di benestanti, laddove un esiguo 10% di popolazione è padrone della metà della ricchezza nazionale. La povertà estrema di quella metà esatta delle famiglie italiane che devono sopravvivere con solo il 10% della ricchezza complessiva. Ma anche la povertà dei sogni, soffocati dall’angustia di quelle gabbie in cui il governo sta rinchiudendo il futuro, la povertà di un lavoro immiserito perché spogliato della sua dignità e irriso dai modelli culturali e comportamentali dominanti.
Hanno ragione quei dirigenti del Pd che insistono sulla necessità delle alleanze, ma hanno torto quando le cercano negli abracadabra di Palazzo, nelle intenzioni tattiche che sulla carta dovrebbero regalarci un voto in più dei rivali, e che poi si rivelano sempre sbagliare o fallimentari: perché la realtà, la società italiana, il mondo in cui viviamo non si fa ridurre a una astratta somma algebrica. Se per noi la politica non diventa un’idea forte di Paese, e non si declina come speranza popolare e passione giovanile, continueremo a dare risposte sbagliate. Perché non avremo saputo ascoltare le domande di chi ci chiede di non aver paura. Di chi su una gru o su una terrazza cerca disperatamente un orizzonte nuovo. Di chi prova a riconnettere, sul terreno della politica, le parole ferite: lavoro, sapere, libertà, perché la politica torni ad essere il vocabolario del cambiamento e non il chiacchiericcio di un ceto separato.
Nichi Vendola

Pubblicato su il manifesto

mercoledì 15 dicembre 2010

Una grande Barbara Spinelli



Il profeta delle illusioni

di BARBARA SPINELLI

C'E' CHI DIRA' che l'iniziativa di sfiduciare Berlusconi era votata a fallire: non solo formalmente ma nella sostanza. Perché non esisteva una maggioranza alternativa, perché né Fini né Casini hanno avuto la prudenza di perseguire un obiettivo limpido, e hanno tremato davanti a una parola: ribaltone. Parola che solo per la propaganda berlusconiana è un peccato che grida vendetta al cospetto della Costituzione. Hanno interiorizzato l'accusa di tradimento, e non se la sono sentita di dar vita, guardando lontano, a un'alleanza parlamentare diversa. Hanno ignorato l'articolo 67 della Costituzione, che pure parla chiaro: a partire dal momento in cui è eletto, ogni deputato è libero da vincoli di mandato e rappresenta l'insieme degli italiani. Non manca chi già celebra i funerali per Fini, convinto che la sua scommessa sia naufragata e che al dissidente non resti che rincantucciarsi e pentirsi.

Per chi vede le cose in questo modo Berlusconi ha certo vinto, anche se per 3 voti alla Camera e spettacolarmente indebolito. Il Premier ha avuto acume, nel comprendere che la sfiducia era una distruzione mal cucita, un tumulto più che una rivoluzione, simile al tumulto scoppiato ieri nelle strade di Roma. Neppure lontanamente gli oppositori si sono avvicinati alla sfiducia costruttiva della Costituzione tedesca, che impone a chi abbatte il Premier di presentarne subito un altro.

A ciò si aggiunga la disinvoltura con cui il capo del governo ha infranto l'etica pubblica, esasperando lo sporco spettacolo del mercato dei voti. Il mese in più concesso da Napolitano, lui l'ha usato ricorrendo a compravendite che prefigurano reati, mentre le opposizioni l'hanno sprecato senza neanche denunciare i reati (se si esclude Di Pietro). Eugenio Scalfari ha dovuto spiegare con laconica precisione, domenica, quel che dovrebbe esser ovvio e non lo è: non è la stessa cosa cambiar campo per convinzione o opportunismo, e cambiarlo perché ti assicurano stipendi fasulli, mutui pagati, poltrone.

Ma forse le cose non stanno così, e la vittoria del Cavaliere è in larga misura apparente. Non solo ha una maggioranza esile, ma è ora alle prese con due partiti di destra (Udc e Fli) che ufficialmente militano nell'opposizione. Il colpo finale è mancato ma la crisi continua, come un torrente che ogni tanto s'insabbia ma non cessa di scorrere. Quel che c'è, dietro l'apparenza, è la difficile ma visibile caduta del berlusconismo: caduta gestita da uomini che nel '94 lo magnificarono, lo legittimarono. È un Termidoro, attuato come nella Francia rivoluzionaria quando furono i vecchi amici di Robespierre a preparare il parricidio. Non solo le rivoluzioni terminano spesso così ma anche i regimi autoritari: in Italia, la fine di Mussolini fu decretata prima da Dino Grandi, gerarca fascista, poi dal maresciallo Badoglio, che il 25 luglio 1943 fu incaricato dal re di formare un governo tecnico pur essendo stato membro del partito fascista, responsabile dell'uso di gas nella guerra d'Etiopia, firmatario del Manifesto della Razza nel '38.

Un'uscita dal berlusconismo organizzata dal centro-destra non è necessariamente una maledizione, e comunque non è il tracollo di Fini. Domenica il presidente della Camera ha detto a Lucia Annunziata che dopo il voto di fiducia passerà all'opposizione: se le parole non sono vento, la sua battaglia non è finita. Sta per cominciare, per lui e per chiunque a destra voglia emanciparsi dall'anomalia di un boss televisivo divenuto boss politico, ancor oggi sospettato di oscuri investimenti in paradisi fiscali delle Antille. Il successo non è garantito e se si andrà alle elezioni, Berlusconi può perfino arrestare il proprio declino e candidarsi al Colle.

Non è garantita neppure la condotta del Vaticano, che ha pesato non poco in questi giorni, facendo capire che la sua preferenza va a un patto Berlusconi-Casini che isoli Fini, ritenuto troppo laico. A Berlusconi, che manipola i timori della Chiesa e promette addirittura di creare un Partito popolare italiano, Casini ha risposto seccamente, alla Camera: "La Chiesa si serve per convinzione, non per usi strumentali".

Resta che il futuro di una destra civile, laica o confessionale, si sta preparando ora.

È il motivo per cui non è malsano che la battaglia avvenga in un primo tempo dentro la destra. Sono evitati anni di inciuci, che rischiano di logorare la sinistra e non ricostruirebbero l'Italia, la legalità, le istituzioni. Il Pd sarebbe polverizzato, se la successione di Berlusconi fosse finta. Un governo stile Comitato di liberazione nazionale (Cln) sarebbe stato l'ideale, ma tutti avrebbero dovuto interiorizzarlo e l'interiorizzazione non c'è stata. Anche tra il '43 e il '44 fu lento il cammino che dai due governi Badoglio condusse prima al riconoscimento del Cln, poi al governo Bonomi, poi nel '46 all'elezione dell'assemblea che avrebbe scritto la Costituzione.

Oggi non abbiamo alle spalle una guerra perduta, e questo complica le cose. Abbiamo di fronte una guerra d'altro genere - il rischio di uno Stato in bancarotta - e ne capiremo i pericoli solo se ci cadrà addosso. L'impreparazione del governo a un crollo economico e a pesanti misure di rigore diverrebbe palese. Anche la natura dei due regimi è diversa: esplicitamente dittatoriale quello di Mussolini, più insidiosamente autoritario quello di Berlusconi. Il suo potere d'insidia non è diminuito, soprattutto quando nuota nel mare delle campagne elettorali o quando mina le istituzioni. Subito dopo la fiducia, ieri, ha anticipato un giudizio di Napolitano ("Il Quirinale vuole un governo solido") come se al Colle ci fosse già lui e non chi parla per conto proprio.

L'opposizione del Pd è a questo punto decisiva, se non allenta la propria tensione e non considera una disfatta la battaglia condotta per un governo vasto di responsabilità istituzionale. Anche se incerte, le due destre d'opposizione sanno che senza la sinistra non saranno in grado di compiere svolte cruciali. Un Termidoro fatto a destra è un vantaggio in ogni circostanza. Se il governo dovesse estendersi a Casini e Fini e riporterà l'equilibrio istituzionale che essi chiedono, la sinistra potrà dire di aver partecipato, con la sua pressione, alla restaurazione della legalità repubblicana. Il giorno del voto, potrà ricordare di aver agito non per ottenere poltrone, ma nell'interesse del Paese. Se la destra antiberlusconiana non si emanciperà, se inghiottirà nuove leggi ad personam, la sinistra potrà dire di aver avuto, sin dall'inizio, ragione. Con la sua costanza, avrà contribuito alla fine al berlusconismo. Potrà influenzare anche la natura, più o meno laica, della destra futura. Potrà prendere le nuove destre d'opposizione alla lettera ed esigere riforme della Rai, pluralismo dell'informazione, autonomia della magistratura, lotta all'evasione fiscale, leggi definitive sul conflitto d'interessi. Per questo il duello parlamentare di questi giorni è stato tutt'altro che ridicolo o provinciale.

I partiti di oggi non hanno la tenacia dei padri costituenti: proprio perché il passaggio è meno epocale, i compiti sono più ardui. Ma non sono diversi, se si pensa allo stato di rovina delle istituzioni. L'unico pericolo è cadere nello scoramento. È farsi ammaliare ancora una volta dal pernicioso pensiero positivo di Berlusconi. Quando le civiltà si cullano in simili illusioni ottimistiche la loro fine è prossima. Lo sapeva Machiavelli, quando scriveva che con i tiranni occorre scegliere: bisogna "o vezzeggiarli o spegnerli; perché si vendicano delle leggieri offese, ma delle gravi non possono". Lo sapeva Isaia, quando diceva dei figli bugiardi che si cullano nell'ozio: "Sono pronti a dire ai veggenti: 'Non abbiate visionì e ai profeti: 'Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni'".

Il profeta d'illusioni ha vinto solo un turno, nella storia che stiamo vivendo.

martedì 14 dicembre 2010

Il graffio di Beppe Grillo



Berlusconi ha vinto, Berlusconi ha perso.


1867,398 miliardi di euro è il nuovo record del debito pubblico. In ottobre ci siamo divorati 23 miliardi, a settembre il debito era di 1844 miliardi. Nello stesso giorno del record che ci trascina verso l'abisso economico, il 14 dicembre 2010, alla Camera dei deputati Berlusconi ha vinto per 314 a 311.
Si è svolto nella sala di velluti rossi un confronto osceno di compari che sentono l'odore della rivoluzione nelle strade e cercano di salvarsi con un doppio carpiato come Fini, rinnegando 15 anni di inciuci come Bersani e Casini. Nell'aula ridotta a un palcoscenico di mestieranti con battute da avanspettacolo e applausi improvvisi che scacciavano la paura del futuro (come quelli alla bara portata a braccia quando esce dalla chiesa) ci sarebbe voluta la follia di un Lombroso per interpretare volti, smorfie, ghigni, gesti. Per illustrare una nuova antropologia: quella della merda. In un Parlamento di venduti non è possibile parlare di voti comprati, come non è possibile trovare vergini in un lupanare. La recita dei deputati ha avuto ancora una volta la sua rappresentazione. Attori con stipendi stellari, macchine blu, finanziamenti (furti) elettorali da un miliardo di euro bocciati da un referendum, giornalisti al loro servizio pagati con una mancia di 329 milioni mentre il Paese va a picco. Guardateli, non vi fanno schifo?
La Camera dall'alto sembrava questa mattina un ritrovo di vecchi compari, Berlusconi che accarezza il collo di Casini, il Bocchino tradito, il Fini paralizzato da una votazione che lo manda in pensione dopo 40 anni di carriera politica in cui non ha visto nulla, sentito nulla, detto nulla prima di uscire dal sarcofago, la "vajassa" di Fassino. Le labbra della Mussolini e quelle della Carfagna, gli occhiali da sole di Frattini. Le donne incinte, tra cui l'avvocatessa del prescritto per mafia Andreotti in carrozzella. La corte dei miracoli aveva più dignità, un circo ha più serietà, un bordello più dignità.
Nel 2011 la crisi economica spazzerà via questa umanità ridente che si è appropriata dello Stato e dei media. Straccioni sociali che hanno avuto nella politica l'unica via per il successo, per sentirsi importanti, indispensabili, "onorevoli". Io non salvo nessuno e auguro a tutti di ritirarsi per tempo, prima che lo faccia la Storia che è, come si sa, imprevedibile e feroce.


Beppe Grillo

Fiducia per 3 voti

lunedì 6 dicembre 2010

Visibilità e potere

Il coniglio invisibile

di Beppe Grillo

La visibilità è una droga, un virus che ti fonde il cervello e ti trasforma in un politico, in un maiale che ripete lo stesso "oink" sorridente alle telecamere, in una velina, in un qualunque cialtrone che venderebbe sua nonna a un mercante di organi usati per un'apparizione televisiva, un titolo di giornale, un'intervista. Pochi ragazzi vorrebbero diventare l'uomo invisibile, molti vorrebbero essere Corona. La visibilità ti rende pazzo, folle, è simile all'eroina, provoca dipendenza e credi veramente di essere IMPORTANTE per le quattro minchiate che dici (sempre le stesse), per una fotografia, per il tuo ultimo articolo in cui parli di un articolo scritto da un altro. La visibilità rende tutti novelli Napoleone con il cappello in testa e la mano sul petto. L'Italia è un manicomio a cielo aperto, un grande cortile mediatico dove, tra i platani, i napoleoni passeggiano impettiti e sospettosi uno dell'altro: "Avrà forse più popolarità di me?". Chi non è mai stato esposto ai raggi gamma della visibilità può rimanere folgorato, un po' come dopo la prima scopata, e non riprendersi più. Il suo ego cresce allora con il crescere della visibilità ed è spacciato. Può assurgere (virtualmente) al rango di grande statista, eccelso giornalista, opinion leader e di esserne convinto. Diventa altezzoso, distante, in altri termini, un perfetto minchione inconsapevole.
Il potere e la visibilità non sono compatibili. Non lo sono mai stati. Cuccia e Gelli hanno fatto quello che hanno voluto del nostro Paese in silenzio, indifferenti e lontani dalle luci della ribalta. Berlusconi l'uomo più visibile della Storia italiana è sempre dipeso da terzi, lui è il burattino e Dell'Utri il primo puparo. La visibilità è anche questo: la trasformazione di una persona normale in un fantoccio manovrato da altri che non sa di esserlo perché, se lo sapesse, cesserebbe di esistere. Il totem della visibilità è reso possibile da un popolo di guardoni. Senza di loro chi potrebbe ambire alla visibilità? Chi guarderebbe gli esibizionisti del nulla? I guardoni a loro volta vogliono un quarto d'ora di celebrità e la storia va avanti così all'infinito.
Cosa siamo? Un Paese di cartone che vive di visibilità con cui sostituisce e surroga la realtà che preferisce evitare? Un Grande Fratello Nazionale? In Italia per rendere schiavo qualcuno è sufficiente promettergli visibilità e togliergliela per trasformarlo nel tuo peggior nemico. "Chi d'altrui si veste presto si spoglia", ma chi è vestito di niente come fa a spogliarsi?

venerdì 3 dicembre 2010